OBERTO E REGALE NEI SECOLI BUI.

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1 OBERTO E REGALE NEI SECOLI BUI. Romanzo storico Giuseppe Carlo Delli Santi Editore 1

2 Editore Narrativa Collana Romanzi Storici 2012 DSR Editore Via Don Lattuada, Passirana di Rho MI Sede operativa: Loano SV Internet: dellis3@ .it 2

3 Prefazione. L ambientazione è nell Italia dell Alto Medioevo, in gran parte dominata dai Longobardi di Re Desiderio. Gli altri regni più importanti erano il Papato e i regni vassalli dell Impero Bizantino, sulla costa Adriatica, C erano poi altri regni locali, come il Ducato (poi Principato) di Benevento e altri ancora. L Italia, quindi era già ampiamente spezzettata così come sarà e ancora di più nell Italia dei Comuni. Già era, inoltre, una terra di conquista: governavano gli stranieri, in tutto e per tutto! E il popolo? Servo, quasi totalmente. Facevano eccezione solo i capitani di ventura e i banditi (nell immaginario collettivo di allora poco meno che Principi veri e propri). Si diceva servi, poveri, reietti, senza identità nazionale o sociale, fatta salva quella culturale, grazie alle centinaia di monasteri (dei Cluniacensi e dei Cistercensi), che tramandavano ai posteri l immensa cultura classica e cristiana, ereditata dal passato, attraverso un opera immensa di custodia e di copia dei testi. Arte? Niente. Non ancora. Che lingua si parlava nel 700 d.c.? Le classi nobili e agiate parlavano il latino, anche i Longobardi, così come i Tedeschi e i Franchi (questa distinzione era un po pleonastica: I tedeschi erano Franchi, Sassoni esclusi, i Franchi erano tedeschi), mentre i Bizantini ovviamente parlavano sia il greco, sia il latino. E il popolo? Boh: qualcuno provava con un latino distorto e improbabile, i 3

4 più invece - dialetti locali non formalizzati, comunque derivati dal latino di Roma, assolutamente corrotto. Il protagonista del romanzo viveva fra i boschi dell Oltre-Po pavese, vicino a Casteggio, pur essendo originario dell Umbria e più precisamente del borgo di Foligno ed era quindi un suddito dei Longobardi di Re Desiderio. Qual era il suo lavoro? Boscaiolo. Quando c erano richieste, cioè abbastanza spesso, si recava nei boschi della zona a tagliare alberi con la sua accetta. Un lavoro umile, ma d altra parte lui non era certo un nobile. Come vedremo, si innamorerà della figlia di un mugnaio del posto, ma non diciamo altro, perché sarebbe un anticipazione inopportuna. 4

5 Cap. I. Un bimbo nel fango. Era da poco iniziato l anno Domini 754 d.c. ed era Re dei Longobardi ancora il rognoso Astolfo, sia pure per poco. Una povera donna, quasi di mezza età, di umilissime origini - a Foligno - stava per partorire. Era sola, assistita solo da una vecchia zia, che credeva di sapere che cosa fare, forse, anzi senz altro, millantando molto le sue capacità. La gestante era stesa su un mucchietto di paglia, niente affatto sterile, nell angolo più buio di una capanna di fango, rami e pezzi di legno, a pochi passi dal borgo che, ostentatamente, voleva farsi chiamare città, ma non lo era affatto. La zia aveva sollevato le vesti della gestante, mettendo a nudo il ventre gonfio e l apparato genitale, che appariva, oltre che arrossato, anche sporco in modo intollerabile. La zia-levatrice aveva accanto a sé una bacinella d acqua calda (non bollita e quindi anch essa non sterile), una brocca di acqua fresca di fonte, una specie di forbice - mal costruita - per il taglio del cordone ombelicale e diverse pezze di cotone lavate da poco, in tagli di diversa dimensione. Il più grande sarebbe servito per avvolgere il nascituro o la nascitura, senza che fosse possibile lavarlo dal liquido amniotico, non essendoci bacinelle idonee in vista. Il travaglio fu duro, durissimo. La donna gemeva, talora gridando e sudava copiosamente, immersa in una piccola pozza di liquido 5

6 dovuta al rompersi delle acque e se ci fosse stato un termometro, ci si sarebbe di sicuro preoccupati, perché l alterazione febbrile era notevole. Il bimbo, per fortuna, s era girato bene, non sarebbe stato un parto podalico. Debilitata e febbricitante, nonché preda di fortissimi dolori, la povera donna non riusciva ad aiutare l uscita del feto con le necessarie spinte. Fu così che la procedura, di solito calcolabile in minuti, durò ore. Alla fine il bimbo uscì. Maschio. La madre però collassò. Inoltre, forse, la febbre era dovuta ad un infezione, perché le sue condizioni si aggravarono fortemente. Le labbra violacee, il volto sbiancato e livido, i capelli sudati, gli occhi arrovesciati. Stava male, sempre più male e, nella sporcizia, la donna morì. La levatrice, lavò in qualche modo il bimbo, utilizzando l acqua preparata per la puerpera e il neonato strillava come solo un bimbo riesce a fare, poi, quasi subito, lo avvolse nel telo più grande, cullandolo amorevolmente. Poi adagiò il bimbo a terra. La mamma, morta, fu ricomposta alla meglio e la vecchia zia con il pargolo in braccio uscì dalla capanna, disorientata. Per fortuna aveva smesso di piovere, ma c erano subito due problemi da affrontare: non essendoci altri parenti stretti, il bimbo doveva essere affidato a qualcuno (ma a chi?) e bisognava trovare alla svelta una nutrice, perché certo la salma della madre non poteva allattare! La vecchia zia non poteva assolutamente pagare una balia, però poteva chiedere alla madre di cinque piccoli, che viveva lì vicino, di occuparsi di lui per i primi giorni, 6

7 cedendo la proprietà della sgangherata capanna dov era avvenuto il parto, dopo aver fatto portare via il cadavere, dai becchini pubblici, per la necessaria sepoltura. Su un altura non molto distante, sorgeva un piccolo convento di frati. Forse quella sarebbe stata la destinazione finale del bimbo. Tuttavia la sua permanenza nella famiglia della levatrice durò parecchio e forse sarebbe divenuta permanente, sempre che quella famiglia potesse permettersi di nutrire un altra bocca, cosa questa niente affatto scontata e, a dirla tutta, sommamente improbabile. Un frate del predetto convento, avvertito per tempo, battezzò il bimbo a cui fu imposto il nome di Oberto. Tutto sommato, dato le premesse, quella nascita era andata meglio di quanto ci si sarebbe potuto attendere. Erano passati due anni e tre mesi dalla nascita di Oberto e il bimbo era ancora con i genitori adottivi (adottivi controvoglia, sia ben chiaro), si era ormai nell anno 757, primi mesi, quelli più freddi. Il borgo di Foligno era attanagliato dal gelo, le insufficienti risorse del popolo non consentivano ai più non solo di mangiare abbastanza, ma altresì di bruciare legna nei camini e nei bracieri per scaldarsi: la legna costava parecchio! Certo molti rastrellavano il sottobosco in caccia di rami o pezzi di tronchi caduti per le intemperie, ma nessuno poteva tagliare, quello era riservato ai boscaioli e la loro Confraternita era una delle più potenti di tutto il Ducato. Pioveva ormai da più di venti giorni, ininterrottamente. Il fango aveva invaso le strette vie della cittadina, tuttavia (e per fortuna), nessun corso d acqua, né fiume né 7

8 torrente, sfiorava il piccolo centro abitato, evitando così ogni rischio di alluvione. Nella capanna (casa era dir troppo) di Fulco e Itaria, i tutori di Oberto erano tutti raccolti attorno al camino nel quale bruciava allegramente un grosso ciocco di legno e radici, trovato fortunosamente da Fulco, quel mattino, ai margini del bosco a monte. Erano due giorni che la famiglia non mangiava praticamente nulla. Tre giorni prima, non si sa come, Itaria era riuscita ad avere quattro cipolle, barattando qualche cosa (ma che cosa?) e ne aveva ricavato un brodo leggero con il quale scaldava, appunto da tre giorni, lo stomaco del marito, dei cinque figli e del trovatello. Itaria e Fulco parlottavano da alcuni minuti in un angolo, quello più vicino al camino. - Non possiamo più mantenerlo stava dicendo Fulco. - Che fare, allora, marito mio? rispose Itaria. - Appena smette di piovere andrò al convento, per vedere se lo prendono. - E se non lo prendono? - C è un campo di nomadi, appena fuori Foligno, lo potremmo vendere a loro, ci potremmo ricavare qualche soldo, oltretutto. - Ma è immorale, marito mio! - E noi siamo poveri, moglie. Aiutati che il Ciel t aiuta. - Bé, speriamo che i monaci lo vogliano, allora. - Già e non ci ricaveremo niente brontolò Fulco. Oberto, il piccolo Oberto, coetaneo di Lara (l ultima nata nella casa di Fulco), non capiva quei discorsi, ma era un piccolo genio: non solo capiva le parole dei grandi, ma parlava di già e il suo era un eloquio fluido, molto ben 8

9 strutturato e lui, come si è detto, era un bimbo di appena due anni. Parlava perfino meglio di Rugo, il penultimo dei figli di Fulco che aveva quasi quattro anni, mentre Lara diceva solo, mamma, papà, pappa, sì e no, ma quella, in quei tempi, era la norma. A metà mattina, ci fu una pausa nel diluvio. Aveva smesso? No, ma era una gradita tregua. Mentre Fulco approfittava della momentanea quiete per dirigersi verso il convento, i figli, tutti, uscirono dalla capanna per giocare in strada con il fango. I due fratelli più grandi confezionavano palle di fango come se fossero di neve e se le tiravano addosso l un l altro. La bimba, unica femminuccia, si divertiva ad imbrattarsi le gambe con il fango liquido. I due fratelli di mezzo cercavano di costruire improbabili case e castelli. Oberto modellava figurine ed era davvero bravo. Lui e Lara erano seduti per terra nel bel mezzo della stradina che a stento avrebbe consentito il passaggio di un carro. Il piccolo Oberto, più degli altri, era sporco e infangato dalla testa ai piedi. A circa venti passi di distanza, un brigante sporco e torvo stava rapinando una coppia di anziani. Questi non avevano neppure una moneta e il brigante, fortemente alterato e forse ubriaco, iniziò a picchiarli con rabbia con un bastone nodoso. Da nord sopraggiungeva in quel momento un uomo armato a cavallo. Al piccolo Oberto sembrava un principe, ma di sicuro era un soldato di ventura, abbastanza lacero e sciatto nelle 9

10 vesti a stento ricoperte alla meglio da una lorica di maglia di bronzo. Però, era vero, portava un elmo piumato e aveva con sé scudo e lancia. Gridando come un matto il cavaliere si lanciò lancia in resta sull aggressore che, spaventato, si diede a precipitosa fuga. Il soldato smontò da cavallo e rincuorò i due vecchi che ringraziavano in continuazione con ripetuti inchini. Certo, Oberto capiva poco gli elementi socio-culturali di quella scena, ma il principe rimase impresso a lungo nella sua memoria. Fulco, intanto, si stava dirigendo al monastero. Costeggiò a lungo il fosso Renaro, inerpicandosi su una bassa collina, in direzione di Camerino. Quel convento si chiamava già Sassovivo, anche se non era ancora la fastosa Abbazia che diventerà famosa fra tre o quattro secoli (1). Non c era una vera e propria chiesa, solo una cappella, niente chiostro, una sola ala che conteneva le celle dei tredici frati e un grande refettorio, una parte del quale era destinato a biblioteca e, infatti, conteneva oltre seicento rotoli (i libri di allora). Né c era un Abate o un Priore, solo un frate che si distingueva dagli altri solo perché i fratelli lo chiamavano padre. In ogni caso, il luogo era a dir poco paradisiaco, incastonato in un lussureggiante comprensorio naturale con decine di migliaia di alberi d alto fusto, quasi tutti lecci (2). (1) Si veda in proposito una scheda in Appendice. (2) Per notizie approfondite sulle caratteristiche di questi alberi, si veda la descrizione scientifica, riportata in Appendice. 10

11 C era chi si era divertito ad elencare le caratteristiche dei lecci (già note ai Romani) in alcuni documenti pseudoscientifici in latino ecclesiale, documenti custoditi in alcuni monasteri, ma non in quello e, in ogni caso, il povero fabbro non ne sapeva niente e, di sicuro, non avrebbe neppure lontanamente compreso il significato e il lessico delle parole scientifiche con cui si era descritto il leccio. Ma tant è. Lui, comunque, dopo una lunga camminata era arrivato al convento ed ora stava bussando alla porta. Forse aveva bussato troppo piano: non aprì nessuno. Bussò più forte. Peccato che non ci fosse un apposito strumento in bronzo o ferro. Pazienza. Picchiò a pugni chiusi con violenza e finalmente qualcuno rispose. - Chi bussa? - Fulco, il fabbro di Foligno, fratello. - Che cosa vuoi? - Vorrei parlare con il Padre, questioni riservate. - Beh sta dicendo Messa - Se mi fai entrare lo aspetterò. - Va bene entra disse il vecchio frate, aprendo la pesante porta. Fulco attese nel cortile per parecchi minuti e finalmente Padre Ottonello arrivò. - Che cosa posso fare per te, figliolo? chiese. - Padre, ho in casa un bimbo non mio, un trovatello, ma io non posso più mantenerlo, ho sei bocche da sfamare e non ce la faccio, spesso, spessissimo, non riusciamo a mangiare. - Vedo. E io che cosa posso fare, secondo te? 11

12 - Potresti prenderlo nel convento, Padre. Magari in futuro avrà la stoffa per diventare un buon frate. - Quanti anni ha? - Oh, appena due, ma è sano, robusto il latte di mia moglie ha fatto miracoli - e sa già parlare. - Uhm, vedo e come si chiama? - L hai battezzato tu due anni fa, si chiama Oberto. - Ah, sì, il figlio di quella povera donna morta di parto, ricordo. - Lo prendi? Sennò lo vendo agli zingari - Che cosa stai dicendo, Fulco? Non commettere peccati in un luogo consacrato! - Già, ma o qui o lì, non c è scelta. - Va bene, portalo qui, allora. - Lo prendi? Bene e grazie. «Chissà che cosa ne penseranno gli altri fratelli pensava il buon Padre il bimbo è molto piccolo, va nutrito, vestito e accudito e per diversi anni non potrà lavorare. Un peso, insomma». Pochi mesi prima, Desiderio era diventato, in pratica, Re dei Longobardi. Desiderio, originario di Brescia, fu creato erede al trono da Astolfo Duca di Tuscia (1). Alla morte di Astolfo aspirò al trono longobardo in opposizione al fratello e predecessore del defunto, il più noto Rachis. Nel marzo del 757, proprio mentre Oberto entrava nel convento di Sassovivo, Rachis rientrò in monastero, spianando la strada all'incoronazione di Desiderio a Re d Italia o meglio, di Langobardia. (1) Si vedano i dettagli in Appendice. 12

13 In quei giorni, in un remoto borgo senza nome, non distante da Casteggio, nell Oltre-Po pavese, nasceva una bambina. Era la figlia secondogenita di una coppia di genitori abbastanza benestanti almeno rispetto ai servi della gleba ossia il mugnaio Biancardo e sua moglie Ermellina. Che cosa voleva dire, lì e allora, benestanti? Ebbene, che potevano mangiare almeno una volta al giorno, bere birra annacquata e giacere su pagliericci puliti (sacchi di tessuto contenenti paglia spesso cambiata), invece che sulla sporca paglia sparsa sul pavimento, giaciglio dei poveracci. Fine del concetto di benestanti. Si dirà: ma carne, magari di pollo o di porco? Vino? Abiti? Beh, non esageriamo, quelle erano cose per ricchi o per longobardi, che diamine! Ogni tre o quattro giorni i due mugnai pulivano casa, rastrellando il terriccio dei pavimenti (quanti insetti vivi o morti raccoglievano!) e cambiando lo strato di paglia che, comunque, ricopriva in qualche modo il suolo della misera casetta annessa al mulino, molto più igienico, in ogni caso, rispetto alla media. Da alcuni giorni, ossia da quando Ermellina era entrata in fase di pre-travaglio, lei non partecipava più attivamente alla vita di casa. Tutto era sulle spalle del marito, il grosso e serio Biancardo e del figlio di cinque anni, che si chiamava Rosso, perché alla nascita aveva una folta peluria rossa che, col tempo, si era trasformata in una zazzera di capelli castani, più ortodossi. 13

14 Alle tre del mattino del giorno ventiquattro del mese di marzo dell anno 757 d. C. alla donna si ruppero le acque e iniziarono le contrazioni. Nonostante l ora, Biancardo inviò Rosso a chiamare la levatrice, che arrivò una mezz ora dopo. Tutto andò per il verso giusto. Niente problemi o complicazioni. Nacque una bellissima bambina che, dopo i primi vagiti, assunse un divertente atteggiamento sprezzante e superbo e che per questo fu chiamata dai genitori Regale. Nel frattempo, a Foligno, il piccolo Oberto era stato condotto da Fulco al convento. Gli addii di Itaria al piccolo erano stati commoventi, ma lui, Oberto, non capiva il perché di tanta commozione, non avendo realizzato che stava per lasciare per sempre quella casa e i suoi fratelli. Così, trascinato per mano da Fulco, raggiunse in tarda mattinata il convento. Era un fredda mattina di sole e tutto appariva meraviglioso al piccolo Oberto, perfino il triste e quasi lugubre convento dei frati. Furono accolti dal Priore che, per la verità, non era tale e Fulco lasciò il bambino sulla soglia della porta, correndo via perché, bene o male, s era a affezionato anche lui a quel marmocchio. - Chi è mai quel piccolino? chiese fra Eginardo, borbottando. Il Padre superiore non aveva informato i fratelli del suo arrivo, non aveva saputo o potuto trovare le giuste parole. Tuttavia, ora il bimbo era lì e andava accudito. 14

15 Incaricò della cosa il più giovane dei frati un certo Boso, originario di Spoleto che, almeno così sospettava Padre Ottonello, era un po effeminato, anzi ben oltre i limiti usuali e che, quindi, poteva avere sentimenti materni più di altri. Per giorni e giorni il piccolo Oberto esplorò il convento che, per la verità, non era poi così grande, interessandosi in particolare alle cantine polverose e piene di ragnatele e alla biblioteca che peraltro stava nel refettorio, luogo questo che per un piccolo servo della gleba, aveva un fascino molto materiale. Fra l altro lì, al convento, mangiava come mai gli era capitato, i frati non erano ricchi, ma le elemosine e le donazioni dei defunti assicuravano ai religiosi un tenore di vita sconosciuto al popolino. Così Oberto cresceva forte, sano e rapidamente. Già a cinque anni era un ragazzetto robusto e una vera peste non stava fermo un attimo e portava allegria in tutta la piccola comunità. Aveva anche imparato a leggere e scrivere ed ora uno dei suoi obiettivi principali erano i rotoli della biblioteca. Avrebbe divorato anche quelli! Tuttavia era un po presto per quello: Oberto sapeva leggere, ma non era ancora così bravo da poter affrontare quella sfida, anche perché la quasi totalità dei volumi erano in lingua latina, che lui ancora non conosceva. Frà Boso, da parte sua, lo accudiva con assoluta dedizione. Lui, come sospettava Padre Ottonello, era realmente un omosessuale, ma del tipo femminile ed era pauroso perfino per la sua ombra: si limitava perciò, per fortuna, a fantasticare. 15

16 Mai avrebbe trovato il coraggio di fare qualcosa di brutto, concretamente. Padre Ottonello, invece, spiava il piccolo, osservandolo con attenzione per capire se mai sarebbe potuto diventare un religioso, crescendo. Per ora i segnali erano discordanti: pareva molto interessato alla cultura (un buon segnale), ma nella pratica era portato all attività fisica (un cattivo segnale) e, soprattutto, non sopportava le liturgie e le preghiere, un pessimo indicatore. E così fu. Infatti, diventato adulto, Oberto preferì divenire boscaiolo (un attività abbastanza redditizia) piuttosto che frate. A quasi vent anni, nel 773, Oberto era un gran bel ragazzo, alto, forte e colto, perfino oltre misura. Conosceva perfettamente il Latino e aveva letto tutti i rotoli della biblioteca Tuttavia venti di guerra (una guerra locale, questa) soffiavano sul Ducato di Spoleto, di cui Foligno faceva parte e la soldataglia uccideva ovunque senza alcun criterio. Tutto era nato da un equivoco avvenuto a Bevagna, a poche miglia da Foligno. Quell equivoco aveva messo contro l un l altro il vassallo di Bevagna e il Duca di Spoleto e Foligno si era schierata con Bevagna e Montefalco, purtroppo. Infatti, il Duca di Spoleto aveva a disposizione un armata fortissima, peraltro collaudata già nelle guerre contro i Bizantini e a difesa del Papato dalle mire dei Re Longobardi. I soldati di Spoleto erano tanti, ben armati e ben addestrati ed erano dei feroci assassini. 16

17 Il Ducato di Spoleto era da tempo uno dei ducati istituiti dai Longobardi in Italia e sarebbe sopravvissuto a lungo dopo la caduta del predetto Regno, passando sotto il controllo dei Franchi prima e della nobiltà pontificia poi. Insieme al Ducato di Benevento costituiva la Langobardia Minor. Il ducato comprendeva inizialmente parti delle regioni di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. In epoca successiva, con lo stesso nome ma in ambito territoriale già minore, fu annesso allo Stato Pontificio, divenendone poi una provincia. Un mattino nebbioso d inizio autunno, il convento di Sassovivo fu attaccato proditoriamente da mercenari al soldo del Duca Teodicio. Oberto era nei boschi, come al solito, a tagliar alberi. Non poté difendere i frati, ma d altra parte, così salvò la sua vita. I soldati diedero fuoco al convento e il denso fumo avvertì Oberto dell aggressione. Il giovane si precipitò laggiù, correndo come un matto, ma trovò solo morti e laghi di sangue. Passò due giorni e due notti a seppellire le povere salme. Poi crollò di colpo, addormentandosi sullo spiazzo davanti alle rovine del convento che era stato la sua casa per così tanto tempo. Quando si risvegliò era quasi sera. Trovò una cella ancora agibile e qualche cosa da mangiare in cucina, magari un po affumicato, ma edibile. Trovò anche due spade, alcuni pugnali e perfino un elmo abbandonati dagli armigeri, non si sa perché. Era un mistero, infatti. Certo i frati non si erano difesi e non c erano soldati fra i morti. Mistero fitto. Prese una bella spada, due pugnali e 17

18 lasciò il resto, poi, dopo aver mangiucchiato qualcosa, dormì di nuovo nella cella integra. Il mattino successivo sarebbe partito, diretto a nord. Desiderio era un Re integerrimo e con una gran fama. Avrebbe provato a raggiungere, quindi, i dintorni di Pavia. S incamminò, a piedi, ovviamente, con un fagottino comprendente pane, formaggio stagionato e una fiaschetta di birra annacquata, legato sulla schiena. I viveri sarebbero durati al massimo per tre pasti, poi avrebbe dovuto arrangiarsi. Al fianco, con tanto di fodero, portava la bella spada e, infilati nella cintura di cuoio, sul dorso, i due pugnali, cosa questa abbastanza pericolosa perché erano senza guaina. Accanto al fagotto dei viveri portava la sua fida ascia con la quale aveva tagliato centinaia di alberi, pesante, ben bilanciata e affilatissima. Dopo due giorni di dura marcia, lasciò le terre umbre. Non è che avesse fretta, dopotutto, ma temeva ancora le scorribande dei mercenari del Duca. Oberto con conosceva bene la geografia, tanto meno la geo-politica, ma stava sconfinando in Toscana o meglio, come si diceva lì e allora, la Tuscia (1). (1) Tuscia era la denominazione attribuita all'etruria dopo la fine del dominio etrusco, invalso a partire dalla tarda antichità e per tutto l'alto Medioevo. Il nome indicava in origine un territorio assai vasto, che le diverse vicissitudini storiche hanno ripartito in tre macroaree: la "Tuscia romana", corrispondente al Lazio settentrionale con l'antica provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro, corrisponde oggi alla provincia di Roma nord fino al Lago di Bracciano; la "Tuscia ducale", che includeva i territori del Lazio soggetti al Ducato di Spoleto; la "Tuscia longobarda", grossomodo l'attuale Toscana, comprendente i territori sottoposti ai Longobardi e costituenti il Ducato di Tuscia. 18

19 I viveri erano finiti. Lui s era reso conto che soprattutto la prima sera aveva mangiato troppo, intaccando le scorte, ma aveva una fame terribile, così aveva alzato le spalle, tanto prima o poi i viveri sarebbero finiti comunque. Pensò a come procurarseli. C erano solo tre modi. Chiedere a qualche contadino un pezzo di pane (niente di che: elemosina al viandante, una consuetudine), usare le armi come minaccia in una casa di benestanti, una vera e propria rapina, quindi e, infine, lavorare per un paio di giorni in una fattoria e farsi pagare in moneta o in natura. La prima opzione era degradante, la seconda da escludersi a priori, la terza forse la più percorribile, sempre che qualcuno avesse bisogno di un lavorante occasionale. Cacciare? Impossibile, non aveva armi da lancio. Camminando, esaminava il problema: c era una quarta opzione, che però dipendeva molto dal caso. Infatti, se lungo la strada avesse trovato un convento, avrebbe potuto chiedere ospitalità e cibo ma, appunto, bisognava che ci fosse. Prima di mezzogiorno, una giornata piuttosto buia, il cielo era coperto da basse nuvole scure e minacciava pioggia, vide alla sua sinistra una grande fattoria che, da lontano, pareva piuttosto opulenta, circondata da campi di grano a perdita d occhio, orti e alberi da frutto. Dietro al fabbricato si scorgevano mucche e cavalli: sì, decisamente gente benestante. Un filo di fumo usciva dal camino. Stavano preparando il pranzo. 19

20 Oberto gioì. Non pensò neppure per un attimo che gli avrebbero potuto rifiutare un piatto caldo e un pezzo di pane e magari, chissà, un lavoretto da fare. A lunghi passi si diresse verso il casale. Questo ai suoi occhi era decisamente bello e pulito, formato da un corpo centrale bianco e rosso scuro e da due ali laterali tutte bianche, una delle quali comprendeva una grande legnaia. Accanto ai ceppi tagliati giacevano alcuni grossi tronchi, pane per la sua accetta. Quando arrivò sullo spiazzo antistante la grande casa, fu affrontato da quattro uomini armati. Perché? Si chiese Oberto, perplesso. Poi capì. Lui era armato in modo evidente e i fattori erano sospettosi. Alzò le mani disarmate e gridò: - Pace a voi, sono solo un viandante. - E quelle armi? rispose un uomo tozzo e bruttissimo che capeggiava il manipolo dei difensori. - Cerco solo un pasto e magari un lavoro per due o tre giorni. Se verrò accolto, vi consegnerò la mie armi per tutto il tempo che passerò qui. - Recco, chiama il padrone gridò il capo del gruppetto. - Chi sei? Chiese il padrone, uscendo di casa. Era forse un principe? No, ma di sicuro l uomo più raffinato e meglio vestito che Oberto avesse mai visto. Certo i suoi parametri di giudizio erano inconsistenti, visto che aveva passato quasi tutta la vita in un piccolo convento. - Il mio nome è Oberto da Foligno, signore. Cerco ospitalità e magari un lavoretto da fare, non cerco risse di sorta. - Dovrei crederti con quell arsenale che hai addosso? 20

21 - Oh, beh, sì sono armato, ma non sono un avventuriero. Ora, se vorrai credermi bene, altrimenti me ne andrò, senza rancore. Il padrone, un uomo piuttosto ricco e moderatamente colto, parlò in latino con la moglie che nel frattempo era uscita dall uscio di casa e che, essendo di origini nobili, aveva con pazienza e tenacia insegnato al marito l antica lingua di Roma. Discussero brevemente fra loro sul perché quell uomo, appartenente di sicuro alla plebe, girasse così tanto armato, non giungendo ad alcuna conclusione plausibile. Oberto, naturalmente, capì ogni parola e, chiedendo scusa per l intromissione, intervenne, anche lui in latino. - No, nessun mistero, vi prego di credermi, vedete, vivevo in convento vicino a Foligno, in Umbria, ma il Duca di Spoleto mandò i suoi armigeri per sedare una piccola ribellione locale e i soldati trucidarono tutti i frati. Ho raccolto le armi, perché la situazione era pericolosa e quest ascia è il mio strumento di lavoro, sono un boscaiolo, niente di più di questo. - Ma tu parli latino e bene anche! Forse l hai imparato dai frati. Sì, ti credo e ti ospito volentieri, ma spada e pugnali li consegnerai ai miei uomini fino alla tua partenza. Mangerai con noi e mi racconterai la situazione ai nostri confini, poi, se vorrai, per un paio di giorni potrai tagliare la legna ammucchiata sul retro della casa e così guadagnerai anche qualche soldo. Che ne dici? Rispose il padrone con uno smagliante sorriso. - Ti ringrazio di cuore e, naturalmente, accetto. Posso chiedere il tuo nome? - Certo, io sono Aucello di Ceciliano. Qui siamo a nord della città di Arezzo, nel Ducato di Tuscia e questa è mia 21

22 moglie, la nobile Arentia, terzultima figlia di Oddone d Arezzo. Benvenuto. Ora lascia le armi ed entra, sono certo che hai molta fame e il pranzo è pronto. Oberto consegnò la spada e i pugnali alla guardia, quella tozza e brutta, che le portò via ed entrando appoggiò la sua ascia su una cassapanca che era proprio vicino alla porta. Poi seguì i fattori verso la sala da pranzo, niente affatto distante. Il pavimento era di terra battuta con molta paglia sparsa al suolo, l arredo semplice e povero, tutto sommato, ma il profumo che proveniva dalla cucina era buono e lui quasi sveniva per la fame. Oberto non era mai stato in una casa così grande e ben attrezzata e gli pareva fosse una reggia. Non lo era, ovviamente, anzi, come si è detto, era alquanto spoglia e obiettivamente povera, ma lui era cresciuto in una casa di pietre e fango e poi in un triste convento molto mal messo, quindi i suoi termini di riferimento erano minimali. Nella sala da pranzo c era un tavolo lungo, riservato alla famiglia e agli ospiti, mentre la servitù e le guardie mangiavano nella grande cucina adiacente. I lavoranti dei campi, poi, mangiavano da tutt altra parte, non certo nel casale padronale. In ogni caso, a ben vedere, quella grande casa era davvero quasi lussuosa rispetto alla media delle abitazioni dell epoca. Quando Oberto prese posto alla tavola, la famiglia era già seduta al completo alla lunga tavola. Il giovane gettò un occhiata generale ai commensali, osservando con una certa attenzione i figli dei fattori, ma 22

23 la fame lo distrasse subito, poiché due servitori portavano proprio in quel momento in tavola il pasto che era, bisogna dirlo, addirittura eclatante: cinghiale, tre fagiani, pane appena sfornato, formaggio fresco, frutta e vino! Niente minestre, niente formaggio vecchio e stantio, niente birra annacquata. Una meraviglia. Oberto, sconcertato, pensò: «ma questi mangiano sempre così? E stupefacente». Oberto disse in latino una preghiera di ringraziamento, osservato con compunta attenzione e curiosità dalla famigliola e tutti in coro dissero amen. Poi mangiarono. Oberto, poverino, divorò è il caso di dirlo quel ben di Dio. La famiglia di Aucello sorrise in toto, con complici sentimenti di comprensione e di benevolenza. Quando il pranzo luculliano terminò, Oberto era sazio, rilassato e quasi sonnolento. Tuttavia dovette parlare loro del Ducato di Spoleto, del Duca Teodicio, un bel signor nessuno, in fondo, lo sgarro di Bevagna, l appoggio di Montefalco e Foligno con pochi particolari, però, poiché Oberto non conosceva granché i risvolti politici di quella vicenda le scorribande dei mercenari del Duca, l assassinio dei frati di Sassovivo, la fuga. Al termine di quel racconto e delle tante domande di Aucello, Oberto chiese se fosse possibile riposare un poco, perché lui non era abituato a pranzi così abbondanti ed anche al vino. C erano due stanze per gli ospiti, quasi due celle monastiche, ma pulite e in ordine e Aucello chiese alla figlia maggiore, Donesella, di accompagnare il giovane in una delle due camere. 23

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