Le Tombe della via Latina La scoperta della necropoli presso il IV miglio della via Latina si deve all iniziativa di Lorenzo Fortunati, un intraprendente scopritore, così amava appellarsi, di professione insegnante, che eseguì a sue spese gli scavi con il proposito di ricavare un onesto lucro dalla vendita degli oggetti rinvenuti. Il nome del Fortunati è legato anche ad altri scavi eseguiti nella seconda metà dell 800, come ad esempio quelli avvenuti a Tor de Schiavi, a Porta Pia, a Tor Sapienza e all interno della città nell area dell Esquilino, del Campo Verano e di via Nazionale. La richiesta di poter fare scavamenti per la ricerca di antichità nell area dove erano già visibili resti di sepolcri, tra i quali spiccava il sepolcro cosiddetto Barberini, venne accettata e il Fortunati, ottenuta la licenza il 20 luglio 1857 dal Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria e Agricoltura, iniziò i lavori che potremmo definire di sterro, più che di scavo archeologico. Secondo la legge, all epoca vigente, gli scavi non venivano eseguiti solo per indagini scientifiche, ma anche per trovare oggetti che poi venivano divisi in parti uguali tra il proprietario e lo scopritore. I lavori di scavo, che si protrassero fino al 1858, riportarono alla luce tratti del lastricato della via Latina, numerose tombe, tra le quali quella dei Valeri e dei Pancrazi, una villa e i resti di una basilica attribuita a S. Stefano. Ma tali importanti ritrovamenti non erano tenuti in considerazione dal Fortunati tanto quanto il rinvenimento di materiali (iscrizioni, sarcofagi ecc.) che egli si preoccupava di vendere al mercato antiquario, allo Stato o al Governo Pontificio. I ritrovamenti ebbero una vasta eco in quegli anni e l area divenne meta della gente colta e fu onorata, inoltre, dalla presenza del papa Pio IX, interessato dal ritrovamento della basilica cristiana; quest ultima scoperta, tuttavia, rivelò conflitti di competenza tra il Fortunati e la Commissione di Archeologia Sacra che voleva riservarsi il diritto di scavare un monumento cristiano così importante. Nonostante l interessamento papale, lo scavo della basilica venne proseguito dalla Commissione; infine, per altre controversie riguardanti la vendita delle opere d arte rinvenute, al Fortunati gli fu impedito di continuare gli scavi.
Tutta l area venne successivamente, nel 1879, acquistata dallo Stato Italiano che provvide a restaurare i monumenti, in particolare la tomba dei Valeri, completandone la ricostruzione dell alzato secondo schemi di fantasia. Inoltre per volontà del ministro Baccelli l area, ormai demaniale, venne sistemata a giardino. L acquisizione del 1879 ha permesso di mantenere intatto e salvaguardare, con la realizzazione del Parco delle Tombe della via Latina, un frammento della campagna romana che altrimenti sarebbe stato intensamente urbanizzato e quindi perduto. L ingresso al Parco è situato sulla direttrice del tracciato della via Latina, del quale si conserva il basolato, che probabilmente è da riferirsi ad un rifacimento successivo alla iniziale costruzione della strada attribuita al II sec. a.c. Essa venne realizzata su un tracciato naturale antichissimo, l unico accesso al meridione della penisola, che collegava Roma, le città latine del Lazio meridionale e la Campania. Lungo la strada si ergevano le tombe tra le quali spicca ora, sulla destra poco dopo l ingresso, il sepolcro detto Barberini dal nome degli ultimi proprietari della tenuta prima dell acquisto da parte dello Stato. L edificio, con ingresso sul lato opposto alla via, si divideva in tre piani: una parte ipogea con accesso tramite una scala esterna, nella quale venne rinvenuto il sarcofago detto Barberini con la raffigurazione del mito di Laodamia e Protesilao, ora conservato ai Musei Vaticani, e due piani sopraterra collegati da una scala. All interno è visibile l impronta sul muro della scala di accesso al secondo piano, che era coperto da una volta a crociera rivestita di intonaco affrescato e di stucco. Esternamente è presente un paramento in opera laterizia a due colori: le pareti sono in laterizio di colore rosso, mentre le decorazioni architettoniche (capitelli, architravi, cornici) sono in cotto giallo ed originariamente erano dipinte con colori vivaci (oro, giallo, viola).
Il sepolcro, del tipo a tempietto, si data, sulla base della tecnica muraria, alla metà del II sec. d.c. e potrebbe essere appartenuto ad un Q. Cornelius, il cui nome era inciso su un iscrizione, ora scomparsa, presente in un disegno della tomba realizzato nel 600 da Pirro Ligorio. Proseguendo lungo la via, sul lato destro si incontra il Sepolcro dei Valeri, il cui alzato è stato completamente ricostruito nella seconda metà dell 800. Nel corso degli scavi il Fortunati aveva rintracciato soltanto la parte ipogea, ossia le celle funerarie della tomba, il vestibolo e due scale simmetriche di accesso. L edificio, la cui attribuzione ai Valeri è di pura fantasia, si affacciava sulla strada con un portico sostenuto da due colonne. La parte più interessante del sepolcro è costituita dalla decorazione a lastre marmoree delle pareti e a stucco del soffitto. La volta a botte è ornata da 35 medaglioni e riquadri con scene relative al mondo funerario: thiasos bacchico (Satiri e Menadi) e marino (Nereidi, animali fantastici). Il sepolcro viene datato, sulla base delle caratteristiche decorative e per i materiali rinvenuti (un bollo laterizio del 159 d.c.), intorno al 160-170 d.c. Nella parte retrostante e intorno al sepolcro vi sono i resti di un vasto complesso con ambienti termali destinato a luogo di sosta dei viaggiatori, frequente lungo le strade antiche. Sul lato opposto sorge la Tomba dei Pancrazi, conservata nelle strutture originarie solo nella parte ipogea e costituita da due ambienti comunicanti, nei quali si rinvennero numerosi sarcofagi, alcuni
dei quali ancora in situ. Su uno di questi, conservato sul bancone presente nel primo ambiente, è riportata un iscrizione che cita il collegio dei Pancrazi, una delle numerose associazioni funeratizie presenti a Roma. Il primo vano è decorato con affreschi raffiguranti immagini femminili allegoriche delle stagioni, paesaggi e scene figurate. La seconda camera, contenente un grande sarcofago ad arca in marmo bianco, presenta una volta a crociera decorata da stucchi e da affreschi che suddividono lo spazio in lunette e quadretti ornati da soggetti mitologici (Giudizio di Paride, Ercole con Atena e Apollo, Apollo e Dioniso ecc.). Nel medaglione centrale è rappresentata l apoteosi di una figura maschile, forse il defunto sotto le sembianze di Giove. L edificio, originariamente a due piani, fu costruito dopo la sistemazione del sarcofago, probabilmente intorno all età adrianea o, secondo un altra ipotesi, tra la fine del I e l inizio del II sec. d.c. Nelle vicinanze del sepolcro sorge un'altra tomba detta dei Calpurni, della quale è conservata solo la parte ipogea. Essa si trova all interno di una vasta villa, scavata dal Fortunati e subito rinterrata, forse appartenuta alla famiglia degli Anicii. Su un ambiente di questa villa si impiantò una basilica dedicata a S. Stefano, fatta costruire intorno alla metà del V secolo da papa Leone I. L edificio, che si articolava su tre navate, fu dotato di un campanile nel IX secolo. Le fonti storiche riferiscono che la basilica era meta di pellegrinaggi ancora nel XIII secolo, ma successivamente, per motivi non precisabili, venne abbandonata. A cura di: Paola Chini e Moreno Capodarte