Dossier. Rojava: modello di democrazia per la Siria? CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA

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1 CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA Dossier Rojava: modello di democrazia per la Siria? QUELLO CURDO È IL POPOLO SENZA TERRA PIÙ NUMEROSO DEL PIANETA: 30 MILIONI DI PERSONE CHE VIVONO IN UN AREA FRAMMENTATA TRA TURCHIA, IRAQ, IRAN, ARMENIA E SIRIA. A PARTIRE DAL ROJAVA, FORTI DELLA PRESA DI KOBANE SOTTRATTA ALL ISIS, I CURDI SIRIANI HANNO PROCLAMATO UNA LORO AUTONOMIA FEDERALE. CHE PERÒ VEDE MOLTI OPPOSITORI. di Ilaria De Bonis i.debonis@missioitalia.it 29

2 ICurdi siriani provano ad avere una propria entità geografica e politica, amministrativamente autonoma, ma parte integrante della futura Siria pacificata. Forti della solida identità di combattenti partigiani (grazie alla riconquista di Kobane), e a fronte di una guerra popolare contro il califfato islamico, lo scorso 17 marzo hanno proclamato unilateralmente il Federal Democratic System of Rojava and Northern Syria. Ossia un Unione Federale Democratica dentro la Siria. Il cui fulcro è l architrave della democrazia diretta. I Curdi siriani non lo chiamano Stato curdo (come il Kurdistan iracheno), perché non ne vogliono un altro: uno SOPRA: Curdi siriani nel campo profughi di Rojava. A FIANCO: Un combattente curdo appartenente all Unità di Protezione del Popolo (Ypg), a Kobane durante l assedio della città da parte dell Isis. Stato già ce l hanno ed è quello di Siria. All interno del quale si sono ritagliati uno spazio composto dal Rojava e da altre zone del Nord. «Questo nostro sistema non sarà un nuovo Kurdistan, ma una nuova Siria», ha precisato il co-leader curdo del Partito di Unione Democratica (Pyd), Salih Muslim Mohammed, intervistato da Middle East 30

3 Eye. L entità geopolitica è composta da tre cantoni: Jazeera, Kobane e Afrin (ossia il Rojava) e altre città arabe del Nord. I partiti curdi già gestiscono un sistema di tre governatorati autonomi con forze di polizia indipendenti, scuole e amministrazioni comunali. Questi tre cantoni si estendono lungo il confine settentrionale della Siria con la Turchia: Afrin e Kobane, rispettivamente a Nord- Ovest e Nord-Est della provincia di Aleppo, e Jazeera nella provincia di Hasaka. L Unità di Protezione del Popolo (Ypg), forza curda molto efficace in combattimento, è stata artefice della prima vittoria contro i jihadisti dell Isis, cacciati dalle fasce di territorio usurpato in quelle zone. La Turchia, però, dei partigiani curdi non vuole saperne: considera lo Ypg una filiale siriana del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), suo acerrimo nemico da sempre, dichiarato fuori legge da Ankara. E dunque li accomuna ai terroristi e li contrasta in ogni modo. Celebre è stata la lotta per Kobane, che i peshmerga curdi hanno liberato praticamente da soli combattendo contro l Isis, privi di qualsiasi sostegno turco. In quei giorni di due anni fa ci si chiedeva come potessero resistere in una città così sventrata. E fu un successo celebrato dal mondo intero.» Dossier CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA 31

4 L ultima arma di Erdogan: l esproprio Quello curdo è il popolo senza terra più numeroso del pianeta: 30 milioni di persone che vivono in un area frammentata tra Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria. La maggior parte dei Curdi (12 milioni) è comunque concentrata nella Turchia orientale, dove a fasi alterne combatte dal 1920 per l autodeterminazione. La lotta si è intensificata da quando, nel 1974, i Curdi turchi si sono organizzati nel Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Da allora l esercito di Ankara, appoggiato da alcuni Paesi dell Occidente, ha intrapreso un vero e proprio genocidio teso all eliminazione culturale e fisica del popolo curdo. I continui bombardamenti aerei dei villaggi hanno provocato finora 35mila morti e tre milioni di rifugiati. La repressione politica e fisica del Pkk ha dimensioni enormi e non si arresta. Il governo turco di Erdogan prosegue la sua guerra tutt oggi: l East Journal riferisce che la nuova arma del governo contro il Pkk in questi ultimi mesi è l esproprio. Di interi quartieri. Una misura a tappeto che dovrebbe togliere ai militanti rifugi, magazzini per armi e munizioni, vie di fuga e barricate. Il conflitto tra esercito e Pkk ripreso nel luglio dello scorso anno compie quindi un altro salto di qualità: basta osservare Diyarbakir, la principale città a maggioranza curda nel Sud-est della Turchia. Qui la zona più calda è il quartiere di Sur. Ben l 82% del quartiere sarà espropriato e passerà sotto la gestione delle autorità pubbliche turche: circa particelle catastali su un totale di Abitazioni private, locali pubblici, ma anche edifici di culto. Tutto verrà sottratto alla gestione del Pkk per venire inglobato. Lo scorso anno il Pkk aveva ritirato la maggior parte dei suoi combattenti dalla Turchia annunciando la fine dei combattimenti nel Sud-est del Paese. Ma il governo di Ankara ha rifiutato il cessate il fuoco dicendo di voler continuare a combattere fino alla resa totale dei ribelli. I.D.B. Sulla Siria i Curdi siriani del Pyd hanno le idee molto chiare: il nuovo Stato post- Assad non dovrebbe nascere per dividere ulteriormente il popolo, ma per sperimentare un modello di unità, integrazione e uguaglianza. Tant è che i leader curdi vorrebbero che il loro modello federale facesse da esempio a tutta la Siria, decentralizzata ma non spaccata. «Nella futura terra siriana ognuno vedrà rispettati i propri diritti», dicono. A Ginevra tra federalismo e unità Nel comunicato divulgato dall Assemblea Costituente della neonata federazione curda si legge: «Noi rappresentanti di queste aree, riunitici il 16 e 17 marzo 2016, ricordando con rispetto e apprezzamento i martiri curdi che hanno pagato col sangue la più eroica resistenza», vogliamo che «la futura Siria sia una terra per tutti i siriani». Questo è l obiettivo del sistema federale del Rojava del Nord. Non vogliono una divisione federale su base etnica o religiosa, però, ma una struttura che si fondi sull autogoverno. Un idea ben diversa dalla divisione immaginata dalla comunità internazionale e messa sul tavolo di Ginevra che andrebbe invece a radicare i settarismi interni. La nostra è «un amministrazione au- 32

5 tonoma curda - ha detto ad Askanews una fonte ufficiale curda - intesa all interno di un futuro Stato federale in Siria». La stessa voce ha spiegato che la «regione autonoma avrà confini amministrativi su basi geografiche a prescindere delle sue componenti etniche». Ovviamente il progetto trova ostacoli un po ovunque: la determinazione curda cozza contro gli altri interessi regionali. Sia Damasco che le opposizioni siriane ostacolano il progetto federale: la Siria non sarà spartita in entità amministrative diverse ma dovrà mantenere unità e integrità statuale, scrivono. La paura è che la Siria possa perdere pezzi nel corso del tempo ed essere meno gestibile a livello centrale. Pertanto nè il regime di Assad, nè le opposizioni riconoscono l auto-proclamata autonomia curda. «Uno dei principali obiettivi della rivoluzione siriana è l unità ed integrità del territorio e delle persone aveva detto Anas al-abda, capo della» La chiesa armeno cattolica di Diyarbakir, in Turchia, utilizzata come base dal PKK. Chiese sotto attacco Nella foga di indebolire il Pkk e i Curdi, la Turchia sta colpendo sempre di più anche gli edifici religiosi e le chiese ortodosse, cattoliche e protestanti. Soprattutto a Diyarbakir. Lo riferisce Charisma News. Al contrario delle moschee finanziate dallo Stato, gli antichi edifici cristiani alcuni dei quali precedenti all islam sono gestiti tradizionalmente da fondazioni della Chiesa. Con la nazionalizzazione e l esproprio, Erdogan si è assicurato la proprietà di varie chiese, tra cui una di anni. Lo scorso autunno il Pkk curdo dichiarò l autogoverno sul distretto di Sur; a marzo scorso il governo annuncia l urgente espropriazione di lotti di terra nel distretto di Sur. Sei chiese finiscono sotto il controllo statale: la Virgin Mary siriaco-ortodossa, la Surp (armena), la chiesa di Sarkis, cattolico-caldea, la Diyarbakir Protestant Church, l armeno-apostolica di Giragos, l armeno cattolica e infine la Petyun cattolico caldea. Negli ultimi dieci mesi le comunità cristiane sono state in grado di accedere agli edifici religiosi grazie ai combattimenti blandi. Ma da quando la guerra si è intensificata (sebbene la Turchia neghi la responsabilità), le cose sono cambiate. L esproprio ha un significato simbolico enorme ed è anche il preludio di altri drastici provvedimenti. Inoltre sottrarre edifici religiosi ai fedeli, è un segno di disprezzo e abuso di potere. Quella di Giragos a Diyarbakir è la più grande chiesa armena del Medio Oriente: costruita nel 1600 venne chiusa negli anni Sessanta. Dopo che la diaspora curda la rifinanziò con un milione di dollari, riaprì nel L ordine di esproprio è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale turca lo scorso 25 marzo dopo un Consiglio dei ministri presieduto da Recep Tayyip Erdogan. Ovviamente le autorità turche sostengono che si tratti dell ultima risorsa per proteggere l area. Ma l iniziativa genera grande allarme nella comunità armena e in quella cattolica. «Vogliono distruggere gli spazi vitali e le case delle persone che sono sopravvissute a morte e massacri in questi luoghi», ha dichiarato Figen Yuksekdagi, co-presidente del partito pro-curdo Partito Democratico del Popolo (Hdp). Per il momento in questi luoghi di culto ancora si celebrano le messe nei giorni di festa, ma il timore è che avendone la proprietà, il governo possa decidere di chiuderli da un momento all altro. Ancora più scioccante è l espropriazione della Vergin Mary, nel quartiere di Lalabey: contiene reliquie sacre, tra le quali - la tradizione dice - le ossa dell apostolo Tommaso. I.D.B. Dossier CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA 33

6 Donna curda viene portata via da agenti della polizia turca durante gli scontri nel centro di Diyarbakir. Nel Kurdistan iracheno, sfuggendo all ISIS «O gni scelta che è stata fatta a livello internazionale era sbagliata: se davvero si vuole sostenere il mio popolo basta chiedere di cosa ha bisogno. Certo non di nuovi interventi armati. Ne abbiamo avuti abbastanza», spiega così Ala Ali, ricercatrice curdo-irachena esperta di peacebuilding e questioni di genere, intervistata da Cecilia Dalla Negra per Osservatorio Iraq. Ma l Iraq non è stato sempre lo stesso: 50 anni fa era un Paese in pace e più moderno. «Quando guardo le foto dei miei genitori da giovani stento a credere che si tratti del mio Paese dice Ala - Mia madre vestiva in un modo che oggi sarebbe impensabile. Negli anni 40 e 50 c era molta più libertà, poi l avvento del Ba ath ha cambiato tutto. L aspetto peggiore è stato il controllo sull istruzione: un popolo informato, preparato e consapevole è più difficile da reprimere», spiega. La storia dei Curdi iracheni è una vicenda nella vicenda. Nel 1974 dopo anni di scontri sporadici, l Iraq concedette ai Curdi un autonomia limitata, ma poco dopo gli accordi vennero violati, la guerriglia divenne guerra e ondate di profughi curdi si riversarono in Iran. Nel 1979 dopo la morte dello shah, i Curdi fecero pressioni per l autonomia in Iran e l ayatollah Khomeini rispose ordinando al suo esercito di soffocare le rivolte curde. Il 28 febbraio 1991, al termine della guerra del Golfo, i Curdi, incoraggiati dal presidente americano George Bush, iniziarono una rivolta conto l Iraq. Saddam Hussein rispose con violenza e migliaia di Curdi fuggirono in Iran e in Turchia. Ciò ha portato circa metà della popolazione curda mondiale a vivere fuori dal Kurdistan. Con l arrivo dell Isis in Iraq, particolarmente violento nella Piana di Ninive, da dove sono fuggiti 120mila cristiani, il Kurdistan iracheno si è rivelato una enclave di stabilità all interno di quel caos di violenza che è l Iraq. «La fede che sostiene questi nostri fratelli, nonostante vivano ancora in condizioni drammatiche, coinvolge in un modo unico», racconta il direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre Italia, Alessandro Monteduro, al ritorno da un viaggio ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove vivono gli sfollati di Mosul. «Migliaia di loro vivono in container da 12 metri quadrati, con servizi igienici in comune, mentre i più fortunati hanno trovato alloggio in case in affitto che accolgono tre o quattro famiglie», dice. Eppure, per quanto relativamente tranquilla sul fronte Isis, la regione curda si trova ora ad affrontare una crisi economica non indifferente: una disputa con Baghdad 34

7 Coalizione Nazionale delle Forze Rivoluzionarie Siriane - Ogni proposta che dovesse minare questo status non è accettabile». Molti media arabi sostengono che «una federazione nel Nord della Siria sarebbe il primo passo verso lo smembramento del Paese». A Ginevra si ipotizza invece di trasformare la Siria in uno Stato federale sotto un governo centrale. «Mantenendo l integrità territoriale e continuando a considerarlo un Paese unico, ci sono molti modelli di struttura federale che garantirebbero autonomia a diverse regioni», ha dichiarato una delle fonti della Reuters. Il federalismo spaventa il mondo arabo perché rimanda a divisioni e settarismi di antica memoria: per molti gruppi d interesse è una parola che fa rima con minoranze oppresse, Stati nazione minori e gruppi in lotta per il potere. Una storia che ha riguardato da vicino Siria e Iraq: entrambi emersi dall impero ottomano un secolo fa, dopo l accordo Sykes-Picot. L Iraq è ormai uno Stato al collasso: frammentato e diviso su base confessionaleetnica, non somiglia più da tempo ad uno Stato moderno. Dopo l invasione americana del 2003 è stato del tutto smembrato, ed è diventato terreno fertile per il terrorismo. sul budget e una diminuzione dei prezzi del petrolio che hanno inferto duri colpi all economia. L istruzione risulta il settore più colpito e avrebbe bisogno di una riforma. In un bel reportage di Stefano Nanni della Onlus Un Ponte per dal Kurdistan si legge: «È venerdì sera a casa Saloo, famiglia di 15 persone sfollata da un anno e mezzo circa a Duhok da Bashiqa, cittadina a Nord di Mosul, controllata da Daesh. Mentre qualcuno si riposa in attesa della cena, nella stessa stanza c è chi studia. Non ci sono tavoli né sedie, ma divani, tappeti, materassi, una connessione internet, quaderni e penne colorate. Lana, Alyn e Fana scrivono, chiedono e ascoltano. Il nonno da una parte, youtube dall altra, da un piccolo tablet che trasmette brevi video animati in inglese. Ripassano l alfabeto, i numeri fino a 100, e imparano parole nuove, mentre il nonno si cura che anche la base di arabo non venga trascurata». Da quest anno l Unicef fornisce anche zaini e materiale scolastico, e contribuisce in parte a spese di manutenzione della scuola. Ma non garantisce gli stipendi degli insegnanti che vengono pagati sempre meno, se non affatto. I.D.B Donne al timone I Curdi di Rojva in Siria però non mollano. E ribadiscono che la loro entità non è etnica: pretendono un autonomia insistendo che non sarà escludente. Questa nuova entità politica non vuole assecondare divisioni religiose ma garantire le conquiste fatte negli ultimi anni. «Rojava è patria di una notevole rivoluzione ha scritto Rahila Gupta per il sito della Cnn - E non uso a caso la parola rivoluzione. Dai tempi delle Primavere arabe del 2011, la popolazione a maggioranza curda del Rojava, che conta tre, quattro milioni di persone, ha IN BASSO: Peshmerga del Partito Democratico del Kurdistan a Koya, cittadina a nord di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.» Dossier CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA 35

8 CURDI, RESILIENTI ALLA RICERCA DI UNA PATRIA Dossier Bulldozer all opera nel quartiere di Sur, nella città di Diyarbakir. La quasi totalità del quartiere curdo sarà espropriato e passerà sotto la gestione delle autorità turche. compiuto una trasformazione copernicana della società, volgendola in democrazia diretta, organizzata in tre cantoni di autogoverno, sul modello svizzero». Il Rojava e tutto il nascente sistema federale del Nord non è identificabile con la sola nazionalità curda: ha saputo dare vita in pochi anni ad un modello funzionante di democrazia dal basso, di cui fanno parte i Curdi siriani, ma anche arabi, turkmeni e cristiani. Inoltre non ci sono divisioni religiose: i sunniti convivono con i cristiani. «La loro capacità militare (ma anche Studentesse curde in visita a Erbil. ideologica) di resistenza alla macchina da guerra dello Stato Islamico, ne hanno fatto un imprescindibile alleato sia per l Occidente che per il fronte Mosca-Damasco», spiega Chiara Cruciati sul Manifesto. Nello statuto del sistema federale curdo si legge che «la libertà delle donne è un essenza del sistema. Le donne saranno rappresentate come eguali in tutte le sfere della vita, inclusi gli aspetti sociali e politici». La strada per arrivare a questo salto di qualità non è stata immediata: per sbarazzarsi del patriarcato e dello Stato conservatore le donne hanno compiuto notevoli processi di empowerment nella costruzione di un sistema autonomo. Chi aveva preso posto nelle file delle Ypg ha deciso di organizzarsi in modo indipendente a livello militare, prendendo il nome di Unità di Difesa delle Donne. Organizzate in brigate e battaglioni in tutte le province per difendere la popolazione. Anche le attività dei giovani sono state autonomamente organizzate sotto il nome di Movimento della Gioventù Rivoluzionaria. In campo economico nel 2013 è nata l Associazione per lo sviluppo dell economia del Kurdistan occidentale, per rompere l embargo e costruire un sistema nuovo di risoluzione dei conflitti. 36

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