Isola Nera 1/29 Quel Canto Silente Della Luna

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1 Isola Nera 1/29 Quel Canto Silente Della Luna SPeciale donna Casa di poesia e letteratura. La prima in Sardegna, in Italia, aperta alla creazione letteraria degli autori italiani e di autori in lingua italiana. Isola Nera è uno spazio di libertà e di bellezza per un mondo di libertà e bellezza che si costruisce in una cultura di pace. Direzione Giovanna Mulas. Coordinazione Gabriel Impaglione. mulasgiovanna@hotmail.com - marzo 06 - Lanusei, Sardegna Ritornare a quel Volo stralcio da Lughe De Chelu (e jenna de bentu), G. Mulas ( )Ebbe il flash di suo padre e degli schiaffi ai figli, alla moglie, ad una società colpevole di essergli,nella mente,continuamente ostile. (-Che razza di di puttana sei?- - E tu che uomo sei per chiamare così chi ti è rimasta accanto dieci anni dandoti tutto? Non puoi tarpare in eterno le ali ad un aquila, Stefano- - Io VOGLIO TE! Non ti concederò mai il divorzio piuttosto ti ammazzo...mia o di nessuno- -Ci siamo sposati che eravamo due ragazzini, siamo cresciuti,maturati seguendo due strade diverse.vuoi vivere con una donna che non è in grado di amarti come vuoi? Meritiamo di meglio tutti e due- -CHE CHE ACCIDENTI NE SAI TU DI QUELLO CHE MERITO IO? UNA DONNA! CHE NE SAI,TU? IO TI AMMAZZO RICORDALO!E CON TE AMMAZZO LA TUA SCRITTURA. TUTTO QUELLO CHE HAI CE L HAI GRAZIE A ME NON AVRESTI AVUTO NEPPURE UNA LIRA PER SPEDIRLI,I TUOI FOTTUTI MANOSCRITTI,SENZA DI ME!! NON METTERMI ALLA PROVA, GIONA!-). Francesco imboccò l ascensore. Accese un sigaro e sorrise falsamente alla graziosa e giovane segretaria assunta da pochi giorni dall avvocato Ferri. Lei rispose impacciata al sorriso,strinse al petto la pila di pratiche e cartelle, rassettò maldestramente la gonna scura,forse eccessivamente lunga.l ascensore si fermò al piano terra del Grattacielo Degli Avvocati, come lo chiamavano in città; INT. STUDI LEGALI ASSOCIATI,come figurava nell elenco del telefono,il PalazzoDeiGrattaCulieC., come lo chiamava Giovanni Soro,il verduraio all angolo di via Roma. Odore di detersivo per pavimenti,caffè e alcool. La moglie del portiere parla al telefono accanto ad un televisore mignon acceso,muto, su IT S A WONDERFUL LIFE di Frank Capra, altri quattro mini schermi paralleli,due dedicati agli interni del grattacielo,due per una visione agli ingressi principali. Una radio continua a trasmettere notiziari speciali sulla Freedom Iraq,a quanto pare i medici di Baghdad girano per i vari SaddamOspedali armati di Kalashnikov per evitare i saccheggi dei medicinali di prima necessità.mostrano ai giornalisti interi container di cadaveri. Vi assicuro che il puzzo è terribile, commenta la reporter via radio. Il portiere sbuffa di disappunto, chiude la rivista lasciandoci la mano destra in mezzo. Spalanca gli occhi e fissa Francesco, in attesa. -Il mio taxi è arrivato?- -Si,avvocato.Da cinque minuti circa- -Grazie.- -Di niente avvocato.buona giornata- -Salve-. (-Salve. Posso entrare a salutare i bambini?-. Francesco aveva tirato la madre per la gonna, lei aveva sorriso. Facciamo entrare papà? aveva sussurrato al piccolo ma col terrore nel cuore perché sentiva dentro, lo sentiva che no,non avrebbe dovuto fargli varcare quella soglia.erano separati e lui,in preda ad un raptus di violenza della quale Giona non avrebbe mai sospettata l esistenza; due mesi prima aveva tentato di strangolarla.si era fermato in tempo lasciandola così,sospesa tra cielo e terra, buttata sul letto piangente 1

2 e semisvenuta coi bambini nella camera attigua che urlavano terrorizzati. Comunque restò calma,pensò che se i piccoli vedevano il padre una volta in più delle due stabilite dal giudice non avrebbe loro fatto che bene, pensò che con gli avvertimenti,le minacce subìte dalla Polizia a suo tempo, il suo ex marito non poteva,non DOVEVA essere tanto pazzo da riprovarci ancora.mise a tacere la spiacevole sensazione d allerta che l aveva colta al solo sentire la voce di lui così calma; troppo calma. Gli aveva già detto che nonostante tutto l aveva perdonato per quel gesto che non ammetteva scusante alcuna ma che stava soltanto a lui accettare e capire la sua decisione di donna, di madre che tale non può essere con accanto un uomo che le è estraneo. Diede i due giri di chiave alla porta e l aprì. L uomo sorrise ed entrò nella casa riscaldata, profumata di minestrone e lenticchie.i bambini gli corsero incontro come pettirossi, lui non li guardò neppure. Fissò Giona e lei capì di essere in trappola.). - Sarà la scusa per allontanarmi da questa merda di lavoro. Una giornata diversa, mettiamola così Franco.-, pensò il rampante avvocato mentre il taxista,fermo al semaforo, accompagnava gracchiando Splish splash da una musicassetta stonata di Bobby Darin.Va bene, disse a sé stesso, va tutto bene e non hai niente da temere.ciò che è successo è successo.ora è finita.e controllati. Franco accese una sigaretta,aspirò con boccate avide,amare. -Allora,mi ami o no?- -Che significa? Siamo separati legalmente,ormai.volevi salutare i bambini fallo.non ti impedirò mai di farlo- -MI AMI O NO?- non ha senso non ha senso non Giona tremò in ogni fibra.non c era più nulla del ventenne impacciato e timido che aveva sposato nell uomo che le troneggiava davanti a impedirle qualsiasi possibilità di fuga,prepotente e sferzante,conscio della propria forza. Luigi, il figlio maggiore,si parò di fianco alla madre,scrutandola in silenzio.lei fece cenno di no col capo,no,vai di là tesoro,non c è nulla di cui preoccuparti.non accadrà nient altro che non ti farà dormire la notte,piuttosto muio io.il bambino obbedì allo sguardo, lei puntò gli occhi sull ex marito. -No-, disse sicura. -No?- non ha senso -No.-. -puttana!-. E accadde. L uomo si scagliò su di lei,l acchiappò al collo e strinse con quanta forza aveva in corpo,strinse buttandola all indietro e Giona cadde battendo la testa prima sulla credenza legnosa,poi sul pavimento. L uomo strinse e mentre parlava (cosa farfugliava, cos?) e le parlava lei non capiva, solo la luce andava a spegnersi dentro e fuori di lei ed il pensiero,in quel momento,erano i bambini forse a sua madre in mare era capitato così e la luce che si spegne d un colpo e le urla che s affievoliscono in fretta e i secondi volano e la morte in faccia eccola qui,ha gli occhi folli dell uomo che ti ha dato tre figli e dice di amarti e. Caos. Caos della materia,giona. Forse la stretta si allenta Giona boccheggiò, riuscì a divincolarsi come nella pellicola rotta di un film che scorre troppo lenta.giona animale ferito si muove a quattro zampe, si alza e zoppica verso la camera da letto (perché ho tolto le chiavi dalle porte?perché i bambini non ci si chiudessero dentro perché ), sente il sangue scorrere nel collo, forse è già morta forse Lui la raggiunge alle spalle,l afferra per i piedi e lei rovina in avanti battendo la faccia,le mani si allungano sul pavimento e strisciano e graffiano ma è tutto liscio perché è liscio? E lì penetra la prima coltellata,nella schiena,in basso.e il dolore le mozza il respiro.urla Giona e urla e la furia l assale, l adrenalina è a mille. -LASCIAMIIII!!!-. Si divincola ancora e raggiunge la specchiera,artiglia la spazzola d argento e la batte sul capo dell altro che rimane a fissarla instupidito,gli occhi spalancati e assenti mentre un rivolo rosso e caldo gli scorre sulla tempia.e il momento.giona si alza,incespica e cade,si rialza,si getta claudicando fuori della camera,attraversa il corridoio, raggiunge la porta d ingresso.cerca con gli occhi i figli ed eccoli accovacciati, gli agnelli, in un angolo della culla di Francesco dove piangono di terrore, in silenzio. Vorrebbe abbracciarli, chiuderli in sé a bozzolo e portarli via ma non può,perderebbe secondi preziosi. Re state fermi lì mamma sta bene, chiede aiuto e torna da voi!- ordina Giona. Cerca di rassicurarsi; non accadrà nulla di male ai bambini; a lui non interessano loro, lui vuole LEI.Ma deve fare in fretta,essere veloce prima che lui la raggiunga alle spalle per finirla.la chiave,gira la chiave la porta. Esce nel pianerottolo zoppicando semisvenuta, grida e non ha fiato, emette un sibilo roco che poco ha di umano e i vicini aprono a rotazione,corrono fuori,chi soccorre,chi chiama la Polizia che è già arrivata perché,al momento dell aggressione,il piccolo grande Luigi è riuscito a comporne il numero nel telefono, lui che mai prima,senza il permesso della madre,ci aveva giocato col telefono di casa. -PERDE MOLTO SANGUE, CHIAMATE UN AMBULANZA!!- -I i miei bambini voglio vedere i miei bambini lui è pericoloso e - Una squadra di poliziotti irrompe in casa, i bambini stanno bene, non smettono di piangere ma stanno bene,lui è di là, in bagno che ha tentato di tagliarsi le vene ma i piccoli stanno bene signora,deve andare in ospedale per i controlli è ferita è pericoloso e come è successo perché l hai fatto entrare perché è il padre dei miei figli è il padre dei bambini è 2

3 venuto con l intenzione di ammazzarti; aveva il coltello nascosto nella manica del giubbotto ricorda qualcosa può parlare sono cose che succedono e stia tranquilla è passato tutto i miei figli,cosa hanno visto i miei figli e. E Giona sviene. Chiedo il silenzio stampa. (L ha fatto per punirmi ancora e ancora e anc?) Buio Non è colpa di nessuno, lo so. Non scriverò più non ci riuscirò e non DEVO,forse è colpa mia cos è la mia libertà?dove mi ha portata e a cosa? Ad ubriacarmi per riuscire a dormire la notte ed essere stordita il giorno dopo qualcuno la chiama Notte Oscura Dello Spirito.Mooolto romantico. Devo reagire per i miei figli (ma che madre sono IO?) devo reagire per crescerli e la creatura che aspetto OddioNonRiesco Valium e sputa l osso sputa l osso sputa l osso E questi anni di lavoro e privazioni e sacrifici ora ci sono riuscita, sono in cima alla mia scala ma Padre mi aiuti mi sto perdendo, sto perdendo la mia strada E non posso salvarmi, forse non lo merito. Io Luce, Giona.Cercare la sirena Nel capo le pulsavano parole acri che premevano per scappare.lentamente gli occhi si abituavano alle tenebre. Avvertiva la bocca asciutta,ancora impastata dall alcool,aveva voglia di vomitare e con indosso soltanto maglietta di cotone e i pantaloni della tuta che non cambiava da tre giorni; non sentiva freddo seppure mancasse un ora circa all alba di una mattina di metà gennaio.l erba rasa, brinata del prato all inglese declinava dolce fino ai bordi di una piscina a forma di ninfea,illuminata da una fila di dodici lampioni licenziosi. Un dobermann adulto le andò incontro scodinzolando. Sssh,buono.Buono-, lo rassicurò Giona con una carezza distratta. Le pareva di vivere in un limbo in quei giorni durante i quali non esistevano orari e poggiava i piedi fuori del letto come un automa, aspettando con ingordigia la notte per rifugiarsi in un mondo che,si rendeva conto, diventava sempre più accettabile di quello reale. Una vita parallela. E peccato che in quella vita parallela la perseguitassero comunque i fantasmi dei ricordi.peccato davvero, Giona. Ma NON PENSARE,in quel momento,era la cosa più saggia da fare.con una mano ravvivò i capelli lunghi, mossi, trascurati e in disordine portandoli indietro.pensò ai suoi figli in casa dello zio,a Roma.( Cambiare aria farà loro bene,giona.se permetti voglio portarli un po con me in continente.giona,mi ascolti?. Giona sedeva assorta davanti a due monitor ronzanti.su uno degli schermi erano visualizzati una mappa del sito archeologico di Jef el- Ahmar, in Siria, testi in demotico e greco antico. Ti ascolto sempre Giuseppe. Forse sei l uomo che ascolto di più. E non ho nulla da obiettare. Fece una pausa. Ai bambini farà bene, ripetè in tono troppo enfatico. Giuseppe aveva scambiato uno sguardo d intesa con la moglie,infermiera professionale al Fate Bene Fratelli.Non avevano avuto figli. Giona noi vorremmo che venissi anche tu. La donna,che per tutto il giorno aveva provato a lavorare al nuovo romanzo maledicendolo e ottenendone cinque righe in tutto e della stessa frase soltanto espressa con parole diverse; aveva allontanato da sé la scrivania con uno scatto nervoso della poltroncina girevole. Scrutò il fratello con occhi cerchiati e lucidi di febbre, pallida e smagrita. No. Ho bisogno di stare sola.devo stare sola,in questo momento.lo capisci Giuseppe?.L uomo l aveva fatta alzare dalla scrivania e le aveva raccolto il mento tra il pollice e l indice.-hai bevuto anche questa notte,giona mia e quel bellimbusto di cronista con cui esci - -Sergio mi ama- Le veniva da ridere. Amore che meravigliosa parola, Giuseppe Portò la mano alla bocca come una sonnambula e incespicò su di un risolino isterico, il fratello corrugò la fronte -E tu? TU lo ami, fuori dal letto? Quell uomo ama il tuo nome Giona, e il tuo corpo. E una sanguisuga che si fa pubblicità alle tue spalle- -Che CHE DIAVOLO VUOI DA ME, GIUSEPPE? COSA ACCIDENTI VOLETE TUTTI?- Ho visto in faccia la mia morte. Penso ad un albero. Gli uomini non sono alberi.non basta il sole e la terra, per crescere. C è altro,giuseppe. Gli uomini vogliono un posto al sole, per crescere orgogliosamente rigogliosi del sé Debbono utilizzare l intelligenza superiore.come utilizzarla è soggettivo. Si.Ecco.Ciò che li accomuna agli alberi è il sole.ma c è dell altro. ALTRO. -E tu cosa combini?perché?voglio aiutarti, ma non so come pizzinnè!- 3

4 Altro, vita e morte;mortevita. Non è la stessa cosa,dopotutto?il bruco muore e nasce la farfalla.un fiume si sacrifica al mare ed il mare stesso pare aspettare ogni fiume che a lui confluirà. E la luna? All alba attende,attende paziente un giorno nel proprio guscio,prima di tornare a rischiarare la notte.che siamo destinati anche noi a morire per comprendere l essenza della vita?buio per luce. Gli uomini. Gli uomini la vita devono viverla e non vegetarla, Giuseppe Fratello Caro. Io sto vivendo.semplicemente vivendo.modus Vivendi e Operandi, you Know? Ciò che non abbiamo vissuto prima,e tu dovresti saperne qualcosa. Plebe.Siamo plebei,fratello Caro anzi, Plebei con la P maiuscola che hanno consumato le unghie e i denti per fare ciò che fanno. Non sono un albero Giuseppe e non lo sarò mai.non voglio esserlo.ma voglio ugualmente il MIO sole. C è un momento nella vita in cui -Vattene fuori di qui,giuseppe.prenditi i miei figli per un pò, tua moglie,prenditi anche cane, cuoca e cameriera se vuoi. La baby sitter due/tre volte la settimana. Ma vattene! si avvisa di star perdendo la rotta e pare non esista bussola che possa evitarlo, Giuseppe Caro L uomo aveva sospirato Sapessi che bei sogni faccio la notte,fratello caro. Ti descrivo il mio tipico Sogno Di Una Notte Di Mezzo Inverno? Va bene,se proprio insisti,lo descrivo. Siedi pure,c è tempo.gradisci un Valium? Nuda in un tunnel.un lungo tunnel,buio e putriscente,l odore di marcio ti avvolge fino alle ossa.e topi, ragni e scarafaggi il mio tunnel preferito ne brulica.. Giù in fondo vedo una luce che pulsa,giuseppe, ma è in fondo e io corro per raggiungerla e corro scivolando nella melma,cadendo e rialzandomi e corro e corro e corro Ma non la raggiungo mai -Giona?! Stai bene?- -S si.bene- Un angelo è sempre un angelo, pizzinnè. Anche con le ali spezzate -. Giona non aveva risposto. Sfuggendo le dita e lo sguardo dell altro aveva ciondolato il capo come un fantoccio rotto, cominciato a piangere un dolore tremolante,inspiegabile,senza fine. Il fratello l aveva abbracciata. Un angelo è sempre un angelo.e prima o poi torna a volare DEVE tornare a volare, perché è nella sua condizione, volare. Coraggio, pizzinnè.il coraggio ci vuole-. Sarah,la cognata,senza fare commenti aveva spinto i bambini fuori dello studio della donna.). Albero.Sirena. E ora le foglie turbinavano e stormivano col vento secco, tagliente sul viso pallido e disfatto. Giona era apatica. S infilò nell MG e con un rombo intessuto d energia il motore s avviò,i fanalini di coda s illuminarono. Uscì dal parcheggio dove spiccava un PRIVATO segnalato in caratteri cubitali e con uno stridio di gomme lanciò l auto in un viottolo tra bidoni di spazzatura ed un cumulo pericolante di mattoni e terra per poi immettersi su di una vecchia strada secondaria,in direzione del mare.va tutto bene,va tutto bene come deve andare Giona scrittrice sarda di razza che non concepisce mentori.doveva andare così dall inizio.adesso lanciamo la macchina coi fari che illuminano i tronchi e sostituiscono le stelle fino al molo dove non c è nessuno che ti aspetta se non il tuo mare.eppoi facciamo il tuffo,ti va bambina?non rispondi?mah.was will das Weib? -Si che mi va-,biascicò Giona non pensare a nulla.i bambini stanno bene anzi,staranno meglio con lo zio e sua moglie posata infermiera professionale che con una scrittrice sarda di razza che si ubriaca la notte e va avanti a Prozac e Lexotan.Molto poetico tutto ciò.god save the Queen.Molto poetico tutto ciò.si si Sissignori. Pigiò il piede sull acceleratore e imboccò i tornanti furiosa,hai perso tutto,cara mia la sissignora sarda di razza candidata al Nobel per la letteratura. Giacomo è svanito come il genio della lampada così pure l ex marito che hai fatto uscire di senno e il lavoro?che ne dici se adesso ti salta il contratto editoriale con Francia e Germania perché non riesci a buttare un rigo in grazia di Dio?Quel protégé del tuo paziente inglese agente si romperà moooolto,si.e ti dirà di andare a farti fottere e avrà ragione.e i bambini?il loro padre è partito verso altra destinazione per colpa tua,caaaara.che porti sfiga? Magari porti sfiga sfiga uno appresso all altro,col finestrino aperto e il vento ghiacciato a sferzare volto e capelli e anima. Dopo una curva,finalmente apparve il mare e Giona sorrise,acellerò ancora.e vai vai vaivaievaiiiiii!!! Il mare,la spiaggia onde alte immense rabbiose che aspettano inquiete, il molo.prese a piovigginare. Virò verso la spiaggia si si!che bella idea!dalla spiaggia va meglio bambina e,in medias res, le onde ti vengono incontro e tu vai incontro a loro siiiiiiiiiiiii!!! Giona sterzò e in un testacoda posizionò l auto parallela alla linea del bagnasciuga.frenò arrestandola,aprì ulteriormente il finestrino e aspirò ansante le stille di pioggia, la nuca abbandonata al poggiatesta del sedile.fissò un punto impreciso di fronte a lei,ingranò la marcia e partì acellerando,acellerando ancora vaivaivaiiiiiiiiiiiii e sollevando schizzi d acqua salata,proiettili di sabbia.virò.ecco il mare davanti e si avvicina, il respiro è rapido e breve,le onde frantumano la rena e 4

5 la pioggia vaiiiiiiiiiiiiii e il ricordo che urla e tutto scorre fuori veloce fugit inreparabile tempus monocromatico, la colonna sonora è il sibilo del vento. Frenò un istante prima che l auto spaccasse in due il mare.l onda si alzò alta sopra la capote e Giona ne vide il cumulo d acqua erto, pieno e vigoroso e sibillino,blu, e dietro spuntò il sole, sorse come ogni giorno e la pioggia smise di cadere.l onda cadde frantumandosi sull auto che vibrò e la riva, perdendosi in mille gocce solitarie. Giona serrò la mascella, poggiò la testa sul volante battendola piano una,due volte. Il parabrezza era coperto dagli spruzzi salati; riusciva a stento a vedere. Ma spiò il sole svegliandosi con esso, gl imprevedibili riverberi giallo arancio a chiazzare cielo e nuvole, l acqua. Albero.Sirena.Luce. Tirò il freno a mano.spalancò lo sportello della macchina, uscì e odorò il salmastro lottando contro le folate. Sedette sulla sabbia bagnata,levò le scarpe e raccolse le ginocchia al petto come faceva da bamb ina, attese l altra onda alzarsi e caderle come una frustata di ghiaccio ai piedi, rabbrividì, sorrise e il sorriso divenne riso mentre lacrime diverse,liberatorie,presero a scorrere. Giona rise scotendo la testa e infine,dinanzi al suo mare,annuì. Sono tornata pensò. Un Espacio Libre!!! El blog de Isla Negra Secondo il rapporto del "Panos Institute" è la prima causa di morte, più del cancro e della guerra La violenza sulle donne non conosce confini Claudia Di Giorgio Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità: ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra. Questo dato sconvolgente, proveniente da una ricerca della Harvard University, apre il rapporto sulla violenza contro le donne nel mondo diffuso in questi giorni dal "Panos Institute" di Londra, un'organizzazione non governativa che si occupa di problemi globali e dello sviluppo. Il rapporto, preparato per l'apertura di una sessione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile, raccoglie studi e ricerche sul problema della violenza sulle donne effettuati in ogni parte del pianeta da organismi e istituti nazionali e internazionali. Dalle sue pagine, emerge la drammatica fotografia di una realtà che non risparmia nessuna nazione e nessun continente. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni sono concordi: la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. E non conosce differenze sociali o culturali: le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici. Secondo l'organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E, come si può verificare anche solo aprendo le pagine di cronaca dei quotidiani, il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti a ruota dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio. La violenza domestica In Gran Bretagna, ad esempio, ogni anno una donna su dieci viene picchiata a sangue dal partner, marito o amante che sia. In Canada e in Israele è più probabile che una donna venga uccisa dal proprio compagno che da un estraneo. In Russia, un omicidio su cinquanta è compiuto dal marito nei confronti della moglie. La violenza contro le donne è diffusa persino nelle avanzate democrazie scandinave: Marianne Eriksson, parlamentare europea della Svezia, ha dichiarato che, nel suo paese, "ogni dieci giorni una donna muore in seguito agli abusi subiti da parte di un familiare o di un amico". E negli Stati Uniti, ogni 15 secondi, viene aggredita una donna, generalmente dal coniuge: non è un dato riferito un'organizzazione femminista, ma da una severa rivista giuridica della facoltà di legge di Harvard. Il terzo mondo Per quel che riguarda il mondo in via di sviluppo, le informazioni si fanno, se possibile, ancora più drammatiche, ma allo stesso tempo diventa più difficile raccogliere dati precisi, sia perché le indagini statistiche sono meno frequenti e accurate sia per ragioni squisitamente culturali. La violenza sulle donne, infatti, in gran parte del mondo è una normale componente del tessuto culturale e non viene identificata come tale neppure dalle sue vittime. Un gruppo di ricerca che investigava nei paesi a sviluppo minimo ha comunque rilevato una stretta connessione tra livelli più alti di violenza contro le donne e società in cui la dipendenza economica femminile dagli uomini è più elevata o dove le donne hanno meno voce in casa o nella società. In molti paesi in via di sviluppo, 5

6 picchiare la moglie fa parte dell'ordine naturale delle cose, una prerogativa maschile ancora indiscussa: in un distretto del Kenia, il 42 per cento delle donne intervistate venivano picchiate regolarmente dal marito. Lo stupro da parte del marito, poi, è ancora perfettamente legale in gran parte del mondo, e quantificarne l'incidenza è quasi impossibile. Povertà e prostituzione Anche la povertà miete vittime in primo luogo tra le donne: in Nepal, circa 10 mila ragazze ogni anno vengono vendute dalle famiglie per essere avviate alla prostituzione. Nell'Asia sudorientale, i trafficanti selezionano le comunità più deboli, arrivano nei villaggi durante un periodo di siccità o una carestia e convincono le famiglie a vendere le figlie in cambio di due soldi. Secondo l'organizzazione internazionale per l'emigrazione, nei mercati occidentali della prostituzione arriva ogni anno quasi mezzo milione di donne, provenienti un po' dappertutto. Le mutilazioni genitali Un problema specifico di alcune culture africane è invece quello della mutilazione genitale, ancora ampiamente praticata, ed effettuata quasi sempre in condizioni sanitarie abominevoli, senza anestesia e soprattutto su bambine anche in tenerissima età. Gli effetti sulla salute sono devastanti, e colpiscono le donne in ogni momento della loro vita sessuale e riproduttiva. Oggi sarebbero 130 milioni le donne che hanno subito questo genere di mutilazione, e i flussi migratori stanno facendo arrivare il problema (e le sue conseguenze) fin nelle ricche civiltà occidentali. Lo stupro Lo stupro è una piaga che colpisce ogni parte del globo: i dati dell'organizzazione mondiale della sanità fissano tra il 14 ed il 20 per cento il numero di donne che, negli Stati Uniti, subiscono uno stupro durante il corso della vita. Percentuali analoghe sono indicate da studi effettuati in Canada, Corea e Nuova Zelanda. In alcuni paesi, tuttavia, perseguire i colpevoli è più facile che in altri. In Pakistan, ad esempio, per ottenere il massimo della pena la donna che denuncia il suo stupratore deve presentare quattro testimoni e maschi e non può testimoniare lei stessa. Inoltre, la vittima che non riesce a dimostrare il reato viene incriminata per attività sessuali illecite, incarcerata o frustata pubblicamente. La violenza sessuale è anche un'arma di guerra, solo da poco riconosciuta come tale dalle leggi internazionali. I conflitti con un forte connotato etnico, come quelli nei Balcani o in Africa centrale, vedono l'uso dello stupro come strumento bellico da parte di entrambi i contendenti. Nel 1993, il Centro per i crimini di guerra di Zenica aveva documentato in Bosnia 40 mila casi di sturpro, ma le cifre reali sono ritenute ben più alte e vi sono sospetti che persino alcuni soldati dell'onu si siano resi responsabili di aggressioni. Quei ritardi internazionali Il grande silenzio sui diritti delle donne Il nemico intimo": così il "Panos Institute" intitola il suo documento sulla violenza contro le donne nel mondo, una raccolta di dati e ricerche che denuncia un aspetto della condizione femminile troppo spesso sottovalutato o rimosso. C'è molto silenzio, dietro questa realtà di soprusi e di violenze vissute soprattutto tra le mura domestiche e con la frequente complicità della tradizione e della legge. Proprio quest'anno, in dicembre, si celebra il cinquantesimo anniversario della dichiarazione dei diritti umani. Ma la comunità internazionale ha tardato molto a considerare la violenza sulle donne come una violazione di principi teoricamente universali. Si è dovuto aspettare fino al 1993 perché la violenza tra le mura domestiche fosse esplicitamente inserita tra le violazioni dei diritti umani e perché i diritti delle donne fossero dichiarati una componente "inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani." Tuttavia, sebbene i documenti internazionali che condannano la violenza sulle donne siano ormai parecchi, non esiste un reale consenso sulla questione. Ancora adesso le Nazioni Unite non riescono a trovare un accordo su come debbano essere protetti i diritti delle donne: ben 30 paesi hanno rifiutato di ratificare la Convenzione per l'eliminazione delle discriminazioni verso le donne, e persino tra i firmatari, quasi un terzo ha espresso forti riserve per motivi culturali o religiosi. Inoltre, la Convenzione rischia, almeno per ora, di rimanere un semplice pezzo di carta, una dichiarazione di buona volontà puramente formale. Non esiste infatti ancora alcuna sede dove denunciare le violazione e tanto meno un meccanismo per perseguirle, a differenza di quel che accade per altri importanti trattati internazionali sui diritti umani. La riunione delle Nazioni Unite che si apre il 2 marzo dovrebbe appunto affrontare questo aspetto del problema, con quale possibilità di risultati concreti è ben difficile prevedere. Rimane poi il dubbio che i decreti dell'onu servano a poco quando si tratta di combattere una forma di violenza che si svolge soprattutto nel privato e che dipende in larga misura da atteggiamenti culturali e religiosi molto diversi e localizzati. Tuttavia, ricorda il "Panos Institute" concludendo il suo rapporto, l'atteggiamento della comunità mondiale può aprire le porte agli interventi nazionali e ha inoltre un forte peso sull'opinione pubblica e sui mass media, che ancor oggi, ed anche nei paesi occidentali, sottovalutano e banalizzano la violenza contro le donne. (c.d.g.) Un argomento vasto e intricato come la violenza sulle donne è presente su Internet in moltissime forme, che vanno dalle raccolte di dati e documenti giuridici fino alle iniziative dirette di lotta o di supporto alle vittime degli abusi. Per ripercorrere il cammino del dibattito e dell'azione a livello internazionale si possono consultare le pagine Web delle Nazioni Unite, che all'interno del loro sitodedicano alle donne un'intera sezione. Womenwatch si propone come "la finestra Internet dell'onu sul progresso e l'aumento di potere delle donne", raccoglie documenti e informazioni sulle attività delle varie agenzie Internazionali impegnate nel settore, tra cui la pagina del CEDAW, la Commissione per l'eliminazione delle discriminazioni verso le donne. 6

7 Passando dall'ufficialità all'attivismo politico, il NOW, la più grande organizzazione femminista degli Usa, offre materiali, anche legislativi, e un elenco delle sue iniziative. Da segnalare la sezione sulla nuova legge contro la violenza sulle donne, un ampliamento di quella del 1994 che sarà presentato entro l'anno al Congresso americano. Una nutritissima collezione di studi, ricerche e materiali pedagogici o preventivi è invece in Rete a cura del Minnesota Center Against Violence and Abuse, nel quale si trova anche un newsgroup e delle mailing list dedicate alla discussione digitale sul tema della violenza. L'impegno contro la violenza sulle donne non è una prerogativa esclusivamente femminile e in questo senso merita una visita anche il sito del MADV (Men and Women against Domestic Violence), una "cyberorganizzazione" che ritiene che le aggressioni tra le mura di casa siano un problema che riguarda anche gli uomini. La pensano lo stesso anche in Italia i fondatori dell'associazione bolognese Uomini contro la violenza alle donne. La loro iniziativa fa parte di "Zerotolerance", "Tavola delle donne sulla violenza e la sicurezza in città" promossa dal Comune di Bologn a. Sempre a Bologna, la Casa delle donne per non subire violenza è uno dei pochi centri antiviolenza italiani presenti su Internet, assieme al Telefono Rosa di Torino e all'associazione Artemisia di Firenze. Infine, sempre in italiano, due siti di informazioni sulle donne: lo Spazio Donne La Città Invisibile e il server dell'associazione Orlando. (del 28 febbraio 1998) Fonte: Teresa Fantasia conduce, in Buenos Aires, il programma radiofonico Sardegna nel Cuore dedicato a tutti i sardi in Argentina sardegnanelcuore@yahoo.it in diretta ogni domenica, h 8.00 (Buenos Aires) Valentina Acava Mmaka Nostalgie Vibranti Il buio cade sulla rena destata da un 'a solo' vento, geometra dell'aria risveglia da imprecise altitudini le sottili fragranze dell'acacia spinosa. Nostalgie vibranti tambureggiano nel bush ancora addormentato sulle teste dei baobab pensanti, vecchi guardiani di stirpi nate appena ieri. Terra di rinascenze compiute delirio di flore oniriche qui, l'oblio, è metafora di un pensiero in movimento; è il tuo popolo che cammina fermo sulle tue imponenti gibbosità incidendo il suolo duro di nuove aspirazioni che la pioggia cancella e restituisce... stratificazioni di memorie... è la tua gente che in ogni luogo cerca in un volto il sorriso del cuore. 7

8 Ilha Negra Rivista di letteratura in portoguese Diretta da Amelia Pais (Portogallo)- Gabriel Impaglione (Italia). Mail: Gaspara Stampa Padova, Italia VI Un intelletto angelico e divino, una real natura ed un valore, un disio vago di fama e d'onore, un parlar saggio, grave e pellegrino, un sangue illustre, agli alti re vicino, una fortuna a poche altre minore, un'età nel suo proprio e vero fiore, un atto onesto, mansueto e chino, un viso più che 'l sol lucente e chiaro, ove bellezza e grazia Amor riserra in non mai più vedute o udite tempre, fûr le catene, che già mi legâro, e mi fan dolce ed onorata guerra. O pur piaccia ad Amor che stringan sempre! VII Chi vuol conoscer, donne, il mio signore, miri un signor di vago e dolce aspetto, giovane d'anni e vecchio d'intelletto, imagin de la gloria e del valore: di pelo biondo, e di vivo colore, di persona alta e spazioso petto, e finalmente in ogni opra perfetto, fuor ch'un poco (oimè lassa!) empio in amore. E chi vuol poi conoscer me, rimiri una donna in effetti ed in sembiante imagin de la morte e de' martiri, un albergo di fé salda e costante, una, che, perché pianga, arda e sospiri, non fa pietoso il suo crudel amante. VIII Se così come sono abietta e vile donna, posso portar sì alto foco, perché non debbo aver almeno un poco di ritraggerlo al mondo e vena e stile? S'Amor con novo, insolito focile, ov'io non potea gir, m'alzò a tal loco, perché non può non con usato gioco far la pena e la penna in me simìle? E, se non può per forza di natura, puollo almen per miracolo, che spesso vince, trapassa e rompe ogni misura. Come ciò sia non posso dir espresso; io provo ben che per mia gran ventura mi sento il cor di novo stile impresso. 8

9 IX S'avien ch'un giorno Amor a me mi renda, e mi ritolga a questo empio signore; di che paventa e non vorrebbe, il core, tal gioia del penar suo par che prenda; voi chiamerete invan la mia stupenda fede, e l'immenso e smisurato amo re, di vostra crudeltà, di vostro errore tardi pentite, ove non è chi intenda. Ed io cantando la mia libertade, da così duri lacci e crudi sciolta, passerò lieta a la futura etade. E, se giusto pregar in ciel s'ascolta, vedrò forse anco in man di crudeltade la vita vostra a mia vendetta involta. X Alto colle, gradito e grazioso, novo Parnaso mio, novo Elicona, ove poggiando attendo la corona, de le fatiche mie dolce riposo: quanto sei qui tra noi chiaro e famoso, e quanto sei a Rodano e a Garona, a dir in rime alto disio mi sprona, ma l'opra è tal, che cominciar non oso. Anzi quanto averrà che mai ne canti, fia pura ombra del ver, perciò che 'l vero va di lungo il mio stil e l'altrui innanti. Le tue frondi e 'l tuo giogo verdi e 'ntero conservi 'l cielo, albergo degli amanti. colle gentil, dignissimo d'impero. XI Arbor felice, aventuroso e chiaro. onde i due rami sono al mondo nati, che vanno in alto, e son già tanto alzati, quanto raro altri rami unqua s'alzâro: rami che vanno ai grandi Scipi a paro, o s'altri fûr di lor mai più lodati (ben lo sanno i miei occhi fortunati, che per bearsi in un d'essi miraro), a te, tronco, a voi rami, sempre il cielo piova rugiada, sì che non v'offenda per avversa stagion caldo, né gelo. La chioma vostra e l'ombra s'apra e stenda verde per tutto; e d'onorato zelo odor, fior, frutti a tutt'italia renda. Poetessa e scrittrice. Figlia della buona borghesia, rimase orfana di padre molto giovane. La sua vita, di cui si sa molto poco, fu assai romanzata. Trasferitasi a Venezia con la madre e i due fratelli, a venticinque anni si innamorò follemente del giovane conte Collatino di Collalto, per il quale compose i versi sublimi, che le hanno donato un posto d'onore nella Nostra letteratura. Il suo canzoniere, una forma di diario intimo in cui si alternano gioie ed angosce, è una delle testimonianze letterarie più delicate della sensibilità femminile dell'epoca. La causa della sua morte, avvenuta per suicidio, ha, inoltre, ispirato diverse tesi romantiche sulle pene d'amore subite dalla giovane poetessa, che per decenni è stata considerata un archetipo dello struggimento. fascismo - nazismo 9

10 A. Buttafuoco, S. Sgarioto Donne Colpisce, rispetto al tema del rapporto tra donne e regime fascista, il grave ritardo della storiografia italiana, mentre quella tedesca rispetto al nazismo registra una qualità e una quantità notevole di interventi. LE CAUSE DI UN RITARDO. Sebbene anche in Germania abbia a lungo pesato sulla ricerca quella che appare come una rilevante difficoltà di individuare le categorie di analisi adeguate a cogliere un fenomeno così contraddittorio e doloroso come, per esempio, la massiccia adesione di donne al regime perfino nell'applicazione delle sue politiche di sterminio (N. Gabriel, Un corps à corps avec l'histoire: les féministes allemandes face au passé nazi, in Femmes et fascismes, a c. di R. Thalmann, 1986), la produzione degli studi, specie dopo la spinta venuta dal movimento femminista a un ripensamento complessivo delle radici storiche dell'ideologia del genere, appare articolata e matura. Il ritardo italiano è stato attribuito a cause diverse che peraltro convincono solo in parte. Si è osservato che la mancanza di una ricerca specifica era dovuta, per quanto riguarda gli anni dell'immediato dopoguerra, all'idea diffusa secondo cui poiché le donne sotto il regime fascista non avevano avuto alcuna visibilità e legittimità politica, si sarebbe potuto parlare soltanto di un'assenza e non di un rapporto tra donne e fascismo: e su un'assenza l'indagine storiografica non può procedere. Si è poi visto, con maggiore plausibilità, che poiché la storiografia sul fascismo ha per lungo tempo privilegiato la ricostruzione dell'opposizione al regime, gli studi, sia pure sporadici, dedicati alle donne italiane tra le due guerre hanno privilegiato per anni la scoperta o la riscoperta delle donne attive nei movimenti antifascisti (I. Vaccari, La donna nel ventennio fascista , in Donne e Resistenza in Emilia-Romagna, 1978), fino alla stagione, che ha ritrovato soltanto di recente una sua nuova vitalità, delle ricerche sulle donne nella Resistenza (A.M. Bruzzone, R. Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, 1976; B. Guidetti Serra, Compagne, 1977). In realtà appare piuttosto evidente, sul lungo periodo, la difficoltà di affrontare un'analisi più rigorosa e articolata delle politiche del regime nei confronti delle donne e del loro esito, oltre la pur necessaria denuncia di un'ideologia misogina e oppressiva (P. Meldini, Sposa e madre esemplare. Ideologia e politica della donna e della famiglia durante il fascismo, 1975). Tanto più appare difficile, poi, indagare a fondo sulle donne non soltanto come destinatarie di politiche specifiche, ma come soggetti attivi. Risulta difficile cioè guardare alle motivazioni di coloro che al fascismo aderirono con convinzione, divenendo sostenitrici del suo progetto politico-sociale. In questa chiave il tentativo di analisi di M.A. Macciocchi (La donna "nera". Consenso femminile e fascismo, 1976) appare del tutto fuorviante, nell'uso improprio, tra l'altro, di categorie psicanalitiche poco rigorose e soprattutto ben poco utili per comprendere il fenomeno nella sua complessità e varietà di espressioni LE PRIME VERE RICERCHE. Soltanto a partire dalla seconda metà degli anni Settanta si può cominciare a parlare di una vera e propria storiografia che indaga con serietà di intenti e rigore scientifico su entrambi i problemi: quello dell'atteggiamento ideologico e delle politiche fasciste che incisero sulla condizione complessiva delle donne italiane e quello del rapporto instaurato da gruppi di donne con il movimento fascista e poi con il regime, fino alle militanti della Repubblica di Salò. Alla luce di documentazione inedita o di riletture anche delle fonti più frequentate, per così dire, dalla storiografia generale sul fascismo, si è cominciato a indagare su alcune questioni di fondo quali i caratteri e le radici culturali dell'ideologia fascista sulla famiglia; la natura e la portata delle campagne demografiche; le norme espulsive delle donne dal mercato del lavoro; l'effettivo funzionamento di istituzioni fiore all'occhiello del regime, ma di fatto fallite, tra cui paradigmatica appare la vicenda dell'onmi (Opera nazionale maternità e infanzia). Molte ricerche, oltre alle fonti d'archivio e alla pubblicistica, ricorrono alle fonti orali di cui si fa un uso sempre più consapevole, sotto il profilo metodologico, per ricostruire, per esempio, gli atteggiamenti e le resistenze nei confronti delle politiche demografiche e dei provvedimenti pronatalisti da parte di donne appartenenti alla classe operaia (L. Passerini, Donne operaie e aborto nella Torino fascista, in "Italia contemporanea", 1982; Id., Torino operaia e fascismo, 1984). Ricerche rigorose e sostenute da un'ampia base documentaria sono state avviate negli anni Ottanta del Novecento sulla militanza femminile fascista, sia nella prima fase movimentista, dalle origini al delitto Matteotti (D. Detragiache, Il fascismo femminile da Sansepolcro all'affare Matteotti , in "Storia contemporanea", 1983), siadopo il consolidamento del regime attraverso l'organizzazione dei Fasci femminili (S. Bartoloni, Il fascismo femminile e la sua stampa: la "Rassegna femminile italiana" , in "Dwf", 1982), sia nella Repubblica sociale italiana, attraverso l'indagine sull'arruolamento volontario di circa seimila giovani donne nel Servizio ausiliario femminile (M. Fraddosio, Donne nell'esercito di Salò, in "Memoria", 1982; Id., La donna e la guerra. Aspetti della militanza femminile nel fascismo: dalla mobilitazione civile alle origini del Saf nella Repubblica sociale italiana, in "Storia contemporanea", 1989). BIOGRAFIE E ALTRI FILONI DI STUDIO. Un filone a sé, nella ricerca sul rapporto donne e fascismo, è rappresentato da alcune biografie, tra cui spiccano quelle dedicate a donne già protagoniste delle lotte d'inizio secolo nell'ambito del partito socialista o del movimento di emancipazione femminile che divennero figure significative, sia pure rivestendo ruoli diversi, anche nell'ambito del regime, grazie all'amicizia personale con Mussolini oltre che per 10

11 convinzione personale e che scontarono cocenti de-lusioni e amarezze profonde: Margherita Sarfatti, costretta all'esilio dopo la promulgazione delle leggi razziali e Regina Terruzzi, dirigente delle massaie rurali, rimasta nonostante tutto legata a ideali di giustizia sociale che il regime fu ben lontano dal realizzare (P.V. Cannistraro, B.R. Sullivan, Margherita Sarfatti, 1994; D. Detragiache, Du socialisme au fascisme naissant: formation et itinéraire de Regina Terruzzi, in R. Thalmann, a c. di, Femmes et fascismes, 1986). Studi sulla stampa femminile fascista cominciano a scavare più a fondo sulle varie modalità attraverso cui si espresse un rapporto spesso ambivalente e contraddittorio tra le intellettuali e i valori del regime (E. Scaramuzza, Professioni intellettuali e fascismo. L'ambivalenza dell'alleanza muliebre culturale italiana, in "Italia contemporanea", 1983; E. Mondello, La nuova italiana. La donna nella stampa e nella cultura del Ventennio, 1987; S. Follacchio, Discutendo di femminismo. "La Donna italiana", in M. Addis Saba, a c. di, La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio, 1988; H. Dittrich-Johansen, Dal privato al pubblico: maternità e lavoro nelle riviste femminili dell'epoca fascista, in "Studi storici", 1994). Analogamente si comincia a indagare sulla condizione delle lavoratrici di fabbrica durante il ventennio (P.R. Willson, The Clockwork Factory. Women and Work in Fascist Italy, 1993). Il panorama delle ricerche, tuttavia, continua ad apparire ancora troppo povero e frammentato, specie se confrontato con quanto sta avvenendo nella storiografia tedesca, sebbene di recente sia stato pubblicato anche in Italia il volume della studiosa statunitense V. De Grazia (Le donne nel regime fascista, 1993), che ha il merito di proporre una ricostruzione complessiva e quindi sintetica, nonostante la mole, delle principali questioni poste dal tentativo di "nazionalizzazione delle donne" operato dal fascismo e dalla risposta da parte delle interessate. Persino questa ricerca, tuttavia, non è esente da alcune approssimazioni e genericità: d'altra parte la chiave di lettura adottata appare stimolante, ma talora poco duttile nel cogliere gli aspetti più problematici di esperienze tra loro spesso assai diverse, sebbene l'autrice sottolinei opportunamente che le politiche del regime, così come gli atteggiamenti delle donne, non seguirono un orientamento definito e univoco per tutto il corso del ventennio, ma anzi appaiono entrambi contraddittori e ambivalenti. Il regime, oscillante tra conservazione e modernizzazione, attinge, come sottolinea a più riprese De Grazia, alla tradizione del liberalismo italiano, promuovendo al tempo stesso la presenza delle donne nella sfera pubblica, sia pure al fine della costruzione dello stato totalitario. Le donne, dal canto loro, si pongono di fronte al fascismo seguendo una propria strategia di rapporto con la modernità, che smentisce per esempio le campagne demografiche del regime attraverso la co stante limitazione delle nascite: limitazione che tende, peraltro, alla valorizzazione della maternità, nel senso di mirare alla qualità di questa esperienza piuttosto che alla quantità dei figli. L'attenzione delle storiche tedesche nei confronti del rapporto tra donne e nazismo si è orientata su vari ambiti di indagine: dalla condizione delle lavoratrici tra la Repubblica di Weimar e la seconda guerra mondiale alle politiche del regime sulla famiglia; dalle politiche di selezione della razza "ariana" attraverso pratiche denataliste e sterilizzazione coatta alla militanza femminile, con un'analisi delle organizzazioni femminili naziste; fino alle ricerche sulle attività del personale femminile nei campi di sterminio. Su quest'ultimo aspetto, in particolare, si rileva una produzione significativa, sia sotto il profilo metodologico che sotto il profilo politico, giacché si esce definitivamente da un'impostazione che vedeva le donne come naturalmente estranee alla politica e alla violenza, assumendone, ideologicamente, una presunta "innocenza" storica. NUOVE CATEGORIE DI ANALISI. Gli studi di E. Harvey (Women as Agents of Nazi Settlements Policies in Western Poland, relazione presentata al seminario internazionale su "Donne, guerra, Resistenza nell'europa occupata", Milano gennaio 1995) sulle donne impiegate come agenti nella politica di colonizzazione nazista dei territori polacchi in cui risiedevano comunità tedesche, o quelli di G. Schwarz (Donne Ss addette alla sorveglianza nei campi di concentramento nazisti , relazione presentata allo stesso seminario internazionale) sulle addette ai campi di sterminio risultano, in questo senso, esemplari, poiché gettano una luce nuova su fenomeni poco noti o sottaciuti. Di grande importanza, sotto il profilo dell'elaborazione di categorie di analisi nuove, oltre che sul piano delle fonti utilizzate, sono anche e soprattutto le ricerche di G. Bock (Zwangssterilisation im Nationalsozialismus: Studien zur Rassenpolitik und Frauenpolitik, 1986; Il nazionalsocialismo: politiche di genere e vita delle donne, in G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne. Il Novecento, 1992) sul rapporto tra razzismo e politiche di genere attuate dal nazismo. Il regime, sostiene per esempio la studiosa, non promosse affatto, come vuole un luogo comune storiografico diffuso, il "culto della maternità". Al contrario, proprio attraverso l'idea della selezione di una razza superiore, procedette a una politica tesa a scegliere quali donne dovessero procreare e quali no, applicando di fatto, anche attraverso il ricorso ad atti di polizia, una classificazione delle donne che venivano distinte tra quelle da incoraggiare a far figli, quelle i cui figli non erano del tutto sgraditi, quelle che avrebbero fatto meglio a non averne, quelle alle quali si sarebbe dovuto impedirlo a ogni costo, anche attraverso la sterilizzazione coatta. Ebree, zingare, straniere, slave, donne di colore o "ariane" affette da malattie o sospettate di debo-lezza mentale o fisica, appartenenti comunque a gruppi che minacciavano il Volkskörper (il corpo etnico) nella sua presunta purezza e superiorità furono soggette ad aborti procuratianche oltre il sesto mese di gravidanza, a interventi chirurgici o somministrazione di sostanze per renderle sterili. Il novanta per cento di esse morirono in seguito a questi interventi che si possono considerare a tutti gli effetti, secondo Bock, una delle pratiche di sterminio operate dal nazismo nei confronti degli individui e dei gruppi considerati indesiderabili. Importanti le osservazioni di Bock anche sul lavoro femminile durante il periodo nazista: al contrario di quanto di solito si scrive, basandosi sulla lettera della propaganda e non sulle politiche effettive, durante il nazismo il numero delle donne, comprese quelle sposate, impiegate in lavori salariati aumentò in modo considerevole (e questo spiega, in parte, l'adesione di molte donne al regime, al quale si attribuiva il merito di alleviare la disoccupazione). L'ideologia familista non poteva superare l'interesse del regime alla potenza economica e militare, né le tendenze 11

12 modernizzatrici nell'economia venivano contrastate in nome della maternità che, come abbiamo visto, per il nazismo non era un obiettivo così assoluto come si pretende. Le ricerche sul rapporto donne-nazismo, dunque, appaiono, anche alla luce di questi studi, in pieno sviluppo e, salvo ovvie eccezioni, capaci di interrogare questo momento storico con domande che ribaltano certezze consolidate, storiografiche e no, anche a costo di scoperte talora laceranti sulla "complicità" attiva delle donne al regime persino nelle sue espressioni più aberranti. S. Bartoloni, Le donne sotto il fascismo (discussioni e dibattiti), in "Memoria", n. 10, 1984; C. Saraceno, La costruzione della maternità e della paternità nell'italia fascista, in "Storia e memoria", n. 1, 1994; G. Czarnowski, Das kontrollierte Paar. Ehe- und Sexualpolitik im Nationalsozialismus, Deutscher Studien Verlag, Weinheim 1991; D. Reese, "Straffe, aber nicht stramm - herb, aber nicht derb". Zur Vergesellschaftung der Mädchen durch den Bund Deutscher Mädel im sozialkuturellen Vergleicht zweier Milieus, Beltz, Basilea 1989; C. Koonz, Mothers in the Fatherland. Women, the Family and Nazi Politics, New York 1987; C. Sachse, Betriebliche Sozialpolitik als Familienpolitik in der Weimarer Republik und im Nationalsozialismus, Amburgo 1987; D. Reese, C. Sachse, Frauenforschung zum Nationalsozialismus. Eine Bilanz, in L. Gravenhorst, C. Tatschmurat, a c. di, Töchterfragen. Ns.Frauengeschichte, Kore, Friburgo 1990; J. Stephenson, The Nazi Organisation of Women, Londra Alfonsina Storni Argentina Due parole Questa notte all'orecchio m'hai detto due parole. Due parole stanche d'esser dette. Parole cosi' vecchie da esser nuove. Parole cosi' dolci che la luna che andava trapelando dai rami mi si fermo' alla bocca. Cosi' dolci parole che una formica passa sul mio collo e non oso muovermi per cacciarla. Cosi' dolci parole che, senza voler, dico: "Com'e' bella la vita!" Cosi' dolci e miti che il mio corpo e' asperso di oli profumati. Cosi' dolci e belle che, nervose, le dita si levano al cielo sforbiciando. Oh, le dita vorrebbero recidere stelle. Trad.Angelo Zanon Dal Bo Isla Negra Fonte: revista en español de poesía y narrativa breve per abbonarsi: impaglioneg@yahoo.es Ada Negri ( ) "Periandro, signore di Mileto, spedì una nave trireme alla poetessa di Lesbo perché andasse da lui a recargli il dono della sua poesia. Saffo accolse l'invito e giunse alla reggia con due canzoni, irrorate dal riso innumerevole delle onde: e la reggia ne fu tutta celeste. Non sul comando d'un principe, ma sul filo dell'amicizia con una gentildonna pavese - Luisa Boerchio - un giorno Ada Negri venne tra noi [a Pavia, ndr] col suo dono poetico. E da non so quanti anni, al giungere dell'autunno - quando sulla nostra terra i giorni si fanno più nudi e l'umido e le nebbie fanno cercare un angolo accogliente - ella lasciava Milano e tornava nel tiepido nido che l'amicizia le preparava. Vi si fermava due mesi, tre mesi, cinque mesi (...)" 12

13 "(...) Così io la rivedo nella mia città: camminare rasente ai muri, e improvvisamente fermarsi a guardare con interesse una vecchia posterla di legno, l'erba d'un sagrato. Piena d'anni era, ma ribelle a invecchiare. Diritta e invitta. Pallidissima il volto, tutto osso e fermezza, balenato da occhi grandi e bizantini difesi da sopracciglia pesanti. La testa, un gran cespuglio nevicato. Correggeva la persona tozza e tracagnotta con movimenti lenti e dominanti. Abitavano in quel suo portamento la nobiltà d'una regina e la fresca audacia della zingara. E non l'abbiamo vista un giorno d'estate fermarsi alla fontanella pubblica, premere la bocca alla cannella, lasciando poi sgocciolare l'acqua per il mento e gettare attorno quegli occhi magnetici in sfida ai passanti? E bastò quel movimento poco controllato, perché dalle spalle le si scaricasse tutto il peso degli anni e delle sofferenze e delle esperienze, e ci rimbalzasse davanti, nel suo corpetto rosso, la vergine ventenne, la leggendaria monella di Fatalità e Tempeste [le prime opere di Ada Negri, 1892 e 1898, ndr] (...)" Ada Negri nacque da una famiglia molto povera, e può essere considerata la prima scrittrice italiana proveniente dalla classe operaia. Suo padre, Giuseppe, era un manovale e sua madre, Vittoria Cornalba, una tessitrice. Ada passò la sua infanzia solitaria, nella loggia da portiera dove lavorava la nonna, osservando il continuo passaggio delle persone, cosa che descrive nel suo romanzo autobiografico, Stella mattutina (1912). Grazie ai sacrifici della mamma, Ada Negri poté studiare, fino ad ottenere un diploma di insegnante elementare. Insegnò, quindi, a partire dal 1888, nella scuola elementare Motta Visconti, di Pavia. In questo periodo pubblicò le sue prime poesie, raccolte nel volume Fatalità (1892). Dopo il grande successo di questo libro, Ada negri acquistò una certa fama, e le venne attribuito il titolo di "professoressa", per poter insegnare nei licei. Nel 1896, si sposò con Federico Garlanda, da cui, nel 1904, ebbe Bianca, sua unica figlia. Pochi anni dopo, i due si separarono, ed Ada, con l'inizio della Prima Guerra Mondiale, si spostò in Svizzera. Successivamente, ebbe una relazione tormentata con un altro uomo, esperienza descritta dalla scrittrice nel suo libro di poesie, Il libro di Mara (1919). Un volume scritto con inusuale franchezza, per la società italiana del tempo, fortemente cattolica e conservatrice. Nel 1894, vinse il premio Milli per la poesia, e, nel 1931, il premio Mussolini, per la carriera. Nella sua seconda collezione di poesie, Tempeste, uscita nel 1895, affrontò temi sociali rivoluzionari espressi con un linguaggio molto moderato. Dopo le orazioni patriottiche tenute dalla scrittrice, raccolte, nel 1918, in Orazioni, Ada Negri pubblicò Maternità (1904) e Dal profondo (1910), due opere spiccatamente introspettive. A seguito di questo periodo di malinconia, uscì Esilio (1914), e, nel 1917, una raccolta di quattordici racconti, Le solitaire, in cui la scrittrice raccontò la sua modesta visione del mondo, in qualità di ragazza venuta dalla campagna. Nel 1919, uscì Il libro di Mara, a cui fece seguito I canti dell'isola (1924). Uscirono inoltre, Vespertina (1930), un libro di poesie, Finestre alte (1923) e Le strade (1926), entrambi libri di racconti, poi Di giorno in giorno, che contiene una raccolta di meditazioni sulle opere della scrittrice, ed Erba sul sagrato (1939). L'ultima opera conosciuta di Ada negri fu Oltre, uscito postumo, in cui l'autrice propose una sua agiografia di santa Caterina da Siena. Nel 1940, Ada Negri divenne membro dell'accademia Italiana, e nel 1945 morì. "La casa si trova sulla via del borgo che conduce alla chiesa parrocchiale: è un solo piano oltre il terreno, ha muraglia grosse con i segni del tempo sugli intonachi stanchi, davanzali troppo alti..." Ada Negri, Orto Alda Merini Amleto di carta A Giuliano Grittini Tu Amleto di carta sei una perla che ha visto la morte. Un giorno tanti anni fa quando hai visto una donna hai pensato che fosse la tua fede in Dio. Era bella ma era amara come tutte le sorti dell'uomo. Come amante eri un saggio bevendo lei hai bevuto la sua cicuta. Come era amara e come era dolce. Possedendo lei hai sentito nel suo grembo la polvere di tante strade hai visto rose e cancelli, cancelli e rose. Possedendo lei hai capito che la vita era uno sbaglio e che solo l'amore è la vera tragedia dell'uomo. Non eri mai stato un uomo e lei non era mai stata una donna. Il fatto è che uniti dalle vostre mani avevate scoperto che eravate grandi come l'universo. 13

14 Il vostro errore è stato quello di scoprire la verità. Tu oggi sei morto ma non è che sei morto perchè hai una sepoltura ma perchè hai mangiato, digarito e amato il suo cuore come si mangia la luna e il sole. Tu sei diventato il re dell'universo, tu sei impazzito d'amore. Ti piace sentirla lontana dal tuo martirio dalla tua veloce bocca che è sempre un figlio un condottiero segreto che naviga il dolore come un gaudio. Ma poi un giorno avete scoperto una terra dove non abitava nessuno e lì avete messo la tenda dell'amore. Avete mangiato i vostri pensieri come una cacciagione. Come sono belli i pensieri d'amore sono colombe alte di cui si mangiano anche le piume. Eppure il cuore del vostro cuore non è una statua solitaria ma un occhio in cui tanti guardano per concepire il paradiso della pace. Tu e lei siete morti in questo silenzio ma la vostra sepoltura non è mai esistita. Grazia Deledda Sardegna Canne al vento: Capitolo sesto Nei tempi di carestia, cioè nelle settimane che precedevano la raccolta dell'orzo, e la gente, terminata la provvista del grano, ricorre all'usura, la vecchia Pottoi andava a pescare sanguisughe. Il suo posto favorito era una insenatura del fiume sotto la Collina dei Colombi presso il poderetto delle dame Pintor. Stava là ore ed ore immobile, seduta all'ombra di un ontano, con le gambe nude nell'acqua trasparente verdognola venata d'oro; e mentre con una mano teneva ferma sulla sabbia una bottiglia, con l'altra si toccava la collana. Di tanto in tanto si curvava un poco, vedeva i suoi piedi ondulare grandi e giallastri entro l'acqua, ne traeva uno, staccava dalla gamba bagnata un acino nero lucente che vi si era attaccato, e lo introduceva nella bottiglia spingendovelo giù con un giunco. L'acino s'allungava, si restringeva, prendeva la forma di un anello nero: era la sanguisuga. Un giorno, verso la metà di giugno, ella salì fino alla capanna di Efix. Faceva un gran caldo e la valle era tutta gialla sotto il cielo d'un azzurro velato. Il servo intrecciava una stuoia, all'ombra delle canne, con le dita che tremavano per la febbre di malaria; vedendo la vecchia che gli si sedeva ai piedi con la bottiglia in grembo, sollevò appena gli occhi velati e attese rassegnato, quasi sapesse già quello che ella voleva da lui. «Efix, sei un uomo di Dio e puoi parlarmi con la coscienza in mano. Che intenzioni ha il tuo padroncino? Egli viene a casa mia, si mette a sedere, dice al ragazzo: suona la fisarmonica (gliel'ha regalata lui), poi dice a me: manderò zia Ester, a chiedervi la mano di Grixenda; ma donna Ester non si vede, e un giorno che io sono andata là, donna Noemi mi ha preso viva, e morta m'ha lasciata, tanti improperi mi ha detto. Tornata poi a casa, Grixenda m'ha anche lei mancato di rispetto, perché non vuole che vada dalle tue padrone. Io non so da qual parte rivolgermi, Efix; non siamo noi che abbiamo chiamato il ragazzo dalla strada: è venuto lui. Kallina mi dice: cacciatelo fuori. Ma lei lo caccia fuori, quando ci va?» Efix sorrise. «Là non va certo per far all'amore!...» Allora la vecchia sollevò irritata il viso e il suo collo parve allungarsi più del solito, tutto corde. «E in casa mia viene forse a far all'amore? No; egli è un ragazzo onesto. Neppure tocca la mano a Grixenda. Essi si amano come buoni cristiani, in attesa di sposarsi. Dimmi in tua coscienza, Efix, che intenzioni ha? Fammi questa carità, per l'anima del tuo padrone.» Efix diventò pensieroso. «Sì, una sera, alla festa, egli mi disse: la sposerò... In mia coscienza credo però che egli non possa.» «Perché? Egli non è nobile.» «Non può, ripeto, donna!», disse Efix con più forza. «Per denari ne ha, questo si vede. Spende senza contare. E il tuo padrone morto diceva, mi ricordo, quando anche lui veniva a sedersi a casa mia ed era giovane e viveva mia nonna: l'amore è quello che lega l'uomo alla donna, e il denaro quello che lega la donna all'uomo.» «Lui? Diceva così? A chi?» 14

15 «A me, sei sordo? Sì a me. Ma io avevo quindici anni ed ero senza malizia. Mia nonna cacciò via di casa don Zame e mi fece sposare Priamu Piras. E Priamu mio era un valent'uomo: aveva un pungolo con una lesina in cima e mi diceva, avvicinandomelo agli occhi: vedi? ti porto via la pupilla viva se guardi don Zame quando ti guarda. Così passò il tempo. Ma i morti ritornano: eccoli, quando don Giacintino sta seduto sullo sgabello e Grixenda sulla soglia della porta, mi par di essere io e il beato morto...» Quando ella incominciava a divagare così non la finiva mai, ed Efix che lo sapeva la mandò via infastidito. «Andate in pace! Cercate anche voi un uomo con un buon pungolo, per nipote vostra!» E la vecchia contenta di sapere che il ragazzo una sera alla festa aveva detto: «la sposerò» andò via senz'altro. Efix rimase solo in faccia alla luna rossa che saliva tra i vapori cinerei della sera, ma si sentiva inquieto: nel sopore in cui tutta la valle era immersa, il mormorio dell'acqua gli pareva il ronzio della febbre, e che i grilli stessi col loro canto si lamentassero senza tregua. No, la vita che Giacinto conduceva non era quella di un giovane onesto e timorato di Dio: giorno per giorno le grandi speranze fondate su lui cadevano lasciando posto a vere inquietudini. Egli spendeva e non guadagnava; ed anche il pozzo più profondo, pensava Efix, ad attingervi troppo si secca. Qualche sera Giacinto scendeva al poderetto per portare in paese le frutta e gli ortaggi che le zie poi vendevano a casa di nascosto come roba rubata, poiché non è da donne nobili far le erbivendole, e tutto questo era quanto di più utile egli faceva: il resto del tempo lo passava oziando di qua e di là per il paese. Ma eccolo che vien su per il sentiero trascinandosi a fianco come un cane la bicicletta polverosa: arriva ansante quasi venga dall'altro capo del mondo e dopo aver gettato da lontano un involto al servo si butta per terra lungo disteso come morto. E di un morto aveva il viso pallido, le labbra grigie; ma un tremito gli agitava la spalla sinistra, tanto che Efix spaventato trasse di tasca un tubetto di vetro, fece cadere sulla palma della mano due pastiglie di chinino e gliele mise in bocca. «Mandale giù. Hai la febbre!» Giacinto ingoiò le pastiglie e senza sollevarsi si strinse la testa fra le mani. «Come sono stanco, Efix! Sì, ho la febbre: l'ho presa, sì! Come si fa a non prenderla, in questo maledetto paese? Che paese!», aggiunse come parlando fra sé, stanco. «Si muore: si muore...» «Alzati», disse Efix, curvo su lui. «Non star lì: l'aria della sera fa male.» «Lasciami crepare, Efix! Lasciami! Che caldo! Non ho mai conosciuto un caldo simile: almeno da noi si facevano i bagni...» Che dirgli, per confortarlo? «Perché non sei rimasto là?» Efix sentiva troppa pietà di tanta miseria prostrata davanti a lui, per parlare così. «Che hai fatto oggi?», domandò sottovoce. «E cosa vuoi che faccia? Non ce niente da fare! Scender qui a portarti il pane, tornar là a portare l'erba! E loro che vivono come tre mummie! Zia Noemi oggi però s'e inquietata un poco, perché zia Ester mi diceva che non riesce a metter su i denari per l'imposta. Si capisce! Spendono per me, e da me non vogliono niente! Io dissi a zia Ester: non preoccupatevi, andrò io dall'esattore. - Una furia, zia Noemi! Aveva gli occhi come un gatto arrabbiato. Non la credevo così collerica. Ebbene, mi disse persino: coi tuoi denari, se ne hai, compra un'altra fisarmonica a Grixenda. Che male c'è, Efix, s'io vado da quella ragazza? Dove si va, se no? Zio Pietro mi porta alla bettola, e a me non piace il vino, lo sai; il Milese vuole che io giochi (così s'è fatto la fortuna, lui!) ed a me non piace giocare. Vado là, dalla ragazza, perché è buona, e la vecchia dice cose divertenti. Che male c'è, dimmi. Dimmi?» Lo guardava di sotto in su, supplichevole, con gli occhi dolci lucidi alla luna. Efix aveva preso l'involto del pane, ma non poteva mangiare; sentiva la gola stretta da un'angoscia profonda. «Nessun male! Ma la ragazza, benché buona, è povera e non è degna di te.» «L'amore non conosce né povertà né nobiltà. Quanti signori non han sposato ragazze povere? Che ne sai tu? Più di un lord inglese, più di un milionario d'a merica han sposato serve, maestre, cantanti... perché? Perché amavano. E quelli son ricchi: sono i re del petrolio, del rame, delle conserve! Chi sono io, al loro confronto? E le donne? Le principesse russe, le americane, chi sposano? Non s'innamorano di poveri artisti e persino dei loro cocchieri e dei loro servi? Ma tu che cosa puoi sapere?» Efix stringeva fra le mani un pezzo di pane e gli sembrava di stringere il suo cuore tormentato dai ricordi. «Eppoi dicono di credere in Dio, loro! Perché non mi lasciano sposare la donna che amo?» «Taci, Giacinto! Non parlare così di loro! Esse vogliono il tuo bene.» «Allora mi lascino formare la mia famiglia. Io, magari, porterò Grixenda in casa loro ed essa le aiuterà. Ormai esse sono vecchie. Io lavorerò. Andrò a Nuoro, comprerò formaggio, bestiame, lana, vino, persino legna, sì: perché adesso, con la guerra, tutto ha valore. Andrò a Roma e offrirò la merce al Ministero della Guerra. Sai quanto c'è da guadagnare?» «Ma! E i capitali?» «Non ci pensare, li ho. Basta mi lascino in pace, loro. Io non sono venuto per sfruttarle né per vivere alle loro spalle. Ah, ma zia Noemi è terribile!», egli gemette a un tratto, nascondendosi il viso fra le mani. «Ah, Efix, sono così amareggiato! Eppoi mi fa tanta vergogna vederle così misere; vederle vender di nascosto le patate, le pere e i pomi ai bambini che entrano piano piano nel cortile, col soldo nel pugno, e domandando la roba sottovoce quasi si tratti di cosa rubata! Mi vergogno, sì! Questo deve cessare. Esse torneranno quelle che erano, se mi lasceranno fare. Se zia Noemi sapesse il bene che le voglio non farebbe così...» «Giacinto! Dammi la mano: sei bravo!», disse Efix commosso. 15

16 Tacquero, poi Giacinto riprese a parlare con una voce tenue, dolce, che vibrava nel silenzio lunare come una voce infantile. «Efix, tu sei buono. Ti voglio raccontare una cosa accaduta ad un mio amico. Era impiegato con me alla Dogana. Un giorno un ricco capitano di porto in ritiro, un buon signore grosso ma ingenuo come un bambino, venne per fare un pagamento. Il mio amico disse: Lasci i denari e torni più tardi per la ricevuta che dev'essere firmata dal superiore. Il capitano lasciò i denari; il mio amico li prese, andò fuori, li giocò e li perdette. E quando il capitano tornò, il mio amico disse che non aveva ricevuto nulla! Quello protestò, andò dai superiori; ma non aveva la ricevuta e tutti gli risero in faccia. Eppure il mio amico fu cacciato via dal posto... sì, saranno quattro mesi... sì, ricordo, in carnevale. Egli andò a ballare. Si stordiva, beveva: non aveva più un soldo. Uscendo dal ballo prese una polmonite e cadde su una panchina di un viale. Lo portarono all'ospedale. Quando uscì, debole e sfinito, non aveva casa, non aveva pane. Dormiva sotto gli archi del porto, tossiva e faceva brutti sogni: sognava sempre il capitano che lo inseguiva, lo inseguiva... come nelle scene del cinematografo. Ed ecco una sera, ecco proprio il capitano che va a cercarlo sotto gli archi del porto. L'amico credeva di sognare ancora; ma l'altro gli disse: sa, è da un pezzetto che la cerco. So che è fuori di posto per via del versamento, ma a me preme che i suoi superiori e tutti sappiano la verità. È meglio anche per lei: dica in sua coscienza: li ho versati o no, i denari? - L'amico rispose: sì. - Allora il capitano disse: - Cerchiamo di aggiustare le cose. Io non voglio rovinarla: venga a casa mia, ecco il mio indirizzo: venga domani e assieme andremo dai suoi superiori. - Va bene! Ma l'indomani né poi l'amico andò. Aveva paura. Aveva paura. Eppoi il tempo era orribile ed egli non si muoveva di là. Tossiva e un facchino gli portava di tanto in tanto un po' di latte caldo. Che tempo era? Che tempo!», ripeté Giacinto, e sollevò il viso guardandosi attorno quasi per accertarsi che la notte era bella. Efix ascoltava, col gomito sul ginocchio e il viso sulla mano, come i bambini intenti alle fiabe. «Ma un giorno mi decisi e andai...» Silenzio. Il viso dei due uomini si coprì d'ombra ed entrambi abbassarono gli occhi. La spalla di Giacinto tremava convulsa; ma egli la sollevò e la scosse come per liberarsi dal tremito, e riprese con voce più dura: «Sì, ero io, tu avevi capito. Andai dal capitano. Non era in casa, ma la cameriera, una ragazza pallida che parlava sottovoce, mi fece aspettare in anticamera. La stanza era quasi buia, ma ricordo che quando un uscio s'apriva il pavimento rosso luccicava come lavato col sangue. Aspettai ore ed ore. Finalmente il capitano tornò; era con la moglie, grossa come lui, bonaria come lui. Sembravano due bambini enormi; ridevano rumorosamente. La signora aprì gli usci per vedermi bene: io tossivo e sbadigliavo. Si accorsero che avevo fame e m'invitarono ad entrare nella sala da pranzo. Io, ricordo, mi alzai, ma ricaddi seduto battendo la testa alla spalliera della cassapanca. Non ricordo altro. Quando rinvenni ero a letto, in casa loro. La cameriera mi portava una tazza di brodo su un vassoio d'argento e mi parlava con grande rispetto. Rimasi là più di un mese, Efix, capisci: quaranta giorni. Mi curarono, cercarono di rimettermi a posto; ma il posto era difficile trovarlo perché tutti ormai sapevano la mia storia. D'altronde anch'io volevo andarmene lontano, al di là del mare. Ciò che io ho sofferto durante quel tempo nessuno può saperlo: il capitano, sua moglie, la serva io li vedo sempre in sogno; li vedo anche nella realtà, anche adesso, lì, davanti a me. Essi erano buoni, ma io vorrei sprofondarmi per non vederli più. E il peggio è che non potevo andarmene da casa loro. Stavo lì, istupidito, seduto immobile ad ascoltare la signora che parlava parlava parlava, o in compagnia della serva che taceva: sedevo a tavola con loro, li sentivo scherzare, far progetti per me, come fossi un loro figliuolo, e tutto mi dava pena, mi umiliava, eppure non potevo andarmene. Finalmente un giorno la signora, vedendomi completamente guarito, mi domandò che intenzioni avevo. Io dissi che volevo venire qui dalle mie zie, di cui avevo parlato come di persone benestanti. Allora mi comprarono il biglietto per il viaggio e mi regalarono anche la bicicletta. Io capii ch'era tempo d'andarmene e partii: venni qui. Che liberazione, in principio! Ma adesso, in casa delle zie, sono ancora come là... e non so...». Un grido che aveva qualche cosa di beffardo attraversò il silenzio del ciglione, sopra i due uomini, e Giacinto balzò sorpreso credendo che qualcuno avesse ascoltato il suo racconto e lo irridesse: ma vide una piccola forma grigia lunga, seguita da un'altra più scura e più corta, balzare come volando da una macchia all'altra intorno alla capanna e sparire senza neppur lasciargli tempo di raccattare un sasso per colpirla. Anche Efix s'era alzato. «Son le volpi», disse sottovoce. «Lasciale correre: fanno all'amore. Sembrano folletti, alle volte» riprese mentre Giacinto si buttava di nuovo per terra silenzioso. «Hai veduto com'eran lunghe? Mangiano l'uva acerba come diavoli...» Ma Giacinto non parlava più. Ed Efix non sapeva cosa dire, se pregarlo di riprendere il racconto, se confortarlo, se commentare in bene o in male quanto aveva sentito. Ecco perché era stato tris te, tutto il giorno, ecco come vanno le cose della vita! Ma che dire? In fondo era contento che il passaggio delle volpi avesse fatto tacere Giacinto; tuttavia qualche cosa bisognava pur dire. «Dunque... quel capitano? Si vede che era uomo savio: capiva che la gioventù... la gioventù... è soggetta all'errore... Eppoi quando si è orfani! Su, alzati; vuoi mangiare?» Entrò nella capanna e tornò sbucciando una cipolla: Giacinto stava immobile, abbattuto, forse pentito della sua confessione, ed egli non osò più parlare. L'odore della cipolla si mischiava al profumo delle erbe intorno, della vite e della salsapariglia; le volpi ripassarono. Efix cenò ma il pane gli parve amaro. E due o tre volte tentò di dire qualche cosa; ma non poteva, non poteva; gli sembrava un sogno. Finalmente scosse Giacinto, tentò di sollevarlo, gli disse con dolcezza: «Su, vieni dentro! La febbre è in giro...». Ma il corpo del giovine sembrava di bronzo, steso grave aderente alla terra dalla quale pareva non volesse più staccarsi. 16

17 Efix rientrò nella capanna, ma tardò a chiudere gli occhi, e anche nel sonno aveva l'idea tormentosa di dover commentare il racconto di Giacinto, non sapeva però come, se in bene o in male. «Devo dirgli: ebbene, coraggio, ti emenderai! Dopo tutto eri un ragazzo, un orfano...» Ma sognò Noemi che lo guardava coi suoi occhi cattivi, e gli diceva sottovoce, a denti stretti: «Lo vedi? Lo vedi che razza di uomo è?». Si svegliò con un peso sul cuore; benché fosse notte ancora si alzò, ma Giacinto se n'era già andato. Per molti giorni non si lasciò più vedere, tanto che Efix cominciò a inquietarsi, anche perché gli ortaggi e i pomi si ammucchiavano all'ombra della capanna e nessuno veniva a prenderli. Ogni sera don Predu, che possedeva grandi poderi verso il mare, passava di ritorno al paese, e se vedeva il servo tendeva l'indice verso la terra delle sue cugine e poi si toccava il petto per significare che aspettava l'espropriazione e il possesso del poderetto; ma Efix, abituato a quella mimica, salutava, e a sua volta accennava di no, di no, con la mano e con la testa. Dopo la confessione di Giacinto s'inquietava però vedendo don Predu; gli sembrava più beffardo del solito. Una sera aspettò accanto alla siepe, e gli chiese: «Don Predu, mi dica, ha veduto il mio padroncino? L'altra sera venne qui che aveva la febbre e adesso sto in pensiero per lui». Don Predu rise, dall'alto del cavallo, col suo riso forzato a bocca chiusa, a guance gonfie. «Ieri sera l'ho veduto a giocare dal Milese. E perdeva, anche!» «Perdeva!», ripeté Efix smarrito. «Come lo dici! Vuoi che vinca sempre?» «A me disse che non giocava mai...» «E tu lo credi? Non dice una verità neanche se gli dai una fucilata. Ma non è cattivo: dice le bugie, così perché gli sembran verità, come i bambini.» «Come un bambino davvero...» «Un bambino che ha tutti i denti però! E come mastica! Vi mangerà anche il poderetto. Efix, ricordati: son qua io! Se no, bastonate...» Efix lo guardava dal basso, spaurito; e il grosso uomo a cavallo gli sembrava, nel crepuscolo rosso, un uccello di malaugurio, uno dei tanti mostri notturni di cui aveva paura. «Gesù, salvaci. Nostra Signora del Rimedio, pensa a noi...» Don Predu s'era già allontanato, quando Efix lo raggiunse nello stradone porgendogli con tutte e due le mani un cestino colmo di pomi e di ortaggi. «Don Predu, mandi questo con la sua serva alle mie padrone. Io non posso abbandonare il poderetto... e don Giacinto non viene...» Da prima l'uomo lo guardò sorpreso; poi un sorriso benevolo gli increspò le labbra carnose. Sollevò una gamba e disse: «Guarda lì, c'è posto». Efix cacciò il cestino entro la bisaccia, e mentre don Predu andava via senza dir altro, se ne tornò su alla capanna: aveva paura che le padrone lo sgridassero; sapeva d'aver commesso un atto grave, forse un errore; ma non si pentiva. Una mano misteriosa lo aveva spinto, ed egli sapeva che tutte le azioni compiute così, per forza sovrannaturale, sono azioni buone. Aspettò Giacinto fino al tardi. La luna piena imbiancava la valle, e la notte era così chiara che si distingueva l'ombra d'ogni stelo. Persino i fantasmi, quella notte, non osavano uscire, tanta luce c'era: e il mormorio dell'acqua era solitario, non accompagnato dallo sbatter dei panni delle panas. Anche i fantasmi avevan pace, quella notte. Il servo solo non poteva dormire. Pensava alla storia di Giacinto e del capitano di porto, e provava un senso d'infinita dolcezza, d'infinita tristezza. Tutti, nel mondo, pecchiamo, più o meno, adesso, o prima o poi: e per questo? Il capitano non aveva perdonato? Perché non dovevano perdonare anche gli altri? Ah, se tutti si perdonassero a viceversa! Il mondo avrebbe pace: tutto sarebbe chiaro e tranquillo come in quella notte di luna. S'alzò e andò a fare un giro nel poderetto. Sì, sul sentieruolo bianco si disegnava anche l'ombra dei fiori: le foglie dei fichi d'india avevano le spine, nell'ombra, e dove l'acqua era ferma, giù al fiume, si vedevano le stelle. Ma ecco un'ombra che si muove dietro la siepe, fra gli ontani: è un animale deforme, nero, con le gambe d'argento: scricchiola sulla sabbia, si ferma. Efix corse giù; gli sembrava di volare. «Sei tu! Sei tu? M'hai spaventato.» Giacintino si tirò a fianco la bicicletta e lo seguì silenzioso; ma ancora una volta, arrivati davanti alla capanna si buttò a terra gemendo: «Efix. Efix, non ne posso più... Che hai fatto! Che hai fatto!». «Che ho fatto?» «Non so bene neppur io. È venuta la serva di zio Pietro, portando un cestino, dicendo che lo avevi consegnato tu al suo padrone. C'erano zia Ruth e zia Noemi in casa, poiché zia Ester era alla novena: presero il cestino e ringraziarono la serva, e le diedero anche la mancia; ma poi zia Noemi fu colta da uno svenimento. E zia Ruth la credeva morta, e gridò. Corsero a chiamare zia Ester; ella venne spaventata, e per la prima volta anche lei mi guardò torva e mi disse che son venuto per farle morire. Oh Dio, Dio, oh Dio, Dio! Io bagnavo il viso di zia Noemi con l'aceto e piangevo, te lo giuro 17

18 sulla memoria di mia madre; piangevo senza sapere perché. Finalmente zia Noemi rinvenne e mi allontanò con la mano; diceva: era meglio fossi morta, prima di questo giorno. Io domandavo: perché? perché, zia Noemi mia, perché? E lei mi allontanava con una mano, nascondendosi gli occhi con l'altra. Che pena! Perché son venuto, Efix? Perché?» Il servo non sapeva rispondere. Adesso vedeva, sì, tutto l'errore commesso, consegnando il cestino a don Predu e pensava al modo di rimediarvi, ma non vedeva come, non sapeva perché, e ancora una volta sentiva tutto il peso delle disgrazie dei suoi padroni gravare su lui. «Sta' quieto», disse infine. «Tornerò io domani al paese e rimedierò tutto.» Allora Giacinto riprese «Tu devi dire alle zie che non son stato io a consigliarti di incaricare zio Pietro della consegna del cestino. Esse credono così. Esse credono, e zia Noemi specialmente, che io cerchi l'amicizia di zio Pietro per far dispetto a loro. Io sono amico di tutti; perché non dovrei esserlo di zio Pietro? Ma le zie sanno che egli vuole comprare il poderetto. Che colpa ne ho io? Sono io che voglio venderlo, forse?» «Nessuno vuol venderlo. Perché parlare di queste cose? Ma tu, anima mia, tu... tu l'altra sera dicevi questo, dicevi quest'altro: promettevi mari e monti, per far felici le tue zie; e ieri sera, invece, sei andato a giocare...» «Giocando tante volte si guadagna. Io voglio guadagnare, appunto per loro: no, non voglio più essere a carico loro. Voglio morire... Vedi» aggiunse sottovoce «adesso, dopo la scena di oggi, mi pare di essere ancora nella casa del capitano... Dio mi aiuti, Efix!» Efix ascoltava con terrore: sentiva d'essere di nuovo davanti al destino tragico della famiglia alla quale era attaccato come il musco alla pietra, e non sapeva che dire, non sapeva che fare. «Oh», sospirò profondamente Giacinto. «Ma di qui me ne vado certo; non aspetto che mi caccino via! Sono senza carità, le mie zie, specialmente zia Noemi. Non m'importa, però: essa non ha perdonato mia madre; come può perdonare me? Ma io, ma io...» Abbassò la testa e trasse di saccoccia una lettera. «Vedi, Efix? So tutto. Se zia Noemi non ha perdonato mia madre dopo questa lettera, come può aver l'animo buono? Tu lo sai cosa c'è, in questa lettera, l'hai portata tu, a zia Noemi. Ed io gliel'ho presa: stava sul lettuccio, il giorno del mio arrivo: io ne lessi qualche riga, poi la presi dall'armadio, oggi... È mia; è di mia madre; è mia... Non è degna di stare là questa lettera...» «Giacinto! Dammela!», disse Efix stendendo le mani. «Non è tua! Dammela: la riporterò io, alle mie padrone.» Ma Giacinto stringeva la lettera fra le palme delle mani e scuoteva la testa. Efix cercò di prendergliela: supplicava, pareva domandasse un'elemosina suprema. «Giacinto, dammela. La riporterò io, la rimetterò nell'armadio. Parlerò io con loro, metterò pace. Tu aspettami qui. Ma dammi la lettera.» Giacinto lo guardò. La sua spalla tremava, ma gli occhi erano freddi, quasi crudeli. Allora Efix balzò, gli gravò le mani sulle spalle, gli sibilò all'orecchio una parola. «Ladro!» Giacinto ebbe l'impressione di essere assalito da un avvoltoio; aprì le mani e la lettera cadde per terra. la riviste di literatura in linba sarda Isola Niedda 2 contattare: mulasgiovanna@hotmail.com Emily Dickinson EEUU Gioco alla Ricchezza - per placare La Smania per l'oro - Mi ha trattenuto dall'essere un Ladro, credo, Perché spesso, sfrontata A causa del Bisogno, e dell'opportunità - Avrei potuto fare un Peccato Ed essere Io stessa quella facile Cosa Una Persona indipendente - Ma ogni volta che il mio campo si dimostra Troppo sterile per sostenermi 18

19 Mi immagino come sarei - E nuovo Conforto Alla mia Poverta e a Me ne deriva - Ci chiediamo se l'uomo - Che possiede - Stimi l'opulenza - Come Noi - Che non Possiamo mai - Dovesse mai a queste Mani che frugano Capitare di Regnare su una Miniera - O nella lunga - volubile scadenza Per vincere, arrivare il loro turno - Quanto più adatte sarebbero - visto che il Bisogno - Illumina così bene - Non so che cosa, Desiderare, od Ottenere - Sia bello in assoluto - Maria Luisa Spaziani Italia Appennino ligure Vengo a bruciare fra i tuoi rami neri, mio salmastro paese di neve, in te rinasco uccello del miracolo nei silenzi scordati. Ci fu un tempo di tregue e campane, di sangue rosso, nettare e roveti. Scendo viva nel pozzo della favola, pietà di me, scivolose pareti. Tu ti concedi a lampi, lo so bene, come ogni crudele assoluto. Ma in una goccia ruotano dei mondi, perfino il sole è una pupilla cieca - Ci fu un tempo di risse e campane, di germogli e di verdi profeti. Io vivo nello spazio se lo spazio si arrende. La campana mi ritma ogni altrove. Tratto da I fasti dell'ortica, 1996 Lettere 1 Il nostro amore che sarebbe fiorito con tutti i fiori della primavera torinese! (così dolce per l esule che ritorna!) Dalle lettere di Amalia Guglielminetti a Guido Gozzano Martedì (24 marzo 1908) Perché mi fate piangere, Guido, perché mi fate rimpiangere quel poco che v ho dato di me? Non dovevo venire con Voi quel giorno per soffrirne dopo, così, per vedermi tolta anche la piccola dolcezza di sentirvi qualche volta vicino. E così poca cosa la vita e così breve per negarci qualche poco della sua bellezza per tormentarci volontariamente anche quella piccola parte di bene che ci concede? Voi vi dite corazzato anzi insensibile ad ogni ferita. Io no, mio dolce Amico, o vi voglio bene e soffro crudelmente di sentirvi tanto lontano. Mi pare di trovarmi più sola in quest ombra grigia di banalità che ci circonda, sento d aver smarrito qualche cosa di più leggero, di più chiaro, di più elevato, l amico che mi comprende, il fratello che sogna i miei sogni e gioisce della mia gioia, la tenerezza che blandisce e riscalda il cuore. Io non voglio che tu mi sfugga, Guido, io non voglio che tu mi segua di lontano come un estraneo, che tu mi riveda ancora un giorno lontano quando forse i miei capelli non saranno più tanto bruni e la mia bocca fresca e i miei occhi lucenti. Lascia ch io ti dica tu come un compagno, ch io non senta fra noi il gelo di quella parola dura. Io ti sono compagna ora senza tremori e senza fremiti, sorella della tua anima. 19

20 Io ti saprei baciare la fronte con un sorriso sereno come si bacia un bambino. No, noi non abbiamo ancora sepolto nulla di noi stessi. Io sono per te come il primo giorno che ti vidi, non sazia, né stanca, né oppressa dalla più piccola parte di te. Sei nuovo e fresco al mio spirito come allora che m eri ignoto. Ogni tua parola è come una piccola luce che ti rischiara un momento e ch io guardo risplendere con gioia nuova ogni volta che tu parli. E un senso strano ch io non so dire, ma che non ho mai sentito per altri, una malia, quasi, che è credo, una occulta profonda fraternità, un oscuro legame spirituale che ci unisce anche nostro malgrado. Ma tu non provi questo fascino, lo so, poiché mi respingi dopo alcune ore di comune vita, mi allontani con un gesto che mi pare un urto di disdegno. Forse io non sono stata con te, quel giorno, quella della tua attesa. Fui rude, lo ricordo, violenta anche. Ma quale contrazione, quale ribellione era in me, allora, davanti a quel nuovo tu che lottava contro la mia volontà aspra di solitaria! Ma ricordo anche un momento di chiara dolcezza, il mio volto chinato sul tuo, le mie labbra parlanti con franca umiltà di cose umili e nascoste. Ma come puoi non volermi bene se mi rivedi ancora in quell atto? Nessuno, ti giuro, mi ha mai veduta così spoglia d orgoglio, così vestita di pura tenerezza. Tu solo che non mi ami, tu solo che mi sfuggi. Scrivimi che ci vedremo ancora quando e come il destino lo vorrà, semplicemente, come due amici buoni che la fedeltà riconduce tratto tratto l uno all altro. Ho bisogno di sentirti parlare, di te, di me, de tuoi e dei miei sogni, del tuo e del mio avvenire, di tante cose piccole e grandi e vane. E così buona l amicizia ed io non ho amiche vere, non ho forse amici veri, non mi sento legata che a te. Non voglio che ci cerchiamo con l ansia del desiderio, ma che ci vediamo naturalmente come vogliono le vicende della nostra vita. Non farmi ancora piangere e rimpiangere, Guido, dammi ancora le prove e se vuoi qualche segno di bontà in cambio di tutta la mia tenerezza. Vieni a dirmi addio prima di lasciare Torino. Ci sapremo stringere le mani con dolcezza ma senza fremito. Verrai? Non dirmi, non dirmi di no... (Amalia Guglielminetti) ai cani sciolti della letteratura consigliamo vivamente di Rina Brundu. Salotto letterario Margherita Guidacci Italia quel che le foglie recano già scritto in sé, nelle intricate nervature simili a vene sul dorso della mano o linee incise nel palmo. Il sguardo, che segue il biforcarsi di vie segrete, coglie ad incroci turgidi di linfa i nodi del significato. Così si fa più chiaro il messaggio. Ma quella che tu chiedi, e che tu chiami la mia risposta. E' la vita che parla in ogni cosa viva, mentre passa verso la morte. Vi pongo di mio soltanto un giusto angolo di sguardo. E il calmo gesto con cui, dopo averle lungamente scrutate, affido al vento queste mie foglie, e il vento se le porta, esso solo compiendo per un diritto immemorabile il sussurrante vaticinio. Tratto da Il buio e lo splendore 20

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