Le dinamiche economiche della provincia di Napoli nel 2014 e le prime prospettive per il 2015

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1 Le dinamiche economiche della provincia di Napoli nel 2014 e le prime prospettive per il Luglio

2 Il presente lavoro è stato realizzato dall Unione regionale delle Camere di commercio campane e dalla Camera di Commercio di Napoli, in collaborazione con l Istituto Guglielmo Tagliacarne. Gruppo di lavoro Istituto Guglielmo Tagliacarne Domenico Mauriello, Direttore Giacomo Giusti, Responsabile Ufficio di Statistica Francesco Licciardo, Ricercatore 2

3 INDICE 1 Lo scenario economico nazionale e internazionale (*) L economia della provincia di Napoli nel Nuove linee di sviluppo: l economia del mare Nuove linee di sviluppo: l'economia della cultura Nuove linee di sviluppo: la green economy Il ruolo della provincia di Napoli nell'agroalimentare La digitalizzazione delle imprese campane I segnali del mercato del credito Prime tendenze per il 2015: L'evoluzione della base imprenditoriale Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore manifatturiero e previsioni per il secondo Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore dei servizi e delle costruzioni e previsioni per il secondo I recenti trend del mercato del lavoro e l'andamento della Cassa Integrazione Guadagni L inizio del 2015 del commercio estero napoletano

4 1 Lo scenario economico nazionale e internazionale (*) (*) Il presente capitolo è integralmente tratto dal Rapporto Unioncamere 2015 "Alimentare il digitale - Il futuro del lavoro e della competitività dell'italia" presentato a Roma il 21 maggio

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6 Nel 2014, la crescita economica a livello mondiale ha confermato la performance dell anno precedente, attestandosi al+3,4% come sintesi di un lieve aumento della crescita delle economie avanzate e di un rallentamento di quelle dei paesi emergenti e in via di sviluppo (4,6%, contro il 5% dell anno precedente). In particolare, i Paesi dell area euro hanno invertito la tendenza negativa riscontrata nel 2013, evidenziando, tuttavia, una crescita (+0,9%) ancora inferiore a quella degli Stati Uniti (+2,4%) e del Regno Unito (1,7%); in controtendenza l economia italiana, ancora in fase recessiva (-0,4%) seppur in miglioramento rispetto all anno precedente. Variazioni del Prodotto Interno Lordo in termini reali Consuntivi Anni 2013 e 2014 e previsioni anni 2015 e 2016 Paese Economie avanzate 1,4 1,8 2,4 2,4 - di cui: Stati Uniti 2,2 2,4 3,1 3,1 Area Euro -0,5 0,9 1,5 1,6 Mercati emergenti ed Economie in via di sviluppo 5,0 4,6 4,3 4,7 - di cui: Russia 1,3 0,6-3,8-1,1 Cina 7,8 7,4 6,8 6,3 Mondo 3,4 3,4 3,5 3,8 Fonte: FMI - World Economic Outlook Nei primi mesi del 2015,lo scenario economico presenta molteplici elementi di novità a sostegno della crescita. L area euro vedrà un deciso miglioramento rispetto all anno precedente (+1,5%), pur restando ancora ben al di sotto di quanto previsto per gli Stati Uniti (+3,1%); meno incisivo e con trend contrastanti continuerà ad essere l andamento nei paesi emergenti, e nei cosiddetti BRIC in particolar modo, elemento che porterà la crescita complessiva a livello mondiale ad un +3,5% annuo. In Italia, agli auspici di un recupero trainato dal ciclo internazionale si vanno affiancando stimoli più concreti delle politiche monetarie e di bilancio in grado di imprimere un abbrivio alla domanda interna. A questo sostegno si aggiungono altri mutamenti di portata eccezionale, quali il dimezzamento delle quotazioni del petrolio e il deprezzamento del cambio dell euro. Con una decisione approvata dal Consiglio direttivo lo scorso 22 gennaio, la Banca centrale europea (Bce)ha varato un programma di acquisto di titoli emessi dagli Stati e da altre istituzioni europee, di titoli oggetto di cartolarizzazioni e di obbligazioni garantite. Il programma, che ha ad 6

7 oggetto solo titoli negoziati sul mercato secondario (escluse, dunque, le nuove emissioni) impegnerà 60 miliardi di euro al mese e durerà, nelle intenzioni, sino al settembre Nei diciannove mesi di durata del programma l Italia beneficerà di acquisti di titoli del debito pubblico per 130 miliardi di euro, un volume corrispondente a circa il 9% del nostro Pil. L iniziativa, che ha visto i primi acquisti nel mese di marzo, configura nei fatti una monetizzazione del debito pubblico che proseguirà sino a quando le attese d inflazione non si riporteranno verso valori inferiori ma prossimi al 2%.L avvitamento tra bassa crescita e deflazione dovrebbe dunque essere scongiurato. La decisione della Bce presenta una serie di benefici congiunti per l economia italiana: la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato favorirà risparmi nella spesa per interessi, liberando spazi di manovra nel bilancio pubblico; la discesa dei rendimenti contribuisce poi a rinforzare il patrimonio delle banche e a ridurre il costo della raccolta di fondi da parte di queste ultime, che dovrebbe tradursi anche in maggiore disponibilità di risorse per concedere più credito e a condizioni economiche più vantaggiose a famiglie e imprese. La politiche espansiva contribuirà poi a rivalutare le attività, finanziarie e reali, generando effetti ricchezza e un sostegno indiretto alla domanda interna. Un ulteriore beneficio del nuovo programma di politica monetaria è offerto dall indebolimento della moneta comune, con un euro sceso a minimi decennali, sotto 1,10 dollari: un deprezzamento del 15% rispetto ai livelli dell ultimo biennio che potrà aiutare la ripartenza delle esportazioni, in particolare verso il continente americano, e al contempo sostenere l inflazione, attraverso un aumento dei prezzi dei prodotti importati. Cambio dollaro-euro Evoluzione dal 2008 al 2015 Fonte: elaborazioni Unioncamere e REF Ricerche su dati Thomson Reuters Datastream 7

8 Banca d Italia ha stimato che il programma di acquisto di titoli pubblici potrà offrire all Italia un sostegno di 1,4 punti di Pil nel biennio , e favorire una maggiore inflazione al consumo di 0,5 punti percentuali. Per le significative implicazioni che produce in termini di livello generale dei prezzi, un ulteriore sostegno alla ripartenza del ciclo economico è dato dalla discesa delle quotazioni del petrolio. Tra l estate del 2014 e i primi mesi del 2015,la quotazione del barile è passata da oltre 100 dollari a dollari. Diversi sono gli elementi che contribuiscono a spiegare il forte calo delle quotazioni. Da un lato, la flessione della domanda aggregata mondiale, favorita dal rallentamento delle economie emergenti e dalle prospettive di contenimento delle emissioni inquinanti da combustibili fossili al centro del recente accordo Stati Uniti-Cina sul clima; dall altro, l espansione dell offerta di petrolio statunitense, che beneficia dei progressi tecnologici nell estrazione ( ShaleOil ) e di un livello adeguato delle scorte: l Agenzia internazionale dell energia ha recentemente stimato in una misura compresa tra 1,6 ed 1,8 milioni di barili al giorno la capacità produttiva non utilizzata. Il beneficio per l economia italiana dal ribasso dei costi del petrolio è quantificabile in 10 miliardi in meno per la bolletta energetica e potrà favorire un recupero del potere d acquisto delle famiglie di circa un punto percentuale. Al miglioramento dello scenario congiunturale europeo sul versante interno si sommano alcune novità di rilievo che contribuiscono a consolidare il rasserenamento in atto. Il 2015 è atteso beneficiare di un inversione di segno della politica di bilancio pubblico, che potrà offrire un sostegno al reddito disponibile delle famiglie. Le misure previste dalla Legge di Stabilità per le famiglie (tra le quali la conferma del bonus fiscale degli 80 euro, la possibilità di smobilizzo del Tfr e il sostegno alla natalità), oltre agli interventi in favore delle imprese, tra i quali gli sgravi contributivi triennali e l abolizione dell Irap sul lavoro, configurano una discontinuità rispetto alle politiche di austerità degli ultimi anni. Come si vedrà in dettaglio più avanti in questo Rapporto, i recenti provvedimenti di riforma del mercato del lavoro ( Jobs Act ) sembrano altresì offrire garanzie di maggiore flessibilità, che unite ai provvedimenti di decontribuzione triennale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato, potranno favorire la conversione di contratti di lavoro precario in contratti a tempo indeterminato. Più incerti sembrano, tuttavia, essere gli effetti del provvedimento sull occupazione, atteso che per il 2015 questi ultimi appaiono legati più alla ripartenza del Pil che all esito delle riforme. Il complesso delle misure descritte, unitamente alla discesa delle quotazioni petrolifere, configura un sensibile slancio per il potere d acquisto delle famiglie, che potrà mettere a segno progressi anche superiori al punto e mezzo percentuale nel E ancora presto per valutare il successo dell insieme delle politiche economiche nell assicurare un ritorno alla crescita, anche se la positiva accoglienza da parte di famiglie e imprese sembra suggerire che le misure vanno nella direzione da più parti auspicata. 8

9 In effetti, i primi mesi del 2015 restituiscono uno scenario all insegna di un maggiore ottimismo: il recupero della fiducia ha assunto dimensioni apprezzabili tra le famiglie e le imprese. Le prime si sono recentemente portate a livelli che non si registravano da oltre un decennio, con giudizi più lusinghieri sulla situazione economica del paese, una diminuzione dei timori di disoccupazione e maggiore fiducia nel futuro, pur continuando a lamentare difficoltà a quadrare il bilancio familiare. Tra le imprese, il miglioramento della fiducia è più cauto ma comunque presente, in particolare tra quelle operanti nei servizi di mercato e nel commercio al dettaglio, con progressi più limitati per la manifattura, e difficoltà ancor non superate di natura occupazionale e prospettica per il settore delle costruzioni. Il più contenuto ottimismo manifestato dagli imprenditori del manifatturiero sembra essere la diretta conseguenza di segnali contrastanti che provengono dall'andamento della produzione industriale e delle esportazioni. Se, infatti, l'indice tendenziale del mese di marzo - corretto per tener conto degli effetti del calendario - evidenzia una decisa spinta in avanti rispetto al corrispondente mese del 2014 (+1,5%), il valore basato sul complesso dei primi tre mesi sconta gli effetti di un mese di gennaio estremamente negativo e di un febbraio in cui certamente non si riscontravano ancora decisi cenni di ripresa, collocandosi per un decimale al di sotto dell'analogo valore dell'anno Va però detto che, all'interno di questo complessivo andamento, si distinguono in senso positivo i beni di consumo, il cui confronto fra primo trimestre 2015 e analogo periodo 2014 vede una crescita dello 0,3%, sostenuta in particolare dal +0,6% del capitolo dei beni non durevoli, a fronte di una discesa molto netta di quelli durevoli (che hanno subito una significativa contrazione del 2%). Anche sul versante delle esportazioni, il 2015 sembra scontare la partenza lenta del mese di gennaio. Infatti, il bilancio dei primi due mesi di quest'anno, a confronto con l'analogo periodo dello scorso anno, è (nonostante una crescita fra febbraio 2014 e febbraio 2015 del 3,7%), lievemente negativo per un decimo di punto. Si conferma l'ottimo momento del comparto dei mezzi di trasporto per le vendite all estero (+19,7%), trascinato in particolare dagli autoveicoli, che hanno fatto segnare un vero e proprio boom (+27,4%) in conseguenza della decisa ripartenza delle immatricolazioni su scala europea che vede il nostro Paese ai vertici europei dopo la Spagna. Va però detto che, di fatto, questa è l'unica voce che mostra significativi passi in avanti. Per quasi tutti gli altri comparti merceologici, la situazione può invece definirsi stazionaria, ad eccezione dell'agricoltura (che ha messo a segno un ottimo +6,3%), dei mobili (+3,1%) e dell alimentare (+1,8%). Non va però dimenticato che sia l andamento della produzione industriale, sia quello delle esportazioni possono essere condizionati (si spera solo temporaneamente) dal blocco operato dalla Russia nel comparto agroalimentare per i beni provenienti dai Paesi che hanno imposto o appoggiato le sanzioni dopo la crisi in Ucraina (vale dire i paesi dell Unione Europea, gli Stati Uniti di America, Canada, Australia, Giappone, Svizzera e Corea del Sud). Gli effetti di questo blocco (che dovrebbe durare fino al prossimo mese di agosto) sono evidenti. L export italiano verso la Russia 9

10 (che ha un valore economico complessivo di circa 615 milioni di euro nel 2014 e oltre 700 nel 2013) nei primi due mesi dell anno ha subito una contrazione in termini economici di circa un terzo, al quale si aggiungono anche pesanti perdite nell ambito dei Paesi del cosiddetto Mercosur (di fatto l America Meridionale) e l Africa settentrionale. Fortunatamente, il quadro si è quasi totalmente riequilibrato grazie a un vero e proprio boom delle vendite negli Stati Uniti (avvantaggiate probabilmente dal miglioramento del cambio euro-dollaro), che ha interessato un po' tutti i prodotti del manifatturiero. Anche i più recenti dati relativi al mese di marzo confermano e, anzi, accentuano l ottimo stato di salute dell export italiano verso i paesi al di fuori dei confini dell Unione Europea. Il bilancio complessivo dei primi tre mesi dell anno, messi a confronto con l analogo periodo del 2014,evidenziano una crescita del 6,1% (a fronte di un bilancio di +2% dei primi due mesi), con una maggiore accentuazione della crescita delle vendite negli Stati Uniti (la cui variazione oramai veleggia verso il 40%) e nel Medio Oriente, cui si aggiungono alcuni primi segnali di miglioramento nei confronti dei Paesi del Mercosur, pur in un contesto ancora fortemente negativo. Inoltre, si segnala un recupero anche dei mercati finanziari, sull onda del nuovo programma di acquisto di titoli da parte della Bce: le quotazioni di Borsa dai minimi di gennaio hanno segnato un progresso vicino al 30% e anche il rendimento dei titoli di Stato decennali è sceso a nuovi minimi storici, poco sopra il punto percentuale. Per l insieme delle considerazioni espresse, il quadro dell economia italiana nel 2015 sembra volgere in questi mesi al sereno. Le previsioni più recenti per il nostro Paese evidenziano una prima timida ripresa già nel corso di questo 2015, valutabile in una forbice compresa fra lo 0,5% dichiarato dal Fondo Monetario Internazionale nell'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook e lo 0,7% stimato dal Governo nel Documento di Economia e Finanza (DEF) e dall'istat nel documento di prospettiva dell'economia italiana rilasciato lo scorso 7 maggio. Ripresa che si dovrebbe poi ulteriormente sedimentare sia nel corso del 2016 che del 2017, con incrementi annui intorno all'1,1-1,3%. Le previsioni dell'economia italiana Variazioni % rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente Variabili di riferimento * 2016* Prodotto interno lordo -0,4 0,7 1,1 Consumi delle famiglie 0,3 0,6 0,7 Tasso di disoccupazione 12,5 12,5 12,3 Reddito reale disponibile 0,7 1,7 1,2 Fonte: stime Unioncamere e REF Ricerche * Previsioni Considerata la congiunzione eccezionale di fattori che agiscono in sostegno della crescita, il 2015 rappresenta, pertanto, un occasione di rilancio della domanda interna che non va sprecata. 10

11 Come già accennato, le indicazioni sui primi mesi dell anno suggeriscono un recupero delle immatricolazioni di autoveicoli, con un progresso sia dalle componente privata (+7.4% nei primi tre mesi) sia dei veicoli commerciali (+6.6%). Il bene durevole, a lungo penalizzato dal rinvio degli acquisti (e, come visto, ancora in difficoltà), rappresenta in questa fase la direzione più promettente per una ripartenza dei consumi, sostenuto dai bassi tassi di interesse e dalla ripartenza del credito al consumo. E in tal senso anche il mercato immobiliare sembra evidenziare qualche segnale di ripresa come testimoniato dal fatto che nel primo trimestre 2015 il saldo tra le quote di agenzie che esprimono giudizi favorevoli e sfavorevoli relativi al mercato in cui opera l agenzia ha raggiunto i livelli massimi dal Segnali positivi sono da evidenziare anche sul fronte delle vendite al dettaglio di generi di largo consumo intermediate dalla Grande Distribuzione e dalla Distribuzione Organizzata (GDO): dopo un biennio di forte contrazione, nei primi mesi del 2015 i volumi di vendita hanno guadagnato terreno (+2.2%), sostenendo anche un consolidamento del giro d affari degli operatori del settore. Vendite nella GDO a volume Vendite nella GDO a volume Variazioni % tendenziali Variazioni % tendenziali * * Progressivo gennaio-febbraio 2015 Fonte: Fonte: elaborazioni Unioncamere e REF e REF Ricerche Ricerche su dati su IRI dati IRI * progressivo gennaio-febbraio 2015 Nei prossimi mesi rimane, pur tuttavia, da valutare la misura in cui il recupero del reddito disponibile che sta materializzandosi verrà effettivamente consumato, ovvero risparmiato per fare fronte alle incertezze del futuro. Una scelta nella quale un ruolo decisivo sarà giocato dai segnali che giungeranno dal bilancio pubblico e dalla credibilità delle politiche di revisione della spesa (Spending Review) e di discesa della pressione fiscale. Per queste ragioni, il cammino dei consumi rimane condizionato dall eventualità di un aumento delle imposte indirette: la Legge di Stabilità 2015, a salvaguardia del pareggio di bilancio, ha infatti previsto un nuovo aumento dell Iva qualora i risparmi di spesa non dovessero essere raggiunti. 11

12 L esercizio della cosiddetta clausola di salvaguardia postula un aumento di due punti dell aliquota Iva ridotta (dal 10 al 12%) e ordinaria (dal 22 al 24%), a partire dal 1 gennaio Un percorso che si completa con un innalzamento delle aliquote di un punto percentuale anche nel 2017 (dal 12 al 13% e dal 24 al 25%) e, ancora, con un aumento di mezzo punto percentuale dell aliquota ordinaria dell Iva nel La dimensione dei risparmi che vanno trovati nel bilancio pubblico (12,8 miliardi di euro nel 2016, ulteriori 6,4 miliardi nel 2017 e 2 miliardi nel 2018) è tale da lasciare presagire che, in assenza di adeguate risposte, le ripercussioni sul potere d acquisto vanificherebbero ogni recupero dei consumi. In ogni caso, le previsioni fin qui formulate non devono far dimenticare due aspetti. Il primo di questi è legato al fatto che si tratta comunque ancora di una "crescita lenta", ovvero inferiore- e talvolta non di poco - rispetto non solo a quanto si prevede possa accadere per l'area euro ma anche al cospetto di quei paesi dove la crisi ha colpito con maggiore intensità, come ad esempio la Spagna. L'altro aspetto da non dimenticare è che - anche se le previsioni attualmente formulate fino al 2017 dovessero essere confermate in pieno - la nostra economia si collocherebbe ancora a fine 2017 su livelli decisamente inferiori rispetto a quelli del 2011, con ancora sei punti percentuali da recuperare rispetto all'ultimo anno prima della crisi, ovvero il È evidente, quindi, che queste prospettive, pur confortanti, non dovrebbero portare benefici particolarmente significativi con riferimento a quella che può essere definita in questo momento come una delle principali emergenze del Paese, ovvero quella occupazionale. Come si vedrà in dettaglio più avanti nel presente Rapporto, il fronte del lavoro avrà dei segnali di miglioramento graduali che, tuttavia, potranno portare al massimo a una contrazione nell ordine di pochi decimi di punto percentuale del tasso di disoccupazione nel prossimo futuro. Se le previsioni di cui abbiamo parlato fino a questo momento dovessero confermarsi, ci troveremmo quindi a fine 2017 in una situazione in cui il Pil si colloca intorno ai valori del 2009 e la disoccupazione vicino a quelli osservati nel Appare evidente, quindi, l'esistenza di un lag temporale tra andamento del Pil e della disoccupazione, che può essere spiegato primariamente con il fatto che le componenti che saranno maggiormente interessate dalla ripresa dell'attività produttiva sono costituite primariamente da quel consistente insieme di cassa integrati, che - vale la pena ricordarlo - non sono definibili come disoccupati dalle statistiche sul mercato del lavoro. Con il rischio che le prospettive sopra illustrate possano portare a una "ripresa senza (o con poca) occupazione". 12

13 2 L economia della provincia di Napoli nel

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15 Per la macro-area del Mezzogiorno, il 2014 ha rappresentato il quarto anno consecutivo di recessione. Le debolezze strutturali ed infrastrutturali dell area non hanno permesso di cogliere i segnali positivi connessi alla ripresa del ciclo economico internazionale, diversamente da quanto avvenuto nel resto del Paese. Rispetto al 2013, quindi, il Mezzogiorno registra un andamento del valore aggiunto 1 (-1,1%) di segno opposto alla crescita, seppur contenuta, osservata per l Italia nel suo complesso (+0,2). In tale scenario, l economia della Campania non si è distinta dalla macroarea di riferimento, facendo rilevare un identico calo della ricchezza prodotta. Tuttavia, se per il contesto del Mezzogiorno la decrescita si inserisce in un trend di declino che si protrae da alcuni anni, per la Campania il 2014 ha rappresentato il primo anno con segno negativo dal 2011, in quanto, nonostante la crisi generalizzata dell intero Paese, negli anni 2012 e 2013 l andamento del valore aggiunto regionale si è sempre mantenuto positivo (+0,6% e +0,8%). Variazioni % del valore aggiunto a prezzi base e correnti fra 2013 e 2014 nelle province campane, regione Campania, Sud e Isole e Italia. 0,5 0,0 0,2-0,5-0,4-1,0-1,5-1,3-1,1-1,1-2,0-2,5-2,0-2,1-2,2 Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Fonte: Elaborazione su dati Istituto Guglielmo Tagliacarne Inoltre, il calo dell ultimo anno ha di fatto quasi completamente vanificato i progressi, in termini di valore assoluto, del biennio precedente: il valore aggiunto del 2014 risulta superiore di appena lo 0,3% rispetto a quanto misurato nel La dinamica di medio periodo resta comunque incoraggiante se comparata sia con il dato nazionale (-0,8%) che con quello,particolarmente negativo, della macro-area di riferimento (-3,7%). Restringendo l analisi alle singole realtà campane,si rileva che l arretramento riscontrato per il 2014 ha riguardato tutte le province, seppur con livelli di intensità differenti. In particolare, mentre nell area di Napoli, che continua a 1 Si parla di variazioni del valore aggiunto a prezzi correnti. Pertanto tali variazioni contemplano al loro interno anche la dinamica dei prezzi 15

16 sperimentare un andamento altalenante delle sue dinamiche di sviluppo, la decrescita è stata contenuta (-0,4%), negli altri territori la fase recessiva si è manifestata in modo marcatamente negativo (Caserta:-2,2%; Avellino: -2,1%; Salerno: -2%; Benevento: -1,3%). Le peculiarità del capoluogo rispetto alle altre province risultano più evidenti se si considera il periodo : in tale arco temporale il valore aggiunto partenopeo è cresciuto dell 1,8%, condizionando positivamente il dato complessivo della Campania, che si attesta al +0,3%. Al contrario,nello stesso periodo, la perdita di ricchezza è risultata molto consistente a Caserta (-2,9%) e Benevento (-3,4%) e più limitata, benché significativa, in provincia di Salerno (-0,9%). Soltanto Avellino ha conservato il segno positivo (+0,4%), seppur fortemente penalizzato dall andamento del In termini di valore aggiunto pro-capite tali dinamiche hanno determinato per la Campania un peggioramento in valore assoluto, ma un miglioramento della propria posizione nella graduatoria nazionale stilata per questo indicatore. Nello specifico,il valore aggiunto pro-capite campano si è ridotto di 221 euro passando dai euro del 2011 ai del 2014 (-1,5%); l entità del calo è più consistente se si osserva la variazione tra il 2014 e il 2013 che si è attestata al -1,9%. In termini relativi, tuttavia, la Campania ha guadagnato qualche posizione nella graduatoria nazionale passando, tra il 2012 e il 2013, dalla 19-esima alla 17-esima posizione e, ancora, nell ultimo anno alla 16-esima. Il deficit, rispetto alla media del Paese, permane comunque evidente: il valore aggiunto campano nel 2014 è pari ad appena il 62,5% di quello nazionale. Disaggregando i dati per provincia emerge un divario significativo tra il capoluogo partenopeo ed il resto del territorio regionale. Nell area della provincia di Napoli, nel 2014, il valore aggiunto procapite si attesta a euro, oltre 800 euro in più di Avellino, seconda provincia campana per valore aggiunto pro-capite. Nello specifico, considerato 100 il dato di Napoli, seguono Avellino (93,3), Salerno (90,4), Benevento (85,6) e Caserta (82,8).In rapporto al resto delle province italiane, tutti i capoluoghi della Campania si collocano in posizioni piuttosto arretrate, comprese tra l 81-esimo posto di Napoli e il 104-esimo di Caserta, tra l altro unica realtà campana ad aver peggiorato la propria posizione rispetto al Estendendo il campo di analisi al medio periodo ( ), occorre constatare come tutte le province campane abbiano riscontrato miglioramenti nella graduatoria nazionale, sebbene particolarmente degni di nota solo per Avellino, passata dal 93-esimo all 85-esimo posto, unica realtà a registrare una crescita, seppure di appena 87 euro, del valore aggiunto pro-capite (Napoli: -101 euro). La diversa dinamica osservata tra Napoli e le altre province campane trova una sua giustificazione nella composizione settoriale del valore aggiunto, che caratterizza il modello economico partenopeo. In particolare, nel capoluogo campano si osserva un livello piuttosto alto di incidenza dei servizi derivante chiaramente dalla forte presenza di attività legate alla Pubblica Amministrazione: il contributo del terziario (commercio e altri servizi) al valore aggiunto complessivo era, nel 2013, pari all 84,3%, quasi dieci punti in più della media nazionale (74,4%). Il peso dei servizi e delle attività commerciali è, invece, più basso nelle altre aree della regione, oscillando tra i circa tre quarti di Salerno (76,9%), Caserta (76%) e Benevento (75,7%) ed il 70,7% di 16

17 Avellino. Al contrario, l area napoletana risulta quella a più bassa intensità industriale: nel 2013 appena il 14,7% della ricchezza prodotta era ascrivibile all industria in senso stretto e alle costruzioni (Campania 16,7%; Mezzogiorno: 17,2%; Italia 23,3%). L importanza del settore industriale è superiore alla media nazionale ad Avellino (25,7%), mentre risulta piuttosto in linea con quanto riscontrato per il Mezzogiorno a Caserta (18,4%), Salerno (17,7%) e Benevento (17,4%). Infine, il diverso profilo della provincia di Napoli rispetto al resto della Campania in termini di creazione di ricchezza si conferma in relazione all incidenza dell agricoltura: nel capoluogo partenopeo il comparto primario contribuisce ad appena l 1% del valore aggiunto (Campania: 2,9%; Italia 2,3%). Nelle aree di Benevento (6,9%), Caserta (5,6%) e Salerno (5,4%) l importanza del settore agricolo è più accentuata di quanto si osservi per la macro-area di riferimento (4,2%), mentre scende al 3,6% in provincia di Avellino. I segnali della ripresa economica, non immediatamente riscontrabili attraverso l esame del valore aggiunto, sembrano emergere in maniera più netta osservando le dinamiche di impresa. Al 2014, il saldo tra imprese iscritte e cessate in Campania è risultato positivo e pari a unità, determinando un tasso di crescita dell 1,06%, superiore a quanto rilevato per l Italia (0,53%) e per il Mezzogiorno (0,62%). È in provincia di Napoli che si registra il più alto livello di iniziativa imprenditoriale: nel capoluogo partenopeo, infatti, si è manifestato il tasso di incremento più rilevante tra le cinque province, pari all 1,50%. La positiva dinamica d impresa appare estesa anche alla limitrofa Caserta (+1,13%), mentre non sembra interessare le due province più interne, Avellino (+0,35%) e Benevento (-0,08%), dove l intensità dell incremento è inferiore alla macroaree di riferimento (Mezzogiorno: +0,62%). Infine, Salerno (+0,59%) si colloca in una posizione intermedia, lievemente superiore al dato nazionale. Nati-mortalità delle imprese nelle province della Campania - Anno 2014 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere-InfoCamere, Movimprese La distribuzione delle imprese sul territorio regionale si rivela fortemente concentrata: a Napoli, nel 2014, ha sede il 49% delle unità produttive. La rimanente parte è prevalentemente collocata nelle province di Salerno (21,1%) e Caserta (16%), mentre è minore l incidenza sul totale delle aziende avellinesi (7,8%) e di quelle beneventane (6,1%). Estendendo il campo di analisi al medio periodo, si può affermare che la crisi economica non ha inciso sulla ripartizione delle imprese tra le 17

18 province. A ben vedere, rispetto al 2009, le variazioni risultano piuttosto marginali: l incidenza di Napoli è passata dal 48% al 49%, mentre quella di Caserta, in modo quasi impercettibile, dal 15,8% e 16%. Il peso relativo delle altre tre province è, invece, calato nella misura dello 0,5% a Salerno ed Avellino e dello 0,3% a Benevento. Con riferimento al medesimo arco temporale, risulta più interessante il confronto sul numero di imprese registrate tra la Campania e le ripartizioni territoriali di raffronto. Se a livello nazionale e per il Mezzogiorno le imprese registrate sono diminuite, tra il 2009 e il 2014, rispettivamente dello 0,7% e dello 0,8%, in Campania, invece, si sono accresciute passando da a unità (+2,8%). A determinare tale variazione in controtendenza rispetto al resto del Paese è stata la crescita di imprese registrate che si è manifestata nella provincia di Napoli (+5,1%), oltre che in quella di Caserta (+4%). A Salerno si osserva un valore in linea con quello del 2009 (+0,3%), mentre a Benevento (-0,9%) e, soprattutto,ad Avellino (-3,3%) la crisi ha impattato in modo negativo sulla numerosità delle imprese. Le unità produttive artigiane registrate in Campania sono nel : unità in meno rispetto a quanto osservato nel Il trend positivo descritto per la totalità del sistema produttivo non si conferma dunque per questa tipologia. Più nel dettaglio, in tutte le province si è riscontrato un calo di imprese artigiane, con tassi di crescita negativi compresi tra il -1,55% di Salerno e il -3,50% di Napoli. A livello aggregato, il calo osservato in Campania (-2,61%) è peggiore sia del dato del Mezzogiorno (-2,41%) che di quello nazionale (-1,45%). Preme tuttavia sottolineare che, qualora si osservi l intero arco temporale di riferimento ( ), il comparto artigiano campano risulta meno colpito rispetto alle due ripartizioni di raffronto. Nel dettaglio, le imprese artigiane sono diminuite del 4,5% in Campania, mentre del 7,7% nel Mezzogiorno e del 6% in Italia. Anche a livello provinciale, l ottica di medio periodo modifica lo scenario delineato: Napoli risulta la provincia meno interessata dal calo delle imprese artigiane (-2,5%), mentre il fenomeno si è concretizzato in modo più rilevante ad Avellino (-7,5%), Caserta (-5,9%), Benevento (-5,4%) e Salerno (-5,3%). Nati-mortalità delle imprese artigiane nelle province della Campania - Anno 2014 Province Iscrizioni Cessazioni Saldo Stock al Tasso di Tasso di crescita 2014 crescita 2013 Caserta ,43-1,74 Benevento ,47-1,24 Napoli ,50 2,73 Avellino ,16-1,38 Salerno ,55-2,13 Campania ,61 0,00 Sud e Isole ,41-2,01 Italia ,45-1,94 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere-InfoCamere, Movimprese 18

19 In termini di distribuzione, la maggioranza delle imprese artigiane risulta collocata nella provincia napoletana (40,8%), sebbene con un incidenza inferiore di 8,2 punti percentuali rispetto a quanto osservato per la totalità delle unità produttive. La ripartizione degli occupati per settore di attività riflette le dinamiche descritte in relazione al valore aggiunto: ad un maggior peso del settore terziario sulla ricchezza prodotta corrisponde una rilevanza degli occupati maggiore che nel resto della Campania e del Paese. Nello specifico, il 78% dei lavoratori napoletani è impiegato nei comparti del commercio (24%) ed altri servizi (54%), a fronte del 74,1% della Campania, del 72,9% del Mezzogiorno e del 69,5% dell Italia. Anche in questo caso a Napoli si riscontra l incidenza più elevata a livello regionale, in un contesto in cui all opposto si collocano Benevento (56,5%) ed Avellino (62,9%) che confermano il basso livello di terziarizzazione delle rispettive economie. Al contrario, il settore secondario (industria in senso stretto e costruzioni) interessa appena il 20,2% dei lavoratori, 1,5 punti percentuali in meno della Campania e ben 5,3 punti in meno del resto del Paese. Le province dal profilo più industriale risultano Avellino (31,3%) e Benevento (26,2%), mentre nelle rimanenti aree il peso di industria e costruzioni è analogo al capoluogo napoletano, compreso tra il 20% di Salerno ed il 22% di Caserta. Infine, gli impiegati nel settore primario sono appena l 1,9%, dato che differenzia nettamente Napoli dal dato medio nazionale (3,6%), da quello regionale (4,3%) dove emerge il 17,4% di Benevento e in modo ancor più evidente dalla macro-area di riferimento (6,6%). Numero indice (2004=100) del numero degli occupati nelle province campane e in Campania. Serie storica Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Campania Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat 19

20 Nell ultimo anno, l andamento degli occupati ha assunto nel capoluogo regionale una dinamica positiva (+1,1%), in controtendenza rispetto al resto della Campania (-1,2%) e con intensità maggiore di quanto riscontrato per il Paese (+0,4%). Nello specifico, la provincia napoletana ha fatto registrare un incremento di circa 9mila lavoratori, mentre le altre province hanno scontato un taglio degli occupati anche nel 2014, sperimentando tassi di variazione molto preoccupanti a Caserta (-5,3%) ed Avellino (-5,2%) e più moderati a Benevento (-2,4%) e Salerno (-1,8%). L inversione di tendenza non sana, tuttavia, la perdita di medio periodo - attribuibile all impatto della crisi economica - che risulta ancora molto significativa. Confrontando il numero di occupati del 2008 con quello del 2014, a Napoli si osserva, infatti, un calo del 5,8%. Si tratta di una flessione minore rispetto a quanto riscontrato a Salerno (-7,1%), Avellino (-7,9%) e soprattutto Benevento (23,1%), dove la recessione ha avuto un impatto drammatico, ma maggiore di Caserta (-1,1%). Per la provincia di Napoli, il numero di persone in cerca di occupazione si attesta nel 2014 a circa unità, pari al 59,4% del totale regionale. Rispetto al 2013 vi è stato un calo dei disoccupati di unità (-4,4%), da interpretare in modo molto positivo se confrontato con gli incrementi consecutivi registrati in Campania a partire dal 2010: +6,5% (tasso di variazione 2010/2009); +13,3% (tasso di variazione 2011/2010); +37,9% (tasso di variazione 2012/2011); +19,6% (tasso di variazione 2013/2012). Sembrerebbe, dunque, che l ultimo anno abbia avviato un percorso di iniziale recupero dei posti di lavoro persi a causa della crisi, sebbene l attuale numero di disoccupati resti ancora quasi il doppio (+89,7%) di quello registrato nel Occorre considerare altresì che la performance di Napoli è la migliore a livello regionale, in uno scenario a due velocità dove i disoccupati calano anche a Benevento (-3,6%) e Salerno (-0,9%), mentre aumentano in modo rilevante a Caserta (+18,7%) e Avellino (+21,2%). Il calo dei disoccupati è stato più evidente per l universo dei soli maschi, per il quale si è registrato un decremento di circa 18mila unità (-10,6%), ben più sensibile di quanto rilevato per la Campania (-3,1%); diversamente, nel 2014, il numero di donne in cerca di occupazione è continuato ad aumentare, salendo del 5,1%, in dimensione analoga al trend regionale (+5,6%). Complessivamente, il dato sia aggregato che diviso per sesso risulta in ogni caso migliore di quello nazionale: in Italia, rispetto al 2013, i disoccupati complessivi sono aumentati del 5,5%, di cui il 4% in più tra gli uomini e il 7,2% in più per le donne. Tra i fattori negativi che hanno caratterizzato il 2014 sotto il profilo occupazionale va annoverato il calo del tasso di attività, dato dal rapporto tra popolazione attiva e popolazione totale in età lavorativa, dal 49,6% al 49,2%, interrompendo una crescita che avveniva ininterrottamente dal Indipendentemente dal trend, preme sottolineare che il livello di attività risulti inferiore al dato regionale (50,2%), dove Napoli si colloca in una posizione intermedia migliore di Benevento (46,3%) e Caserta (47,3%), ma peggiore di Salerno (53,5%) e Avellino (57,6%); ancora più penalizzante risulta il confronto con l Italia, in cui il tasso di attività si attesta al 63,9%. In conseguenza dell aumento degli occupati e della riduzione della popolazione attiva, il tasso di occupazione, dato dal rapporto tra occupati e popolazione attiva, passa dal 36,7% del 2013 al 37% 20

21 del 2014, facendo registrare il più alto livello a partire dal Anche in questo caso emerge un divario accentuato rispetto al resto del Paese, dove risulta occupato il 55,7% degli attivi. Viceversa, si osserva un gap più contenuto con le altre province campane, tra le quali Caserta (37,1%) e Benevento (38,5%) che si collocano al di sotto della media del Mezzogiorno (41,8%), e Salerno (44%) e Avellino (47,8%) al di sopra. Da evidenziare che, in relazione al tasso di occupazione, Napoli è l unica provincia ad aver fatto osservare un incremento nell ultimo anno, mentre nelle altre aree si sono rilevati cali sensibili compresi tra i -0,7 punti percentuali di Salerno e Benevento e i -2,4 punti di Avellino. Per quanto concerne il tasso di disoccupazione, nel 2014, si registra un decremento di 1,1 punti percentuali, di segno opposto rispetto al trend regionale (-0,2%). L incidenza delle persone in cerca di occupazione sul totale degli attivi è scesa al 24,6% ma permane, comunque, la più alta della Campania (21,7%), dove le province più virtuose sono Salerno (17,5%), Avellino (16,8%) e Benevento (16,7%). Il livello critico della disoccupazione emerge in modo ancor più evidente se si considera che a Napoli il tasso è superiore di 3,9 punti percentuali alla macro-area di riferimento e addirittura 11,9 punti alla media italiana. Una misura ancora più completa del problema occupazionale nel napoletano è data dal tasso di mancata partecipazione al lavoro, che misura la quota di popolazione attiva e potenziale che non riesce a trovare un occupazione, comprendendo anche i cosiddetti scoraggiati, ossia coloro che pur ambendo a lavorare rinunciano a cercare un occupazione in quanto ritengono improbabile la possibilità di trovare un occupazione. Attraverso questa chiave di lettura si delinea un quadro ancora più fosco, in cui il 44% della popolazione potenzialmente attiva è senza lavoro (una situazione simile si verifica anche per Caserta). Tale valore rappresenta quasi il doppio della media nazionale (22,9%) e risulta superiore a quella del Mezzogiorno (38,6%). A risultare preoccupante è, inoltre, il trend di medio periodo: rispetto al contesto pre-crisi (2008) l indicatore per Napoli è salito di 7,2 punti (Campania: +8,1; Italia: +7,3; Mezzogiorno: +9%). Tuttavia, preme evidenziare che l incremento di Napoli è stato il più contenuto in Campania, tra le cui province l involuzione più critica si è riscontrata a Benevento, passata dal 27,1% del 2008 al 40% attuale. Una conseguenza diretta dell incremento degli occupati è rappresentata dalla diminuzione di un decimo del numero di ore di Cassa Integrazione Guadagni erogate rispetto al 2013 (Campania: +4,8%), superiore a quanto calcolato per l Italia nel suo complesso (-6%). Il confronto con le altre realtà provinciali evidenzia comportamenti eterogenei tra i territori. Da un lato condividono con la provincia partenopea la riduzione delle ore erogate Benevento (-58,1%), interessata da una drastica riduzione, e, in modo contenuto, Salerno (-4%). Dall altro, le ore di CIG crescono in modo molto rilevante ad Avellino (+24%) e soprattutto nel casertano, dove sono quasi raddoppiate (+80,6%). Tra i fattori di contrasto alla crisi economica un ruolo decisivo può essere rappresentato dal livello di apertura internazionale di un economia. Ciò si rivela ancor più determinante in questa fase, dove alla perdurante stagnazione della domanda interna si contrappone la crescita di quella 21

22 esterna. Di conseguenza, la capacità di competere sui mercati internazionali può rappresentare un volano di crescita per il rilancio delle attività produttive napoletane e, in generale, per quelle campane. Nel 2014, il livello di propensione all export, dato dal rapporto tra esportazioni e PIL, è rimasto pressoché stazionario (-0,1%), attestandosi, in provincia di Napoli, ad appena il 10%, dato sostanzialmente in linea con quello regionale (10,7%), ma al di sotto di quello della macro-area di riferimento (12,7%). Tuttavia, il divario più consistente si manifesta nel confronto con il resto del Paese: nel 2014 l export nazionale incideva per il 27,3% del PIL, in crescita di 0,5 punti percentuali sul Tale gap si conferma anche in funzione del grado di apertura, che misura l incidenza di import ed export sul totale dell economia. Per tale indicatore, il valore della provincia di Napoli è pari al 22,1%, due punti percentuali in meno del resto della Campania, ma meno della metà del valore dell indicatore nazionale (51,6%). Nel panorama regionale, la provincia che presenta la più elevata apertura internazionale è Avellino, prima tra le cinque per entrambi gli indicatori (propensione all export 15,5%; grado di apertura internazionale 43,4%); il gradino più basso è invece occupato da Benevento,che ha rapporti marginali con l estero verso cui esporta appena il 4,1% delle proprie produzioni. La composizione delle esportazioni per settore di attività economica mette in luce,per la Campania in generale, l esistenza di una vera e propria specializzazione nell ambito dell industria alimentare, visto il peso del comparto sull export totale che, nel 2014, incide quasi per il 25%, ampiamente al di sopra di quanto osservato per la macro-area di riferimento (Mezzogiorno: 10,8%) e per l Italia nel suo complesso (7,1%). Inoltre, se si considera anche il comparto agricolo, l incidenza sul totale delle esportazioni sale fino al 28,9%, a fronte di un dato medio italiano di appena l 8,6%. Preme fare osservare, altresì, che l elevata competitività delle produzioni agroalimentari campane ha permesso al settore di non arretrare di fronte alla crisi economica, almeno in relazione alla domanda estera. Nello specifico, tra il 2011 e il 2014, mentre il valore complessivo dell export è rimasto pressoché invariato, il comparto agricolo e quello agroalimentare sono cresciuti globalmente del 20,7%. In provincia di Napoli l aumento è stato ancor più consistente, facendo segnare un +29,1%, trainato soprattutto dalla performance del comparto agricolo (+23,1), nonostante una fase in cui l export complessivo è risultato di segno opposto (-6,1%). Per un quadro completo dell export napoletano è infine opportuno soffermarsi sulle aree di destinazione delle merci. In tal senso l Europa rappresenta il principale mercato di sbocco: nel 2014, il continente ha inciso per il 57,1%, di cui il 36,8% è rappresentato dai mercati dei dell UE15 e il 15,1% da Paesi extra UE (si tratta di valori similari al resto della Campania dove, tuttavia, aumenta l incidenza dell UE15: 44,3%). Al di fuori dell Europa le maggiori aree di riferimento sono il Nord America (17,6%) e l Africa (5,4%). L Asia nel suo complesso pesa per il 13,5%, suddivisa per Vicino e Medio Oriente (4,5%) e altri Paesi Asiatici (8,9%). Meno rilevanti le quote di America Centro-Meridionale (3,9%) e Oceania (2,6%). Da rilevare come, rispetto al 2013, mentre si consolida la partnership commerciale con i mercati tradizionali, la provincia di Napoli è l unica realtà campana a segnare una variazione negativa delle esportazioni verso i Paesi del Vicino e 22

23 Medio Oriente (Napoli: -5,7%; Campania: +6%), confermando in tal modo quella che è la dinamica di medio periodo (tasso di variazione : -22,6%). Infine, nel caso delle altre province campane si scorgono sia profili eurocentrici che maggiormente orientati ai mercati non europei. Nel primo caso va ascritta Caserta che destina il 68,4% delle merci all UE, nonché Salerno, in cui tale area rappresenta il 63,6%. Peculiare risulta il caso di Avellino, dove oltre un quinto dei volumi di export sono destinati all Africa e un decimo ai Paesi dell Asia centrale e orientale. 23

24 3. Nuove linee di sviluppo: l economia del mare 24

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26 La presenza del mare in un territorio può rappresentare uno straordinario valore aggiunto in termini di sviluppo economico, in quanto attorno ad esso possono fiorire e svilupparsi numerosi comparti produttivi che interessano sia ambiti tradizionali e legati all economia primaria, sia settori relativi all industria e ai servizi anche ad alto contenuto innovativo. Nel complesso, tali ambiti di attività costituiscono l economia del mare (blue economy), la quale si sviluppa attraverso quattro direttrici che coincidono con quattro differenti, ma complementari, modi di intendere il mare: produttore di risorse; fattore di attrattività territoriale; via di comunicazione; ecosistema da tutelare. Rispetto alla risorsa mare è possibile individuare alcuni tematismi che contribuiscono a qualificare la blue economy locale, ovvero: il porto della città di Napoli presenta un profilo maggiormente orientato al trasporto di persone e nel 2013 è diventato il primo porto italiano per numero di passeggeri imbarcati e sbarcati scalzando Messina, risultato conseguito nonostante ancora una volta il numero di transiti si sia ridimensionato fra 2012 e Più contenuta risulta invece la movimentazione di merci (sia imbarcata che sbarcata), indicatore per il quale Napoli si colloca al dodicesimo posto in Italia guadagnando comunque nel 2013 una posizione 2 ; l esistenza di numerosi e apprezzati siti balneari (nella città di Napoli, lungo la fascia costiera dell omonimo Golfo, le Isole di Procida, Ischia e Procida e a sud del capoluogo fino alla penisola sorrentina) garantisce un consistente flusso turistico verso il capoluogo e l entroterra; l alta qualità delle produzioni agroalimentari, i cui volumi sono condizionati anche dalla domanda dei turisti interessati ai prodotti tipici, funge da traino allo sviluppo della filiera ittica; la presenza di quattro aree marine protette (Punta Campanella, Regno di Nettuno, Parco Sommerso di Baia e Parco Sommerso di Gaiola) necessita di costanti attività di monitoraggio, tutela e studio dell ecosistema marino. In tal senso, un valore aggiunto è rappresentato dalla presenza della storica Università degli Studi di Napoli Parthenope, in cui assumono un ruolo centrale le discipline di scienze nautiche e scienze ambientali, e della Stazione Zoologica Anton Dohrn, ente di ricerca tra i più importanti al mondo nei settori della biologia e dell ecologia; il Golfo di Napoli è sede di numerose manifestazioni sportive attorno alle quali si sono sviluppate società legate alle principali attività acquatiche. L individuazione di tali tematismi porta a ritenere che lo sviluppo della blue economy dipenda da elementi trasversali a più linee di policy. In prima analisi, sembrerebbero assumere una maggiore rilevanza i seguenti aspetti: a) interventi infrastrutturali all interno e all esterno del porto di Napoli; b) azioni di promozione turistica e miglioramento dei servizi per i turisti balneari; 2 Unioncamere-Si.Camera (2015), Quarto rapporto sull Economia del Mare

27 c) politiche di bonifica e tutela del paesaggio costiero, al fine di valorizzare pienamente l ampio patrimonio naturale; d) interventi in favore della ricerca e dell innovazione blue. Il capoluogo partenopeo vive storicamente una forte simbiosi con il mare rappresentando, tra l altro, la più abitata ed estesa città costiera del Paese. Non deve dunque sorprendere che il peso della blue economy sul totale dell economia provinciale sia ben al di sopra della media nazionale. Nello specifico, nel 2014, essa rappresenta il 5,8% della ricchezza prodotta localmente contro un dato medio italiano che si attesta al 3%. Preme evidenziare, inoltre, che Napoli genera, in valore assoluto il terzo più alto contributo, dopo le province di Roma e Genova, in termini di valore aggiunto all economia blue nazionale: nel 2014 la ricchezza prodotta è stimata in 2,7 miliardi di euro, pari al 75,6% del totale regionale e al 6,1% di quello nazionale. Valore aggiunto ai prezzi base della filiera del mare per settore e provincia e loro incidenza sul totale economia. Anno Dati assoluti in milioni di euro Province e regioni Filiera ittica Industria delle estrazioni marine Filiera della cantieristica Movimentazione di merci e passeggeri via mare Servizi di alloggio e ristorazione Attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale Attività sportive e ricreative Totale economia del mare Incidenza % Caserta 13,0 0,2 41,1 6,2 26,1 24,0 11,3 121,9 1,0 Benevento 3,9 0,0 15,6 0,5 0,0 15,7 0,0 35,8 0,9 Napoli 123,3 15,2 279,8 796,6 784,8 518,7 144, ,3 5,8 Avellino 6,8 0,0 13,0 0,1 0,0 9,3 0,0 29,2 0,4 Salerno 54,0 2,9 53,0 61,8 308,4 120,1 72,2 672,4 3,8 CAMPANIA 201,2 18,3 402,5 865, ,3 687,8 228, ,6 4,0 SUD E ISOLE 1.422,1 444, , , , ,7 915, ,3 4,4 ITALIA 3.117, , , , , , , ,8 3,0 Fonte: Unioncamere - Si.Camera La distribuzione del valore aggiunto per settore mette in evidenza, in particolare, la centralità delle attività direttamente collegate al porto. La voce più significativa è rappresentata, infatti, dalla movimentazione merci e passeggeri la quale incide per il 29,9% del totale. Si tratta di un dato che differisce dal profilo medio nazionale, in cui il trasporto via mare incide per il 16,6% e si caratterizza per essere il quinto contributo fra tutte le province italiane, quarta se consideriamo che davanti all'area partenopea si colloca la provincia di Verbano-Cusio-Ossola che deve però le sue fortune più alla sua posizione sul Lago Maggiore che per ovviamente la presenza del mare. La prevalente specializzazione verso la movimentazione di passeggeri genera effetti diretti sui flussi turistici, in misura maggiore rispetto a quelli collegati alla movimentazione di merci (filiera della cantieristica). Non a caso si rileva che i servizi di alloggio e ristorazione incidono per il 29,5% sul valore aggiunto blue, un po' al di sopra della media nazionale (28,3%), mentre la filiera della cantieristica apporta contributo al valore aggiunto per appena il 10,5%, sei punti percentuali in meno rispetto al dato italiano (16,5%). Da osservare, infine, che circa un quinto della ricchezza blue provinciale è ascrivibile alle attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale (19,5%), contributo non difforme da quanto rilevato a livello nazionale, mentre le altre voci assumono 27

28 minore importanza (attività ricreative e sportive: 5,4%; filiera ittica: 4,6%; attività estrattive: 0,6%). A livello complessivo, la provincia di Napoli contribuisce a produrre oltre un decimo (11%) del totale del valore aggiunto nazionale connesso alla movimentazione di merci e passeggeri via mare (il 92% del totale regionale). Altre percentuali importanti si riscontrano per quanto concerne i servizi di alloggio e ristorazione e le attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale, settori per i quali la provincia di Napoli rappresenta, rispettivamente, il 6,3 e il 6% del valore aggiunto blue nazionale ed il 70,1 e il 75, 4% di quello campano. In provincia di Napoli le imprese connesse all economia del mare incidono per il 5,6% sul totale delle unità produttive, 1,7 punti in più del dato medio campano e ben 2,6 punti al di sopra di quello italiano. L importanza in termini di numerosità di imprese è confermata anche in raffronto alle altre realtà territoriali italiane: nel 2014, a Napoli è collocato l 8,5% delle imprese blue nazionali, secondo più alto dato nazionale dopo la provincia di Roma (15,2%). Ne deriva che a livello regionale si rivela una forte concentrazione delle unità produttive blue all interno della provincia di Napoli. Delle imprese del mare registrate in Campania nel 2014, ben il 71% si collocano nell area del capoluogo partenopeo, mentre la rimanente quota è in larga parte dislocata nel salernitano (22,9%). Numero di imprese della filiera del mare per settore e provincia, e loro incidenza percentuale sul totale economia. Anno 2014 Province e regioni Filiera ittica Industria delle estrazioni marine Filiera della cantieristica Movimentazione di merci e passeggeri via mare Servizi di alloggio e ristorazione Attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale Attività sportive e ricreative Totale economia del mare Incidenza % Caserta ,1 Benevento ,4 Napoli ,6 Avellino ,4 Salerno ,2 CAMPANIA ,9 SUD E ISOLE ,9 ITALIA ,0 Fonte: Unioncamere - Si.Camera su dati Infocamere In considerazione del peso che la Campania e, più in generale, il Mezzogiorno riveste sul totale della blue economy nazionale, la distribuzione delle imprese per settore di attività in provincia di Napoli contribuisce a caratterizzare il profilo italiano. La maggioranza relativa delle aziende è ascrivibile al settore alloggio e ristorazione, a cui si aggiunge un ulteriore 16,8% relativo alle attività sportive e ricreative. I due settori più intimamente connessi alla presenza del porto filiera della cantieristica e movimentazione merci e passeggeri pesano nel complesso per il 21,6%, anche in questo caso in coerenza con il dato nazionale (21,3%) esattamente come accadeva per gli altri settori. Meno evidente è la simmetria tra struttura imprenditoriale blue napoletana e italiana che si rivela in relazione all incidenza della filiera ittica, la quale si attesta al 17,7% in provincia e al 21% per l intero Paese (Campania: 15,8%). 28

29 L economia del mare, dato il suo elevato potenziale di crescita, può rappresentare un occasione di lavoro per le categorie a più alto rischio di esclusione sociale, quali donne, giovani, stranieri. L esame dei dati di dettaglio sul profilo imprenditoriale mostrano un buon livello di imprenditoria femminile: le imprese gestite da donne rappresentano circa un quinto (19,6%) del totale dell economia del mare della provincia di Napoli (Campania: 21,2%; Italia: 20,4%). Rispetto ai settori di attività, l attenzione delle donne è maggiormente orientata verso i servizi di alloggio e ristorazione, nel quale si colloca quasi un impresa femminile su due (47,9%), e le attività sportive e ricreative che incidono per oltre un quinto (22,8%). Le imprese giovanili, invece, risultano in numero più limitato (1.583) con una incidenza sul totale blue del 10,3% (Campania: 11,4%; Italia: 9,8%). I settori di riferimento non si discostano in modo rilevante da quelli delle imprese femminili. Anche in questo caso, infatti, la maggioranza delle unità produttive è orientata alle attività ricettive (42,9%) e sportivo-ricreative (19,5%), confermando le potenzialità del settore turistico in termini di sbocco occupazionale anche per il target dei giovani. In aggiunta, tra le imprese giovani si osserva una forte attenzione per la filiera ittica 3. Incidenza percentuale delle imprese femminili, giovanili e straniere sul totale delle imprese dell'economia del mare. Anno ,6 21,2 21,6 20, ,3 11,4 12,1 9,8 5,5 5 1,7 2,2 3,3 0 Napoli Campania Sud e Isole Italia Femminili Giovanili Straniere Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere - Si.Camera 3 Si tratta di una probabile conseguenza delle misure di incentivo attuate nell ambito del Fondo europeo per la pesca

30 L incidenza del settore sul totale delle imprese giovanili raggiunge il 22,9%, dato superiore sia a quanto osservato per l universo delle imprese femminili (14,7%) che rispetto al totale delle unità produttive dell economia del mare (17,7%). Infine, la penetrazione degli imprenditori stranieri nella blue economy appare molto limitata, appena l 1,7% del totale (Campania: 2,2%; Italia: 5,5%). Anche per questa categoria di imprese, e in misura persino maggiore, gli investimenti si concentrano nell ambito dei servizi di alloggio e ristorazione (50,7%) ed attività sportive e ricreative (20,5%). La provincia di Napoli, con circa persone impiegate nel 2014, si conferma la seconda provincia italiana, dopo quella di Roma, in relazione al numero di occupati nell ambito dell economia del mare. Nello specifico, essi rappresentano il 7,0% degli occupati della provincia partenopea, ben 3,7 punti percentuali al di sopra del dato medio nazionale (3,3%). La ripartizione per settore mostra, coerentemente con quanto descritto per valore aggiunto e numerosità di imprese, una prevalenza degli occupati nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione (40,7%), in maniera similare alle ripartizioni territoriali di raffronto (Campania: 41,6%; Italia: 39,1%). Rispetto al resto del Paese cresce, invece, il peso del settore movimentazione merci e passeggeri, in virtù della presenza del porto nel capoluogo campano che contribuisce in maniera sostanziosa all'ammontare complessivo di circa lavoratori di questo settore, pari al 21,3% degli occupati della blue economy (Italia: 11,8%). Un ulteriore elemento di diversità tra il profilo provinciale e quello del resto del Paese si rintraccia per la filiera della cantieristica, la quale incide sull occupazione blue per il 10,8% a Napoli a fronte del 17% italiano (Campania: 11,9%). Infine, l importanza della filiera ittica è significativamente minore in raffronto al dato medio nazionale: in provincia di Napoli, nel 2014, solo il 4,9 degli occupati dell economia del mare era impiegato in attività del settore ittico (Campania: 5,8%; Italia: 8,4%). Numero di occupati della filiera del mare per settore e provincia, e loro incidenza percentuale sul totale economia. Anno Dati in migliaia Fonte: Unioncamere - Si.Camera 30

31 4. Nuove linee di sviluppo: l'economia della cultura 31

32 32

33 Il sistema produttivo culturale (da ora in poi denominato SPC) comprende il complesso delle attività economiche trasversali praticamente a tutti i macrosettori produttivi finalizzate alla realizzazione e alla distribuzione di prodotti creativi o culturali e delle attività non industriali orientate all intrattenimento e/o all educazione del pubblico. Rientrano nella prima categoria le industrie creative (architettura, comunicazione e branding, design, produzione di stile, artigianato) e le industrie culturali (film, video, radio-tv, videogiochi e software, musica, stampa), mentre nella seconda tipologia si annoverano sia le rappresentazioni artistiche, divertimenti, convegni e fiere 4 che le attività connesse alla valorizzazione e alla gestione del patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi e monumenti). Già dalla stessa definizione è possibile intuire l importanza del SPC per il territorio italiano, e di conseguenza anche per il capoluogo partenopeo. L ampio patrimonio storico-artistico presente, la grande tradizione in ambito creativo e artigianale, nonché l importanza del turismo rappresentano degli elementi naturali per la crescita del SPC locale che, rispetto alle potenzialità esprimibili, appare ancora fortemente sottodimensionato. La strutturazione di adeguate politiche in tale direzione, oltre all accrescimento culturale dei territori, può comportare una serie di benefici a livello economico in grado di contribuire al più generale sviluppo territoriale. Di seguito si riportano alcuni elementi premianti del SPC: le produzioni creative artigianali locali se di elevata qualità ed effettivamente distintive di un territorio possono essere esportate contribuendo all apertura del sistema economico locale; attraverso le produzioni culturali è possibile promuovere l immagine di un territorio, favorendo l incremento dei flussi turistici; la realizzazione di manifestazioni ed attività culturali genera delle ricadute economiche dirette nelle aree interessate; la realizzazione di manifestazioni ed attività culturali può, inoltre, orientare le scelte dei turisti sia in termini di destinazione che di permanenza media in un territorio; alcuni ambiti ad alto contenuto innovativo possono favorire la nascita di indotti e contribuire alla conversione dei sistemi produttivi più tradizionali. Alla luce di queste considerazioni si può ritenere che, proprio in questa fase di crisi, delle policy orientate alla valorizzazione della produzione culturale possono rappresentare non solo una alternativa rispetto ai settori economici tradizionali, ma anche un driver di sviluppo. I dati sulla creazione del valore aggiunto sembrano, infatti,mostrare importanti margini di crescita: il SPC nazionale incide sul totale del valore aggiunto italiano per appena il 5,4% (78,6 miliardi di euro nel 4 Secondo la definizione proposta da Unioncamere - Fondazione Symbola, si parla più propriamente di performing arts e arti visive per indicare tutte quelle attività che, per la loro natura, non si prestano a un modellodi organizzazione di tipo industriale, o perché hanno a che fare con beni intenzionalmente non riproducibili (le arti visive), o perché hanno a che fare con eventi dal vivo che possono essere fruiti soltanto attraverso una partecipazione diretta (Unioncamere - Fondazione Symbola (2015), Io sono cultura. L Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi. Rapporto 2015, pag. 22). 33

34 2014). Il contributo è ancora più contenuto per la provincia di Napoli, dove si attesta al 4,2%, dato sostanzialmente in linea con quello della Campania (4,5%) ma superiore al 4% registrato per l intera area del Mezzogiorno. Più nel dettaglio, la produzione culturale napoletana ha generato un valore aggiunto di 2.1 miliardi di euro, pari ad oltre la metà del totale campano (53,5%). L esame disaggregato per comparti mette in luce una prima vocazione della provincia di Napoli rappresentata dalla creazione di videogiochi e software: nel 2014, quasi un quarto (24,9%) del valore aggiunto culturale provinciale era ascrivibile a tale voce, dimensione che non si riscontra in nessuna delle altre Province campane ed ampiamente superiore a quanto osservato a livello nazionale (Campania: 19%; Italia: 16,6%). Tra i comparti più significativi a livello provinciale si segnalano, nell ambito delle industrie culturali, l architettura (19,5%) e il cosiddetto Made in Italy (13,2%), il quale comprende produzione di stile e artigianato creativo; per quel che concerne le industrie culturali, oltre a videogiochi e software, il settore di maggior peso è libri e stampa (17,6%) seguito da film, radio e tv (10,8%). Sorprende la residuale importanza delle attività legate al patrimonio storico-culturale, le quali incidono per appena l 1,6%, sebbene in linea con il dato aggregato delle ripartizioni di raffronto (Campania: 1,4%; Italia: 1,5%). Infine,il settore di attività performing arts ed intrattenimento (che include rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere) contribuisce al valore aggiunto culturale per il 6,5% (Campania: 6,8%), in misura maggiore che nel resto del Paese (5,3%). Valore aggiunto ai prezzi base del sistema produttivo culturale per settore e provincia e loro incidenza sul totale economia. Anno Dati assoluti in milioni di euro Province e regioni Architettura Comunicazione e branding Design Fonte: Unioncamere - Fondazione Symbola Made in Italy Film, video, radio-tv Videogiochi e software Musica Libri e stampa Musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti storici Rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere Totale Cultura Incidenza % Caserta 121,1 40,9 5,8 69,1 40,9 50,0 0,6 86,7 6,5 32,2 453,8 3,9 Benevento 55,9 22,3 2,0 53,1 20,2 29,7 0,9 43,1 0,0 11,5 238,6 6,3 Napoli 410,2 80,6 30,4 278,1 228,2 523,8 10,9 371,4 33,5 137, ,2 4,2 Avellino 68,6 28,2 2,8 113,1 49,5 48,9 0,0 58,3 5,8 25,9 401,0 6,2 Salerno 174,7 45,4 8,1 136,8 70,9 95,0 1,5 134,6 9,9 60,0 736,9 4,7 CAMPANIA 830,5 217,4 49,0 650,2 409,7 747,4 13,9 694,1 55,7 266, ,5 4,5 SUD E ISOLE 2.709,9 676,1 189, , , ,4 60, ,4 261,4 700, ,7 4,0 ITALIA , , , , , ,6 428, , , , ,7 5,4 La struttura imprenditoriale provinciale del SPC si compone di aziende pari al 51,3% del totale regionale e si connota come fortemente connotata all'industria culturale visto che il 28,7% delle iniziative imprenditoriali si colloca in questo settore, quinta aliquota più alta del paese dopo Roma, Milano, Trieste e Torino. La gran parte delle aziende di questo settore è collocata all interno dei settori libri e stampa (12,8%), e videogiochi e software (12,4%). Per quel che concerne quest ultimo comparto, preme evidenziare che il contributo in termini di numerosità di impresa è nettamente inferiore a quello osservato in relazione del valore aggiunto, a testimonianza della maggiore redditività delle imprese ad alto contenuto tecnologico. Inoltre, dall esame dei dati si 34

35 evince che, tra le imprese di carattere non industriale, sono collocate nella provincia capoluogo di regione, il 50,9% delle imprese del comparto performing arts e intrattenimento ed il 41,6% di quelle legate ad attività di gestione del patrimonio storico-artistico. Passando a considerare i singoli comparti di attività, si osserva che la maggioranza delle imprese (30,2%) appartiene al ramo architettura, con un incidenza tuttavia inferiore a quanto riscontrato in Campania (34%), nel Mezzogiorno (36,4%) e in Italia (34,5%). Tra le altre attività dell industria creativa un peso specifico è anche rivestito dai settori produzione di stile e artigianato (cosiddetto Made in Italy), che insieme incidono per quasi un quarto del totale (24,5%). Numero di imprese del sistema produttivo culturale per settore e provincia, e loro incidenza percentuale sul totale economia. Anno 2014 Province e regioni Architettura Comunicazione e branding Design Fonte: Unioncamere - Fondazione Symbola Made in Italy Film, video, radio-tv Videogiochi e software Musica Libri e stampa Musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti storici Rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere Totale Cultura Incidenza % Caserta ,5 Benevento ,2 Napoli ,1 Avellino ,8 Salerno ,1 CAMPANIA ,8 SUD E ISOLE ,0 ITALIA ,3 Dall esame dei dati dell'ultimo quadriennio ( ) emerge che la depressione economica ha inciso sul SPC della provincia di Napoli in misura maggiore che nel resto del Paese. Più nel dettaglio, a livello nazionale, la riduzione nel numero di imprese è stata di appena lo 0,9%, frutto di un calo delle industrie creative (-1,2%) e culturali (-1,4%), compensato dalle variazioni positive dei settori legati al patrimonio storico-culturale (+4,3%) e all intrattenimento (+5,5%). Per il capoluogo campano la crisi è stata più accentuata, determinando un calo complessivo dell 1,8%, superiore anche a quello della Campania (-1,3%), dove solo le province di Caserta e Benevento registrano delle performance positive, rispettivamente, +1,1% e +2,7%. L andamento negativo generale è stato determinato, in larga parte, dal segmento delle imprese industriali culturali, le più importanti in termini di numerosità, le cui unità sono nel 2014 il 5,2% in meno del Il calo ha anche riguardato le aziende di performing art ed intrattenimento (- 1,5%), oltre che il gruppo del comparto patrimonio storico-artistico ridottosi ad appena 22 unità (- 15,5% nel periodo considerato). A mantenersi pressoché stabile, diversamente da quanto registrato per le ripartizioni di raffronto, è risultato il numero delle imprese creative, diminuite di appena lo 0,1% (Campania: -1%; Mezzogiorno: -1,8%; Italia: -1,2%). Passando ad esaminare i singoli comparti, è possibile indicare quale dato più interessante quello inerente alle imprese di design (+23,5%), il segmento maggiormente dinamico tra le industrie creative. Importante, altresì, il comparto architettura che ha segnato una variazione in area positiva del +2,4%, a testimonianza 35

36 che il principale comparto della provincia napoletana ha continuato a crescere nonostante la fase recessiva. Di ordine inverso risultano le variazioni che hanno interessato le imprese di artigianato artistico (-7,2%), fortemente penalizzate anche a livello regionale (-7,4%) e nazionale (-7,7%). Infine, per quanto riguarda i diversi ambiti dell industria culturale si osserva un calo per tutte le voci, particolarmente significativo per libri e stampa (-8,7%) e film, video, radio-tv (-4,3%). Variazione percentuale del numero di imprese registrate del Sistema Produttivo Culturale per settore Industrie creative Industrie culturali -0,1-1,0-1,2-5,2-3,1-1,4 Musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti storici -15,5-15,9 4,3 Rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere -1,5 1,9 5,5 Totale Sistema Produttivo Culturale -1,8-1,3-0, Napoli Campania Italia Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere - Fondazione Symbola Il SPC non sembra, almeno in questo momento, rappresentare uno dei settori di investimento più attrattivi per le categorie penalizzate dalla mancata ripresa economica quali giovani, donne e stranieri. Nel 2014, le imprese culturali giovanili sono appena il 6,9% del totale, incidenza che sarà al di sopra della media nazionale (6,3%) ma è meno della metà dell'incidenza che si osserva nel complesso dell'economia. Gli investimenti degli under 35 sono concentrati, soprattutto, nell industria creativa (49,8%), sebbene in dimensione minore rispetto all intero SPC della provincia di Napoli. Viceversa, si osserva una maggiore propensione verso le attività di performing arts ed intrattenimento: nel 2014, appartiene a questo comparto il 14,7% delle imprese giovanili culturali, 7 punti in più del dato complessivo provinciale. L incidenza delle imprese femminili sul SPC provinciale raggiunge il 13,7%, dimensione analoga a quanto registrato nelle ripartizioni territoriali di raffronto (Campania: 13,5%; Mezzogiorno: 13,7%; Italia: 13,3%) ma anche in questo caso molto al di sotto che la componente imprenditoriale "rosa" fornisce al complesso dell'economia locale. La distribuzione delle imprese femminili per settore di 36

37 1,1 1,6 2,2 3,9 6,9 7,7 7,7 6,3 5,2 5,9 5,9 8,7 10,6 13,7 13,5 13,7 13,3 14,2 14,2 13,3 20,3 23,0 23,5 21,6 attività economica risulta analoga a quella delle imprese giovanili: poco più della metà delle unità produttive, infatti, è collocata nell ambito delle industrie creative (50,3%). Anche in questo caso il settore performing ed intrattenimento sale al di sopra della media provinciale, interessando il 15,6% delle imprese femminili (Campania: 17,4%; Mezzogiorno: 16,7%; Italia: 12,7%), mentre le industrie culturali scendono a circa un terzo dell universo considerato (33,8%). Percentuale di incidenza delle imprese giovanili, femminili e straniere sul totale imprese nel sistema produttivo culturale e nel totale 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0 Napoli Campania Sud e Isole Italia Fonte: Elaborazioni Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere, Fondazione Symbola Infine decisamente marginale è il ruolo delle imprese straniere risultando pari ad appena l 1,1% del SPC della provincia di Napoli, circa un quarto dell incidenza che si misura per l Italia (3,9%). Per tale universo cresce ulteriormente la proporzione di industrie creative, le quali rappresentano il 53,9%, mentre quelle culturali si attestano al 34,6%. Da evidenziare che poco più di un imprenditore straniero su dieci gestisce aziende dedite alle attività di performing ed intrattenimento (11%). Infine, le imprese artigiane provinciali del SPC sono costituite da unità, pari al 20% del totale imprese cultura, ed operano prevalentemente nell ambito delle industrie creative (83,5%). Preme evidenziare che quasi la metà (45%) delle imprese artigiane del SPC campano risulta dislocata sul territorio della provincia di Napoli. Nel 2014, il SPC provinciale ha generato circa occupati ( unità a livello regionale), pari al 4,3% degli occupati totali. Una aliquota particolarmente modesta rispetto a quella 37

38 nazionale alimentata in maggior parte dal comparto videogiochi e software (Campania: 17,8%; Mezzogiorno: 13,7%). Tra gli altri comporti, le principali ricadute occupazionali si osservano per architettura (20%), Made in Italy (19,4%), libri e stampa (16,2%). Gli spettacoli e le manifestazioni dal vivo impiegano lavoratori, la metà dell intera Campania, pari al 7,1% dell universo considerato (Campania: 8,4%; Mezzogiorno: 7,6%; Italia: 6,2%). Rispetto al profilo nazionale emerge, come nel caso del valore aggiunto,da un lato la forte sovrarappresentazione del settore videogiochi e software (Italia: 16,8), e il minor peso del Made in Italy (19,4% contro 27,3%), dall altro. Occupati del sistema produttivo culturale per settore e provincia e loro incidenza sul totale economia. Anno Dati assoluti in migliaia Province e regioni Architettura Comunicazione e branding Design Made in Italy Film, video, radio-tv Videogiochi e software Musica Libri e stampa Musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti storici Fonte: Elaborazioni Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere, Fondazione Symbola Rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere Totale Cultura Incidenza % Caserta 2,0 0,8 0,1 1,8 0,4 0,8 0,0 1,4 0,2 0,9 8,5 3,8 Benevento 0,8 0,4 0,0 1,4 0,2 0,5 0,0 0,6 0,0 0,3 4,2 5,6 Napoli 8,3 2,0 0,9 8,0 2,1 9,8 0,1 6,7 0,5 2,9 41,4 4,3 Avellino 1,2 0,6 0,1 3,3 0,5 0,9 0,0 0,9 0,2 0,8 8,4 6,8 Salerno 3,1 1,0 0,2 3,6 0,7 1,8 0,0 2,5 0,3 1,5 14,5 4,7 CAMPANIA 15,4 4,9 1,3 18,2 3,8 13,7 0,2 12,1 1,1 6,4 77,0 4,6 SUD E ISOLE 56,4 17,9 5,4 72,1 14,6 36,8 0,9 37,6 6,0 20,5 268,2 4,6 ITALIA 229,0 82,0 50,6 389,4 76,1 239,2 5,1 240,6 23,7 88, ,1 5,9 38

39 5. Nuove linee di sviluppo: la green economy 39

40 40

41 Non vi è dubbio che, all interno di un processo di ripensamento del sistema economico globale fortemente segnato dalla recessione, la green economy rappresenti un tema di grande attualità. A tal proposito, si pensi, ad esempio, alle esigenze derivanti dagli accordi internazionali sulla mitigazione delle emissioni inquinanti e climalteranti, oppure, con riferimento all Ue, agli obiettivi della Strategia Europa 2020 e agli Obiettivi Tematici 5 dell Accordo di Partenariato (art. 14 del Reg. (UE) n. 103/2023) per la programmazione dei Fondi SIE Alla base della green economy intesa non solo come quel ramo dell economia che include i settori legati alle fonti rinnovabili e al risparmio energetico, ma come un nuovo paradigma in grado di investire tutti i comparti di attività economica 6 vi è un modello di sviluppo incentrato su misure economiche, legislative, tecnologiche e di educazione pubblica capace di ridurre il consumo di energia, la produzione di rifiuti e lo sfruttamento delle risorse naturali (acqua, cibo, combustibili, metalli, ecc.) nell ottica della promozione di sistemi produttivi (e territoriali) improntati alla sostenibilità ambientale. È evidente che un modello di sviluppo in grado di dare impulso alla crescita e, al contempo, di rendere più equi e sostenibili i processi economici 7, può rappresentare un occasione di rinnovamento per la provincia di Napoli e, in generale, per l intera Campania, la cui immagine è stata compromessa da problemi legati all inquinamento e alla gestione inefficiente del ciclo dei rifiuti. A fronte di questa proficua opportunità di innovazione rappresentata dalla green economy, la consapevolezza delle imprese partenopee rispetto a tali vantaggi è ancora piuttosto bassa. Considerando l arco temporale , in Campania sono poco più di le imprese che hanno realizzato o programmato investimenti in prodotti e tecnologie verdi. Tale dato, che rappresenta il 19,7% del totale imprese (Italia: 21,8%), qualifica la Campania come prima regione per numerosità di imprese green della macro-area di riferimento e settima nella graduatoria nazionale. La provincia di Napoli, con imprese che hanno realizzato o programmato di realizzare eco-investimenti, rappresenta oltre la metà delle imprese (53%) green campane. Per comprendere l effettiva diffusione di questa tipologia di investimenti tra le imprese partenopee, occorre rapportare il numero di imprese al totale di quelle presenti sul territorio provinciale. In tal senso, emerge che sono una su cinque (21%) le imprese che, in provincia di Napoli, hanno realizzato o programmato di realizzare eco-investimenti. Si tratta, tra l altro, del secondo miglior risultato a livello regionale, dopo il 22,6% di Avellino e prima del 16,5% di Salerno. Passando a considerare la tipologia di investimento, dall esame dei dati, ci si accorge che, in Italia, la grande parte degli eco-investimenti è circoscritta all ambito dell efficientamento energetico. 5 Sulla base delle esigenze di sviluppo nazionale, tre degli undici Obiettivi Tematici individuati per la programmazione , hanno matrice prettamente ambientale: Obiettivo Tematico 4 - Sostenere la transizione verso un economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; Obiettivo Tematico 5 - Promuovere l adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; Obiettivo Tematico 6 - Preservare e tutelare l ambiente e promuovere l uso efficiente delle risorse. 6 Nella sua accezione più ampia, la green economy riguarda non solo le attività dirette (ad es. l energia rinnovabile, il ciclo integrato dei rifiuti e dell acqua) ma anche in quelle indirette, che si collocano a servizio degli altri settori (efficienza energetica degli edifici, bioedilizia, ridisegno sostenibile dei processi produttivi e del sistema dei trasporti). 7 Unioncamere (2015), Rapporto Unioncamere 2015, Alimentare il digitale. Il futuro del lavoro e della competitività dell Italia, pag

42 Infatti, considerando il solo universo di imprese che hanno investito o programmato di investire in campo ambientale, quattro su cinque (80%) sono intervenute con la finalità di ridurre i consumi energetici e di materie prime. Soltanto il 19% delle imprese è intervenuto sul processo produttivo ed appena il 12% ha migliorato la sostenibilità del prodotto finale. Le proporzioni nazionali si confermano anche in Campania, dove le operazioni di efficientamento energetico hanno interessato il 79% delle aziende verdi, mentre un quarto (20%) ha modificato il sistema produttivo e l 11% ha realizzato miglioramenti che hanno riguardato il prodotto/servizio offerto. È evidente, quindi, che la fase congiunturale ha imposto come prioritario l obiettivo di riduzione dei consumi nell ottica di una strategia generale di contingentamento dei costi. Il capoluogo campano non si discosta in modo rilevante da quanto descritto: il 77% delle imprese ha realizzato eco-investimenti volti alla riduzione dei consumi energetici e di materie prime, il 21% alla sostenibilità del processo produttivo e l 11% al miglioramento del prodotto/servizio offerto. Più dettagliatamente, è possibile notare come la provincia di Napoli si collochi all ultimo posto in Campania per incidenza di imprese che hanno investito in riduzione dei consumi di materie prime ed energia, dove è prima la provincia di Benevento con l 86%. Al contrario nel napoletano hanno un peso maggiore, rispetto agli altri territori della regione, le imprese green protagoniste di una revisione di processo in un ottica di sostenibilità: come già evidenziato, infatti, si tratta del 21%, un punto in più della media regionale (Mezzogiorno: 18%; Italia: 19%). Imprese che hanno investito o programmato di investire in prodotti e tecnologie green*, per finalità degli investimenti e relative assunzioni programmate per provincia nel 2014 Assunzioni programmate Imprese che hanno per il 2014 dalle imprese Imprese che hanno investito nel green investito/programmato che hanno tra il per tipologia di di investire nel green tra investito/programmato investimenti*** (%): il di investire nel green tra il Province e regioni Valori assoluti** Incidenza % su totale imprese Riduzione consumi di materie prime ed energia Sostenibilità del processo produttivo Prodotto/ servizio offerto Valori assoluti** Incidenza % su totale assunzioni Caserta ,5 82,0 18,3 12, ,6 Benevento ,8 86,1 14,3 9, ,3 Napoli ,0 77,0 21,1 11, ,6 Avellino ,6 80,3 18,0 12, ,1 Salerno ,5 81,6 20,4 9, ,4 CAMPANIA ,7 79,3 19,9 11, ,0 SUD E ISOLE ,8 80,9 17,7 11, ,3 ITALIA ,8 79,7 18,8 12, ,0 Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 42

43 Infine, le differenziazioni per quanto concerne gli interventi sull output finale risultano marginali. In tal senso a Napoli si osserva un incidenza dell 11%, pienamente in linea con la media del resto della Campania, dove si registrano valori compresi tra il 13% della provincia di Caserta e il 10% di Benevento e Salerno. Gli investimenti nel settore della green economy si traducono spesso in una crescita di competitività, dalla quale può derivare un rilevante assorbimento di occupazione a medio/alto livello di qualificazione e con competenze green. Ciò sembra essere confermato anche nel caso della provincia di Napoli dove le assunzioni programmate per il 2014 ammontano a unità, ovvero il 59,1% del green job regionale. In termini di incidenza sul totale delle assunzioni si tratta del 31,6%, a fronte del 21% delle imprese che ha investito nel green, con una ricaduta occupazionale ancora debole rispetto al resto del Paese: in Italia, infatti, il 21,8% di imprese che ha realizzato investimenti green ha garantito il 40% delle assunzioni (Campania: 30%; Mezzogiorno: 32,3%). 43

44 6. Il ruolo della provincia di Napoli nell'agroalimentare 44

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46 Il settore agroalimentare rappresenta una delle eccellenze del territorio campano. Le sue produzioni, infatti, sono apprezzate a livello nazionale ed internazionale al punto da diventarne una sorta di brand identity naturale e così contribuendo a qualificarne l immagine nel mondo. Si tratta, quindi, di un asset strategico sul quale occorre investire per sollevare il sistema produttivo e stimolare l attivazione di sinergie per l intera economia regionale. Tra l altro, come dimostrano i dati sui volumi di esportazione per settore di attività economica, è possibile individuare per la Campania una vera e propria specializzazione nell ambito dell industria alimentare, visto il peso del comparto sull export totale che, nel 2014, incide quasi per il 25%, ampiamente al di sopra di quanto osservato per la macro-aera di riferimento (Mezzogiorno: 10,8%) e per Italia nel suo complesso (7,1%). Inoltre, se si considera anche il comparto agricolo, l incidenza sul totale delle esportazioni sale fino al 28,9%, a fronte di un dato medio italiano di appena l 8,6%. Incidenza percentuale delle esportazioni del comparto agroalimentare sul totale delle esportazioni nelle province campane. Anno , ,1 31,6 28, ,1 17,3 15,0 10 8,6 0 Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Campania Sud e Isole Italia Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Preme fare osservare, altresì, che l elevata competitività delle produzioni agroalimentari campane ha permesso al settore di non arretrare di fronte alla crisi economica, almeno in relazione alla domanda estera. Nello specifico, tra il 2011 e il 2014, mentre il valore complessivo dell export è 46

47 rimasto pressoché invariato, il comparto agricolo e quello agroalimentare sono cresciuti globalmente del 11,5%. Un incremento leggermente inferiore si è registrato a Napoli in un contesto però in cui l'export è sceso del 6,1%. Variazione percentuali delle esportazioni del comparto agroalimentare e del totale economia nelle province campane. Anno 2014 Caserta -1,1-2,4 Benevento 15,3 24,4 Napoli -6,1 8,0 Avellino 6,0 17,2 Salerno 15,0 13,8 Campania 0,0 11,5 Sud e Isole -4,2 9,2 Italia 5,9 13,5-10,0-5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 Agroalimentare Totale Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Tale dinamica rende evidente che, laddove la qualità rappresenta un elemento distintivo delle produzioni, è possibile essere competitivi non solo in presenza di una congiuntura economica poco favorevole, ma anche di croniche carenze strutturali ed infrastrutturali come quelle che caratterizzano l economia regionale. In tal senso, il brand identity distintivo per l agroalimentare campano si conferma anche osservando la mappatura delle produzioni DOP e IGP (ISTAT, 2014), nelle quali la Campania si colloca al sesto posto per numerosità delle produzioni di qualità tra le regioni Italiane. Dei 259 prodotti iscritti nel registro delle DOP e IGP, ben 22 provengono esclusivamente o in parte dalla Campania ed 11, nello specifico, dalla provincia di Napoli. Per quanto concerne il capoluogo, le produzioni di eccellenza riguardano prevalentemente il reparto ortofrutticolo (Cipollotto nocerino, Limone di Sorrento, Melannurca campana, Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, Pomodoro San Marzano) e dei formaggi (caciocavallo, mozzarella di bufala campana, provolone del Monaco, ricotta di bufala), a cui si aggiungono un olio (Penisola Sorrentina) e una pasta alimentare (Pasta di Gragnano). Una presenza di larghe fette di qualità che se nella regione si è tradotta anche in una crescita di 47

48 operatori del settore, non ha trovato lo stesso riscontro nell'area partenopea. Secondo le ultime valutazioni Istat (anche relative al 2013) se in Campania gli operatori (che possiamo definire approssimativamente come imprese) si sono accresciuti di 74 unità passando da a unità, il percorso di crescita ha riguardato indifferentemente tutte le province tranne quella di Napoli che ha perso 6 operatori (da 634 a 628) pagando un forte dazio per quanto riguarda il comparto dei cereali in cui in un anno sono spariti ben 34 operatori a cui la crescita osservata in tutti gli altri comparti ed (carni e formaggi su tutti) non è riuscita a fare completamente fronte. Ma quella appena descritta di fatto l'unica notizia negativa che emerge dal fronte dell'agroalimentare della Campania e di Napoli che ci offre due interessanti elementi positivi legati allo sviluppo della base imprenditoriale e soprattutto all'occupazione. Il primo elemento è senza dubbio riconducibile alla evoluzione della base imprenditoriale. Numero indice (2004=100) del numero di imprese nella provincia di Napoli per alcuni target di impresa. Serie storica ,0 104,0 103,0 102,0 101,0 100,0 99,0 98,0 97,0 96, Totale alimentare Totale manifatturiero Alimentare artigiano Totale artigianato Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Se infatti il numero di imprese manifatturiere presenti all'interno dell'intero perimetro della Campania e in quello dell'area metropolitana di Napoli ha subito una pesante battuta di arresto con la perdita nel periodo di circa imprese in regione e all'incirca 800 nel napoletano, le imprese manifatturiere sono andate totalmente in controtendenza con una crescita nell'area napoletana di 75 unità e di 89 nel complesso di una regione in cui tutto il quadrante settentrionale ha evidenziato una espansione della base imprenditoriale alimentare a fronte di un 48

49 calo che si è registrato ad Avellino e Salerno. Un risultato già questo significativo che diventa addirittura entusiasmante laddove restringiamo l'universo di riferimento alle sole imprese artigiane. Qui le risultanze fra totale manifatturiero e alimentare sono ancora più nette. A fronte di un decremento di 322 unità delle imprese artigiane manifatturiere si contrappone una crescita di 72 unità per quanto riguarda l'alimentare dove Napoli di fatto trascina tutto il gruppo delle province campane (che va in territorio negativo solamente in Irpinia) se si considera il fatto che lo sviluppo imprenditoriale artigiano alimentare di tutta la regione è di 122 unità e quindi Napoli ne rappresenta il 59%. Ma il risultato se vogliamo più clamoroso arriva dal fronte occupazionale e non è relativo solamente alla regione Campania ma si può estendere a tutto il complesso del paese. Se infatti in Italia il triennio ha evidenziato una perdita di circa occupati, l'agroalimentare ha seguito un andamento completamente in controtendenza producendo un arricchimento della base occupazionale di unità. Numero di occupati nel settore agroalimentare e nel totale dell'economia per provincia. Media anni Provincia Agroalimentare Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Campania Sud e Isole Italia Totale economia Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Campania Sud e Isole Italia Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Stessa cosa è avvenuta in Campania ma non nel Mezzogiorno nel suo complesso. Se la base occupazionale complessiva ha ceduto circa posti di lavoro, l'agroalimentare ha messo a segno una eloquente crescita di occupati. Una crescita che ha riguardato tutti i territori ad esclusione di quella Salerno che abbiamo visto già in difficoltà sul fronte del tessuto imprenditoriale e che ha ceduto circa posti di lavoro. Quindi le altre 4 province hanno messo a segno complessivamente un incremento di oltre occupati che si suddividono in modo pressoché paritetico su tutte le aree e quindi tenendo conto dei diversi assetti dimensionali delle 49

50 stesse sono particolarmente significativi a Benevento e ad Avellino e relativamente minori nelle aree del casertano e di Napoli. Più in particolare nella provincia capoluogo il 2014 si è concluso con uno stock praticamente di occupati in crescita di quasi il 20% rispetto a quattro anni orsono. 50

51 7. La digitalizzazione delle imprese campane 51

52 52

53 L accesso all Ict è uno dei temi fondanti della prossima programmazione dei fondi strutturali europei. Fa parte integrate delle strategie di smart specialisation delle regioni meridionali, oltre che del PON Impresa e Competitività, ed è trasversale alla strategia S3 campana, in diversi ambiti (sanitario, trasportistico, di valorizzazione del patrimonio storico culturale, ecc.). Un sistema economico e sociale che mette sempre più l informazione alla base dei suoi processi produttivi non può che basarsi su uno sviluppo sempre più rapido dell Ict, che diviene quindi un fattore di superamento del ritardo di sviluppo cruciale, per il Mezzogiorno e la Campania. Il primo problema da superare, per potenziare la società della conoscenza regionale, è quello della connettività infrastrutturale. Problema che peraltro in Campania (e in special modo nella provincia di Napoli) appare essere meno rilevante rispetto a quella che può essere la "cultura del digitale" presso le imprese. Percentuale di popolazione coperta da banda larga per regione e tipologia di banda larga 8. Situazione al 6 luglio 2015 Regione % popolazione raggiunta da banda larga fissa e wireless % popolazione raggiunta da banda larga fissa wireless % popolazione raggiunta da banda ultra larga Piemonte 86,2 7,2 20,0 Valle d'aosta/vallée d'aoste 87,1 8,1 0,0 Lombardia 98,4 1,2 22,3 Trentino-Alto Adige/Südtirol 94,0 3,1 0,0 Veneto 89,9 5,8 15,9 Friuli-Venezia Giulia 83,0 8,6 20,4 Liguria 92,7 4,5 37,4 Emilia-Romagna 92,4 4,5 30,2 Toscana 92,2 3,9 25,8 Umbria 88,2 5,7 17,4 Marche 94,1 3,0 12,3 Lazio 96,5 2,2 38,3 Abruzzo 89,8 4,5 9,5 Molise 75,9 10,7 0,0 Campania 93,6 3,4 20,8 Puglia 96,6 2,6 16,7 Basilicata 80,4 10,7 22,0 Calabria 85,2 5,6 11,1 Sicilia 95,0 3,3 25,0 Sardegna 95,0 2,7 8,5 ITALIA 93,1 3,8 22,1 Fonte: Infratel Italia 8 Per banda larga fissa e wireless si intende una banda compresa fra 2 e 20 Mb mentre per banda ultra larga si intende una copertura a 30 Mb. Dati per quanto riguarda la connessione a 100 Mb non sono attualmente disponibili 53

54 Secondo le più recenti valutazioni sulla copertura dei vari servizi di connettività emerge come la situazione della Campania sembri essere complessivamente accettabile almeno nel contesto nazionale pur scontando diversi ritardi (come peraltro tutto il paese) per quanto riguarda i servizi evoluti. La regione infatti si colloca all'ottavo posto in Italia come quota percentuale di popolazione coperta da servizi di banda larga fissa e wireless precedendo in tal senso numerose realtà economicamente più avanzate come ad esempio l'emilia-romagna e Toscana e possiede una quota di popolazione coperta da banda ultra larga assolutamente in linea con quella del paese. All'interno della regione però esistono differenziali piuttosto ampi che possono frenare l'accesso da parte delle imprese a quei fenomeni di digitalizzazione che recentemente il sistema delle Camere di Commercio sta spingendo ad esempio con il programma "Eccellenze in Digitale". Si tratta di un progetto che nel 2015 è giunto oramai al terzo anno di vita e che per quanto concerne il 2015 prevede che due giovani per ognuna delle province che aderiscono all'iniziativa (che nel caso della Campania sono Avellino, Caserta e Napoli) appositamente individuati dopo un processo di selezione in base alle loro conoscenze del contesto locale e alle competenze nei settori del marketing, con esperienza nell uso del web e dei social media, da giugno 2015 ad aprile 2016 supporteranno un numero selezionato di aziende locali in attività di promozione online, attivazione di forme di e-commerce e nella definizione di una campagna di online marketing, favorendo, attraverso la digitalizzazione, un migliore accesso delle PMI ai mercati internazionali. Percentuale di popolazione coperta da banda larga nelle province campane per tipologia di banda larga. Situazione al 6 luglio 2015 Provincia % popolazione raggiunta da banda larga fissa e wireless % popolazione raggiunta da banda larga fissa wireless % popolazione raggiunta da banda ultra larga Caserta 93,7 3,4 5,0 Benevento 83,7 8,1 5,3 Napoli 98,2 1,3 34,5 Avellino 86,1 7,0 0,0 Salerno 86,4 6,7 9,0 CAMPANIA 93,6 3,4 20,8 ITALIA 93,1 3,8 22,1 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat Tornando alle indicazioni sulla copertura infrastrutturale sul territorio campano i divari intra territoriali appaiono essere piuttosto netti. Al di la del fatto che esistono quote di popolazione in condizione di digital divide (ovvero assenza di copertura a banda larga) in 245 dei 550 comuni, nella regione convivono province come quella di Napoli che hanno una copertura pressoché integrale (98,2% superiore ad esempio alla copertura media europea) a cui fanno da contraltare realtà come quelle di Benevento la cui quota di popolazione coperta (83,7%) di fatto costituisce 54

55 una realtà più vicina ai livelli che si riscontrano nel Molise a cui il Sannio sembra essere più simile anche da un punto di vista geografico. Ma piuttosto in ritardo appaiono anche le aree dell'irpinia e del salernitano che superano di poco l'86%. Per quanto riguarda la banda ultra larga possiamo parlare invece di un fenomeno che al netto della provincia di Napoli (dove la copertura sfiora il 35%) è pressoché sconosciuto negli altri territori. Totalmente assente in Irpinia, nelle altre province al massimo si inerpica al 9% della provincia di Salerno caratterizzandosi di fatto per essere presente solamente nei comuni capoluogo di provincia fatta eccezione per alcuni comuni dell'hinterland napoletano come Casoria, Giugliano in Campania, Pozzuoli e Torre del Greco. Oltre ai differenziali territoriali in senso "amministrativo"meritano di essere evidenziati anche quelli che tengono conto delle caratteristiche morfologiche del territorio. Se da un lato infatti la vicinanza con il comune capoluogo non influisce in maniera significativa sulla copertura del servizio di banda larga da 2 a 20 Mb visto che la copertura dell'area costituita da Napoli e dai comuni confinanti è pressoché totalitaria (99,6%) e che per il resto della provincia siamo comunque ad un eccellente 96,8, dall'altro si osserva che le quote di copertura nei comuni montani e parzialmente montani della provincia 9 sono un pochino inferiori pur collocandosi decisamente al di sopra dei parametri medi regionali che vedono una copertura per i comuni parzialmente montani dell'89,6% che degrada addirittura al 70% per quanto riguarda le aree totalmente montane. Quindi nel complesso parliamo di un territorio che può godere comunque di una connettività alla rete piuttosto diffusa. Passando dalla infrastrutturazione all'utilizzo delle tecnologie informatiche 10, la Campania ha il 90,3% di imprese 11 che operano in banda larga fissa, ed il 54,6% in banda larga mobile, percentuali inferiori alla media nazionale (rispettivamente, pari al 93,5% ed al 60%). Occorre quindi portare più connettività sulla banda ultralarga, mentre non sembra esservi un problema di domanda di accesso, posto che le imprese campane presenti su Internet sono il 98,5% del totale, a fronte del 98,2% nazionale. Il problema è sulle connessioni veloci di ultima generazione, ad oltre 30 Mbps, per le quali sono presenti solo il 16,2% delle imprese campane, a fronte del 65,2% presente su velocità inferiori ai 10 Mbps. 9 La classificazione per grado di montanità dei comuni italiani, che prevede la suddivisione dei comuni in "totalmente montani", "parzialmente montani" e "non montani" è l'esito dell'applicazione dell'art. 1 della legge 991/ Determinazione dei territori montani. La legge 991/1952, stabilisce anche i criteri di classificazione geomorfologici (l'80% della superficie al di sopra dei 600 metri o un dislivello maggiore di 600 metri) e di tipo reddituale dei terreni (reddito imponibile medio per ettaro inferiore a lire). I comuni parzialmente montani della provincia sono Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Piano di Sorrento, Roccarainola, Sant'Agnello, Sorrento e Vico Equense, mentre quelli totalmente montani sono Agerola, Pimonte e Visciano. 10 Le risultanze che vengono presentate in queste pagine derivano da una elaborazione realizzata dall'istituto Guglielmo Tagliacarne realizzata a partire dai microdati dell'indagine " Le tecnologie dell informazione e della comunicazione nelle imprese" relativa all'anno 2014 (cfr. e fanno riferimento esclusivamente al complesso della regione Campania non essendoci la possibilità di territorializzare ulteriormente queste informazioni per motivi di significatività statistica 11 Nell'analisi di questi dati ci si riferirà sempre a imprese con almeno 10 addetti 55

56 Percentuale di popolazione coperta da banda larga secondo il livello di montuosità dei comuni per tipologia di banda larga. Situazione al 6 luglio ,7 90,7 91, , ,1 3,2 8,8 0,0 0,0 % popolazione raggiunta da banda larga fissa e wireless % popolazione raggiunta da banda larga fissa wireless % popolazione raggiunta da banda ultra larga Non montano Parzialmente montano Totalmente montano Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat Vi è poi, accanto alla connettività, un problema di valorizzazione della presenza aziendale sul web. Infatti, le imprese campane presenti in Internet, pur essendo più frequenti della media nazionale, usano un proprio sito aziendale solo nel 60,4% dei casi (69,2% nazionale) usano i social media (ottimi strumenti di marketing e promozione) solo nel 26,1% delle situazioni, a fronte del 29,3% nazionale, e usano tali strumenti male, nel senso che in larga maggioranza utilizzano un solo social media, quando invece il maggiore impatto conoscitivo sulla rete deriva dall accesso a numerosi canali di tipo sociale. Solo otto imprese su dieci utilizzano siti di elaborazione di contenuti multimediali, quindi siti di particolare impatto visivo e promozionale, così come anche il commercio elettronico B to B è poco diffuso, forse anche per una scarsa conoscenza/fiducia dei consumatori finali. Infatti, il commercio elettronico è praticato dal 34,5% delle imprese campane, a fronte del 42,5% italiano, e quasi tutte le imprese campane che lo utilizzano si limitano agli acquisti da fornitori, mentre la diffusione sul mercato finale di vendita è molto rara (solo il 7,9% vende on line, dato peraltro non dissimile da quello italiano, che segnala come vi siano ancora notevoli problemi di sicurezza, ma anche di conoscenza dello strumento, per tale modalità di commercializzazione). I sistemi Erp, fondamentali per poter avere una gestione integrata dell attività aziendale, facendo dialogare tutte le funzioni, e quindi per consentire una pianificazione strategica evoluta, sono 56

57 presenti in appena un terzo delle imprese campane, a fronte del 37,2% nazionale, andando quindi a costituire un elemento di ritardo competitivo del sistema produttivo regionale. I 41 indicatori di diffusione della tecnologia della comunicazione nelle imprese campane e in Italia (% di imprese che dichiarano di realizzare quella'attività). Anno 2014 INDICATORE CAMPANIA ITALIA INDICATORE CAMPANIA ITALIA Imprese che impiegano esperti ICT 10,3 Imprese che utilizzano applicazioni CRM per finalità di raccolta, archiviazione e 15,2 condivisione 22,7 28,2 Imprese che hanno assunto o hanno provato ad assumere personale con competenze specialistiche ICT 3,3 4,2 Internet delle cose: uso di RFID 9,4 10,5 Imprese che dispongono di una connessione a Internet 98,5 98,2 Imprese che acquistano servizi di cloud computing 41,4 40,1 Imprese che utilizzano connessioni in banda larga fissa o mobile 93,3 95,0 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: servizi di posta elettronica 38,3 34,5 Imprese che utilizzano connessioni in banda larga fissa 90,3 93,5 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: software per ufficio 21,1 16,5 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: applicazioni software di Imprese che utilizzano connessioni in banda larga mobile 54,6 60,0 14,1 13,4 finanza e contabilità Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda 65,2 66,0 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: archiviazione di file 12,4 12,7 larga fissa di meno di 10 Mbit/s Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda larga fissa da 10 a 30 Mbit/s Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda larga fissa con almeno 30 Mbit/s Imprese che acquistano servizi di cloud computing: hosting di database 18,6 21,1 dell'impresa Imprese che acquistano servizi di cloud computing: applicazioni software CRM 16,2 12,8 per gestire le informazioni relative ai propri clienti 12,0 11,1 5,3 5,8 Imprese con addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall impresa per finalità lavorative Imprese con più del 10% di addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall impresa per finalità lavorative Imprese che acquistano servizi di cloud computing: potenza di calcolo per 63,5 66,8 eseguire il software dell'impresa Imprese che acquistano solo la posta elettronica come servizio di cloud 30,8 38,1 computing 3,2 3,2 13,4 12,2 Imprese con più del 20% di addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall impresa per finalità lavorative 14,9 19,5 Imprese che utilizzano servizi cloud su server condivisi (cloud pubblico) 26,7 28,2 Imprese che hanno un sito web 60,4 69,2 Imprese che utilizzano servizi cloud su server riservati (cloud privato) 15,6 14,4 Imprese che utilizzano almeno un social media 27,9 31,8 Imprese che effettuano vendite e/o acquisti on-line 34,5 42,5 Imprese che utilizzano un solo social media (sul totale imprese che utilizzano social media) 70,1 62,9 Imprese che vendono on-line 7,9 8,2 Imprese che utilizzano i social network 26,1 29,3 Imprese che raccolgono ordini di vendita via web 6,9 6,3 Imprese che utilizzano siti web di condivisione di contenuti multimediali 8,2 10,3 Imprese che raccolgono ordini di vendita attraverso sistemi di EDI 2,0 2,6 Imprese che inviano fatture elettroniche ad altre imprese o P.A. in un formato adatto alla elaborazione automatica dei dati (einvoice) Imprese che inviano fatture elettroniche ad altre imprese o P.A. in un formato non adatto alla elaborazione automatica dei dati (pdf, jpg, tif, , ecc.) 7,1 5,4 Imprese che acquistano on-line 31,5 39,6 47,7 56,7 Imprese che vendono via web a consumatori privati 5,4 5,0 Imprese che vendono via web ad altre imprese o alla Pubblica Imprese che fatturano solo in modalità cartacea 8,7 8,2 Amministrazione Imprese che utilizzano sistemi ERP 33,5 37,2 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat 3,8 3,6 Viceversa, la fatturazione elettronica, forse anche per via dei frequenti contatti commerciali con la PA di molte imprese di diversi settori dell economia regionale che lavorano per il pubblico, è leggermente più frequente della media, coinvolgendo il 7,1% del totale, circa 1,7 punti al di sopra del dato italiano generale. Solo Basilicata ed Umbria hanno valori più alti. Il tema dei dispositivi portatili assegnati ai dipendenti è di particolare rilevanza, perché vi si connettono le recenti, dibattute, norme del Jobs Act relative ai controlli a distanza, ed alle connesse tematiche della privacy. Il 63,5% delle imprese della regione in esame forniscono ai propri addetti dispositivi portatili con connessione mobile, una percentuale non molto lontana dal 66,8% dell Italia, e che segnala come tale tematica sia molto rilevante, anche in Campania. Altro tema rilevante, per gli sviluppi, in termini di potenza di calcolo e di capacità di archiviazione di dati, è quello costituito dalle tecnologie di cloud computing, una delle frontiere dell informatica. Il 41,4% delle imprese campane acquista servizi di cloud, una frequenza superiore a quella italiana 57

58 (40,1%) che segnala il dinamismo di molte attività produttive della regione nel dotarsi di strumenti sofisticati (e quindi, tornando a quanto detto sopra, richiede con urgenza un potenziamento della connettività super veloce, che sorregge tali strumenti). In particolare, fra i diversi servizi che può offrire il cloud, prevalgono, sulla media nazionale, le imprese regionali che acquistano servizi di posta elettronica, software per ufficio, software di finanza e contabilità, hosting di database aziendali, e, rispetto al comportamento delle imprese di altre regioni, prevale, per motivi di sicurezza, l utilizzo di servizi privati di cloud. Le ricadute occupazionali del settore dell Ict, per una tipologia di occupazione peraltro qualificata, che quindi potrebbe dare anche risposte ad una disoccupazione intellettuale come quella campana, sono anch esse non trascurabili. Il 10,3% delle imprese campane ha assunto esperti di Ict, un valore ancora inferiore a quello italiano (pari al 15% circa) che dovrebbe crescere con lo sviluppo di quei servizi ancora non appieno utilizzati dalle imprese della regione, di cui sopra si è discusso. 58

59 8. I segnali del mercato del credito 59

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61 Il tema del credito ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più centrale nell agenda di policy di qualsiasi Amministrazione pubblica. A seguito della crisi economica internazionale, imputabile anche ad un eccessiva esposizione da parte delle banche verso imprese e famiglie, si è arrivati ad una significativa revisione del rapporto tra i soggetti erogatori e fruitori di prestiti. In breve tempo si è potuto assistere ad una stretta sul credito, caratterizzata dalla contemporanea presenza di tassi di interesse elevati e dalla richiesta di garanzie via via più onerose per imprese e famiglie. L atteggiamento prudenziale assunto dalle banche si è rivelato particolarmente negativo proprio perché collocato in una fase recessiva del ciclo economico in cui sarebbe stato necessario, invece, il sostegno agli investimenti per il rinnovamento delle imprese in crisi al fine di aumentarne la competitività. Il rigore imposto si è inoltre autoalimentato a causa del crescente numero di imprese in stato di sofferenza, che ha ulteriormente spinto gli istituti bancari ad irrigidire le condizioni di accesso al credito. Inoltre, come rilevato nel Rapporto Unioncamere , le manovre messe in atto nel corso del 2014 dalla BCE indirizzate, in particolare, a favorire l afflusso di credito all economia non hanno determinato per l Italia una ripresa dell erogazione di credito bancario né per le famiglie né, soprattutto, per le imprese. In uno scenario siffatto è dunque fondamentale che le Amministrazioni pubbliche agiscano a supporto delle imprese e delle famiglie nella fase di accesso al credito, predisponendo strumenti che possano mitigare l atteggiamento sempre più restrittivo degli istituti di credito. In tal senso si possono individuare almeno tre tipologie di azioni: i) la predisposizione di strumenti di ingegneria finanziaria che garantiscano direttamente o indirettamente le imprese o le famiglie come, ad esempio,i fondi di rotazione; ii) il sostegno al sistema dei Confidi quali soggetti garanti per le imprese; iii) il supporto a progetti di investimento di alta qualità che, in virtù del loro potenziale, possano attirare l attenzione dei finanziatori anche in presenza di maggiori rischi di mercato e/o assenza di adeguate garanzie. La stretta creditizia appare molto evidente a livello regionale, dove si osserva un atteggiamento particolarmente prudente da parte degli istituti bancari. In tal senso, l analisi del rapporto tra impieghi e depositi al 2014 denota come in Campania appena l 88,9% dei risparmi sia effettivamente impegnato da parte delle banche. Si tratta di un livello nettamente inferiore a quanto registrato per l Italia,dove gli impieghi raggiungono il 141,8% dei depositi, e persino dell area Mezzogiorno, in cui le due voci hanno volumi quasi analoghi (97,5%). Per quanto concerne Napoli, il capoluogo è l unica provincia campana in cui i depositi superano gli impieghi attestandosi al 105,1%. La propensione degli istituti di credito alla concessione di finanziamenti risulta di gran lunga superiore alle altre province, dove il rapporto tra i due indicatori varia tra il 58,8% di Avellino e l 88,9% di Salerno. Occorre considerare, tuttavia, che rispetto al 2011 il divario tra impieghi e depositi in provincia di Napoli si è ridotto notevolmente,passando dal 121,5% del 12 UNIONCAMERE (2015), Rapporto UNIONCAMERE 2015, Alimentare il digitale. Il futuro del lavoro e della competitività dell Italia, pag

62 2011 all attuale 105,1%. Si tratta in ogni caso di una tendenza analoga a quella rinvenibile a livello nazionale: tra il 2011 e il 2014, la media del rapporto impieghi/depositi è scesa dal 161,7% al 141,8%. I depositi censiti nella provincia di Napoli a fine 2014 ammontano complessivamente al netto delle istituzioni finanziarie monetarie a circa milioni di euro, in crescita del 2,3% rispetto al La scomposizione per clientela mette in luce l importanza relativa del settore produttivo rispetto alle altre realtà del territorio regionale. Per il capoluogo partenopeo il peso complessivo di società non finanziarie (14,3%), società finanziarie diverse da istituzioni monetarie (0,9%) e famiglie produttrici (3,8%) raggiunge complessivamente il 18,9%, con un incidenza superiore sia alla media regionale (14,8%) che a quella del Mezzogiorno (14,4%), sebbene ancora molto distante da quanto si osserva per il resto del Paese (Italia: 27,6%). Depositi bancari e risparmio postale per il complesso dei settori della clientela residenziale nelle province campane. Serie storica Numero indice 2011=100 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Banca d'italia Il divario con le altre province campane risulta piuttosto evidente se si considera che il peso delle famiglie consumatrici varia tra l 86,7% di Salerno e il 91,9% di Avellino, mentre la provincia di Napoli (80,2%) si colloca al di sotto della media regionale (84,3%). Preme far osservare che, nel medio periodo, la scomposizione dei depositi per tipologia di clientela è rimasta pressoché inalterata per il capoluogo campano. Nel 2011, infatti, la quota ascrivibile alle famiglie consumatrici presentava la stessa incidenza del valore attuale, così come quella delle famiglie 62

63 produttrici. Piccole differenze riguardano la Pubblica Amministrazione che, in conseguenza della spending review,vede ridurrei propri risparmi dal 2,3% allo 0,8%, nonché le società finanziarie (da 1,4 allo 0,9%) e le società non finanziarie (dal 12,4% al 14,3%). In riferimento agli impieghi, quelli erogati nell area napoletana rappresentano il 60% del totale regionale. Dal confronto con il totale degli impieghi erogati in Campania si evince che l incidenza di Napoli è quasi assoluta per quanto concerne i prestiti a favore di società finanziarie diverse da istituzioni finanziarie (93,8%), mentre si mantiene significativamente sopra la media in relazione alla Pubblica Amministrazione (65,2%). Al contrario, la quota di impieghi destinata alle famiglie produttrici è più modesta e raggiunge appena il 43,6%. Rispetto al 2013 il volume di impieghi è diminuito dell 1%, in maniera non difforme da quanto occorso a livello nazionale (-1,1%) e nella macro-area di riferimento (-0,6%). Impieghi bancari per il complesso dei settori della clientela residenziale nelle province campane. Serie storica Numero indice 2011=100 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Banca d'italia Nel resto della Campania soltanto la provincia di Benevento (-1,5%) mostra una contrazione peggiore di quella di Napoli, mentre si sono manifestati residuali incrementi a Caserta (+0,6%), Avellino (+0,2%) e Salerno (+0,1%). Maggiormente significativa appare l analisi di medio periodo dalla quale si ricava che, tra il 2011 e il 2014, i finanziamenti concessi dalle banche partenopee sono scesi dell 8,9%, al di sopra di quanto osservato sia per il Mezzogiorno (-6,2%) che per l Italia (- 6%). Inoltre, il deteriorarsi del credito ha avuto effetti peggiori sul capoluogo campano rispetto alle 63

64 altre quattro province, dove si sono rilevate variazioni negative importanti, ma più contenute, comprese tra il -4,2% di Salerno e il -7,2% di Avellino. La provincia di Napoli, quindi, risente contemporaneamente sia di una minore domanda, legata ad un più contenuto ciclo degli investimenti, sia di un peggioramento particolarmente grave del merito di credito. Per quanto concerne la composizione degli impieghi per clientela, in provincia di Napoli, nel 2014, oltre la metà è destinata al settore produttivo (51,6%). Nello specifico, il 45,7% dei finanziamenti è rivolto a società non finanziarie, il 3,8% a famiglie produttrici e il 2,1% a società finanziarie. Si tratta di un profilo in linea con la media della macro-area di riferimento (51,2%) ma che differisce dal dato nazionale, dove il peso del settore produttivo cresce fino al 57,6%. A livello regionale le differenze sono meno marcate rispetto a quanto osservato per i depositi. In linea di massima è possibile suddividere la Campania in due aree: da una parte le province di Napoli, Avellino (55,1%) e Salerno (53,6%) dove oltre la metà dei prestiti è a favore di imprese o famiglie produttrici, dall altro Caserta (47,5%) e Benevento, dove prevalgono gli impegni per le famiglie (53,6%). Parallelamente al decrescere degli impieghi si è assistito ad un incremento rilevante dei debitori in stato di sofferenza. Soltanto nell ultimo anno a Napoli i prestiti in sofferenza sono cresciuti del 12,5%, in misura maggiore che in Campania (+10,9%) e nel Mezzogiorno (+9,7%), ma inferiore al dato nazionale (+13,5%). Tuttavia, è ancora una volta il confronto ad offrire una fotografia più realistica della criticità in atto. In particolare, rispetto al 2011 si segnala un incremento di quasi il doppio in Campania (+49,2%) e addirittura del 62,2% a livello nazionale. La provincia di Napoli si colloca in una posizione intermedia tra i due dati, facendo osservare un aumento di medio periodo del +54,2%. Rispetto alle altre province la posizione del capoluogo campano risulta la più critica, sebbene anche a Salerno (+51,6%) e Benevento (4,2%) l impennata del valore delle sofferenze abbia assunto dimensioni preoccupanti. Scomponendo la consistenza per tipologia di clientela emerge come una maggior fragilità abbia riguardato le società di servizi, le quali rappresentano il 37,6% delle sofferenze totali. Le famiglie in difficoltà incidono per il 24,7%, mentre industria e costruzioni rappresentano complessivamente il 30,5%. È interessante osservare che, rispetto al 2011, la distribuzione dei volumi di sofferenze tra i clienti è cambiata in modo notevole, penalizzando in modo evidente le imprese del terziario: infatti nel 2011 la maggioranza relativa era rappresentata dalle famiglie consumatrici che incidevano per il 33,2%, mentre le imprese di servizi pesavano per il 27,5%; analoga a quella attuale la quota ascrivibile ad imprese del secondario che, nel complesso, rappresentavano il 31%. A conclusione del presente capitolo si propone, di seguito, uno sguardo di insieme sui rapporti tra banche, imprese e famiglie nei primi mesi del I dati relativi a marzo confermano le tendenze in atto, con i depositi che crescono più degli impieghi e le sofferenze bancari e che proseguono l incremento. Nello specifico, rispetto a dicembre 2014, in provincia di Napoli i depositi bancari si sono incrementati del 2,1%, mentre gli impieghi di appena lo 0,3%. Ciò lascia intendere che nel 2015 il rapporto tra i due indicatori continuerà a convergere verso la parità, evidenziando il perdurare di un approccio piuttosto rigido 64

65 da parte delle banche rispetto alla concessione del credito. Va tuttavia considerato che la tendenza osservata per Napoli appare meno penalizzante di quella rilevata nelle principali aree di raffronto: in Italia, a fronte di un aumento dei depositi del 7,6%, gli impieghi sono scesi dello 0,9%; nella macro-area di riferimento i risparmi presso le banche sono cresciuti del 2,4% in contrapposizione ad un calo dei finanziamenti dello 0,4%. Sul versante dei depositi, il confronto con le altre province è migliore solo rispetto ad Avellino (+1,7%), mentre a Salerno (+3,5%), Caserta (+4,2%) e Benevento (+3%) il volume dei depositi è cresciuto in una dimensione più consistente. Per quanto concerne gli impieghi, si osservano variazioni marginali in tutte le province campane, con la sola eccezione di Avellino dove si registra una crescita del +1,9%. Sul fronte della rischiosità del credito, nonostante l attenuazione della crisi economica, continuano ad accrescersi i volumi di prestiti in sofferenza a livello provinciale, regionale e nazionale. Tra dicembre 2014 e marzo 2015, le sofferenze bancarie in provincia di Napoli sono aumentate del 2,2%, in linea con la media campana (+2,1%), ed hanno riguardato sia le imprese (+2%) che le famiglie consumatrici (+2,6%). Anche nelle ripartizioni di raffronto (Mezzogiorno: +2,6%; Italia: +2,8%) non si colgono segnali positivi. 65

66 9. Prime tendenze per il 2015: L'evoluzione della base imprenditoriale 66

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68 I primi tre mesi del 2015 consegnano alla provincia di Napoli un andamento della demografia di impresa che dopo il passo falso del 2014 ha ripreso quel trend di crescita inauguratosi nel 2012 e che aveva interrotto un triennio all'insegna delle considerevoli flessioni. Il dato assume maggiore valenza laddove si osservi che storicamente il primo trimestre dell'anno rappresenta da sempre un periodo difficile per la demografia di impresa sia sul territorio partenopeo sia a livello nazionale in quanto nei primi mesi dell'anno si concentrano le cessazioni di impresa decisi l'anno precedente. E invece se in Italia il bilancio è stato complessivamente deficitario (-0,31%), la provincia di Napoli si segnala per una delle sole cinque realtà provinciali del nostro paese (insieme a Milano, Roma, Palermo e Grosseto) a chiudere i primi tre mesi dell'anno con un bilancio positivo. Serie storica delle iscrizioni, delle cessazioni e dei relativi tassi nel I trimestre di ogni anno. Provincia di Napoli Totale imprese Cessazioni Tasso di Tasso di Tasso di Anno Iscrizioni non Saldi iscrizione cessazione crescita d'ufficio ,86 2,09-0, ,84 2,10-0, ,66 2,06-0, ,12 0,96 0, ,95 1,48 0, ,83 1,97-0, ,89 1,75 0,14 Anno Iscrizioni di cui imprese artigiane Cessazioni non d'ufficio Saldi Tasso di iscrizione Tasso di cessazione Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Tasso di crescita ,58 3,14-1, ,14 2,78-1, ,95 2,12-0, ,33 1,52-0, ,18 0,99 1, ,63 3,03-1, ,15 2,59-0,45 Un risultato quello conseguito dalla città metropolitana partenopea che è frutto di movimenti di iscrizioni che sono stati particolarmente intensi (segno evidente di una decisa voglia da parte dei napoletani di intraprendere una nuova iniziativa imprenditoriale) e che sono sfociati nel secondo maggior numero di iscrizioni degli ultimi sette anni ad appena 58 unità dal dato record del A tale intensità di iscrizioni si è associato un numero di cessazioni particolarmente elevato almeno con riferimento agli standard dell'ultimo quadriennio a riprova di una capacità di resistenza sui mercati che sia pure maggiore rispetto a quella del 2014 si colloca su livelli ancora decisamente a 68

69 testimonianza che queste iniziative spesso appaiono essere troppo fragili per resistere alle intemperie dei mercati. Anche se comunque il tasso di cessazione è decisamente più contenuto rispetto alla media nazionale. Analogo discorso può valere anche per quanto riguarda il sottoinsieme delle imprese artigiane con una differenza sostanziale. Per questo tipo di imprese il primo trimestre del 2015 si è concluso all'insegna della negatività. Meno accentuata rispetto a quella del 2014, una delle meno significative fra le province italiane ma comunque piuttosto significativa (-0,45%). In analogia a quanto accaduto per il complesso delle imprese rispetto al 2014 si registra un forte incremento delle iscrizioni (percentualmente molto più significativo di quello del totale delle imprese) e un contenimento del numero di cessazioni grosso modo analogo che evidenzia come anche per le imprese artigiane spesso i meccanismi di mercato sono troppo complessi da affrontare per le imprese napoletane. Il confronto con le altre realtà provinciali arride complessivamente a Napoli visto che sia per quanto riguarda il totale delle imprese, che per il segmento di quelle artigiane, i tassi di crescita oltre che essere migliori rispetto a quelli del 2014, sono anche di gran lunga i migliori fra le province campane dove si evidenziano forti differenziali fra le aree "esterne" e quelle "interne". E nel caso delle imprese artigiane possiamo parlare anche di prevalenza con netto distacco visto che Napoli è l'unica realtà provinciale campana a vedere un tasso di crescita superiore a quello medio nazionale, cosa che invece non avveniva nel Tassi di crescita del totale imprese nel primo trimestre 2014 e 2015 nelle province campane Province Iscrizioni Cessazioni Tasso di Tasso di Saldo I Stock al 31 crescita I crescita I trimestre marzo 2015 trimestre trimestre Caserta ,36-0,16 Benevento ,77-1,03 Napoli ,14-0,14 Avellino ,71-0,69 Salerno ,26-0,51 CAMPANIA ,14-0,32 SUD E ISOLE ,31-0,41 ITALIA ,31-0,38 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere In termini settoriali, l andamento trimestrale (rispetto, cioè, al quarto trimestre 2014) mostra, nei primi tre mesi dell anno, una complessiva sovrapposizione di andamenti rispetto a quello che si riscontra nella regione con una diaspora di imprese agricole (che vale anche a livello nazionale), e una maggiore accentuazione delle difficoltà delle imprese operanti nelle attività professionali, scientifiche e tecniche e nella sanità. In regressione ma a ritmi di decrescita decisamente più contenuti rispetti al contesto regionale appaiono il commercio e la sanità. Comparti questi ultimi che potrebbe in prospettiva trarre nuova linfa imprenditoriale dalle future prospettive campane in 69

70 termini demografici. Se infatti dovessero essere confermate le più recenti previsioni, la regione Campania e di conseguenza anche i suoi territori andranno incontro da qui al 2025 a un fortissimo invecchiamento della popolazione con un innalzamento dell'età media di oltre quattro anni rispetto a quello odierno e una quota di over 65 che dovrebbe superare il 20%. E non è tutto. Tassi di crescita delle imprese artigiane nel primo trimestre 2014 e 2015 nelle province campane Province Iscrizioni Cessazioni Tasso di Tasso di Saldo I Stock al 31 crescita I crescita I trimestre marzo 2015 trimestre trimestre Caserta ,43-2,11 Benevento ,67-2,13 Napoli ,44-1,40 Avellino ,89-2,15 Salerno ,42-1,33 CAMPANIA ,09-1,62 SUD E ISOLE ,30-1,70 ITALIA ,05-1,18 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Infatti se allarghiamo il raggio temporale di altri dieci anni, quest'ultimo valore dovrebbe sfiorare il 30%. Quindi è evidente che si stanno creando le condizioni in Campania più che altrove per puntare a un rilancio del commercio di prossimità che possa ad esempio offrire servizi a domicilio e di una sanità sempre più vicina alle esigenze di un tessuto demografico fortemente mutato. Tornando all'oggi è evidente invece il balzo in avanti delle imprese operanti nei settori del noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese che crescono in soli tre mesi dello 0,5% con particolare enfasi per quanto riguarda la componente artigiana nel quale questo settore sembra essere quello decisamente più in salute a differenza di quanto accade per edilizia e commercio la cui parte artigiana è ancora profondamente sofferente. L andamento delle imprese campane per forma giuridica, infine, ricalca un trend strutturale, che dura da diversi anni, nel quale il sistema produttivo si sposta, progressivamente, verso una maggiore capitalizzazione delle imprese. Infatti, mentre le imprese individuali diminuiscono, su base annua, dello 02% (meno della riduzione registrata nel primo trimestre di un anno fa), si accelera, dallo 0,96% del primo trimestre 2014 all 1,18% dei primi tre mesi del 2015, l incremento numerico delle società di capitali. Si tratta di un processo che la crisi accelera, rendendo più cruda la selezione delle imprese, a scapito di quelle meno organizzate e meno capitalizzate. Va anche segnalato l incremento di 0,6 punti delle altre forme, dentro le quali prevalgono le cooperative. Si tratta di un fenomeno interessante, perché il mutualismo che fa parte dell organizzazione cooperativa, se sano, può contribuire a ricreare quei meccanismi di coesione sociale e di ricucitura dal basso di capitale sociale, che la crisi economica, andata a sovrapporsi con lunghi anni di pensiero individualista e liberista, hanno schiacciato. Si tratta anche di una opportunità occupazionale, se si pensa che, con quasi imprese e circa 1,4 milioni di lavoratori, il mondo 70

71 della Cooperazione in Italia contribuisce al 7,4% dell'occupazione complessivamente generata dal sistema delle imprese. Stock delle imprese registrate al 31 dicembre 2014 e 31 marzo 2015 e variazione percentuale trimestrale per settore di attività economica. Provincia di Napoli Stock al 31 dicembre Var. % trimestrale dello Stock al 31 marzo stock Settori di attività economica Totale di cui Totale di cui Totale di cui imprese artigiane imprese artigiane imprese artigiane Agricoltura, silvicoltura pesca ,8 0,0 Estrazione di minerali da cave e miniere ,1 0,0 Attività manifatturiere ,4-0,4 Fornitura di energia elettrica, gas, vapore ,0 0,0 Fornitura di acqua; reti fognarie ,2 2,6 Costruzioni ,3-0,7 Commercio ,1-0,7 Trasporto e magazzinaggio ,1-1,2 Attività dei servizi alloggio e ristorazione ,0-0,7 Servizi di informazione e comunicazione ,2-4,8 Attività finanziarie e assicurative ,7 0,0 Attività immobiliari ,1 0,0 Attività professionali, scientifiche e tecniche ,1-0,7 Noleggio, agenzie di viaggio, servizi alle imprese ,5 2,7 Amministrazione pubblica e difesa; ass. sociale ,0 - Istruzione ,1-3,9 Sanità e assistenza sociale ,6 0,0 Attività artistiche, sportive, di intrattenimento ,3-3,1 Altre attività di servizi ,2-0,1 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Riepilogo della nati-mortalità per forme giuridiche I trimestre Provincia di Napoli Tasso di Tasso di Saldo I trim. Stock al Forme giuridiche Iscrizioni Cessazioni crescita I crescita I trim trim Totale imprese Società di capitali ,18 0,96 Società di persone ,62-0,84 Imprese individuali ,18-0,55 Altre forme ,56 1,06 TOTALE ,14-0,14 di cui imprese artigiane Società di capitali ,49 2,33 Società di persone ,63-0,42 Imprese individuali ,52-1,65 Altre forme ,32 0,00 TOTALE ,45-1,40 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere 71

72 10. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore manifatturiero e previsioni per il secondo 72

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74 Per una stima 13 delle prime tendenze del 2015 nel comparto manifatturiero sono stati considerati i dati delle singole imprese relativamente alla produzione industriale, al fatturato e agli ordinativi. Globalmente i dati del primo trimestre 2015 indicano il perdurare di una dinamica di crisi, sebbene si rilevi una significativa fiducia tra gli operatori in un cambio di tendenza nel breve periodo (aspettative per il secondo trimestre). Il differenziale tra le imprese manifatturiere che hanno registrato un aumento della produzione industriale e quelle che hanno riscontrato un calo rispetto all ultimo trimestre del 2014, indica per la Campania uno spread negativo di 13,8 punti percentuali. La situazione risulta ancora più critica per la provincia di Napoli, dove il saldo negativo sale a 16,5 punti percentuali. Si tratta della seconda peggior performance regionale, dopo quella che ha interessato la provincia di Benevento (-21%), in un contesto dove solo Salerno ha fatto osservare un saldo negativo più contenuto (- 4,1%). L esito è ancor più preoccupante se si considera il solo universo delle aziende artigiane, per le quali il differenziale sale a -33% per la Campania e a -34,9% per Napoli. A livello regionale, la provincia napoletana detiene ancora una volta la seconda peggiore performance, dietro ad Avellino (-36,8%),e all interno di uno scenario particolarmente depresso in cui in tutte le province, ad eccezione di Caserta (-26,4%), lo spread negativo supera i 30 punti. Scomponendo l analisi per dimensione di impresa appare evidente come le realtà imprenditoriali più piccole fatichino maggiormente a cogliere segnali di ripresa. A Napoli le unità con meno di 10 addetti che hanno visto decrescere la produzione industriale superano quelle con andamento positivo di 24,9 punti percentuali, a fronte di un gap negativo di 13,6 punti percentuali che si osserva nell aggregato con 10 o più addetti. Il confronto con le altre province mostra una condizione maggiormente negativa per Napoli in riferimento alle imprese maggiori: nel capoluogo campano, infatti, il saldo negativo risulta superiore di 4,7 punti alla media regionale (-8,9%), superato solamente da quello osservato per la provincia di Benevento (-18,2%). Per quanto concerne le unità più piccole, lo score di Napoli, seppur molto negativo, è il secondo migliore dopo la provincia di Salerno (-23,5%) e si distingue positivamente rispetto alla media regionale (-27,5%). Spostando l attenzione sui settori di attività economica del manifatturiero, segnali positivi si osservano esclusivamente per le industrie chimiche, petrolifere e delle materie plastiche, nel cui ambito gli incrementi di produzione superano di 4,5 punti i decrementi. Viceversa, in tutti gli altri comparti prevalgono andamenti negativi, in modo particolarmente netto relativamente alle industrie tessili (-27%), elettriche ed elettroniche (-22,7%) e del legno (-19,2%). La prevalenza di variazioni negative si riproduce coerentemente anche per quel che concerne il fatturato. In confronto al quarto trimestre del 2014, le imprese manifatturiere che denunciano un calo del fatturato superano quelle con segno positivo di 12,8 punti percentuali in Campania e di 13 Nota metodologica: l esito dell indagine è stato commentato in termini di saldo tra quota di aziende che dichiarano un valore positivo e quota di aziende che denunciano un valore negativo. Se il differenziale è positivo, compreso tra 0 e +100, ciò significa che vi è una maggioranza di imprese con andamento o previsione di crescita rispetto al semestre precedente; al contrario un saldo negativo, compreso tra 0 e -100, indica il prevalere di imprese con andamento o previsione di decrescita. 74

75 14,3 a Napoli. Rispetto a quanto descritto per la produzione industriale, il differenziale risulta ridotto, oltre che nel capoluogo, anche a Salerno (-1%), dove si registra una sostanziale equivalenza tra andamenti negativi e positivi, e a Caserta (-12,7%), mentre cresce in modo considerevole a Benevento (-27,9%) ed Avellino (-20,3%). Lo spread si conferma a Napoli piuttosto accentuato per le imprese con 2-9 addetti (24,9%), seppur preferibile rispetto alla media campana (-33,7%) e, all opposto, meno evidente per le imprese maggiori (-13,6%), sebbene ampiamente peggiore del dato aggregato regionale (-5,2%). L analisi degli ordinativi conferma lo scenario negativo per il primo trimestre 2015, pur lasciando intravedere qualche segnale di inversione. La predominanza in Campania di unità produttive che dichiarano un calo negli ordinativi permane, ancorché in dimensioni minori rispetto agli altri indicatori. Nello specifico, il differenziale negativo decresce per la regione a -10,2%, trainato dal dato positivo di Salerno (+5,2%) e dal saldo negativo più contenuto di Avellino (-6,6%). Per quel che concerne Napoli, lo spread negativo si conferma invece in linea con il dato del fatturato, attestandosi a -14punti percentuali e, dunque, peggiore di quanto registrato per la Campania. Nel capoluogo partenopeo sembrano maggiormente penalizzate le imprese artigiane, il cui saldo raggiunge il -40%, peggior risultato tra le province campane (Campania: -33%). Un elemento di particolare interesse è poi rappresentato dall andamento riscontrato fra le imprese con 2-9 dipendenti e quelle con 10 e oltre. Tra le prime si osserva una prevalenza di situazioni negative maggiore di quanto osservato per il fatturato: in particolare, il saldo passa dal -24,9% al -32,9%. Viceversa, nel secondo gruppo dimensionale lo spread negativo scende dal -13,6% a -7,6%, evidenziando come anche tra quelle aziende che denotano un calo nella produzione e nel fatturato inizi a manifestarsi una ripresa degli ordinativi, tale da far prevedere una inversione di tendenza nei mesi successivi. In effetti, il quadro molto critico descritto per il primo trimestre 2015non sembra incidere sulle aspettative per il secondo trimestre che, in linea di massima, si rivelano ottimistiche. Tra gli operatori del manifatturiero è piena la convinzione della possibilità che il 2015 possa rappresentare l anno della svolta dopo la lunga recessione. In tal senso, va evidenziato che, sia a Napoli che in Campania, le imprese con aspettative di crescita superano largamente quelle con percezione di decrescita per tutti e tre gli indicatori considerati. Nel dettaglio, in riferimento alla produzione industriale prevista per il secondo trimestre, si osserva a Napoli un saldo positivo di 27,7 punti percentuali, 2,7 in più di quanto registrato per la Campania e secondo dato più alto dopo la provincia di Salerno (+30,1%). A sorprendere è l atteggiamento delle imprese manifatturiere artigiane, nonostante la dinamica molto penalizzante che ha caratterizzato il primo trimestre dell anno in corso: in questo ambito la percentuale di imprese artigiane napoletane che ha previsto un incremento della produzione tra aprile e giugno 2015 supera di 12,7 punti la quota di quelle che prevedono un ulteriore calo (Campania: 11,8%). A livello settoriale, risulta comune a tutti i comparti la prevalenza di aspettative positive ed è particolarmente elevata per le industrie alimentari (+42,4%) e quelle elettriche ed elettroniche (+65%). L unico caso in cui valutazioni 75

76 ottimistiche e pessimistiche si equivalgono riguarda le industrie con meno di 10 dipendenti, coerentemente con le difficoltà descritte per il primo trimestre 2015, per le quali il differenziale risulta positivo per appena 1,3 punti percentuali. Si tratta di un valore in deciso contrasto con quanto rilevato tra le imprese più grandi, che in larga maggioranza (+36,7%) hanno previsto una ripresa produttiva già a partire dal secondo trimestre. La differenza nella previsione tra i due gruppi dimensionali si rivela in tutte le altre province ma in nessun caso in modo così netto, a testimonianza della maggiore difficoltà da parte delle piccole imprese napoletane nel cogliere i primi segnali di ripresa del ciclo economico. In particolare, la differenza tra i saldi è massima proprio a Napoli (35,4%), mentre si riduce ad appena 2 punti percentuali ad Avellino dove, sostanzialmente, le previsioni non mutano in relazione alla dimensione. Saldi percentuali tra indicazioni di aumento della produzione e indicazione di diminuzione nei periodi quarto trimestre 2014/primo trimestre 2015 e primo trimestre 2015/secondo trimestre Provincia di Napoli Industrie alimentari Industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature Industrie del legno e del mobile Industrie chimiche, petrolifere e delle materie plastiche Industrie dei metalli Industrie elettriche ed elettroniche Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto Altre industrie INDUSTRIA MANIFATTURIERA - di cui: Artigianato Consuntivo 4 trimestre trimestre 2015 Preconsuntivo 1 trimestre trimestre 2015 Fonte:Unioncamere-Istituto Guglielmo Tagliacarne - Indagine congiunturale sull'industria manifatturiera per la regione Campania 76

77 La percezione di miglioramento cresce lievemente qualora si consideri il fatturato. In provincia di Napoli la quota di imprese che ha previsto nel secondo trimestre 2015 un aumento dei volumi di fatturato supera di 30,1 punti percentuali quella delle unità produttive che ipotizzano un andamento negativo. La scomposizione del dato in settori e dimensioni ricalca, per Napoli e per la Campania in genere, quanto descritto per la produzione industriale, confermando il maggior ottimismo delle imprese alimentari (+54,4), elettriche ed elettroniche (+64,4) e, in generale, delle imprese di maggiori dimensioni (+38,9). Tra le differenze più evidenti, si osserva un parziale deterioramento dell indicatore in riferimento alle imprese artigiane: la quota di unità produttive con aspettative di miglioramento supera quelle di percezione opposta soltanto di 7,2 punti percentuali (Campania: 9,9%). Infine, anche le aspettative sugli ordinativi non si discostano in misura determinante, sebbene la quota di valutazioni ottimistiche scenda sia in Campania (+24,8%) che a Napoli (+27,6%). Nel capoluogo, che in questo caso vanta il miglior saldo tra le province campane, torna ad aumentare la percezione di crescita tra le imprese artigiane (+14,4%) mentre resta bassa tra le piccole imprese (+3,9%). A livello settoriale, nell ambito di una scenario prevalentemente ottimista per la quasi totalità dei comparti, l unico caso in cui le previsioni di un calo degli ordinativi sono maggioritarie, seppur in modo residuale, è quello che interessa l industria del legno e del mobile (- 0,3%). Tuttavia, le basse aspettative di questo comparto del manifatturiero sembrano una peculiarità del contesto napoletano, considerando che il saldo raggiunge addirittura il +21,2% e il +43,4%, rispettivamente a Caserta e Benevento. 77

78 11. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore dei servizi e delle costruzioni e previsioni per il secondo 78

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80 L analisi sui risultati del primo trimestre 2015 per il settore terziario è stata realizzata, analogamente a quella del comparto manifatturiero, attraverso la rappresentazione dei dati in termini di saldo tra la quota di aziende che dichiarano un valore positivo e la quota di aziende che denunciano un valore negativo. Di conseguenza, un differenziale positivo (da +0,1 a +100) descrive la presenza di una maggioranza di imprese con aumento o previsione di aumento delle vendite, ed uno negativo (da -0,1 a -100) la prevalenza di imprese con trend negativo in corso o aspettative di decrescita. Nello specifico, il raffronto tra gli andamenti dell ultimo trimestre 2014 e le previsioni per il primo trimestre del 2015 hanno riguardato il volume delle vendite e sono stati suddivisi per imprese del commercio al dettaglio e per imprese dei servizi. In linea con quanto indicato per il comparto manifatturiero, anche per il terziario si osserva un andamento negativo per il primo trimestre 2015 che, tuttavia, non deprime le aspettative positive della maggioranza degli operatori. In prima approssimazione, dall esame dei dati si ricava come il primo trimestre dell anno si sia dimostrato particolarmente penalizzante per le imprese del commercio al dettaglio. Il saldo tra soggetti che hanno incrementato le vendite e quelli per cui sono diminuite si attesta, infatti, a -32 punti percentuali in provincia di Napoli ed a -33,9 per la Campania. Una prevalenza netta di aziende con calo delle vendite si riscontra in tutte le province campane, con spread massimo a Caserta (-42,6%) e minimo a Salerno (-29,3%). L analisi per classi dimensionali mostra come l inizio dell anno sia stato particolarmente difficile per le unità commerciali con più di 20 addetti che, in provincia di Napoli, denunciano un andamento negativo delle vendite con una incidenza del 56,3% rispetto all ultimo trimestre del 2014 (Campania: -59,4%). Preme fare osservare, inoltre, che il divario risulta molto ampio rispetto alle imprese del commercio al dettaglio con meno di 20 addetti, che fanno registrare uno spread sempre negativo ma di appena 25,8 punti percentuali. La differenziazione per tipologia di commercio è direttamente collegata a quella per dimensione. La categoria degli ipermercati, supermercati e grandi magazzini della provincia di Napoli fa rilevare in larga maggioranza un decremento delle vendite, con un differenziale tra andamenti positivi e negativi di -70,2 punti percentuali (Campania: -73,5%). Il divario diviene più contenuto qualora si considerino strutture di impresa più elementari: il saldo si riduce a -29,7% (Campania: -30,2%) per il commercio al dettaglio di prodotti non alimentari, ed a -28,3% (Campania: -32,4%) per quello di prodotti alimentari. Nonostante il pessimo inizio del 2015, le aspettative per il secondo trimestre si sono rivelate in maggioranza positive. A Napoli, per l intero comparto del commercio al dettaglio, le imprese con previsioni ottimistiche prevalgono di 16,8 punti percentuali (Campania: 15,5%), un dato positivo che, tuttavia, riflette ancora un clima di incertezza. Diversamente da quanto descritto per l andamento delle vendite, le percezioni variano solo marginalmente sia in relazione alla tipologia di commercio, sia per dimensione di impresa. Rispetto alla prima classificazione il saldo è compreso tra +17,9 punti in riferimento ad ipermercati, supermercati e grandi magazzini, e +14,9 80

81 punti per il commercio al dettaglio dei prodotti alimentari. In termini di numero di addetti, le unità commerciali con più di 20 lavoratori guardano al secondo semestre in linea di massima con più ottimismo rispetto a quelle di minori dimensioni. Nello specifico, nel primo gruppo il saldo tra aspettative positive e negative è +19,3 (Campania: 22,3%), mentre nel secondo si attesta poco al di sotto, a +16,1 (Campania: 13,9%). Per quanto concerne il confronto tra Napoli e le altre province campane, soltanto a Salerno si osserva una quota di imprese con previsioni di crescita più alte. Nel salernitano, il saldo tra aumenti e diminuzioni delle vendite previste per il secondo trimestre cresce al 18,3%, mentre è più contenuto a Caserta (+11,6%), Avellino (+10,7%) e Benevento (+8,2%). Il quadro brevemente delineato per il commercio non differisce in maniera significativa da quanto accade nei servizi. Anche in questo caso, infatti, si è assistito ad un primo trimestre in cui è prevalso un calo nei volumi d affari, a cui si associano aspettative in maggioranza positive per quel che concerne il trimestre successivo. Nel dettaglio, in provincia di Napoli, la quota di imprese che ha denunciato un calo delle vendite supera quella con andamento positivo di 17,7 punti percentuali, dunque con dimensioni più contenute di quanto descritto per il commercio al dettaglio. La prevalenza di casi negativi non differisce in base alla dimensione. Lo spread si attesta infatti a -17,4% per le aziende con meno di 9 dipendenti e a -17,9% per quelle con almeno 10 dipendenti. L assenza di significative differenze tra i due gruppi dimensionali rappresenta un anomalia a livello regionale, dove in genere si osservano differenze molto marcate. Nello specifico, in provincia di Salerno, Benevento e Avellino sono molte di più le piccole imprese che registrano un calo rispetto quanto osservato per le grandi, mentre a Caserta si fotografa la situazione opposta, in cui l incidenza dell andamento negativo è più marcata tra le aziende maggiori. Passando a considerare il dettaglio dei singoli settori, si nota come le categorie alberghi ristoranti e servizi turistici ed informatica e telecomunicazioni presentino, in provincia di Napoli, segno inverso rispetto al dato regionale, facendo registrare una prevalenza di imprese con incremento degli introiti, rispettivamente di 3,1 e 3,7 punti percentuali. Si tratta, a ben vedere, di una peculiarità ascrivibile alla sola provincia di Napoli, mentre per tutte le altre permane uno spread negativo. All opposto, per il capoluogo campano la quota di soggetti produttivi che indicano un calo delle vendite risulta particolarmente elevata per servizi avanzati ed altri servizi, i cui saldi si attestano rispettivamente a -37,6 e -38,5 punti percentuali. In termini generali, le aspettative delle imprese dei servizi per il secondo trimestre del 2015 sono positive per tutti settori di attività economica e per ciascuna classe dimensionale, in misura mediamente più alta di quanto riportato per il commercio al dettaglio. Per la provincia di Napoli il dato aggregato mostra una quota di imprese con previsioni di crescita superiore di 21,6 punti rispetto alla percentuale delle aziende con aspettative negative (Campania: +20,1%). Il dato è il migliore tra le province campane, per le quali il saldo è compreso tra il +16,7% di Avellino e il + 19,2% di Salerno. Anche in questo caso si osservano differenze minime tra imprese piccole (fino a 9 dipendenti) e medio-grandi (oltre 10): il differenziale tra aumenti e 81

82 diminuzioni previste nel primo gruppo di è di +20,8 punti percentuali, mentre nel secondo di +22,2 punti percentuali. Infine, per quanto riguarda i singoli settori, si ritrovano i casi limite già evidenziati per gli andamenti del primo trimestre. Per alberghi, ristorazione e servizi turistici è elevatissima l aspettativa per un secondo trimestre molto positivo e la differenza tra ottimisti e pessimisti è di 65,8 punti percentuali (Campania: 60,3%), per servizi avanzati invece il peso dei due gruppi tende ad equivalersi (+0,2%), mentre per la categoria altri servizi prevale la quota di aziende che si aspetta un decremento delle vendite anche nel secondo trimestre 2015 (-27,4%). In aggiunta, si osservano andamenti distanti dalla media regionale anche per mense e servizi bar (+64%) e, in senso opposto,per informatica e telecomunicazioni (+6,5%). In entrambi i casi si tratta di difformità comuni anche alle altre province, seppur con intensità differenti. Saldi percentuali tra indicazioni di aumento e indicazioni di diminuzione del volume di affari (vendite per i settori ipermercati, supermercati e grandi magazzini, commercio al dettaglio di prodotti non alimentari e commercio al dettaglio di prodotti alimentari) nei periodi quarto trimestre 2014/primo trimestre 2015 e primo trimestre 2015/secondo trimestre Provincia di Napoli Costruzioni Commercio ingrosso e di autoveicoli Commercio al dettaglio di prodotti alimentari Commercio al dettaglio di prodotti non alimentari Ipermercati, supermercati e grandi magazzini -70 Alberghi, ristoranti e servizi turistici Trasporto movimentazione merci logistica e serv. Mense e servizi bar Informatica e telecomunicazioni Servizi avanzati Servizi alle persone Altri servizi Consuntivo 4 trimestre trimestre 2015 Preconsuntivo 1 trimestre trimestre 2015 Fonte:Unioncamere-Istituto Guglielmo Tagliacarne - Indagine congiunturale sul commercio e sui servizi per la regione Campania 82

83 12. I recenti trend del mercato del lavoro e l'andamento della Cassa Integrazione Guadagni 83

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85 La città metropolitana di Napoli chiude il 2014 con 789,8 mila occupati evidenziando quindi in modo totalmente difforme dal resto della regione, un proseguimento della tendenze alla crescita del numero di teste occupate iniziata nel 2011 e che ha portato in tre anni a quasi occupati in più. Siamo sempre piuttosto lontani dai livelli di occupazione (tutt'altro che eccelsi) pre crisi ma qualche segnale incoraggiante (soprattutto per la presenza di una tendenza temporale c'è). Anche a Napoli come in Campania e diversamente dal trend nazionale si è osservata nel 2014 una lieve contrazione delle occupate donne che va detto però venivano da un triennio che aveva generato posti di lavoro in più e che aveva portato a un vero e proprio boom del livello di "femminilizzazione" del mercato del lavoro partenopeo con una quota di oltre il 35% di occupati donne sul totale (oggi ripiegato al 34,3% con un margine di oltre tre punti percentuali rispetto al 2004 mantenendosi sempre su livelli più bassi rispetto a tutte le altre province campane fatta eccezione per Benevento) a fronte di valori precedenti che superavano a stento il 30%. Va però detto che in termini assoluti siamo ancora piuttosto distanti dal numero record di donne al lavoro che è ancora detenuto dal 2004 con 282,6 migliaia contro gli attuali 271 mila. Numero indice (2004=100) del numero degli occupati nella città metropolitana di Napoli e in Italia per genere. Serie storica NAPOLI - Totale ITALIA - Totale NAPOLI - Maschi ITALIA - Maschi NAPOLI - Femmine ITALIA - Femmine Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Al di la delle considerazioni sulla evoluzione dei differenziali di genere, le condizioni del mercato del lavoro napoletano appaiono in termini relativi sempre molto degradate. Infatti la crescita dell'occupazione che si è registrata negli ultimi tempi è stata affiancata da una repentina ripresa di coloro che si sono dichiarati attivi nei confronti del mercato del lavoro rispetto a quanto si era 85

86 verificato nei primi anni della crisi. Questo equivale a dire che l'aumento di occupazione è stato soltanto sufficiente a coprire le esigenze dei nuovi che si sono affacciati sul fronte degli attivi e non a colmare le esigenze di coloro che già erano presenti sul mercato dell'occupazione. Il risultato di tutto questo è che il tasso di occupazione è rimasto ancorato per il quinto anno di fila fra il 30 e il 31%, fenomeno che fa di Napoli una delle dodici province italiane con il più basso livello di occupazione con un significativo ritardo anche per quanto concerne il confronto con il dato del Mezzogiorno. E da qui deriva anche quello che apparentemente è un paradosso ma che paradosso non è. Vale a dire l'aumento nel lungo periodo del tasso di disoccupazione al di la del calo di circa un punto percentuale che si è osservato fra 2013 e 2014 e che vede oggi la provincia di Napoli intorno a quota 24,6% di disoccupazione, ottavo valore più elevato d'italia. A livello settoriale i protagonisti della crescita di circa posti di lavoro osservata fra 2013 e 2014 sono stati le costruzioni in virtù di una crescita di circa occupati in più, quasi certamente immigrati con partita IVA e commercio/settore turistico che fanno registrare una crescita di occupati. Il 24,6% di tasso di disoccupazione sopra richiamato equivale in termini assoluti a un ammontare complessivo di unità rimanendo al di sotto del massimo storico del 2013 ( unità) ma sempre a livelli più che doppi rispetto a quelli del Da solo, il bacino dei disoccupati napoletano è pari al 16,9% del totale dei senza lavoro di tutto il Mezzogiorno e rende Napoli la provincia/città metropolitana con il più consistente stock di persone in cerca di occupazione (tanto per dare un termine di paragone, la seconda area in tal senso è Roma con unità). Vi è poi un aspetto che spesso viene trascurato nelle analisi ma che sia la crisi (con i relativi processi di ristrutturazione aziendali) da una parte, che la crescita della presenza straniera nel tessuto occupazionale campano e italiano stanno portando in luce in questi ultimi anni e che hanno visto anche in Campania alcuni effetti sia pure meno eclatanti rispetto ad altri territori e che si riferiscono alla evoluzione dei profili professionali. Le elaborazioni condotte dall'istituto Guglielmo Tagliacarne sui microdati dell'indagine sulle forze di lavoro realizzata dall'istat evidenziano come nel napoletano si sia assistito a fenomeni un pochino diversi rispetto a quanto si è osservato nel resto del paese e anche in Campania. Se infatti nella regione e nel paese si è osservata una forte tendenza verso la polarizzazione in direzione delle posizioni più estreme della scala gerarchica delle professioni (vale a dire professioni intellettuali e dirigenziali e profili non qualificati), quello che si può osservare nella regione Campania è una tendenza verso una e vera propria riqualificazione complessiva dell'occupazione. In un contesto in cui l'occupazione napoletana ha guadagnato circa occupati fra 2011 e 2014, si osserva infatti una crescita di legislatori, imprenditori e alti dirigenti (che sono il primo livello gerarchico della classificazione delle professioni e che vedono un andamento in contro tendenza rispetto a quanto accade per il paese), un aumento di quasi unità nell'ambito delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (il secondo livello) e diversamente da quanto accaduto per la regione uno sviluppo complessivo di circa posti per il complesso di professioni tecniche, esecutive nel lavoro d'ufficio e quelle 86

87 qualificate nei servizi di vendita (le cosiddette professioni intermedie). Poiché si osservano anche crescite di occupazione per complessive unità di conduttori di impianti e professioni non qualificate si evidenzia che l'unica professione a perdere forti numeri in termini di occupati sono artigiani, operai specializzati e agricoltori che lasciano sul terreno della crisi quasi occupati. Il risultato di tutto questo processo evolutivo è che oggi le cinque professioni di "maggior pregio" vedono occupati quasi napoletani a fronte dei di quattro anni fa con una incidenza sul totale degli occupati che è passata dal 61,9 al 64,9% con sorpasso rispetto all'analogo valore medio nazionale Numero di occupati per primo livello 1 della classificazione delle professioni Istat. Provincia di Napoli e Campania. Media anni 2011 e 2014 PROVINCIA DI NAPOLI COMPOSIZIONE NUMERO DI OCCUPATI SALDO VARIAZIONE PROFESSIONE PERCENTUALE 2014 PERCENTUALE Legislatori, imprenditori e alta dirigenza ,0 2,8 3,7 Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione ,2 14,9 16,0 Professioni tecniche ,1 13,5 14,1 Professioni esecutive nel lavoro d'ufficio ,6 10,3 10,6 Professioni qualificate nelle attivita commerciali e nei servizi ,0 20,5 20,5 Artigiani, operai specializzati e agricoltori ,2 16,3 12,9 Conduttori di impianti, operai di macchinari fissi e mobili e conducenti di veicoli ,7 7,5 7,9 Professioni non qualificate ,2 13,4 13,5 Forze Armate ,9 0,9 0,8 TOTALE ,1 100,0 100,0 CAMPANIA COMPOSIZIONE NUMERO DI OCCUPATI SALDO VARIAZIONE PERCENTUALE 2014 PERCENTUALE Legislatori, imprenditori e alta dirigenza ,3 3,0 3,5 Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione ,8 15,8 16,6 Professioni tecniche ,1 13,4 13,5 Professioni esecutive nel lavoro d'ufficio ,6 9,8 9,6 Professioni qualificate nelle attivita commerciali e nei servizi ,8 19,8 20,0 Artigiani, operai specializzati e agricoltori ,4 16,9 14,5 Conduttori di impianti, operai di macchinari fissi e mobili e conducenti di veicoli ,7 7,2 8,0 Professioni non qualificate ,1 12,4 13,2 Forze Armate ,4 1,7 1,2 TOTALE ,1 100,0 100,0 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat L'inspessimento" del profilo occupazionale napoletano può essere attribuita a quei processi di ristrutturazione aziendale in corso in tutto il paese e anche in Campania che potrebbero avere come obiettivo quello dello sviluppo della qualità delle produzioni per essere più competitivi sul mercato internazionale anche magari attraverso lo sviluppo di processi di digitalizzazione delle imprese e che necessitano dello sviluppo di profili professionali più qualificati per affrontare tali sfide. Dall'altra la crescita dei profili professionali più deboli può essere dovuta da una parte da processi di "auto demansionamento" messi in atto per affrontare la crisi ma anche dalla sempre 87

88 più accentuata presenza nel mondo del lavoro nazionale e campano della componente immigrata che tende a ingrossare la componente meno qualificata. Ma cosa si sta prospettando per il 2015 sul fronte del lavoro? I primi segnali per quest'anno sembrano evidenziare una tendenza, anche prospettica, al miglioramento del mercato del lavoro napoletano almeno per quanto concerne la parte già al lavoro mentre ancora un pochino di prudenza è d'uopo per quanto concerne il discorso di coloro che aspirano ad avere una occupazione. Per quanto riguarda la componente già al lavoro, il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, nei primi cinque mesi del 2015, crolla nel napoletano del 38,3% rispetto all'analogo periodo 2014 facendo il paio con quanto avviene (-47,7%) nel complesso della regione ma anche in tutte le altre province, soprattutto Avellino (-74,1%) ed a Benevento (-56,5%) e Caserta (-49,6%) ma il segno negativo è comune a tutte e cinque le province. In ragione del maggior numero di ore per occupato accumulate in precedenza, la riduzione è leggermente più rapida di quella nazionale (-34,4%) e meridionale (-37,9%). A determinare il forte calo della Cassa Integrazione è sicuramente lo strumento in deroga attivato, come è noto per settori e tipologie di azienda non coperti dalla CIG tradizionale, ed a gestione regionale. Tale strumento scende del 77% (esattamente come accade nella regione) anche in ragione dei tagli ai finanziamenti ministeriali di tale categoria, avviandosi, come per il resto del Paese, ad una progressiva sparizione. Mentre lo strumento ordinario, quella attivato per compensare periodi congiunturali di variazione della produzione aziendale, diminuisce del 23,6%, la componente straordinaria, quella attivata per le situazioni di crisi aziendale più gravi o per periodi di ristrutturazione produttiva, scende solo del 12,6%, fino a circa 4,9 milioni di ore autorizzate. Si tratta di un dato ancora molto elevato (che rappresenta il 67% del totale degli interventi adottati) e che evidenzia come quei processi di ristrutturazione aziendale di cui si è già fatto cenno in precedenza sono ancora ben lungi dall'essere conclusi nel territorio napoletano. Numero di ore di cassa integrazione autorizzate per provincia e tipo di intervento nei primi cinque mesi degli anni 2014 e 2015 Province Totale -di cui ordinaria -di cui straordinaria -di cui in deroga Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Fonte: Inps Le prospettive invece per chi cerca una nuova occupazione o per chi ambisce ad averne una diversa sembrano essere ancora blande. Secondo le risultanze del sistema informativo Excelsior 88

89 realizzato da Unioncamere e Ministero del Lavoro, se a livello nazionale è prevista la stipula per il secondo trimestre 2015 di nuovi contratti di lavoro 14 presso le imprese private con un incremento di circa il 13% rispetto all'analogo periodo del 2014, confermando la tendenza positiva del 1 trimestre e il rafforzamento degli altri segnali di ripresa del ciclo economico, la provincia di Napoli sembra essere ancora contraddistinta da un andamento lento. Infatti, a differenza di quanto accade nel resto del paese, in provincia di Napoli è previsto un leggero decremento tendenziale dei contratti attivati nel secondo trimestre di quest'anno. Nella provincia i nuovi contratti saranno 9.790, l'1% in meno rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente. Questa variazione tendenziale negativa è il risultato di un aumento del 7% delle assunzioni direttamente effettuate dalle imprese e di una diminuzione del 38% dei contratti atipici. In termini assoluti, in questo trimestre le assunzioni effettuate dalle imprese saranno pari a unità (89% dei contratti totali), mentre i contratti atipici dovrebbero attestarsi a unità (11%). Un dato che oltre a essere negativo rispetto alla media del paese lo è anche in confronto a quanto avviene per la Campania. Infatti per il complesso della regione (di cui Napoli rappresenta oltre la metà delle assunzioni) è previsto un incremento tendenziale con una variazione percentuale inferiore rispetto a quella registrata in ambito nazionale ovvero, il 4% in più rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente. Anche se in un contesto di assunzioni in tono minore rispetto allo scorso anno va comunque evidenziato che anche a Napoli il saldo fra numero di nuovi contratti e di quelli cessati (che possiamo definire come numero di nuovi posti di lavoro creati) è comunque positivo. Analogamente a quanto accade in ambito nazionale, anche in provincia di Napoli è prevista una variazione positiva dell'occupazione tra aprile e giugno Il "saldo" occupazionale atteso nella provincia è infatti pari a unità, comunque in peggioramento rispetto alle di un anno fa. Tale saldo rappresenta la sintesi tra "entrate" previste di lavoratori, dipendenti o autonomi, e "uscite" (dovute a scadenza di contratti, pensionamento o altri motivi) e vede i rapporti alle dipendenze chiudere con un bilancio di unità a fronte di una perdita valutabile in circa 300 posti per le forme atipiche. Guardando alle diverse modalità contrattuali, il saldo occupazionale dovrebbe attestarsi attorno a unità per le assunzioni dirette di personale dipendente e a -290 unità per i contratti atipici. Considerando congiuntamente il lavoro dipendente e quello atipico, in tutte le province della regione si registrano saldi occupazionali positivi: questi saranno compresi tra +210 unità a Benevento e a Napoli. Venendo al sottoinsieme delle assunzioni con contratto di lavoro alle dipendenze, si evidenzia che pur in presenza di una maggioranza di contratti a tempo determinato, quasi tutti destinati a coprire i picchi stagionali di quello che è il settore che maggiormente offrirà lavoro in questo trimestre (vale a dire il turismo), è piuttosto cospicua la quota di assunzioni a tempo 14 Con il termine contratto di lavoro si intende sia l'assunzione alle dipendenze (assunzioni effettuate direttamente dalle imprese), che "atipico" (contratti in somministrazione, collaborazioni e incarichi a professionisti con partita IVA) 89

90 indeterminato che si inseriscono quindi nel percorso del contratto a tutele crescenti indicato all'interno del cosiddetto jobs act e che di fatto è stato inaugurato proprio nel trimestre cui fanno riferimento le cifre che stiamo esponendo. Tale aliquota è pari al 38% e supera di circa 10 punti percentuali l'analogo valore a livello nazionale ma soprattutto se uniamo anche il 2% di contratti di apprendistato supera di ben 17 punti percentuali l'analogo dato di Napoli di dodici mesi orsono a dimostrazione che il lavoro che si sta creando anche se quantitativamente modesto sembra essere almeno contrattualmente consono alla domanda dei lavoratori. In particolare questo nuovo strumento normativo sembra riscontrare grandi favori in alcuni segmenti del manifatturiero (in particolar modo la meccanica e l'elettronica e dei servizi avanzati e operativi per le imprese che molto probabilmente necessitano di figure di alto livello difficili da reperire e quindi da preservare quasi gelosamente). Di converso questo strumento è poco utilizzato dal turismo mentre il commercio napoletano invece sembra puntare molto sulla ripresa della domanda interna e di fatto offre una assunzione su due a tempo indeterminato. Inoltre tale strumento sembra preferito dalla medio-grande impresa (46,5% delle assunzioni) rispetto alla piccola, in virtù della maggiore capacità di poter programmare cicli di assunzione stabile più lunghi. Come già anticipato poco fa sarà soprattutto il comparto turistico, in previsione dell inizio della nuova stagione estiva, ad aumentare di unità l occupazione, seguito dalle costruzioni (1.500), grazie all avvio dei cantieri legato alla fine dell inverno), dal commercio (1.090), dai servizi alle persone (890) per chiudere poi con il manifatturiero che vede una forte presenza di assunzioni nelle industrie extra meccaniche ed elettroniche Distribuzione percentuale delle assunzioni alle dipendenze previste nella provincia di Napoli nel II trimestre 2015 per settore di attività economica 10,2 4,6 3,8 8,5 4,4 6,8 5,5 17,2 12,5 26,4 Industrie metalmeccaniche ed elettroniche Costruzioni Servizi turistici, di alloggio e ristorazione Servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone Servizi alle persone Altre industrie Commercio Servizi avanzati di supporto alle imprese Servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio Altri servizi Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior,

91 I profili professionali richiesti dalle imprese napoletane nel secondo trimestre riguardano soprattutto impiegati ed addetti alla vendita (49,1% del totale), operai (21,2%), mentre nel 13,7% dei casi si faranno assunzioni di dirigenti o figure tecnico-specialistiche, con punte del 26% nella metalmeccanica, e del 31% nei servizi alla persona. Un valore questo decisamente alto rispetto al contesto medio campano e che evidenzia che quei processi di inspessimento professionali tracciati in precedenza siano ben lungi dal terminare. Un simile discorso può valere anche per le posizioni professionali più umili che costituiscono il 16% delle assunzioni alle dipendenze con un divario di oltre tre punti rispetto alla media nazionale. in particolare questi posti di lavoro sono particolarmente appetiti nei servizi operativi di supporto alle imprese e alle persone (57,6%). Anche se cercano molto profili professionali di elevato livello, sembra che il possesso del cosiddetto "pezzo di carta" non sembri essere così importante per gli imprenditori napoletani lasciando spazio all'esperienza effettivamente conseguita sul campo. Solo l'8,9% delle assunzioni previste è rivolto a laureati (10% a livello nazionale) con punte molto più alte in settori a più elevato fabbisogno cognitivo, come servizi avanzati (25% di assunzioni di laureati) o la metalmeccanica ed elettronica (20%) mentre poco più di un quarto dei neoassunti non avrà nessuna formazione specifica, valore che supera la metà nel caso delle assunzioni previste dai servizi operativi di supporto ad imprese e persone. In generale i profili professionali richiesti sono quindi, mediamente,ed al netto di specifici settori, di livello medio-basso, e ciò giustifica la modesta quota di assunzioni di personale di difficile reperimento (9,3%, a fronte dell 11,9% italiano). Quasi la metà delle assunzioni previste non guarda all età del neoassunto come variabile determinante, il che, evidentemente, non è una buona notizia per una disoccupazione giovanile che anche se non è stata esplicitamente discussa in queste pagine si attesta comunque su livelli molto elevati mentre può esserla per tutti coloro che espulsi dal mondo produttivo in età più avanzata aspirano ancora a tornarci. Si conferma anche quel gender gap che caratterizza il mercato del lavoro campano (sia pure con il recupero di posizioni descritto in precedenza): le assunzioni di uomini (37%) sopravanzano di molto quelle delle donne (18%) anche se il 45,6% dei datori di lavoro vede il genere come una variabile indifferente. La domanda di lavoro rivolta a donne scende al 9,2% nell industria (e nel 4,3% nell'edilizia), mentre è del 21,3% nei servizi, raggiungendo la maggioranza assoluta nelle attività di servizio avanzato alle imprese, evidenziandosi quindi anche a Napoli così come in Campania il settore tradizionalmente più favorevole all occupazione in rosa. 91

92 13. L inizio del 2015 del commercio estero napoletano 92

93 93

94 Nel presente capitolo viene esaminata l evoluzione recente dell export partenopeo e, più in generale, di quello campano. Dall osservazione dei dati emergono diversi elementi di miglioramento: fra tutti, un moderato incremento dei volumi rispetto allo scorso anno che, complice la ripresa del ciclo economico internazionale, consolida l andamento positivo di breve periodo. Le performance registrate, tuttavia, appaiono ancora insufficienti per poter parlare di una vera e propria inversione di tendenza, anche se la fase più acuta della crisi sembrerebbe ormai passata, soprattutto per il sistema Italia nel suo complesso. Ad ogni modo, si tratta di informazioni preziose per la definizione di adeguate policy di sviluppo tenuto conto, in particolare, della perdurante stagnazione della domanda interna. Variazioni percentuali delle esportazioni delle province della Campania fra primi trimestri. Anni Caserta -4,1-4,2-6,1 7,0 Benevento -1,8 0,7 8,8 37,4 Napoli -7,7 2,3 0,9 9,8 Avellino -1,1 6,1 4,1 4,8 Salerno 3,3 5,2 8,4 11,2 CAMPANIA -1,5 2,3 1,5 7,6 SUD E ISOLE -7,6-1,8-3,5 8,6 ITALIA -0,6 1,4 3,2 5,8-10,0-5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0 40, Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat A livello regionale, nel I trimestre 2015, i volumi di export risultano aumentati del +2,3% rispetto allo stesso periodo del 2014, con 0,9 punti percentuali in meno della media italiana (+3,2%), ma di segno opposto rispetto alla macro-area di riferimento (Mezzogiorno: -1,8%), il cui dato negativo sembrerebbe confermare la perdita di competitività internazionale di questa parte dello stivale. In tale scenario, la provincia di Napoli, che con 1,3 miliardi di euro rappresenta più della metà della componente estera campana (53,1%), mostra una crescita di dimensioni equivalenti al dato medio regionale. Tuttavia, il dato registrato per il capoluogo partenopeo, superando di oltre il doppio il tasso di variazione intercorso tra il I trimestre 2014 e il I trimestre 2013 (0,9%), parrebbe 94

95 confermare la presenza di un processo di crescita orientato al recupero delle quote di export perdute a seguito della crisi. In tal senso, preme fare osservare come i risultati positivi degli ultimi due anni consecutivi non sono ancora sufficienti per ritornare alle posizioni del primo trimestre 2012 da cui il territorio si è pesantemente allontanato dopo il -7,7% del che rappresenta un momento significativo per l'export partenopeo rispetto a quello regionale visto che quella che allora era provincia (ed oggi è città metropolitana) rappresentava il 57,1% del totale regionale ed esportava merci per un valore superiore a quello attuale di circa 57 milioni di euro. Il quadro che emerge dall analisi dei dati comparata con quella delle altre province rivela, tuttavia, una minore competitività internazionale per la provincia di Napoli rispetto a quasi tutte le aree limitrofe. Ad eccezione della provincia di Caserta che mostra, tra il I trimestre 2015 e lo stesso periodo dell anno precedente, una variazione tendenziale di ordine negativo (-4,1%), tutte le altre realtà territoriali Benevento (+8,8%), Avellino (+6,1%) e Salerno (+3,3) crescono, infatti, più del capoluogo campano, aumentando, di conseguenza il loro peso sull export regionale. In particolare, è opportuno evidenziare come i volumi di merce esportati dalla provincia di Salerno continuino ad aumentare dal 2011, seppur ad un tasso via via inferiore, rafforzando il ruolo del salernitano come secondo polo dell export campano, grazie ad un sistema produttivo che è giunto a rappresentare circa un quarto del totale regionale. L ascesa della provincia di Salerno emerge in modo ancora più chiaro se si allarga l orizzonte di analisi all ultimo quinquennio: confrontando i dati del I trimestre 2015 con l analogo periodo del 2011, si osserva infatti un incremento dell export di poco inferiore ad un terzo (+31%), circa il triplo di quanto registrato per l Italia nel suo complesso (+10,1%). Diversamente, la dinamica di medio periodo per la provincia di Napoli, benché positiva, si distingue per la distanza dalle performance a doppia cifra di Avellino (+14,4%) e Benevento (+47,9% ). Il confronto tra i primi novanta giorni del 2015 e l'analogo intervallo temporale del 2011 mostra, nello specifico, un aumento del 4,6%, pari a circa la metà della media regionale e italiana, ma comunque significativo se paragonato alla variazione negativa che ha interessato la macroarea di riferimento, dove il volume delle merci esportate si è ridotto del -4,9%. Inoltre, la performance della provincia di Napoli risulta migliore rispetto a Caserta che, nel quinquennio considerato, registra una contrazione dei flussi in uscita del 7,7%. Passando a considerare la destinazione principale delle merci esportate, i primi esiti del 2015 confermano la tendenza delle imprese partenopee ad essere meno dipendenti dai mercati del cosiddetto "Vecchio Continente". A ben vedere, infatti, mentre l'europa rappresenta la destinazione di circa i due terzi dei volumi esportati per le ripartizioni territoriali di raffronto (Campania: 60,9%; Mezzogiorno: 67,4%; Italia: 66,3%), per la provincia di Napoli l incidenza scende al 55,6%. Una incidenza che negli ultimi tempi sia per la Campania che per il territorio partenopeo sta sempre più scendendo per far posto ad altri mercati. Limitandoci solamente al confronto fra I trimestre 2015 e l'analogo periodo del 2011 appare prepotente la crescita dei volumi economici di vendita delle imprese napoletane verso il continente americano accresciutisi di quasi il 50% e che 95

96 rappresentano oggi quasi 1/4 dell'export totale del territorio partenopeo, quasi il doppio della media nazionale consolidandosi negli anni della crisi soprattutto nel 2012 e nel 2013 e rallentando negli ultimi due anni quando l'andamento di Napoli è stato più lento di quello regionale e molto più lento di quello della provincia di Salerno e nel complesso del paese. Negli ultimi tempi l'export napoletano sembra andare molto forte in Canada, paese verso il quale la provincia ha più che decuplicato le vendite fra primo trimestre 2014 e Gran parte di questo risultato ha un nome ben preciso. "F.- A.-Gauthier". Si tratta del traghetto di ultima generazione che Fincantieri ha realizzato nel cantiere di Castellammare di Stabia e che è partito alla fine di marzo 2015 alla volta di Matane, città del Quebec in Canada, dove è avvenuta la consegna alla Société des traversiers du Québec (STQ), compagnia canadese che opera nel trasporto marittimo di passeggeri e autoveicoli. Una opera che verrà utilizzata sulla rotta Matane-Baie-Comeau-Godbout che, grazie ai suoi viaggi all'anno, consentirà a più di passeggeri e oltre veicoli di raggiungere le due estremità della Baia di San Lorenzo in circa due ore di navigazione anziché in dieci ore di strada utilizzando un mezzo alimentato a Liquified Natural Gas LNG che è il primo costruito in Italia ed il primo a entrare in servizio in tutto il Nord America e che soddisfa numerosi requisiti di carattere ambientale. Distribuzione percentuale dell'export della provincia/città metropolitana di Napoli per continente di destinazione nel primo trimestre ,2 2,0 24,2 55,6 4,9 Europa Africa America Asia Oceania Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Il continente asiatico (13,2% del totale dell export provinciale) registra un incremento delle esportazioni del +8,7% negli ultimi dodici mesi soprattutto per via dello sviluppo dei rapporti commerciali con il Sol Levante che è cresciuto di quasi il 40%. Al di là dell intensità della variazione intercorsa rispetto al I trimestre 2014, l elemento da segnalare è l inversione del trend negativo che ha caratterizzato le esportazioni verso quest area negli ultimi due anni (2014: -7,1%; 2013: - 28%). Il rafforzamento della competitività sui mercati orientali potrebbe garantire, in prospettiva, 96

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