CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sentenza del 30 maggio 2008
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- Lisa Cecchini
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1 CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sentenza del 30 maggio 2008 MEDICI E BORSE 83/91: RICONOSCIUTO IL DANNO DA RITARDO ANCHE SE ANNULLATO DALLA PRESCRIZIONE La Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto l'obbligo degli Stati membri di risarcire i danni provocati dalla mancata o dalla scorretta attuazione delle direttive. Secondo la Corte il dovere di risarcimento, benché non sia espressamente previsto dal diritto comunitario, costituisce parte integrante inscindibile dell'ordinamento giuridico comunitario, in quanto quest'ultimo vedrebbe ostacolata la sua piena efficacia e ridotta la tutela dei diritti da essa creati se i cittadini comunitari non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento qualora i loro diritti siano violati da un'azione degli Stati membri contraria al diritto comunitario. Tuttavia la tardiva ricezione delle direttive comunitarie (con esclusione dell'appellante dalla attuazione delle stesse) se non si è tradotta in uno svantaggio sul piano della remunerazione per le ragioni sopra esposte ha comunque comportato un danno per l'appellante con riferimento: 1) al conseguimento da parte della stessa di un diploma escluso dall'automatico riconoscimento in ambito comunitario; 2) alla diversa e minore valutazione del diploma conseguito sul piano interno ai fini dei concorsi per l'accesso ai profili professionali. La relativa azione risarcitoria conseguente al suddetto danno dalla stessa sofferto è inquadrabile nell'art c.c. con termine di prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui fatto dannoso si è verificato Omissis Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato del 20/7/2001, l'appellante, laureata in Medicina e Chirurgia, chiedeva al Tribunale Civile di Roma di voler accertare e dichiarare, in via principale, il suo diritto ad una adeguata remunerazione per la compiuta formazione specialistica in pediatria post laurea svoltasi negli anni accademici dal 1984/85 in poi, e, per l'effetto, condannare in solido oppure singolarmente ove ritenuti non tutti obbligati, La Repubblica Italiana, La Presidenza del Consiglio dei Ministri i Ministeri dell'economia e delle Finanze, dell'istruzione, dell'università e della Ricerca e della Salute in persona dei rispettivi Ministri pro tempore al pagamento in suo favore della somma, prevista dal D. Lgs n. 257/1991, di Lire , più rivalutazione ed interessi, per ogni anno di corso di specializzazione frequentato, o, in primo subordine, della somma, prevista dal D.Lgs n. 370/1999, di Lire , più rivalutazione ed interessi, per ogni anno di corso. 1 Sentenza 30/05/2008
2 In via ulteriormente subordinata chiedeva, comunque, l'accertamento della responsabilità dello Stato della Repubblica Italiana in persona del Presidente pro tempore e/o in persona del Presidente pro tempore del Consiglio dei Ministri in qualità di Stato membro della Comunità Europea e/o del Governo Italiano nella Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore per i danni che gli erano derivati a causa della mancata tempestiva, corretta e completa trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 87/76/CEE - con le quali la Comunità Europea ha disciplinato e reso obbligatorio per tutti gli Stati membri l'istituzione di corsi di specializzazione medica con previsione di adeguata retribuzione per i partecipanti - e, per l'effetto, la condanna di esso/i anche in solido con i suddetti Ministeri o con quello/i tra di essi ritenuto/i parimenti responsabile/i dell'applicazione della normativa nazionale in contrasto con le disposizioni comunitarie, al risarcimento dei danni subiti e subendi, da quantificarsi secondo i dettami della Corte di Giustizia CE mediante l'applicazione retroattiva delle misure di attuazione delle direttive di cui sopra, vale a dire nella misura di Lire , più rivalutazione ed interessi, per ogni anno di corso di specializzazione frequentato, oppure, in subordine, nella misura di Lire per ogni anno di corso, più rivalutazione ed interessi, oppure ancora nella misura ritenuta di giustizia. In via di ulteriore subordine chiedeva infine la condanna dei convenuti in solido al pagamento di un indennizzo ex art c.c. per ingiustificato arricchimento, da commisurarsi in relazione all'effettivo risparmio di spesa ottenuto dal Servizio Sanitario Nazionale in virtù delle prestazioni professionali rese dall'odierna appellante al pari dei colleghi di ruolo durante il corso di specializzazione. I soggetti convenuti - tutti costituitisi ad eccezione della Presidenza della Repubblica - eccepivano la prescrizione dei diritti dedotti a fondamento delle pretese dell'attrice, nonché nel merito, contestavano la fondatezza delle domande proposte. Con la sentenza oggi appellata, il Tribunale adito rigettava tutte le domande proposte, compensando le spese di lite tra le parti. Avverso detta sentenza proponevano appello la Ol.Pa., chiedendone la riforma per i seguenti motivi: 1) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva negato la sussistenza del nesso causale tra i danni subiti e la mancata attuazione delle direttive comunitarie nonché il mancato esame delle direttive comunitarie; 2) erroneo rilievo del difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni convenute rispetto alle domande aventi natura contrattuale di pagamento nonché mancato esame delle domande di pagamento; 3) erroneità della sentenza nella parte in cui aveva rilevato il difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni convenute in ordine alla domanda di indebito arricchimento. 2 Sentenza 30/05/2008
3 Le appellate Amministrazioni si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello in quanto infondato. La Presidenza della Repubblica non si costituiva in giudizio rendendosi contumace. Sulle conclusioni sopra richiamate delle parti, la causa veniva posta in decisione con concessione alle parti di termini per deposito di difese e repliche. Motivi della decisione Infondato è l'appello nella parte in cui si lamenta il mancato accoglimento della domanda volta al conseguimento dell'adeguata remunerazione (nell'ambito di un preteso rapporto "contrattuale sinallagmatico") prevista dalle direttive comunitarie. Sulla natura giuridica del rapporto in esame si è già più volte espressa la Corte di Cassazione, rilevando che "Non è inquadratile nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato né rientra tra le ipotesi della cosiddetta parasubordinazione (art. 409 n. 3 c.p.c.) l'attività svolta dai medici iscritti a scuola di specializzazione nell'ambito delle strutture sanitarie nelle quali la specializzazione viene effettuata, non potendosi ravvisare una relazione sinallagmatica di corrispettività fra la suddetta attività e gli emolumenti previsti a favore degli specializzandi (qualificati come borse di studio dall'art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257 di attuazione della Direttiva del Consiglio C.E.E. n. 76 del 1982); la suddetta attività consiste, infatti, in prestazioni finalizzate essenzialmente a consentire la formazione teorica e pratica del medico specializzando e non già a procacciare utilità alle strutture sanitarie nelle quali essa si svolge, per cui gli emolumenti per essa previsti sono sostanzialmente destinati a sopperire alle sue esigenze materiali in relazione all'attuazione dell'impegno a tempo pieno per l'apprendimento e la formazione; né rileva in contrario il fatto che la citata Direttiva C.E.E. abbia previsto per la formazione a tempo pieno dei medici specializzandi, il riconoscimento di una adeguata remunerazione, atteso che essa vincola gli Stati membri limitatamente al risultato da raggiungere, e non già alla forma ed ai mezzi da adottare" (Cass. 16 settembre 1995 n. 9789; in senso conforme tra le tante: Cass. 12 giugno 1997 n. 5300; Cass. 18 giugno 1998 n. 6089). Ne consegue che il rapporto in questione è qualificabile esclusivamente quale "rapporto di istruzione" o "rapporto formativo", e non certamente come un rapporto "contrattuale". A ciò va aggiunto che le direttive CEE 362/75 e 82/76 non avevano il carattere "self executing", e, pertanto, non potevano trovare immediata e diretta applicazione nel nostro Paese. 3 Sentenza 30/05/2008
4 Infatti la direttiva, al contrario del regolamento, non ha lo scopo di unificare il diritto, bensì il riavvicinamento delle legislazioni, così da permettere un'eliminazione graduale delle differenze tra le legislazioni nazionali. Le direttive sono finalizzate al conseguimento di un determinato "risultato" da parte degli Stati membri che sono, quindi, vincolati, a tale obiettivo (e solo ad esso). Invece, la forma dei mezzi adottati dallo Stato per la realizzazione del risultato è lasciata alla libera iniziativa degli stessi. In tal modo, anche quando si deve conseguire un obiettivo comunitario, gli Stati membri, nel perseguimento del risultato, possono nel contempo tenere conto delle le loro peculiarità nazionali. Ciò è possibile in quanto, a differenza del regolamento, la direttiva prescrive norme che non sostituiscono automaticamente quelle nazionali, anche se gli Stati hanno l'obbligo di adeguare la propria legislazione a quella comunitaria. La direttiva può essere rivolta a qualsiasi Stato membro (anche ad uno soltanto) oppure a tutti e contiene, tra l'altro, il termine entro cui i destinatari sono obbligati ad adottare gli atti che ritengono opportuni finalizzati a recepire le sue disposizioni. Attraverso il recepimento della direttiva, deve essere creata una situazione giuridica che consenta di determinare chiaramente i diritti e i doveri in capo ai soggetti della Comunità. Lo Stato membro potrà allora scegliere i mezzi per creare tali situazioni avvalendosi di atti puntuali che creino nuove norme giuridiche, (per esempio, leggi o regolamenti o atti amministrativi, a seconda dei casi), oppure attuerà le disposizioni della direttiva mediante la modifica o l'abrogazione di norme giuridiche già esistenti nel proprio ordinamento. Quanto all'obiettivo da raggiungere, la direttiva può definirlo genericamente, oppure le istituzioni comunitarie possono definirlo in maniera esatta, al punto tale che relativamente agli stessi contenuti lo Stato membro non possieda di fatto alcun margine di manovra. Infatti, alcune norme comunitarie sono dotate di "effetto diretto" in quanto sufficientemente chiare e precise tanto da non richiedere ulteriori atti (comunitari o nazionali) per la loro esecuzione. Pertanto, tali norme sono idonee a creare immediatamente e senza successivi provvedimenti legislativi dello Stato membro, delle posizioni soggettive in capo a persone fisiche o giuridiche che, come tali, potrebbero essere fatte valere dai singoli dinanzi al giudice nazionale. In linea di principio non è prevista un'efficacia immediata delle direttive, anche se di fatto, quando tali atti normativi possiedono le caratteristiche sopra descritte, non ci si può esimere dal formulare altre considerazioni in merito alla loro diretta applicabilità, 4 Sentenza 30/05/2008
5 soprattutto qualora gli atti per l'attuazione della direttiva non vengano emanati o vengono adottati in maniera difforme alle disposizioni dell'atto comunitario. Proprio per tali motivi, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee è intervenuta più volte sull'argomento formando una giurisprudenza costante che predilige la tesi dell'immediata efficacia della direttiva a determinate condizioni. In sostanza, la Corte ha fissato i seguenti presupposti per l'effetto diretto: le disposizioni della direttiva devono essere chiare e precise nella determinazione dei diritti in capo ai soggetti; le disposizioni devono essere suscettibili di applicazione immediata; in altri termini, la rivendicazione dei diritti da parte dei soggetti non deve essere vincolata ad obblighi o condizioni; il legislatore nazionale non deve avere margini di manovra riguardo al contenuto; deve essere scaduto il termine di recepimento della direttiva. Anche la Corte costituzionale, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha riconosciuto che l'efficacia delle direttive deve essere valutata "con riguardo non solo alla forma, ma anche alla sostanza dell'atto ed alla sua funzione nel sistema del Trattato e pertanto anche le direttive possono contenere disposizioni precettive idonee a produrre effetti diretti nei rapporti tra gli Stati membri destinatari ed i soggetti privati". Successivamente la Corte ha in sostanza ribadito esplicitamente ciò che è stato affermato dalla Corte di Giustizia Europea, sottolineando che la direttiva è immediatamente efficace quando non consente allo Stato alcuna valutazione discrezionale in merito all'attuazione, sia sufficientemente precisa e sia, altresì, trascorso inutilmente il termine per la sua attuazione, cosicché lo Stato nei confronti del quale il singolo fa valere la prescrizione risulti inadempiente. La verifica della sussistenza dei presupposti di cui sopra è rimessa al giudice nazionale. Si è già detto che la direttiva, per sua natura, vincola gli Stati membri cui è rivolta e non può essere fonte diretta di obblighi a carico di un singolo. Per tale motivo, l'effetto diretto della direttiva non può essere fatto valere nei confronti del singolo, ma solo nei confronti dello Stato o degli enti territoriali (c.d. effetto diretto "orizzontale"). Per lo stesso motivo, relativamente ai rapporti tra i cittadini (c.d. effetto diretto "verticale"), il singolo non potrà far valere un proprio diritto derivante dalla direttiva nei confronti di altri cittadini. La Corte di Giustizia Europea ha anche riconosciuto (nelle sentenze "Fr." e "Bo.") l'obbligo degli Stati membri di risarcire i danni provocati dalla mancata o dalla scorretta attuazione delle direttive. 5 Sentenza 30/05/2008
6 Secondo la Corte il dovere di risarcimento, benché non sia espressamente previsto dal diritto comunitario, costituisce parte integrante inscindibile dell'ordinamento giuridico comunitario, in quanto quest'ultimo vedrebbe ostacolata la sua piena efficacia e ridotta la tutela dei diritti da essa creati se i cittadini comunitari non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento qualora i loro diritti siano violati da un'azione degli Stati membri contraria al diritto comunitario. Valutando la portata delle considerazioni fatte fin qui, soprattutto alla luce della giurisprudenza della CGCE, in presenza di una non tempestiva attuazione di una direttiva, il cittadino dello Stato membro a cui essa è rivolta ha a sua disposizione margini piuttosto ampi per invocare l'applicazione della direttiva stessa ed agire conseguentemente per il riconoscimento dei danni. Venendo al caso in esame, il carattere non immediatamente esecutivo delle due direttive comunitarie, è stato espressamente affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 6 luglio 2002 n. 9842, nella quale si afferma; "Prima del loro recepimento nell'ordinamento interno, avvenuto con la legge n. 428 del 1990 e con il d.lgs n. 257 del 1991, le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76, che prevedevano la adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle Facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, comprese le guardie, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l'intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno, secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non erano, in considerazione del loro carattere non dettagliato, applicabili nell'ordinamento interno; né per il periodo anteriore al recepimento delle suddette direttive comunitarie, può configurarsi un indebito arricchimento da parte delle Università, perché le prestazioni degli specializzandi venivano remunerate sulla base della normativa allora vigente, e di queste le Università si avvalevano senza giovarsi delle condizioni di maggiore impegno degli specializzandi - tempo pieno e incompatibilità - previste dalla normativa successiva. Le diverse condizioni di impegno richieste agli specializzandi iscritti dopo l'anno accademico rispetto a quelle richieste agli iscritti in epoca anteriore valgono poi ad escludere la violazione dell'art. 3 Costituzione, essendo la maggiore retribuzione correlata ad un maggiore impegno." In definitiva il rapporto tra l'appellante e l'università presso la quale era stata istituita la scuola di specializzazione da lei frequentata non aveva natura "contrattuale", non avendo i caratteri della subordinazione né della para subordinazione, ma era esclusivamente un rapporto di formazione, cui non erano applicabili le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76 in quanto attuate solo successivamente alla sua formazione, dopo 6 Sentenza 30/05/2008
7 l'anno accademico (e quindi successivamente al periodo di formazione usufruito dall'appellante), con la legge n. 428 del 1990 ed il d.lgs n. 257 del Il principio dell'adeguata remunerazione è stato introdotto in epoca successiva al suddetto anno accademico e si giustificava in relazione al maggiore impegno richiesto agli specializzandi (tempo pieno ed incompatibilità). Ne consegue che con riferimento alla remunerazione nessun diritto poteva vantare l'appellante, atteso il minore impegno a lei richiesto ed il carattere formativo della scuola che si traduceva in un arricchimento professionale da parte di coloro che tali scuole frequentavano. Tuttavia la tardiva ricezione delle direttive comunitarie (con esclusione dell'appellante dalla attuazione delle stesse) se non si è tradotta in uno svantaggio sul piano della remunerazione per le ragioni sopra esposte ha comunque comportato un danno per l'appellante con riferimento: 1) al conseguimento da parte della stessa di un diploma escluso dall'automatico riconoscimento in ambito comunitario; 2) alla diversa e minore valutazione del diploma conseguito sul piano interno ai fini dei concorsi per l'accesso ai profili professionali. La relativa azione risarcitoria conseguente al suddetto danno dalla stessa sofferto è inquadrabile nell'art c.c. (Cfr. Cass. 16 maggio 2003 n. 7630; Cass. 23 gennaio 2002 n. 752). Nel caso di specie, era esperibile dall'appellante esclusivamente l'azione di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale da illecito civile non competendo alla stessa la tutela al mancato riconoscimento della remunerazione, come sottolineato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sopra riportata. Infatti le direttive comunitarie in esame, in materia di riconoscimento del titolo di specializzazione e di attribuzione di determinati punteggi, non hanno il carattere "self executing", e, pertanto, il giudice può soltanto liquidare il danno subito in conseguenza di tale mancato riconoscimento. Azione per risarcimento danni sottoposta a prescrizione quinquennale, ex art c.c., decorrenti dal giorno in cui il fatto dannoso può essere fatto valere (art c.c.). Avuto riguardo a tali principi occorre fare riferimento, nel caso concreto, alla data di entrata in vigore del D.Lgs n. 257/1991, attuativo delle delibere comunitarie, che testualmente afferma: "le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dall'anno accademico ". Essendo l'azione di responsabilità extracontrattuale per illecito civile soggetta al termine di prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui fatto dannoso si è verificato (e cioè dall'entrata in vigore del D.Lgs n. 257/1991), la stessa, nel caso in esame, è sicuramente prescritta, come eccepito dai convenuti in primo grado (e 7 Sentenza 30/05/2008
8 ribadito nella memoria di costituzione nel presente grado del giudizio) essendo stata la citazione introduttiva del giudizio di primo grado notificata solo in data 20/7/2001. Infine, come stabilito dalla Corte di Cassazione nella sopra citata sentenza (6 luglio 2002 n. 9842), nel caso di specie non è ipotizzabile una azione di arricchimento indebito, contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante. L'esito del giudizio comporta per il principio della soccombenza l'addebito agli appellanti delle spese del grado, che vanno liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte di Appello, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta l'appello proposto da Ol.Pa. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, Sezione seconda civile, n /2003 depositata il 24/7/2003; condanna l'appellante alle spese del grado che liquida in complessivi Euro 5.293,00 (Euro 1.039,00 per diritti, Euro 3.800,00 per onorari ed Euro 454,23 per spese) oltre la percentuale prevista per legge a titolo di spese forfetarie, IVA e CPA. Così deciso in Roma il 15 aprile Depositata in Cancelleria il 30 maggio Sentenza 30/05/2008
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