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ovvero. Agenda un po insolita per appunti. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 10/2014 Napoli 10 Marzo 2014 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. E PIENAMENTE COERENTE LA PRONUNCIA CHE RICONOSCA IL DANNO BIOLOGICO E RIGETTI LA DOMANDA RELATIVA AL DANNO ALLA PROFESSIONALITA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 172 DELL 8 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 172 dell 8 gennaio 2014, ha statuito che il danno alla professionalità non può essere considerato in re ipsa nel semplice demansionamento, essendo invece onere del dipendente provare tale danno dimostrandolo. Nel caso de quo, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, aveva condannato il Comune di Roma al risarcimento del danno da mobbing in favore di una lavoratrice. La Corte territoriale aveva ritenuto provato il danno subito a causa della condotta mobizzante posta in essere dal Comune e concretizzatasi in provvedimenti disciplinari e trasferimenti dichiarati illegittimi. Tuttavia, la Corte capitolina aveva escluso il danno alla professionalità ritenendolo non provato nemmeno presuntivamente. La lavoratrice insoddisfatta ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza lamentando che, l'acclarato comportamento mobizzante avrebbe necessariamente determinato mortificazione morale ed emarginazione 1

professionale talché, il danno alla professionalità doveva essere ritenuto almeno presunto. Orbene, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto, ha (ri)confermato che non sussiste alcuna logica contraddittorietà nel riconoscimento del danno biologico e nel rigetto della domanda relativa al danno alla professionalità. E' di palmare evidenza, hanno continuato gli Ermellini, che le due voci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo una, relativa al fisico del lavoratore, mentre la seconda, alla sua professionalità e cioè all'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa. In caso di accertato demansionamento professionale, hanno concluso i Giudici di Piazza Cavour, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova dell esistenza del danno mentre, nel caso in esame, il ricorrente ha solo paventato e dedotto un inammissibile danno alla professionalità, in re ipsa, nel semplice demansionamento. E ILLEGITTIMO IL CONTRATTO DI LAVORO INTERINALE SE CARENTE DELLA NECESSARIA ESPLICITAZIONE DEL MOTIVO DELLA SUA CONCLUSIONE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 161 DELL 8 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 161 dell 8 gennaio 2014, ha confermato che, in caso di illegittimità del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo per genericità della causale, il contratto di lavoro con l'agenzia "interposta" si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore "interponente". Nella fattispecie in esame, una lavoratrice, con contratto di lavoro interinale, chiedeva che venisse dichiarato sussistente un rapporto di lavoro direttamente con l'impresa utilizzatrice ed a tempo indeterminato per illegittimità del contratto stipulato senza la necessaria esplicitazione del motivo della sua conclusione. Il Tribunale dichiarava l'illegittimità del contratto e, di conseguenza, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l'impresa utilizzatrice. 2

La Corte d Appello di Torino, adita dalla società utilizzatrice, aveva ritenuto, diversamente da quanto essa stessa aveva sostenuto in precedenti decisioni, che l indicazione generica dei motivi di ricorso al lavoro temporaneo non comporta, ex art. 10, Legge n 196 del 1997, la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, pertanto, la sentenza di primo grado veniva riformata. Orbene, la questione è giunta alla Suprema Corte che ha ritenuto non fondata la tesi sostenuta dalla Corte d Appello torinese ed accolto il ricorso della lavoratrice giacché, in materia di contratto di lavoro interinale, la mancata o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore, per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall'indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso. In questi casi, il contratto di lavoro col fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore interponente e, quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D. Lgs. n 368 del 2001 o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore. L OBIETTIVA INCERTEZZA NORMATIVA ESCLUDE L APPLICAZIONE DELLE SANZIONI TRIBUTARIE. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 4394 DEL 24 FEBBRAIO 2014 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 4394 del 24 febbraio 2014, ha statuito l importante principio per effetto del quale non si 3

applicano sanzioni a carico del contribuente se il mancato versamento dell IRAP deriva da obiettiva incertezza normativa in ordine alla definizione di autonoma organizzazione. IL CASO L Amministrazione finanziaria provvedeva ad emettere a carico di un professionista avvisi d accertamento in materia di Irap per gli anni d imposta 2003/2004/2005, dichiarando non dovuto il rimborso richiesto ed irrogando anche a suo carico le sanzioni tributarie. Il contribuente provvedeva ad impugnare gli avvisi dinanzi agli organi della giustizia tributaria risultando però soccombente in entrambi i gradi di giudizio. Da qui, il ricorso per Cassazione. Il contribuente, a supporto del proprio gravame, metteva in risalto ai fini della inapplicabilità della sola sanzione tributaria - l incertezza normativa che sussisteva in merito all'applicazione dell'irap e soprattutto in ordine all'interpretazione da dare al requisito dell'autonoma organizzazione. Si ricorda, infatti, che, in ragione delle disposizioni recate dell articolo 10, comma 3, della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e dell articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 472/1997 (disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie), non si rendono applicabili sanzioni in caso di incertezza oggettiva sul contenuto, sull oggetto e sui destinatari della norma. Tale principio tanto chiaro nel suo contenuto è, però, sovente disatteso dall Amministrazione finanziaria. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, nell accogliere il ricorso del contribuente, hanno fatto presente come, in linea generale, tale incertezza sussista quando il complesso normativo di riferimento si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento si riveli concettualmente difficoltoso a causa della relativa equivocità (cfr. Cass. n.22252/2011). I Giudici nomofilattici hanno poi proseguito, evidenziando come la questione relativa alla rilevanza impositiva Irap del reddito professionale era stata oggetto di articolato e complesso dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza e che solo a partire dal 2007 si era delineato un orientamento giurisprudenziale univoco che aveva 4

determinato presupposti e limiti dell'imposizione fiscale Irap dei redditi professionali (cfr. ex plurimis Cass. n. 3676/2007, n. 3678/2007, n. 3680/2007). Sulla scorta delle considerazioni suddette, non potendosi trascurare che nel periodo oggetto di imposizione (dal 2003 al 2005) sussistesse una obiettiva incertezza in ordine al presupposto dell attività autonomamente organizzata e segnatamente in merito al contenuto da dare ai termini organizzazione ed autonomia, i Giudici di legittimità hanno cassato la sentenza della C.T.R. appellata, rinviandola ad altra sezione, per le statuizioni conseguenti conformi ai principi interpretativi dettati. GRAVA SUL LAVORATORE L ONERE DI PROVARE IL DANNO BIOLOGICO ED ESISTENZIALE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 26398 DEL 26 NOVEMBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 26398 del 26 novembre 2013, ha statuito che, grava sul lavoratore l'onere di dimostrare il danno biologico ed esistenziale patito per aver prestato attività lavorativa (anche) nel giorno di riposo settimanale. Nel caso in commento, due dipendenti dell'azienda di trasporto pubblico, a seguito di loro espressa disponibilità, prestavano servizio anche nel giorno di riposo settimanale nonostante la contrattazione collettiva prevedesse un orario di lavoro articolato su soli cinque giorni. I Giudici di merito, compulsati dai subordinati, respingevano, in entrambi i gradi di giudizio, le loro doglianze, attesa la volontarietà della prestazione lavorativa nel giorno di riposo e la carenza delle fonti di prova prodotte in giudizio. Orbene, gli Ermellini, aditi in ultima battuta dagli autisti, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno sottolineato che, è onere del ricorrente dimostrare il danno biologico ed esistenziale patito dovendo distinguersi, nella fattispecie specifica, il caso in cui il riposo sia stato solo differito nel tempo da quello in cui lo stesso venga del tutto soppresso. 5

Pertanto, considerato che i lavoratori non avevano dato prove sufficienti al fine di accertare se il riposo fosse stato semplicemente spostato temporalmente o, ex adverso, del tutto soppresso e che la prestazione nel giorno di riposo era stata resa su base volontaria dopo espressa manifestazione di disponibilità da parte degli stessi, i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno respinto, ulteriormente, le doglianze dei subordinati negando il loro diritto al risarcimento del danno biologico ed esistenziale. IL DATORE DI LAVORO E RESPONSABILE DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO ANCHE NEI CONFRONTI DEI SOGGETTI ESTRANEI ALL AZIENDA. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 956 DEL 13 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione Sezione Penale, sentenza n 956 del 13 gennaio 2014, ha statuito che, il datore di lavoro è responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro non solo nei confronti dei propri lavoratori ma, anche nei riguardi dei soggetti terzi che legittimamente accedono in azienda. Nel caso de quo, un automezzo, guidato da un autista estraneo all'azienda, urtava violentemente contro una piattaforma esistente nel piazzale di ingresso dello stabilimento normalmente utilizzato dai mezzi di trasporto. I Giudici di merito, aditi dal conducente, rimasto infortunato nell'impatto, condannavano, in entrambi i gradi di merito, il legale rappresentante dell'azienda per la mancata segnalazione del pericolo. Inevitabile il ricorso in Cassazione. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nel confermare integralmente il deliberato di merito, hanno sottolineato come le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono intese a tutelare non solo i lavoratori dell'azienda ma, anche tutti i soggetti terzi che legittimamente accedono all'unità produttiva. Pertanto, atteso che dal procedimento istruttorio era emersa, incontrovertibilmente, la carenza della segnaletica di pericolo prescritta dal D.Lgs. n 81/2008 e s.m.i., i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno confermato la condanna penale del datore di lavoro. 6

Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello e Pietro Di Nono. 7