N 06/2013 11 Febbraio 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. L INPS RENDE NOTI, PER L ANNO 2013, I MINIMALI ED I MASSIMALI DI CONTRIBUZIONE. INPS CIRCOLARE N. 22 DEL 8 FEBBRAIO 2013. L Inps, circolare n 22 dell 8 febbraio 2013, ha reso noti relativamente all anno 2013 i nuovi minimali e massimali di contribuzione. Nel rinviare ad un attento esame della circolare de qua, si segnala a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo i seguenti valori: minimale giornaliero: 47,07#; massimale annuale (per coloro che risultano iscritti in data successiva al 01.01.1996): 99.034,00#; valore mensile superato il quale è obbligatorio applicare l IVS aggiuntivo: 3.794,00#. 1
DAL 1 GENNAIO 2013 TASSO DI INTERESSE DI MORA ALL 8,75% IN CASO DI RITARDATO PAGAMENTO NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI. MINISTERO DELL ECONOMIA E DELLE FINANZE COMUNICATO STAMPA N. 14 DEL 17 GENNAIO 2013. Il Ministero dell Economia e delle Finanze, comunicato stampa n 14 del 17 gennaio 2013, ha reso noto che per il periodo 1 gennaio - 30 giugno 2013 il tasso di riferimento per gli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali è pari allo 0,75%. Dal 1 gennaio 2013, secondo il D.Lgs n. 231/2002, così come modificato dal decreto legislativo n. 192/2012, in caso di ritardato pagamento nelle transazioni commerciali si prevede una distinzione tra gli interessi moratori, che possono essere fissati ad un tasso libero o concordato dai soggetti della transazione, e gli interessi legali di mora, pari ad un tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali. Pertanto, nel primo semestre del 2013 il tasso degli interessi legali di mora da applicare sarà pari a 8,75%. L OMESSA INDICAZIONE DELL ALIQUOTA APPLICATA RENDE NULLO L AVVISO DI ACCERTAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 1645 DEL 24 GENNAIO 2013. La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 1645 del 24 gennaio 2013, ha statuito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l avviso di accertamento che non riporti l aliquota applicata determina la nullità dell atto. Nel caso in specie, l Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per Cassazione contro la pronuncia dei giudici tributari regionali che avevano annullato la rettifica induttiva del reddito d impresa per mancata indicazione dell aliquota applicata all interno del relativo atto d accertamento. Secondo gli Ermellini la suddetta lacuna assume carattere di massima gravità in quanto non consente al contribuente di verificare agevolmente e immediatamente l imposta richiesta. Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'avviso di accertamento che non riporti l'aliquota applicata, ma solo l'indicazione delle aliquote minima e 2
massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto di cui all'art. 42 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, il quale richiede che sia evidenziata l'aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell'imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all'ausilio di un esperto. L'omissione di tale indicazione determina la nullità dell'atto, ai sensi del terzo comma dell'art. 42 cit., senza che sia consentita una valutazione di merito circa l'incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti dei contribuente" (cfr. ex plurimis Cassazione, Sezione Tributaria, sentenze n.ri 4944 del 2002, 13810 del 2005 e 1471 del 2006). ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE SE IL DATORE DI LAVORO NON DA PROVA DECISIVA DELLA MANCATA FRUIZIONE DELLE CURE TERMALI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 1329 DEL 21 GENNAIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 1329 del 21 gennaio 2013, ha stabilito la illegittimità del licenziamento, per mancata fruizione delle cure termali, laddove la prova del datore non sia decisiva ad evidenziare la presenza del lavoratore in luoghi diversi da quelli dichiarati per il godimento delle cure. Nel caso in esame, la Corte di Appello di Roma accoglieva l'appello proposto da una lavoratrice e dichiarava l'illegittimità del licenziamento comminato dalla società datrice di lavoro per la ingiustificatezza delle assenza della lavoratrice dal luogo di lavoro per mancata fruizione delle cure termali per le quali aveva ottenuto il relativo permesso retribuito. Invero, rilevava la Corte distrettuale, le testimonianze rese dai due investigatori incaricati dal datore di lavoro di effettuare controlli circa la presenza della lavoratrice nel centro termale non erano sufficienti a corroborare e sostenere l'assunto datoriale. Difatti, la semplice constatazione di assenza della autovettura della lavoratrice nei pressi del centro termale, nonché il mancato incontro della stessa all'entrata od uscita dal centro non potevano costituire prova certa della mancata fruizione delle cure. 3
Non dello stesso avviso la società soccombente che ha adito la Corte di Cassazione, denunciando l'erronea valutazione della prova di una giusta causa di licenziamento nonché la legittimità del controllo effettuato sulla lavoratrice. All uopo, i Giudici di Piazza Cavour, nel rigettare il ricorso proposto, hanno affermato che, ferma la validità del principio invocato dalla società relativo alla legittimità del controllo da parte di terzi della condotta del lavoratore al di fuori dello stretto ambito lavorativo, ove lo stesso sia finalizzato alla tutela dei beni estranei al rapporto stesso, sarebbe stato, altresì onere dell'azienda, provare la giusta causa del licenziamento anche attraverso elementi idonei a dimostrare la presenza della lavoratrice in luoghi diversi dal centro termale nei giorni delle assenze dal lavoro, cui faceva riferimento la contestazione degli addebiti. E ciò, hanno concluso gli Ermellini, tanto più in un'ipotesi come quella in esame, in cui la stessa lavoratrice aveva fornito supporto probatorio all'assunto della sua presenza presso il centro termale: la prova del datore avrebbe dovuto presentarsi con caratteristiche idonee a confutare l'impianto motivazionale adottato e di valenza probatoria decisiva ai fini richiesti. AMBIENTE DI LAVORO INSALUBRE, IL LAVORATORE PUO RIFIUTARE LA PRESTAZIONE LAVORATIVA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 1478 DEL 22 GENNAIO 2013. La Corte di Cassazione, sentenza n 1478 del 22 gennaio 2013, ha (ri)statuito che è da ritenere legittima l astensione lavorativa dei dipendenti laddove il datore non garantisca la salubrità dell ambiente di lavoro. Nel caso de quo, i dipendenti di una società - addetta alla riparazione delle carrozze ferroviarie - rifiutavano di fornire la propria opera lavorativa, dopo la normale timbratura d ingresso in azienda, a causa della presenza di fibre di amianto all interno dei luoghi di lavoro così come certificato anche da alcuni verbali medici. Orbene, gli Ermellini, nell avallare in toto il decisum di merito, hanno sottolineato come il datore di lavoro ex art. 2087 c.c. debba adottare tutte le cautele che la norma prevede e l esperienza comune suggerisce per garantire la salubrità dei luoghi di lavoro preservando, in tal modo, la salute dei dipendenti. 4
In caso contrario, configurandosi un inadempimento dei doveri fondamentali del rapporto di lavoro da parte dell azienda, i lavoratori sono legittimati a rifiutarsi di adempiere alla prevista controprestazione lavorativa. IL DATORE DI LAVORO E TENUTO A PROTEGGERE I PROPRI DIPENDENTI DA COMPORTAMENTI MOBBIZZANTI POSTI IN ESSERE DA ALTRI LAVORATORI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 1471 DEL 22 GENNAIO 2013. La Corte di Cassazione, sentenza n 1471 del 22 gennaio 2013, ha statuito che il datore di lavoro è responsabile del danno patito dal lavoratore a causa delle angherie perpetrate dai colleghi se, nonostante la conoscenza del comportamento de quo, non si adopera per porre fine alle stesse. Nel caso di specie, un lavoratore adiva i giudici di merito per veder riconosciuta l illegittimità del demansionamento subito e per ottenere il ristoro dei danni patiti per il comportamento di mobbing posto in essere dai colleghi di lavoro nella totale indifferenza dell azienda. In entrambi i gradi di giudizio, seppur in misura diversa, venivano accolte le doglianze del lavoratore. L azienda ricorreva in Cassazione. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nel condividere in pieno il deliberato dei giudici di prime cure, hanno sottolineato come il datore di lavoro debba porre in essere tutte le misure idonee a garantire l incolumità psico-fisica del lavoratore ex art. 2087 c.c.. A tal fine non può ritenersi soddisfatto tale principio mediante la semplice affissione, da parte dell azienda, di un ordine di servizio generico se alla stessa non vengono fatti seguire i dovuti controlli sulla reale ottemperanza dei lavoratori alle direttive impartite. Pertanto, i giudici dell organo di nomofilachia, ravvisando una responsabilità omissiva dell azienda, hanno confermato il risarcimento del danno nei confronti del dipendente mobbizzato dai colleghi di lavoro. Ad maiora 5
IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 6