Roberto Zapperi MONNA LISA ADDIO. La vera storia della Gioconda. Le Lettere

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1 Roberto Zapperi MONNA LISA ADDIO La vera storia della Gioconda Le Lettere

2 Indice Prefazione p Antefatto p Giuliano de Medici: infanzia p L esilio p Urbino p Pacifica Brandani p Il ritorno a Firenze p Fratello di papa a Roma p Il matrimonio p Ultimo viaggio e morte di Giuliano p Il ritratto p Leonardo da Vinci a Roma p Monna Lisa oppure La Gioconda? p Vasari e la testa di Monna Lisa p Raffaello e Leonardo p Isabella Gualandi p. 107 Apparato p. 111 Appendice documentaria p. 120 Tavola genealogica della famiglia Medici p. 121 Indice dei nomi p

3 4 URBINO Giuliano soggiornerà a lungo a Urbino a partire dal 1505, in alcune stanze del grande Palazzo Ducale, che aveva cominciato a costruire il famoso architetto Luciano Laurana, per il grande condottiero e duca Federico da Montefeltro. Erano le stanze al piano nobile a sinistra dal primo torrino, con due grandi finestre che davano sulla facciata. Si trattava di uno dei più importanti appartamenti del palazzo, tanto è vero che più tardi saranno scelte come residenza delle duchesse di Urbino. Il fatto di avere ospitato per parecchi anni Giuliano de Medici le fece passare alla storia come le stanze del Magnifico, dal titolo che egli portava. A Urbino si era trasferito anche Pietro Bembo che ne segnalò la presenza in una lettera del 10 dicembre 1506 all amico veneziano Vincenzo Quirino. Anche lui era ospite di quei duchi e nella lettera si giustificava di vivere in quella corte a spese loro. Non mi arreca, scrisse, nessuna vergogna, «quello che il Magnifico Giuliano de Medici non si reca, il quale, fratello d un cardinale, che ha dieci mila fiorini di rendita, rimase in Urbino, chiamato dalla duchessa nel suo palagio, vi sta e dimora medesimamente alle sue spese». Nello stesso palazzo di Urbino, ospite anche lui di quei duchi, viveva sin dal 1504 il conte mantovano Baldassarre Castiglione, uno dei maggiori letterati del Rinascimento italiano. Proprio in quella corte ambienterà più tardi la sua grande opera Il Cortegiano. In essa descrisse con grande nostalgia la città e il palazzo che la adornava. «Alle pendici dell Appennino, quasi al mezzo della Italia verso il mare Adriatico, è posta, come ognun sa, la piccola città di Urbino; la quale, benché tra monti sia, e 30

4 4. Urbino non così ameni come forse alcun altri che veggiamo in molti lochi, pur di tanto avuto ha il cielo favorevole, che intorno il paese è fertilissimo e pien di frutti; di modo che, oltre alla salubrità dell aere, si trova abundantissima d ogni cosa che fa mestieri per lo vivere umano. Ma tra le maggior felicità che se le possono attribuire, questa credo sia la principale, che da gran tempo in qua Giovanni Bellini, Ritratto di Pietro Bembo, , Hampton Court, Collezioni Reali. sempre è stata dominata da ottimi Signori. Possiamo di questo far bon testimonio con la gloriosa memoria del duca Federico, il quale a dì suoi fu lume della Italia.Questo, tra l altre cose sue lodevoli, nell aspero sito d Urbino edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il più bello che in tutta Italia si ritrovi; e d ogni oportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva; e non solamente di quello che ordinariamente si usa, come vasi d argento, apparamenti di camere di ricchissimi drappi d oro, di seta e d altre cose simili, ma per ornamento v aggiunse una infinità di statue antiche di marmo e di bronzo, pitture singularissime, instrumenti musici d ogni sorte; né quivi cosa alcuna volse, se non rarissima ed eccellente. Appresso con grandissima spesa adunò un gran numero di eccellentissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d oro e d argento, estimando che questa fusse la suprema eccellenzia del suo magno palazzo». In questo splendido palazzo il duca Guidobaldo intratteneva i suoi ospiti esercitando le opere della cavalleria. Egli era molto malato e 31

5 MONNA LISA ADDIO la sera dopo cena se ne andava a letto presto, cosicché gli ospiti si raccoglievano intorno alla duchessa Elisabetta. «Quivi adunque i soavi ragionamenti e l oneste facezie s udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa certo dir si poteva il proprio albergo della allegria». A questo circolo partecipavano anche le dame, i rapporti con le quali dovevano essere i più convenienti e onesti, «ché a ciascuno era licito parlare, sedere, scherzare e ridere con chi gli parea». Uomini e donne la sera si riunivano quindi nella sala dove la duchessa li riceveva, «dove, tra l altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente si usavano, talor si proponeano belle questioni, talor si faceano alcuni giochi ingeniosi ad arbitrio or d uno or d un altro». Durante il carnevale del 1506, Castiglione scrisse, mise in scena e recitò, insieme all amico e cugino Cesare Gonzaga, l egloga dialogata Tirsi. In essa ricordò a un certo punto con la prima battuta o il capoverso di una loro poesia i letterati ospiti in quel momento della corte di Urbino e fra di loro Bembo e Giuliano. Nella stanza 43 fece l elogio dell amico toscano che presentò come assai apprezzato in quella corte perché saggio e dotto in tutte le arti: 32 Venne di Etruria un altro in questi monti Saggio e dotto pastore in ciascun arte; non son piagge qui intorno o rivi o fonti, che non intendan le sue lode sparte. Ma temo assai, prima che l sol tramonti, ch io possa dir di lui pur una parte. Questo cantò con amorosa voce: Se fusse il passo mio così veloce. L ottava si conclude con la citazione del capoverso di un suo sonetto scritto proprio allora a Urbino: Se fusse il passo mio così veloce Come il pensier di voi, Madonna, è spesso, Sarei sempre in cammin, sempre a voi presso, Tanto l esser lontan mi pesa e nuoce.

6 4. Urbino E, se poi, giunto a voi, fussi la voce Pronta a dir quel ch io v ho tacendo expresso, Saria men greve il foco ove m ha messo Vostra beltà, che sin qua m arde e cuoce. Ma poi che esser non può tanta mia pace, Piangendo col pensier mi affliggo tanto, Ch è giusta pena al disio troppo audace. E da che i persi il vostro lume santo, Questi occhi, a cui veder altro non piace, Assai più ch al guardar son volti al pianto. Esso rappresenta nei consueti stilemi petrarcheschi una delle prove poetiche più riuscite del suo canzoniere. Alla base della sua ispirazione c era di sicuro uno dei tanti rapporti amorosi che Giuliano amava stringere ovunque si trovasse. Egli era infatti uno sfrenato libertino, un don Giovanni del Rinascimento, dedito agli amori e sempre a caccia di don ne. Nella corte di Urbino aveva trovato facile alimento a questa sua passione. A dispetto del tono di severa austerità che i duchi vi imponevano, vigeva nella loro corte un clima di accesa galanteria, dove le relazioni amorose erano al centro della vita quotidiana, tanto più per un gentiluomo come il Magnifico Giuliano. Intorno alla duchessa Elisabetta si raccoglieva una cerchia di dame e di sue ancelle molto galanti, alle quali si attribuisce da Castiglione nel libro del Cortegiano la fisionomia di una «donna di palazzo». A essa lo scrittore voleva che avesse «notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano. E così sarà nel conversare, nel ridere, nel giocare, nel motteggiare, in somma in ogni cosa graziatissima». Il maestro della donna di palazzo, secondo Castiglione, doveva essere proprio Giuliano de Medici, che egli introdusse come uno dei principali protagonisti della sua opera proprio con questo ruolo e con quello di paladino delle donne. In tale veste egli si dilungò in tutto il terzo libro dell opera a esaltare le benemerenze 33

7 MONNA LISA ADDIO femminili, l eccellenza delle donne in tutti i campi dello scibile, nelle scienze, nelle arti e nelle lettere. Per capitoli e capitoli egli non mancò inoltre di esaltare il ruolo delle donne nella funzione che stava loro sempre di più a cuore, quella dell amore. Del clima della corte e del ruolo che Giuliano vi svolgeva fan fede un gruzzolo di nove lettere di Bembo indirizzate da Urbino a Bernardo Dovizi da Bibbiena, antico cliente dei Medici e grande amico personale di Giuliano, che in quel momento si trovava a Roma al seguito del cardinal Giovanni, dal 1 settembre al 16 dicembre Vi parla di giochi amorosi e di galanteria cortigiana che essi intrattenevano con dame della corte urbinate. Essi riguardavano i due amici che si scrivevano, ma soprattutto una terza persona grande amico loro, che Bembo indicò nella prima lettera del 1 settembre, come «quel vostro amico che amò Ippolito e fu amato», precisando che intendeva designarlo con la lettera M., «perciò che quello altro nome è troppo inteso, e in questo sarà così vicino a N., nelle scritture, come essi sono negli animi loro». I due amici, contrassegnati con le due lettere di M e di N, sono il Magnifico Giuliano, effettivamente fin troppo noto, e lo stesso Bembo che aveva in 34 Palazzo Ducale di Urbino, facciata.

8 4. Urbino comune con lui la passione per la poesia. Impossibile identificare la donna nascosta sotto il nome maschile di Ippolito. Doveva trattarsi di una dama della corte urbinate, probabilmente un ancella della duchessa Elisabetta Gonzaga, come si può desumere da una lettera successiva in data del 2 dicembre. In essa Bembo raccomanda a Bibbiena di recuperare certi gioielli impegnati qualche tempo prima da Giuliano presso il banco romano di Agostino Chigi, facendo ricorso all aiuto del fratello, il cardinale Giovanni de Medici. Uno dei due gioielli gli era stato donato infatti proprio da lei. Era irritato con il fratello Giovanni e con il cugino Giulio de Medici, che non approvavano affatto la vita dissipata e dispendiosa condotta da lui a Urbino e le continue sue richieste di denaro, senza badare alla circostanza che non aveva alcuna risorsa propria e doveva contare solo su quelle dei parenti e degli amici. La dama nascosta sotto il nome di Ippolito doveva avere una certa disponibilità di mezzi, se poteva donare a Giuliano un anello con un brillante, sicuramente di notevole valore. Essa apparteneva di sicuro all ambiente della corte urbinate, dove Giuliano allora viveva. Dello stesso ambiente faceva parte con tutta probabilità la seconda dama, quella nascosta sotto il nome cifrato di Aurora, che gli aveva regalato a sua volta il secondo gioiello impegnato, una plasma incisa, cioè una pietra preziosa di colore verde. Come se non fossero bastate queste due relazioni, a quel che pare già concluse, Giuliano si era impegnato in una terza con una dama, nascosta sotto il nome, cifrato anch esso, di Topazio. La pietra preziosa compare questa volta solo nel nome, che lascia trasparire, non senza malizia, quanto apprezzasse l amante la disponibilità in fatto di gioielli delle donne amate. Di questo nuovo amore Bembo riferì la prima volta nella lettera del 1 settembre, facendo capire che era la donna a essere perdutamente innamorata dell uomo, che invece non mostrava di cedere tanto facilmente. In una lettera successiva in data dell 8 dicembre ritornò su questo nuovo amore di Giuliano, aggiungendo altri particolari sempre più piccanti. Egli scrisse che 35

9 MONNA LISA ADDIO Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione, , Parigi, Musée du Louvre. 36 la donna era sempre più infervorata e Giuliano ne era compiaciuto, ma senza lasciarsi ancora andare. In questo nuovo gioco d amore Giuliano faceva il sostenuto e Bembo non aveva capito bene fino a che punto vi fosse effettivamente coinvolto. Certo è che questa dama doveva essere una delle più in vista in quella corte, tanto da indurre Bembo a raccomandare a Bibbiena la massima cautela, per evitare di farla riconoscere in qualche modo. Così scrisse nell ultima di queste lettere, in data del 16 dicembre. Chi poteva essere la dama così nota che la si poteva riconoscere facilmente in quella corte, se solo fosse sfuggito a Bibbiena un qualche accenno più esplicito alla sua identità? Stando a ciò che scriverà Castiglione nel suo Il Cortegiano, le dame che vi eccellevano, oltre alla duchessa Elisabetta, erano tre: Emilia Pio, amicissima e confidente di lei, che nel libro figura dirigere spesso la conversazione al suo posto. Era una donna ancora giovane e per di più vedova dal 1500 del conte Antonio da Montefeltro, fratello naturale del duca Guidobaldo. Costanza Fregoso, sorella dei due fratelli genovesi Ottaviano e Federico entrambi ospiti in quella corte. Il primo era un politico esule dalla sua città, il secondo un alto prelato. E infine Margherita Gonzaga, nipote della duchessa Elisabetta. Più probabile che si trattasse di una di queste due ultime, a giudicare almeno sempre dall opera di Castiglione, il quale le presenta una volta in atto di danzare per ordine della duchessa:

10 4. Urbino «Così confermando ognuno, impose la signora Duchessa a madonna Margherita e madonna Costanza Fregosa che danzassero. Onde subito Barletta, musico piacevolissimo e danzator eccellente, che sempre tutta la corte teneva in festa, cominciò a sonare suoi instrumenti; ed esse, presesi per mano, e avendo prima danzato una bassa, ballarono una roegarze con estrema grazia e singular piacer di chi le vide». A pensarci bene l identificazione dovrebbe cadere su Margherita Gonzaga, la nipote della duchessa che era una figlia naturale del fratello di lei, il marchese di Mantova Francesco Gonzaga. Margherita era una delle dame più in vista della corte urbinate. Molto bella, danzava splendidamente ed era inoltre dotata di un carattere assai brillante, arguto e malizioso, tanto da indurre Bembo a definirla in una lettera come lepidissima. Tutte queste sue qualità le procuravano molti corteggiatori e più d uno dei cortigiani e amici della duchessa perse la testa per lei. Che anche Giuliano le stesse appresso è cosa quanto mai probabile. Come che sia, ciò che conta è il clima della corte urbinate che queste lettere prospettano. Un clima di accesa galanteria, dove le relazioni amorose erano al centro della vita quotidiana e tanto più per un gentiluomo del rango del Magnifico Giuliano, impedito dalla mancanza di risorse a dispiegare la sua magnificenza come avrebbe voluto. Il duca Guidobaldo e la duchessa Elisabetta, che tenevano a un tono di severa austerità per la loro corte, si dovevano contentare delle semplici apparenze. L epistolario di Bembo attesta la prosecuzione di questi rapporti amorosi con il volgere del nuovo anno 1508, all inizio del quale Bembo scrisse due lettere di gelosia a dame urbinati nascoste sotto le iniziali di B. e G. Di esse nulla si sa, certo è solo che i giochi amorosi continuarono, finché la morte del duca Guidobaldo, sopraggiunta l 11 aprile, non impose una battuta di arresto. In una lettera del 27 aprile di nuovo a Bibbiena, Bembo tornò ad accennare a Giuliano e a Topazio, ma il clima era diverso, perché la corte era a lutto stretto e la duchessa cominciava appena a riprendersi dal terribile dolore per la scomparsa del marito. Di questa 37

11 MONNA LISA ADDIO atmosfera luttuosa egli riferì in una lunga lettera indirizzata il 10 maggio 1508 alla duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia. In una nuova lettera a Bibbiena in data del 19 maggio scrisse che avevano scherzato a lungo con Giuliano su di una lettera sua giunta poco prima, cercando di coinvolgere la duchessa, alla quale la fecero leggere, riuscendo a strapparle alla fine persino un sorriso. La conclusione che si ricava da queste lettere di Pietro Bembo è piuttosto sconcertante: il Magnifico Giuliano de Medici, ospite a Urbino di quei duchi e totalmente spesato da loro, riceveva dalle sue amanti costosi regali e pare pure che li sollecitasse. Inoltre impegnava i gioielli ricevuti in regalo presso il banco di Agostino Chigi, monetizzava cioè i regali per profonderli in spese che alimentavano il suo titolo e la sua fama di magnificenza. Se poi si dovevano disimpegnare i gioielli chiedeva l intervento del fratello cardinale che doveva pagare lui il pegno per permettere a lui di conservare i gioielli e potersene fregiare. Il figlio di Lorenzo il Magnifico aveva una ben strana concezione della magnificenza. A giudicare dal ritratto attribuito a Giovanni Francesco Penni era un uomo molto bello, con gli occhi profondi cerchiati da un ombra di malinconia, un uomo affascinante, colto, gentile e poeta, del quale le donne si innamoravano facilmente. Era però povero, esule dalla sua città natale, privo di beni di fortuna, ma ambiva ugualmente a un tenore di vita molto alto, in conformità con le sue origini famigliari e con il prestigio che gliene derivava. L ospitalità concessagli dai duchi di Urbino non gli poteva bastare. Gli occorreva denaro, tanto ne chiedeva al fratello cardinale, senza rifiutare per di più i regali delle sue amanti. I tempi e i luoghi della sua vita erano cambiati e profondamente cambiata era anche la sua mentalità. Nessun legame manteneva più con le vecchie tradizioni mercantili delle famiglie fiorentine, ben lontane dall accettare o fare regali. A Firenze nessuno regalava un bel niente, a parte le elemosine ai poveri e alle istituzioni ecclesiastiche. Lorenzo il Magnifico regalava gioielli ai principi e ai signori per ingraziarseli, con questa magnificenza però aveva contribuito alla sua ro- 38

12 4. Urbino vina economica e dissipato il suo patrimonio. Il figlio non aveva più alcun patrimonio, e si comportava in modo esattamente opposto. Non siamo più a Firenze in una repubblica di mercanti del secolo XV, ma a Urbino, in una corte ducale del secolo XVI. Purtroppo le lettere di Bibbiena non sono conservate e solo da quelle di Bembo si può indovinare quanto intensamente egli partecipasse alle vicende amorose e alla galanteria che regnavano nella corte urbinate. Che anche Bibbiena fosse profondamente solidale con lo stile di vita di Giuliano non c è il minimo dubbio. Ma se ce ne fosse stato, basterebbero due lettere indirizzate da Bibbiena alla marchesa di Mantova Isabella d Este per dissiparlo. Sia nella prima da Urbino in data del 26 dicembre 1509, sia nella seconda da Bologna in data del 3 gennaio 1511, mandava a salutare una damigella della marchesa, Alda Boiardo, alla quale sembra proprio che fosse legato da un rapporto dello stesso tipo di quello che Giuliano intratteneva con le damigelle della duchessa Elisabetta Gonzaga a Urbino. 39

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