DeJure Autorità: Data: Numero: Classificazioni: Eva Martín Martín EDP Editores SL, Fatto Contesto normativo

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1 DeJure Autorità: Corte giustizia UE sez. I Data: 17/12/2009 Numero: 227 Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori Nel procedimento C-227/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'audiencia Provincial de Salamanca (Spagna), con decisione 20 maggio 2008, pervenuta in cancelleria il 26 maggio 2008, nella causa Eva Martín Martín contro EDP Editores SL, LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, facente funzione di presidente della Seconda Sezione, dai sigg. A. Borg Barthet e M. Ilešic, giudici, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 12 marzo 2009, considerate le osservazioni presentate: - per la EDP Editores SL, dall'avv. J.M. Sanchez Garcia, abogado; - per il governo spagnolo, dalla sig.ra B. Plaza Cruz e dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agenti; - per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente; - per la Commissione europea, dai sigg. R. Vidal Puig e W. Wils, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 7 maggio 2009, ha pronunciato la seguente Fatto Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 4 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372, pag. 31; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata sottoposta nell'ambito di una controversia tra la EDP Editores SL (in prosieguo: la «EDP») e la sig.ra Eva Martín Martín relativamente al rifiuto di quest'ultima di rispettare gli impegni presi al momento della sottoscrizione di un contratto concluso presso il suo domicilio con un rappresentante della EDP. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 I 'considerando' dal quarto al sesto della direttiva così recitano: «(...) la caratteristica dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali del commerciante è che, di regola, il commerciante prende l'iniziativa delle trattative, il consumatore è impreparato di fronte a queste trattative e si trova preso di sorpresa; (...) il consumatore non ha spesso la possibilità di confrontare la qualità e il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte; (...) (...) è opportuno accordare al consumatore il diritto di rescissione da esercitarsi entro un termine non inferiore a sette giorni, per permettergli di valutare gli obblighi che derivano dal contratto; (...) occorre inoltre adottare opportuni provvedimenti affinché il consumatore sia informato per iscritto del suo diritto a disporre di questo periodo di riflessione (...)». 4 L'art. 1, n. 1, della direttiva dispone quanto segue: «La presente direttiva si applica ai contratti stipulati tra un commerciante che fornisce beni o servizi e un consumatore:

2 (...) - durante una visita del commerciante: i) al domicilio del consumatore o a quello di un altro consumatore; (...) qualora la visita non abbia luogo su espressa richiesta del consumatore». 5 Ai sensi dell'art. 4 della direttiva: «Il commerciante deve informare per iscritto il consumatore, nel caso di transazioni contemplate all'articolo 1, del suo diritto di rescindere il contratto entro i termini di cui all'articolo 5, nonché del nome e indirizzo della persona nei cui riguardi può essere esercitato tale diritto. Detta informazione deve recare una data e menzionare gli elementi che permettono d'individuare il contratto. Essa è consegnata al consumatore: a) al momento della stipulazione del contratto nel caso dell'articolo 1, paragrafo 1; (...) Gli [S]tati membri fanno sì che la loro legislazione nazionale preveda misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l'informazione di cui al presente articolo». 6 L'art. 5 della direttiva stabilisce che: «1. Il consumatore ha il diritto di rescindere il proprio impegno indirizzando una comunicazione entro un termine di almeno 7 giorni dal momento in cui ha ricevuto l'informazione di cui all'articolo 4, e secondo le modalità e condizioni prescritte dalla legislazione nazionale. (...) 2. Con l'invio della comunicazione il consumatore è liberato da tutte le obbligazioni derivanti dal contratto rescisso». 7 L'art. 8 della direttiva in parola così dispone: «La presente direttiva non osta a che gli [S]tati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato». La normativa nazionale 8 La legge 21 novembre 1991, n. 26, relativa ai contratti conclusi fuori dei locali commerciali (BOE n. 283, del 26 novembre 1991) traspone la direttiva nel diritto spagnolo. 9 L'art. 3 di tale legge prevede che: «1. Il contratto o la proposta contrattuale di cui all'art. 1 devono essere formalizzati per iscritto in doppia copia, unitamente ad un modulo di revoca del consenso, e vanno datati e sottoscritti dal consumatore di proprio pugno. 2. Il documento contrattuale deve presentare in caratteri evidenti, immediatamente sopra allo spazio riservato alla firma del consumatore, un riferimento chiaro e preciso al diritto di quest'ultimo di revocare il consenso accordato, nonché ai presupposti e agli effetti dell'esercizio di tale diritto. 3. Il modulo di revoca del consenso deve recare in caratteri evidenti il titolo "modulo di revoca" e indicare il nome e l'indirizzo della persona cui deve essere inviato nonché gli elementi identificativi del contratto e delle parti contraenti. 4. Una volta sottoscritto il contratto, l'imprenditore o la persona che agisce per suo conto ne trasmette una copia al consumatore insieme al modulo di revoca del consenso. 5. Spetta all'imprenditore provare l'adempimento degli obblighi di cui al presente articolo». 10 L'art. 4 della legge n. 26/1991 riporta le conseguenze del mancato rispetto dei requisiti ex art. 3 della stessa e stabilisce che: «Il contratto stipulato o la proposta formulata in violazione delle condizioni stabilite dall'articolo precedente possono essere annullati su domanda del consumatore. In nessun caso la causa di nullità potrà essere invocata dall'imprenditore, salvo che l'inadempimento sia interamente imputabile al consumatore». 11 Ai sensi dell'art. 9 della legge citata: «I diritti conferiti al consumatore dalla presente legge sono irrinunciabili. Ciononostante, si considereranno valide le clausole contrattuali che risultino più favorevoli per il consumatore». Causa principale e questione pregiudiziale

3 12 Il 20 maggio 2003 la sig.ra Martín Martín sottoscriveva, presso il suo domicilio, un contratto con un rappresentante dell'edp avente ad oggetto l'acquisto di 15 volumi di un'opera, di 5 dischi DVD e di un lettore DVD. Tali prodotti le sono stati consegnati il 2 giugno Non avendo ricevuto i pagamenti per la merce fornita, l'edp ha chiesto al Juzgado de Primera Instancia n. 1 de Salamanca (Tribunale civile di Salamanca) di emettere un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti della sig.ra Martín Martín reclamando l'importo di EUR 1 861,52, maggiorato degli interessi di mora e delle spese. 14 La convenuta, condannata, con decisione 14 giugno 2007, a pagare l'importo richiesto, ha interposto appello dinanzi all'audiencia Provincial de Salamanca (Corte d'appello di Salamanca). 15 Nell'ordinanza di rinvio l'audiencia Provincial de Salamanca ritiene, innanzitutto, che il contratto di cui trattasi potrebbe essere dichiarato nullo dal momento che la convenuta non è stata debitamente informata del suo diritto di revoca del proprio consenso entro 7 giorni dal ricevimento della merce né delle condizioni e conseguenze dell'esercizio di tale diritto. Il giudice a quo rileva, tuttavia, che la sig.ra Martín Martín non ha mai fatto valere la nullità, né dinanzi al giudice di primo grado né con il ricorso in appello. 16 Orbene, tenuto conto della circostanza che l'art. 4 della legge n. 26/1991 esige che sia il consumatore a chiedere la dichiarazione di nullità del contratto concluso in violazione delle condizioni fissate all'art. 3 della stessa legge e che, nel diritto spagnolo, nei procedimenti civili di norma vige il cosiddetto principio «dispositivo» («de justicia rogada»), in forza del quale il giudice non può prendere in considerazione d'ufficio fatti, prove e domande non presentati dalle parti, l'audiencia Provincial de Salamanca si chiede se, per potersi pronunciare sull'appello interposto avverso la decisione di primo grado, debba prendere in considerazione unicamente i motivi dedotti nell'ambito dell'opposizione e nel procedimento d'appello oppure se, invece, le disposizioni della direttiva le consentano di dichiarare d'ufficio l'eventuale nullità del contratto. 17 In tale contesto l'audiencia Provincial de Salamanca ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l'art. 153 CE, letto in combinato disposto con gli artt. 3 CE e 95 CE, con l'art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea [proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU L 364, pag. 1)], nonché con la [direttiva], e in particolare con l'art. 4 di quest'ultima, debba essere interpretato nel senso che consente al giudice investito del ricorso d'appello avverso la sentenza di primo grado di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto rientrante nell'ambito di applicazione della suddetta direttiva, qualora risulti che tale nullità non è mai stata eccepita in alcun momento dal consumatore convenuto, né nell'ambito dell'opposizione al procedimento ingiuntivo, né in sede di udienza, né nel ricorso di appello». Sulla questione pregiudiziale 18 Con la sua questione l'audiencia Provincial de Salamanca chiede, in sostanza, se l'art. 4 della direttiva debba essere interpretato nel senso che consente ad un giudice nazionale di rilevare d'ufficio la violazione di tale disposizione e di dichiarare la nullità di un contratto compreso nell'ambito di applicazione della direttiva in parola in quanto il consumatore non è stato informato del suo diritto di recesso, e ciò benché la nullità di cui trattasi non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. 19 Per fornire una soluzione a detta questione occorre, innanzitutto, ricordare che il diritto comunitario, in via di principio, non impone ai giudici nazionali di sollevare d'ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l'esame di tale motivo li obblighi ad esorbitare dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti, basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda (v. in tal senso, in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C-430/93, van Schijndel e van Veen, Racc. pag. I-4705,

4 punto 22, nonché 7 giugno 2007, cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I-4233, punto 36). 20 Tale limitazione del potere del giudice nazionale è giustificata dal principio secondo il quale l'iniziativa di un processo spetta alle parti e che, pertanto, il giudice può agire d'ufficio solo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso (v. citate sentenze van Schijndel e van Veen, punto 21, nonché van der Weerd e a., punto 35). 21 Si deve quindi determinare, in primo luogo, se la disposizione comunitaria di cui alla causa principale, ossia l'art. 4 della direttiva, possa essere considerata come basata su siffatto interesse pubblico. 22 In proposito è necessario osservare che, come risulta segnatamente dal quarto e quinto 'considerando', la direttiva è volta a tutelare il consumatore contro i rischi derivanti dalle circostanze specifiche inerenti alla conclusione dei contratti fuori dei locali commerciali (sentenza 10 aprile 2008, causa C-412/06, Hamilton, Racc. pag. I-2383, punto 32), i contratti in parola sono caratterizzati dalla circostanza che è di regola il commerciante a prendere l'iniziativa delle trattative e che il consumatore non si è per nulla preparato ad una vendita a domicilio, in particolare confrontando la qualità e il prezzo proposti con altre offerte. 23 È considerando tale squilibrio che la direttiva assicura la tutela del consumatore disponendo, in primis, a suo favore un diritto di recesso. Questo diritto, infatti, mira proprio a compensare gli svantaggi risultanti per il consumatore da una vendita fuori dei locali commerciali, attribuendogli la possibilità, durante almeno sette giorni, di valutare gli obblighi che derivano dal contratto (v., in tal senso, sentenza Hamilton, cit., punto 33). 24 Al fine di rafforzare la tutela del consumatore in una situazione in cui è colto di sorpresa, la direttiva richiede, inoltre, all'art. 4, che il commerciante informi per iscritto il consumatore del suo diritto di rescindere il contratto nonché delle modalità e condizioni relative all'esercizio del diritto di cui trattasi. 25 Infine, dall'art. 5, n. 1, della direttiva risulta che il termine minimo menzionato di sette giorni va calcolato a partire dal momento in cui il consumatore ha ricevuto dal commerciante l'informazione in questione. Siffatta prescrizione, come la Corte ha avuto l'occasione di precisare, si spiega con la considerazione che, se il consumatore non ha conoscenza dell'esistenza di un diritto di recesso, si trova nell'impossibilità di esercitarlo (sentenza 13 dicembre 2001, causa C-481/99, Heininger, Racc. pag. I-9945, punto 45). 26 In altre parole, il sistema di tutela configurato dalla direttiva presuppone non solamente che il consumatore, in quanto parte debole, disponga del diritto di rescindere il contratto, ma anche che abbia contezza dei propri diritti venendone espressamente informato per iscritto. 27 Di conseguenza occorre constatare che l'obbligo d'informazione ex art. 4 della direttiva riveste un ruolo centrale nell'economia generale della stessa, in quanto garanzia essenziale, come osservato dall'avvocato generale ai paragrafi 55 e 56 delle sue conclusioni, di un esercizio effettivo del diritto di recesso e, pertanto, dell'effetto utile della tutela dei consumatori voluta dal legislatore comunitario. 28 Una disposizione del genere, di conseguenza, concerne l'interesse pubblico che, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 20 della presente sentenza, può giustificare un intervento positivo del giudice nazionale al fine di supplire allo squilibrio esistente fra il consumatore e il commerciante nell'ambito dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali. 29 Si deve pertanto considerare che, qualora il consumatore non fosse stato debitamente informato circa il suo diritto di recesso, il giudice nazionale adito può far valere d'ufficio la violazione delle disposizioni dell'art. 4 della direttiva. 30 Ciò posto, al fine di risolvere la questione sottoposta dall'audiencia Provincial de Salamanca, è necessario, in secondo luogo, apportare alcune precisazioni relativamente alle conseguenze derivanti da una siffatta violazione e, più specificamente, dalla possibilità per il giudice nazionale adito di dichiarare la nullità del contratto concluso senza osservare l'obbligo d'informazione di cui trattasi.

5 31 A tale proposito la Corte ha avuto l'occasione di precisare che, se l'art. 4, terzo comma, della direttiva attribuisce agli Stati membri la responsabilità di disciplinare gli effetti del mancato rispetto dell'obbligo d'informazione, i giudici nazionali investiti di una controversia fra singoli, devono, dal canto loro, interpretare, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità della direttiva, il complesso delle norme nazionali per giungere a una soluzione conforme all'obiettivo da essa perseguito (v. in particolare, in tal senso, sentenza 25 ottobre 2005, causa C-350/03, Schulte, Racc. pag. I-9215, punti 69, 71 e 102). 32 In tale contesto va rilevato, da un lato, che la nozione di «misure appropriate per la tutela dei consumatori» cui si riferisce l'art. 4, terzo comma, della direttiva riconosce alle autorità nazionali un margine discrezionale quanto alla determinazione delle conseguenze da trarre dalla mancanza d'informazione, purché questa discrezionalità sia esercitata in conformità dello scopo principale della direttiva al fine di preservare la tutela riconosciuta ai consumatori in condizioni adeguate con riferimento alle circostanze distintive del caso di specie. 33 D'altro lato, occorre parimenti ricordare che la direttiva procede ad un'armonizzazione minima, poiché, stando ai termini dell'art. 8, essa non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato (v., in tal senso, sentenza Hamilton, cit., punto 48). 34 Di conseguenza, una misura, come quella considerata dal giudice del rinvio, consistente nel dichiarare la nullità del contratto controverso può qualificarsi «appropriata», ai sensi del menzionato art. 4, terzo comma, in quanto sanziona l'inosservanza di un obbligo il cui rispetto, come illustrato ai punti 26 e 27 della presente sentenza, è essenziale ai fini della formazione della volontà del consumatore e della realizzazione del livello di tutela voluto dal legislatore comunitario. 35 Va infine precisato che, da un lato, siffatta conclusione non esclude affatto che altre misure possano ugualmente assicurare il livello di tutela in parola, come, ad esempio, la riapertura dei termini applicabili in materia di recesso dal contratto, in modo da consentire al consumatore di esercitare il diritto attribuitogli dall'art. 5, n. 1, della direttiva. D'altro lato, il giudice nazionale adito potrebbe altresì dover tenere conto, in talune circostanze, della volontà del consumatore di non voler far valere la nullità del contratto in discussione (v., per analogia, sentenza 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33). 36 Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono occorre risolvere la questione sottoposta nel senso che l'art. 4 della direttiva non osta a che un giudice nazionale dichiari d'ufficio la nullità di un contratto rientrante nell'ambito di applicazione di tale direttiva a causa della circostanza che il consumatore non era stato informato del suo diritto di recesso, anche qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. Sulle spese 37 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Diritto PQM Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: L'art. 4 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali non osta a che un giudice nazionale dichiari d'ufficio la nullità di un contratto rientrante nell'ambito di applicazione di tale direttiva a causa della circostanza che il consumatore non era stato informato del suo diritto di recesso, anche qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. Note

6 IL POTERE DEL GIUDICE DI RILEVAZIONE DELLA NULLITÀ DI PROTEZIONE Diritto del Commercio Internazionale, fasc.2, 2011, pag. 581 Vincenzo Tinto - Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori 1. Premessa. 2. Le nullità di protezione. 3. La nullità di protezione nel codice del consumo. 4. Le recenti sentenze della Corte di Giustizia. 5. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. Con le due sentenze in commento (1) la Corte di Giustizia è intervenuta in merito al potere del giudice nazionale di rilevazione delle nullità di protezione presenti in contratto. In particolare con tali decisioni i giudici comunitari hanno precisato come, pur esistendo un potere di rilevazione ex officio, tale potere può essere esercitato ogniqualvolta l'invalidità sia accertata secondo i criteri indicati ex lege; sia rilevabile ex actis, ovvero in base agli elementi di fatto e di diritto prodotti dalle parti processuali; non vi sia una esplicita richiesta del consumatore di conservazione della clausola nonostante la rilevata abusività. 2. Le nullità di protezione. La disciplina codicistica sull'invalidità contrattuale ha subito negli ultimi anni una importante evoluzione ad opera dell'ordinamento comunitario. Essa oggi non costituisce più una categoria unitaria ed omogenea ma frammentaria e variegata, tale per cui è oramai nota la formula dottrinale del passaggio, nell'ordinamento giuridico nazionale, dalla nullità alle nullità (2). Tale evoluzione è stata inizialmente possibile in virtù del disposto dell'articolo 1418, comma 3, del codice civile il quale, disponendo che il contratto è nullo «negli altri casi stabiliti dalla legge», ha individuato una soglia di discrezionalità legislativa nella previsione della nullità oltre i casi di nullità virtuale e di nullità testuale previsti nei due precedenti commi dell'articolo Secondo l'orientamento tradizionale, tale discrezionalità era esercitata in casi assolutamente eccezionali e in presenza di una precisa esigenza individuata dal legislatore nei confronti della quale non potevano applicarsi gli altri rimedi previsti in condizioni di patologia contrattuale o di responsabilità precontrattuale. Diversamente, nel corso degli ultimi anni e grazie alla normativa comunitaria, ampia parte della dottrina ha ritenuto che tale omogeneità di disciplina potesse venir meno in considerazione della sempre più avvertita esigenza di tutelare i disequilibri contrattuali dovuti a condizioni di debolezza di una parte rispetto all'altra. Sul punto gli interventi legislativi settoriali (3) sono stati numerosi cosicché la dottrina assolutamente prevalente è pervenuta a due conclusioni essenziali. In primo luogo, è possibile rilevare come l'esigenza di rapporti contrattuali equilibrati non rappresenta più una esigenza discrezionale e settoriale ma un principio di carattere generale dell'ordinamento. In particolare si rinviene l'introduzione di un nuovo concetto di ordine pubblico, c.d. di protezione, in considerazione del quale l'ordinamento giuridico provvede a tutelare determinati soggetti appartenenti allo status del contraente debole e pertanto necessitanti di una specifica tutela da parte del legislatore, anche in considerazione dello sviluppo di un mercato comunitario concorrenziale, trasparente ed efficiente. In virtù di tale orientamento la nullità di protezione è riconducibile non più alla disciplina prevista ex comma 3 ma al comma 1 dell'articolo 1418 del codice civile, così da poter rilevare la nullità sempre e non soltanto qualora vi sia una esplicita disposizione normativa. Sul punto, la dottrina è oggi concorde nel ritenere l'articolo 36 del codice del consumo norma di riferimento in materia di nullità di protezione. In secondo luogo, e ritenendo ammissibile anche una nullità di protezione non solo testuale ma anche virtuale, rispetto ad essa occorre applicare in sede di rilevazione-interpretazione i principi di diritto espressi dalla recente giurisprudenza in tema di distinzione tra norme imperative comportamentali e norme sull'atto con conseguente riconoscimento della nullità solo per queste ultime (4). 3. La nullità di protezione nel codice del consumo.

7 L'articolo 36 del codice del consumo rappresenta, come già affermato, la disciplina di riferimento in tema di nullità di protezione. Tale formulazione ha posto fine ad un ampio dibattito, sorto all'indomani della introduzione nel codice civile dell'articolo 1469-quinques e relativo alla natura giuridica dell'istituto, rispetto al quale la dottrina si era divisa tra coloro che ricollegavano tali clausole nell'alveo della inefficacia e coloro che erano concordi nel ritenere applicabile il regime della nullità. Tre i principi oggi indicati nella disciplina vigente. Innanzitutto sono elencate una serie di clausole (c.d. black list) che, a differenza di quanto stabilito negli articolo 34 e 35 del codice del consumo e nonostante siano state oggetto di trattative individuali, sono considerate comunque vessatorie e pertanto nulle. Chiaro l'intendimento del legislatore il quale individua delle tutele essenziali e non negoziabili nei confronti delle parti rispetto ad altre clausole contrattuali che, se oggetto di trattativa individuale, perdono la loro natura vessatoria. Si afferma inoltre la necessaria parzialità della nullità di protezione. Invero, tale tipo di nullità non è estranea alla disciplina tradizionale poiché già il codice civile prevede ipotesi similari (5) in ottemperanza al principio di conservazione del contratto nel caso in cui la nullità verta su disposizioni contrattuali non essenziali. Con riferimento alla tutela della parte contrattualmente debole, la parzialità della nullità, pur riferendosi a clausole certamente rilevanti ed essenziali per il contratto, presta però una tutela certamente più efficace, rispetto ad una invalidità dell'intero contratto, poiché permette al consumatore di usufruire ugualmente dei beni o dei servizi offerti in contratto ma a condizioni certamente più equilibrate e paritarie rispetto alla originaria pattuizione. Infine, e su questo principio intervengono, precisandolo, le due sentenze in oggetto, è previsto che la nullità opera a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Due gli aspetti problematici. In primo luogo, la dottrina si è divisa in merito alla natura giuridica della nozione di vantaggio nei confronti del consumatore. Difatti, ad una parte minoritaria della dottrina favorevole nel riconoscere una natura prettamente sostanziale a tale assunto, si contrappone altra e prevalente dottrina che afferma invece una valenza sia sostanziale che processuale. Diverse le conseguenze aderendo all'una o all'altra tesi. Secondo la tesi sostanziale entrambe le parti processuali hanno piena legittimazione nel rilevamento della nullità al fine di una tutela non solo dell'interesse privato del consumatore ma del mercato in generale. Diversamente, aderendosi alla dottrina maggioritaria, l'esigenza di evitare condotte arbitrarie della parte contrattuale forte non può non comportare una legittimazione riservata in favore del consumatore, sia rispetto agli esiti sostanziali che in merito all'iniziativa processuale, poiché solo costui può valutare se, e quando, la propria posizione sia di inferiorità o abbia subito condotte di approfittamento da parte del contraente non consumatore. In secondo luogo, è previsto il potere di rilevazione della nullità ad opera del giudice senza però indicarne i limiti e le modalità. Sul punto la dottrina ha ampiamente dibattuto se tale potere deve essere interpretato come una facoltà o un obbligo di intervento e se esso sia incondizionato o legato al solo caso in cui si perviene ad una utilità vantaggiosa per il contraente debole in aderenza alla finalità protettiva dell'intera disciplina consumistica. In particolare, si ritiene come tale potere può essere esercitato ogni qualvolta al consumatore possa derivare un esito processuale favorevole in virtù di elementi che, a causa della sua condizione di debolezza, egli non sia stato in grado di eccepire o rilevare in processo pur risultando ciò ex actis. 4. Le recenti sentenze della Corte di giustizia. Con le sentenze in commento, la Corte di Giustizia è intervenuta in tema di potere di rilevamento della nullità di protezione da parte del giudice ribadendo la sussistenza di un siffatto potere e, inoltre, specificando i caratteri e le modalità con cui tale potere deve essere esercitato. I principi enunciati dalla Corte sono molteplici. Riguardo alla prima sentenza i giudici europei, interpellati dal giudice ungherese in merito all'interpretazione dell'articolo 6 n. 1 della direttiva 93/13 in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, affermano tre principi in materia. In primo luogo la Corte ha precisato che, essendo fondato l'istituto della nullità di protezione sull'idea che il consumatore si trovi in una condizione di inferiorità rispetto al professionista, deve

8 ritenersi obbligatorio l'intervento giudiziale ogni qualvolta il consumatore-parte processuale non abbia eccepito o rilevato l'abusività. Difatti, egli ben potrebbe non aver rilevato l'abusività della clausola perché ignora i suoi diritti o dissuaso dal farli valere a causa di spese processuali eccessive. In tal senso la natura e l'importanza dell'interesse pubblico di protezione, volte ad assicurare una tutela piena ed effettiva alla parte contrattualmente debole, giustificano un intervento ex officio del giudice (6) non limitato alla sola rilevazione ma esteso all'esame effettivo e puntuale dell'intera vicenda contrattuale. In secondo luogo, i giudici affermano che la rilevazione ex officio deve essere compiuta soltanto quando l'abusività è evidente in relazione: alle caratteristiche della stessa, secondo i criteri previsti per legge; alla redazione della clausola da parte del solo professionista senza che sia occorsa una trattativa individuale; agli elementi di fatto e di diritto indicati nel processo dalle parti. Per cui il potere del giudice è ampio ma limitato agli atti processuali prodotti dalle parti in giudizio, non potendo comportare una attività di vera e propria indagine da parte del giudice stesso oltre il processo. In terzo luogo, e prima di provvedere a dichiarare la nullità della clausola abusiva riscontrata in contratto, il giudice dovrà chiedere al consumatore se intende conservare la clausola stessa lasciando quest'ultimo libero di scegliere se avvalersene o dichiarare la nullità, ciò in aderenza alla ratio complessiva della disciplina che cerca di contemperare il principio di tutela della parte debole con il principio di conservazione del contratto. Sul punto la Corte è intervenuta anche con la seconda sentenza in commento. In questa pronuncia la Corte di Giustizia, interpellata da parte di un giudice spagnolo in relazione all'interpretazione dell'articolo 4 della direttiva 85/577 in materia di contratti con i consumatori negoziati fuori dai locali commerciali, ha rilevato come l'intervento ex officio del giudice rappresenta una eccezione alla regola generale. Difatti, l'iniziativa nel processo spetta soltanto alle parti, secondo il principio della domanda e il giudice può pronunciarsi solo in relazione, e nei limiti, di quanto richiesto dalle parti stesse, non potendo estendere l'oggetto della domanda che ingenererebbe un vizio di ultrapetizione e di non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex articolo 112 del codice di procedura civile. Il giudice può agire ex officio solo in presenza di norme imperative poste a tutela di interessi generali, quale ad esempio l'obbligo di informazione, previsto dalla normativa oggetto della pronuncia della Corte, in cui un intervento attivo del giudice può giustificarsi al fine di supplire allo squilibrio esistente tra il consumatore e il professionista. Tale potere incontra però un importante limite. Il giudice nazionale può pronunciare la nullità solo se il consumatore esprime la sua volontà in tal senso, potendo solo costui valutare la convenienza di una tale decisione. 5. Considerazioni conclusive. In conclusione con tali pronunzie la Corte di Giustizia ha definito nitidamente le caratteristiche, le modalità e i limiti del potere di rilevazione della nullità di protezione da parte del giudice nazionale. Rimane, tuttavia, un ultimo aspetto su cui sia la normativa di settore che la giurisprudenza, nazionale e comunitaria non hanno ancora statuito in modo esplicito, ovvero se in presenza di un consumatore contumace nel processo il giudice, pur avendo rilevato l'esistenza della clausola abusiva, può statuire in merito alla invalidità della stessa nonostante la non espressa volontà della parte tutelata. Sul punto due sono le posizioni sorte in dottrina. Una prima tesi, favorevole a una interpretazione strettamente letterale della norma di riferimento, ritiene che il potere ex officio del giudice sia limitato alla mera rilevazione della abusività, non potendosi estendere lo stesso nel dichiarare la nullità della clausola in assenza di una volontà precisa del consumatore. Secondo l'altra tesi, che fa proprio un criterio ermeneutico teleologico e non letterale della norma, è possibile ammettere un sindacato di nullità ad opera del giudice. Difatti, la stessa Corte di giustizia nella sentenza del 4 giugno 2009, C-243/08, precisa che «la tutela prevista a favore dei consumatori (...) si estende ai casi in cui il consumatore (...) si astenga dal dedurre l'abusività di detta clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un'azione giudiziaria comporterebbe». Da quanto indicato è possibile dedurre il principio per cui il potere del

9 giudice di rilevamento della nullità di protezione permanga anche in presenza di un consumatore contumace o assente o silente, poiché costui, ad esempio, ha deciso di non costituirsi in giudizio a causa delle spese processuali o per altre cause che, in concreto, limitano fortemente le finalità della normativa posta a tutela del consumatore. Note: (1) Corte di Giustizia, sez. IV, 4 giugno 2009, C-243/08 pubblicata in GU C-180 del 01 agosto 2009, pag. 19 e Corte di Giustizia, sez. I, 17 dicembre 2009, C-227/08 pubblicata in GU C-51 del 27 febbraio 2010 pag. 7. (2) F. Caringella-L. Buffoni, Manuale di diritto civile, DIKE giuridica, pag. 805 e ss. (3) Con riferimento alla tutela del consumatore il legislatore è intervenuto dapprima con legge 52 del 1996, che introduceva nel codice civile gli articoli dal 1469-bis al 1469-sexies, e oggi con il Codice del consumo previsto con il decreto legislativo 206 del Con riferimento alla tutela del contraente professionista debole, il legislatore è intervenuto dapprima con legge 192 del 1998 in tema di subfornitura e con il decreto legislativo 231 del 2002 in tema di transazioni commerciali. Parte della dottrina ritiene, inoltre, come potessero già in passato individuarsi casi di nullità di protezione nella Legge 1089 del 1936 sui beni di interesse storico e artistico; nella Legge 633 del 1941 sul contratto di edizione a termine; nella Legge 201 del 1982 in materia di contratti agrari. (4) Cassazione, Sezioni Unite, del 19 dicembre 2007 n (5) Si fa riferimento all'articolo 1419, comma 2, del codice civile. (6) Sul punto i giudici europei si erano già espressi in tal senso con la sentenza del 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mostanza Claro, in Racc. pag. I Utente: Univ. di Bari Facolta Giurisprudenza Univ. di Bari Facolta Giurisprudenza Copyright Giuffrè Tutti i diritti riservati. P.IVA

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