LA NATURA GIURIDICA DEI MATERIALI DI RISULTA DERIVANTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE



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LA NATURA GIURIDICA DEI MATERIALI DI RISULTA DERIVANTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE Secondo la giurisprudenza di legittimità, i materiali da costruzione e demolizione sono rifiuti Prima parte I materiali derivanti da costruzione e demolizione sono espressamente elencati dall art. 184, comma 3, lett. b) del D. Lgs. n. 152/2006 (cd. Testo Unico Ambientale) tra i rifiuti speciali, e sono contrassegnati con il codice C.E.R. (catalogo europeo dei rifiuti) 17 09 04. Sono rifiuti non pericolosi, salvo che contengano - ed è invero, un ipotesi tutt altro che rara - elementi come ad esempio pezzi di amianto. In tal caso, contrassegnati con il codice C.E.R. 17 06 05*, dovranno classificarsi come rifiuti pericolosi. La natura giuridica di rifiuto dei materiali in argomento non costituisce, invero, una novità di assoluto rilievo! E però utile ribadire il concetto, perché spesso le imprese (ma talvolta anche gli stessi organi di controllo) ritengono, anche in buona fede, che gli stessi non siano rifiuti e che, di conseguenza, possano incondizionatamente essere riutilizzati come sottofondi stradali, per livellare terreni, coprire fossati, realizzare strade, ecc << Un tema da sempre oggetto di dibattito ed equivoci interpretativi. Molti, infatti, hanno sempre ritenuto tali elementi residuali da cantieristica edile come sottratti alla disciplina dei rifiuti e di libero uso per riempimenti e riversamenti in altri cantieri o in altre sedi. Noi da parte nostra su queste pagine ed in ogni sede seminarile abbiamo sempre contestato questa prassi, ritenendo che i materiali edili da demolizione sono rifiuti a tutti gli effetti. Con gli adempimenti conseguenti ad onere del titolare della ditta edile. Si veda, ad esempio, la risposta al quesito pubblicata sul nostro sito in data 15 gennaio 2007 in Area rifiuti a firma del Dr. Maurizio Santoloci, che sosteneva detta teoria. Infatti alla domanda di un lettore, una ditta che si occupa di demolizioni edili, può nel contesto della nuova normativa prevista dal T.U. ambientale riutilizzare i materiali edili da demolizione, considerandoli sottoprodotti o materie prime secondarie, ad esempio per riempimenti di basi stradali o fossati o livellamenti di terreni?, il nostro direttore così rispondeva: Assolutamente no. Prassi comuni ma totalmente illegali continuano a voler considerare i materiali edili da demolizioni come non rifiuti (addirittura appunto sottoprodotti o materie prime secondarie), talché sarebbe illegittimo il loro riutilizzo per riversamenti ai fini di basi di fondi stradali, copertura fossati, livellamenti terreni, terrazzamenti a fini edili. Questa consuetudine molto diffusa e spesso ritenuta legittima perfino da qualche pubblica amministrazione ed organo di vigilanza è totalmente illegale: a nostro avviso anche nella attuale vigenza del T.U. ambientale come in precedenza nel decreto 22/97 i materiali da demolizione sono ed erano rifiuti a tutti gli effetti e dunque l onere dell adempimento del demolitore edile resta sempre quello di considerarli come tali ai fini del corretto smaltimento o recupero. Dunque ad esempio il formulario, un adempimento che necessariamente il titolare

della ditta edile deve compilare per ogni viaggio effettuato con tali materiali/rifiuti. A nostro avviso, tali materiali non possono essere classificati né come sottoprodotto, né come materie prime secondarie >>. 1 Essi, in quanto rifiuti fin dal momento in cui vengono ad esistenza, non possono configurarsi come sottoprodotti. In punto di diritto, sono pienamente sottoposti alla disciplina dei rifiuti, di cui alla parte quarta del Testo Unico Ambientale, come modificata dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (cd. quarto decreto correttivo del T.U.A.). Ostativa a realizzare gli estremi della nozione di cui all art. 184 bis del T.U., oltre alla espressa su citata previsione normativa, è peraltro, la impraticabilità di un loro riutilizzo diretto, senza che occorra una previa procedura di recupero, necessaria ad abbattere l impatto negativo sull ambiente. Di contro, possono essere eventualmente riutilizzati nella veste di materie prime secondarie. E, sempre a condizione, in quest ultimo caso, che siano osservate le operazioni di recupero dettate dal D.M. 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161 (rispettivamente per i rifiuti non pericolosi e per quelli pericolosi). L estraneità ontologica dei materiali da costruzione e demolizione al concetto di sottoprodotto, è confermata anche dalla nuova nozione, come definita ai sensi del già citato art. 184 bis: 1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l oggetto soddisfa, per l utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull ambiente o la salute umana. 2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto specifico sia considerato sottoprodotto e non rifiuto. All adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità con quanto previsto dalla disciplina comunitaria. 1 Valentina Vattani, Materiali edili da demolizione: sono rifiuti e non materie prime secondarie Il riutilizzo per terrazzamenti o riempimenti è reato in www. dirittoambiente.net 16 giugno 2007

Dal testo normativo, si desume, innanzi tutto, che l impiego del sottoprodotto debba avvenire senza necessità di trasformazioni preliminari; per tali dovendosi intendere le operazioni che fanno perdere al sottoprodotto la sua identità. L utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale. Inoltre, deve essere verificata la rispondenza agli standards merceologici, nonché alle norme tecniche di sicurezza e di settore, e deve essere, se non più attestata, almeno provata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standards e norme. 2 Come clausola di chiusura, che esprime bene il senso di tutte le precauzioni previste dal legislatore, al fine di evitare, con il ricorso alla incongrua nozione di sottoprodotto, il possibile aggiramento della rigorosa normativa sulla gestione dei rifiuti, la disposizione esige che l utilizzo del sottoprodotto non debba comportare per l ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive. Sulla esclusione dei materiali da costruzione e demolizione dal novero dei sottoprodotti, si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione. Si citi, ex pluribus, la sentenza del 7 aprile 2008 (udienza 7 dicembre 2007), n. 14323: << Si può parlare di sottoprodotto, ai sensi dell art. 183, lett. n) del D. Lgs. n. 152/2006, solo se i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere non vengono sottoposti a trasformazioni preliminari. Detti materiali possono, tuttavia, essere considerati come sottoprodotti alla condizione che il loro utilizzo sia certo e avvenga ad opera dell azienda che li produce. L utilizzo del sottoprodotto non deve, infine, comportare condizioni peggiorative per l ambiente o la salute rispetto a quelle delle normali attività produttive >>. Nella fattispecie, all esito delle indagini di polizia, era emerso che l azienda svolgeva in forma continuativa attività di raccolta e commercio di rifiuti speciali non pericolosi, provenienti da demolizione consistenti in sassi, ghiaia, pietre frantumate utilizzate per il calcestruzzo - in assenza della prescritta autorizzazione o comunicazione, in tal modo realizzando la fattispecie contravvenzionale di cui all art. 256, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006. Il thema decidendum consisteva, quindi, nello stabilire se il materiale in questione fosse riconducibile alla categoria dei rifiuti speciali, posto che esso veniva ceduto dalla Svizzera ad imprese italiane, che lo impiegavano, a loro volta, come sottofondo per la costruzione delle strade, impianti industriali e simili. 2 L articolo 183, comma 1, lett. n) del Testo Unico Ambientale prevedeva, prima della revisione ad opera del D. Lgs. n. 4/2008, che, al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto, dovesse essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e dovesse essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell'impianto dove avveniva l'effettivo utilizzo.

I giudici della Suprema Corte hanno rilevato, peraltro, che prima dell esportazione in Italia, il materiale veniva sottoposto a procedimento di stabilizzazione e frantumazione. Ciò si poneva chiaramente in contrasto con la nozione di sottoprodotto, in quanto prima del riutilizzo, il materiale non poteva essere sottoposto ad alcun trattamento di sorta. Se in punto di diritto si è visto - non esistono, a priori, i presupposti per qualificare come sottoprodotti i residui da demolizione e costruzione, non è detto, però, che questi ultimi non possano acquisire lo status di materie prime secondarie. Beninteso, nel rispetto delle necessarie e preliminari procedure semplificate di recupero. Pur essendo escluse, al pari dei sottoprodotti, dalla disciplina sui rifiuti, le materie, sostanze e prodotti secondari, se ne differenziano profondamente sotto il profilo concettuale. In concreto, mentre i sottoprodotti vengono ad esistenza già come non-rifiuti, pronti all uso, le materie prime secondarie sono ex rifiuti. Esse, quindi, sono generate da una procedura di recupero di sostanze, classificate originariamente come rifiuti, espressamente disciplinata dal D.M. 5 febbraio 1998 e dal D.M. 12 giugno 2002, n. 161. Si rammenti, tuttavia, che i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero, che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all utilizzo nei cicli di consumo o di produzione, restano sempre sottoposti al regime dei rifiuti, come espressamente stabilito, rispettivamente, dall articolo 3, comma 3, e dall art. 3, comma 5, dei decreti ministeriali sopra citati. Anche la nozione di materie prime secondarie, al pari di quella del sottoprodotto, è stata innovata dal D. Lgs. 205/2010, che ha cancellato dalle definizioni quella di materia prima secondaria, contenuta prima della revisione, nell art. 183, comma 1 lett. q) del Testo Unico. In sua sostituzione, è stato introdotto l art. 184 ter, rubricato con il titolo Cessazione della qualità di rifiuto, che fissa le condizioni per le quali un rifiuto cessa di avere tale status giuridico per diventare sostanzialmente un non rifiuto, e quindi, una materia prima secondaria. La nuova disposizione stabilisce: 1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l utilizzo della sostanza o dell oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull ambiente o sulla salute umana. 2. L operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità con quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull ambiente della sostanza o dell oggetto. 3. Nelle more dell adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l art. 9-bis lett. b) della legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino al 31 dicembre 2010. 4. Ai decreti di cui al comma 2 si applica la procedura di notifica stabilita dalla direttiva 93/34/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998. 5. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto,, dal decreto legislativo 209 del 2003, dal decreto legislativo 151 del 2005 e dal decreto legislativo 188 del 2008 ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. 6. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto. Nelle more che sia emanato, come stabilito dall art. 184 ter del T.U.A., il decreto che individui i criteri tali per cui un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un operazione di recupero - termine tuttavia già ampiamente scaduto il 24 giugno 2011 - continuano ad applicarsi le procedure semplificate di cui ai decreti attuativi del Ronchi 5 febbraio 1998 (per i rifiuti non pericolosi) e 12 giugno 2002, n. 161 (per i rifiuti pericolosi). Entrambi i decreti sanciscono, in particolare: 1) Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti nei decreti stessi individuati - non devono costituire un pericolo per la salute dell'uomo e recare pregiudizio all'ambiente, e in particolare non devono: a) creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; b) causare inconvenienti da rumori e odori; c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse;

2) Le attività, i procedimenti e i metodi di riciclaggio e di recupero di materia devono garantire l'ottenimento di prodotti o di materie prime o di materie prime secondarie con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore o, comunque, nelle forme usualmente commercializzate. In particolare, i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dal riciclaggio e dal recupero dei rifiuti individuati dal presente decreto non devono presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini. 3) Restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione. La Suprema Corte ex pluribus: sentenza 5 aprile 2007, n. 14185 ha sostenuto l esclusione dei materiali in trattazione, smaltiti direttamente senza alcuna precedente procedura di recupero, dal campo di applicazione delle cd. M.P.S. E ha statuito il seguente principio di diritto: << In tema di residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego l applicabilità dell abrogato art. 14 D.L. 138/2002 era subordinata alla condizione che risultasse certa : a) l individuazione del produttore e/o detentore dei materiali; b) la provenienza degli stessi, c) la sede ove sono destinati, il loro utilizzo in un ulteriore ciclo produttivo. La situazione non muta alla stregua della normativa introdotta dal D. Lgs. n. 152/2006, tenuto conto che il materiale utilizzato (misto di mattoni e cemento provenienti da demolizioni) non può qualificarsi "materia prima secondaria", ai sensi dell'art. 181, contrai 6 e 13, del D. Lgs. n. 152/2006. >>. Nel caso di specie, veniva confermata la sentenza di primo grado, con cui si condannava l imputato per illecita gestione di rifiuti, per aver realizzato il riempimento di un terrazzamento, in relazione al quale era stata anche rilasciata rituale concessione edilizia, per mezzo di rifiuti non pericolosi, derivanti dalla demolizione di fabbricato, costituiti da terra, pietre, residui di mattone e piastrelle frantumate. Avv. Gaetano Alborino gaetanoalborino@libero.it Comandante della Polizia Locale di Caivano

LA NATURA GIURIDICA DEI MATERIALI DI RISULTA DERIVANTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE Secondo la giurisprudenza di legittimità, i materiali da costruzione e demolizione sono rifiuti Seconda parte Casistica e giurisprudenza I materiali derivanti da costruzione e demolizione sono espressamente elencati dall art. 184, comma 3, lett. b) del D. Lgs. n. 152/2006 (cd. Testo Unico Ambientale) tra i rifiuti speciali, e sono contrassegnati con il codice C.E.R. (catalogo europeo dei rifiuti) 17 09 04. Sono rifiuti non pericolosi, salvo che contengano - ed è invero, un ipotesi tutt altro che rara - elementi come ad esempio pezzi di amianto. In tal caso, contrassegnati con il codice C.E.R. 17 06 05*, dovranno classificarsi come rifiuti pericolosi. Se ed in quanto rifiuti, fin dal momento in cui vengono ad esistenza, non possono configurarsi come sottoprodotti. Essi, in punto di diritto, sono pienamente sottoposti alla disciplina dei rifiuti, di cui alla parte quarta del Testo Unico Ambientale, come modificata dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (cd. quarto decreto correttivo del T.U.A.). Di contro, però, possono essere eventualmente riutilizzati. A condizione, però, in quest ultimo caso, che siano osservate le operazioni di recupero dettate dal D.M. 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161 (rispettivamente per i rifiuti non pericolosi e per quelli pericolosi), che nelle more che sia emanato - come stabilito dall art. 184 ter del T.U.A., il decreto che individui i criteri tali per cui un rifiuto cessa di essere - continuano ancora ad applicarsi. Quale l orientamento della Giurisprudenza al riguardo? Il primo caso ed anche uno dei più recenti qui in trattazione Corte di Cassazione, Sez. III, 29 aprile 2011, n. 16727 - è originato da un ricorso per cassazione del Procuratore della Repubblica di Padova avverso l ordinanza emessa il 22 settembre 2010 dal Tribunale di Padova quale giudice del riesame che, in accoglimento del ricorso, annullava il decreto di convalida di sequestro probatorio in data 7 agosto 2010, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all avente diritto. In particolare, il sequestro era stato effettuato nell ambito di indagine concernente il reato di illecita gestione di rifiuti provenienti dalla demolizione di manufatti già destinati ad uffici amministrativi del presidio ospedaliero di Asiago. Deducendo la violazione di legge, il Pubblico Ministero ricorrente rilevava un motivo di illegittimità del provvedimento impugnato nella erronea qualificazione del materiale proveniente da demolizione come sottoprodotto.

Specificava a tale proposito che trattavasi di rifiuti, peraltro non sottoposti ad alcun trattamento diverso dall adeguamento volumetrico e come tali qualificati nel F.I.R. dallo stesso produttore mediante l attribuzione del codice C.E.R. 17.09.94. In conclusione, secondo l organo requirente mancavano i requisiti di legge, tanto per la qualificazione degli stessi come sottoprodotto, non derivando da un processo direttamente destinato alla loro produzione, quanto per la classificazione come materie prime secondarie perché non sottoposti ad un preventivo trattamento di riutilizzo, riciclo o recupero. La Corte di Cassazione - sent. cit. - ritiene fondato il ricorso. << Invero, la disciplina relativa ai sottoprodotti vigente all epoca del sequestro (la normativa di riferimento, come è noto, ha recentemente subito modifiche ad opera del D. Lgs. n. 205/2010) così li definiva (articolo 183 lett. p) D. Lgs. n. 152/2006): le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sesi dell art. 183, lett. a). I sottoprodotti, inoltre, dovevano soddisfare tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1. dovevano essere originati da un processo non direttamente destinato alla produzione; 2. il loro impiego doveva essere certo, sin dalla fase della produzione, integrale e doveva avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3. dovevano soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non desse luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l impianto dove erano destinati ad essere utilizzati; 4. non dovevano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto precedente, ma dovevano possedere tali requisiti sin dalla fase di produzione; 5. dovevano avere un valore economico di mercato. Inoltre, alla luce del tenore letterale della norma, la sussistenza delle condizioni indicate doveva essere contestuale e, anche in mancanza di una sola di esse, il residuo rimaneva soggetto alle disposizioni sui rifiuti (Sez. III, 19 dicembre 2008, n. 47085). Ciò posto, deve rilevarsi che, come emerge chiaramente dalla disposizione in esame, quella dei sottoprodotti è una disciplina che prevede l applicazione di un diverso regime gestionale in condizione di favore, con la conseguenza che l onere di dimostrare l effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe comunque su colui che l invoca. Si tratta di un principio più volte affermato da questa Corte anche con riferimento ad altre discipline derogatorie in tema di rifiuti (v. ad es. Sez. III 8 marzo 2007, n. 9794; Sez. III, 1 ottobre 2008, n. 37280; Sez. III, 10 settembre 2009, n. 35138 in tema di terra e rocce da scavo. Sez. III, 23 aprile 2010, n. 15680; 17 marzo 2004, n. 21587; Sez. III, 15 giugno 2004, n. 30647, in materia di deposito temporaneo) che il Collegio condivide e dal quale non intende discostarsi.

Nella fattispecie, nessuna indicazione in tal sensi risultava fornita dall indagato ed, anzi, gli elementi risultanti dal tenore del provvedimento impugnato depongono per una oggettiva qualificazione del materiale come rifiuto. Va peraltro osservato, in ogni caso, che anche alla luce delle disposizioni introdotte dal D. Lgs. n. 205/2010, i termini della questione non sarebbero mutati, difettando comunque la sussistenza contestuale dei requisiti richiesti dalla norma e la prova da parte di chi invoca l applicazione, della disciplina di favore. Correttamente il Pubblico Ministero ricorrente ha poi escluso che i materiali sequestrati possano qualificarsi come materie prime secondarie. L articolo 181 bis del D. Lgs. n. 152/2006, che disciplinava materie, sostanze e prodotti secondari, stabiliva che tali materie non rientravano nella categoria dei rifiuti a condizione che rispettassero determinati requisiti, criteri e condizioni: 1. dovevano essere prodotte da un operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; 2. la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre dovevano essere individuate; 3. dovevano essere individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producevano, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio; 4. dovevano essere precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all ambiente e alla salute derivanti dall utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; 5. dovevano avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato. Pare superfluo osservare che, anche in questo caso, tutti i requisiti appena indicati dovevano coesistere e che, nella fattispecie, manca qualsiasi elemento che possa farli ritenere sussistenti. In conclusione, deve affermarsi il principio secondo il quale i materiali provenienti da demolizione rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all abbandono; l eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l obbligo di disfarsi; l eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli, che derogano alla disciplina ordinaria, implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge >>. Il secondo caso giurisprudenziale ha ad oggetto la realizzazione, nell area del cantiere edile, di una serie di strade rialzate di circa mt. 1,5 sul piano di campagna, con riporto di rifiuti inerti, provenienti da demolizione e costruzione in altra area. Nel caso di specie, l imputato, nella qualità di amministratore della ditta di costruzione, aveva fatto scaricare e depositare nell area di cantiere il materiale di risulta per eseguire una serie di strade (o

piste) per una lunghezza di 800 metri. Era altresì certo che il materiale depositato non era sottoposto ad alcun trattamento preliminare. Nella sentenza de qua, l interpretazione che vuole i materiali edili da demolizione soggetti a deregulation in base ai principi del nuovo T.U. e classificabili come sottoprodotti o materie prime secondarie, è stata ritenuta del tutto infondata. Al riguardo, i giudici della Suprema Corte, Sez. III, 19 ottobre 2010, n. 37195, hanno così statuito: << I materiali residuati dall attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti fino al completamento delle operazioni di recupero (comprendenti anche l attività di separazione e di cernita). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli inerti provenienti da demolizioni e costruzioni non sono assimilabili alle terre e rocce da scavo, perché previsti come rifiuti speciali dall art. 7, comma 3, lett. b) del decreto Ronchi e vanno distinti dai rifiuti pericolosi provenienti da attività di scavo. La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 152/2006 (cfr. Cass. Pen. Sez. 3 n. 103 del 15 gennaio 2008 Pagliaroli). Pertanto, gli inerti provenienti da demolizione o da scavi di manti erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (codice CER 17.00.00) >>. Il terzo caso giurisprudenziale che si prende in esame, riguarda l utilizzazione di rifiuti non pericolosi (costituiti da rifiuti misti da demolizione e costruzione codice CER 17.09. 04), prodotti in altro luogo, per la realizzazione di un terrapieno da adibire successivamente a parcheggio. Nel caso di specie, l imputato aveva proceduto alla escavazione della sottofondazione del fabbricato che doveva essere realizzato ed aveva trasferito il materiale di risulta a poca distanza, per realizzare un terrapieno che consentisse di elevare il piano di campagna del parcheggio. La Corte di Cassazione, Sez. III, 12 ottobre 2009, n. 39728, a riprova del consolidato orientamento, si esprime con le stesse parole pronunciate nella sentenza di cui sopra: << Secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli inerti provenienti da demolizioni e costruzioni non sono assimilabili alle terre e rocce da scavo, perché previsti come rifiuti speciali dall art. 7, comma 3, lett. b) del decreto Ronchi e vanno distinti dai rifiuti pericolosi provenienti da attività di scavo. La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 152/2006 (cfr. Cass. Pen. Sez. 3 n. 103 del 15 gennaio 2008 Pagliaroli). Pertanto, gli inerti provenienti da demolizione o da scavi di manti erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di

materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento. Stante la provenienza alloctona del materiale, non poteva esservi alcun dubbio sulla coscienza e volontà di smaltire illecitamente i rifiuti >>. Precipuamente sulla possibilità di riutilizzare i materiali in questione, solo se ed in quanto materie prime secondarie, si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. III, 18 febbraio 2008, n. 7465. Il caso concerne il riutilizzo di residui da demolizione per la costruzione di un piazzale senza alcun trattamento preventivo: << I rifiuti da demolizione di edifici presentano caratteristiche di disomogeneità, in quanto sono rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo, che necessitano prima del loro nuovo uso, di preventivi trattamenti (vagliatura cernita, separazione, rimozione di eventuali sostanze inquinanti, recupero di metalli, frantumazione ecc ). In particolare, i residui di attività di demolizione richiedono, prima del loro reimpiego, operazioni di recupero, previste negli allegati al D. Lgs. n. 22/97, per cui sono disciplinati dalla normativa sui rifiuti. Né può applicarsi al caso, la disciplina delle materie prime secondarie, che diventano tali all esito delle operazioni di recupero, tra le quali sono espressamente incluse la cernita e la selezione >>. Da sottolineare: da un lato, si ribadisce, che data la loro natura, i materiali da demolizione nascono direttamente come rifiuti, mai come sottoprodotti; dall altro, pur riutilizzabili, essi conservano la loro qualifica di rifiuti, finché non costituiscono prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. Ancora sulla natura dei residui da demolizione e costruzione come possibili ed eventuali materie prime secondarie, piuttosto che sottoprodotti, si pronunciano i giudici ermellini, nella sentenza del 11 gennaio 2008, n. 1188. Nella fattispecie, si muove dal rinvenimento di un ingente quantitativo di materiale proveniente da attività di costruzione, oltre a rottami ferrosi, rifiuti plastici e pneumatici in una buca profonda tre metri scavata nel terreno. In primo grado, i giudici, in relazione alla natura e al quantitativo del materiale rinvenuto, escludevano che lo stesso potesse essere utilizzato per un livellamento del terreno, ed osservavano anche che i materiali provenienti da attività di demolizione e ristrutturazione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi, che possono essere utilizzati nello stesso o diverso ciclo produttivo, solo previo test di cessione, in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non arrecare pregiudizio all ambiente. L assunto del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, veniva confermato dalla Corte di Cassazione: << Anche in relazione al materiale, va ricordato che il riutilizzo non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal D.M. 5 febbraio 1998, posto che, come affermato da

questa Corte anche in relazione al D. Lgs. n. 152/2006, i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la loro natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l art. 183, lett. h) del d. Lgs. n. 152/2006 indica la cernita o la selezione (Sez. 3, n. 33882 del 15 giugno 2006 Rv. 235114). In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire come correttamente affermato nella motivazione della sentenza impugnata, senza recare pregiudizio all ambiente >>. La sentenza ha escluso una riutilizzazione diretta dei residui da demolizione, negando la configurabilità della nozione di sottoprodotto, perché nessuna prova risultava fornita sulla mancanza di impatto sull ambiente dell attività di reinterro. La casistica giurisprudenziale sulla natura dei residui da demolizione, si conclude con la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, 24 marzo 2010, n. 11259. Veniva accertato che gli imputati avevano riutilizzato il materiale di risulta, derivato dalla demolizione di alcune costruzioni, effettuandone il trasporto in un altro cantiere, ove veniva reimpiegato per il riempimento di un area precedentemente sbancata. La sentenza di primo grado aveva stabilito che i materiali di cui alla contestazione costituissero rifiuti, classificati con il codice CER 17.09.04, escludendo che gli stessi potessero essere qualificati come sottoprodotti, di cui è consentito il reimpiego. Nel caso di specie, si deduceva da parte del Tribunale di Modena, che i materiali di cui alla contestazione, fossero stati riutilizzati con certezza in un ciclo produttivo, senza però che gli stessi fossero sottoposti ad alcuna operazione di trasformazione preliminare o trattamento preventivo. Esclusa la nozione di sottoprodotto, i giudici hanno affermato che: << I materiali da demolizione non possono neppur rientrare nella nozione di materie prime secondarie, richiedendosi in tal caso che l operazione di recupero dei rifiuti risponda a requisiti di qualità ambientale, che deve essere accertata ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 161 >>. Avv. Gaetano Alborino gaetanoalborino@libero.it Comandante della Polizia Locale di Caivano