ñưng băng (PISTA) Formattato: Allineato a sinistra

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1 ñưng băng, (PISTA) Formattato: Allineato a sinistra 1

2 Formattato: Centrato Formattato: Centrato Giulia Tassoni ñưng băng 2

3 Formattato: Centrato <<Sire, su cosa regnate?>> <<Su tutto>>, rispose il re con grande semplicità. <<Su tutto?>> Il re con un gesto discreto indicò il suo pianeta, gli altri pianeti e le stelle. <<Su tutto questo?>> domandò il piccolo principe. <<Su tutto questo >> rispose il re. (Cit. Antoine De Saint-Exupèry, Il Piccolo Principe) CAPITOLO 1 Edmonton - 7 dicembre

4 Il cielo si era già fatto buio, e la luce dei lampioni sul bordo dei marciapiedi illuminava i piccoli fiocchi di neve che cadevano con leggerezza sull asfalto. Erano le otto di sera, e Lerry camminava a passo lento e stanco per il centro di Edmonton. Sotto il braccio una grande busta di carta giallina, dalla quale sarebbe dipesa la sua vita dal momento in cui l avrebbe aperta in poi. Era tutto così stupido, così insensato. Perché proprio a lui, e non al suo vicino di casa? Perché proprio a lui e non al suo collega Bryan, che passava la giornata a far fotocopie pur di non compilare pratiche? Ogni giorno che passava si convinceva sempre di più che la sfortuna si fosse impossessata di lui da quando aveva conosciuto Melissa, la sua ex moglie, e che da lì non l avesse più lasciato. Dopo il loro incontro infatti tutto cominciò ad andare a rotoli: suo padre morì in un incidente stradale, mentre stava andando a comprare il pesce, a sua madre venne diagnosticata una rara forma di Alzheimer, sua sorella venne mandata in prigione accusata di un omicidio che non aveva commesso, e lui cominciò a non superare più gli esami universitari. Dopo sei anni di fidanzamento, all età di 32 anni e senza ancora una laurea in mano, si sposò e si trasferì a vivere con Melissa in un loft poco fuori dal centro di Edmonton. Quel matrimonio fu un completo disastro, forse l errore più grande della sua vita, al quale mise fine pochi mesi dopo aver scoperto che sua moglie era in cinta di due gemelli. Concludere il divorzio non fu per niente facile, poiché continuava ad essere accusato del fatto che avrebbe abbandonato una donna che aspettava due bambini, i quali sarebbero cresciuti senza un padre vicino. Ma lui non mollò. Ci volle un anno emmezzo per porre fine a quella tortura, durante il quale Lerry cominciò una nuova vita. Riprese gli studi nella facoltà di ingegneria, laureandosi a 34 anni con nove di ritardo, si trasferì in una villetta mezza diroccata nel centro città con un prezzo di affitto veramente basso e aprì un attività di produzione software che chiamò Prosoft. La sua vita, dopo il divorzio, sembrava riprendersi, tornando piena e senza problemi come prima. Ma certo questa situazione non la si poteva dire definitiva. Fu il 13 ottobre , dopo quattro anni di pace assoluta, che i problemi ritornarono. Cominciò tutto con un leggero male alla milza, arrossamento delle gengive e ogni piccolo taglio che si faceva che prendeva infezione. Piano piano però la situazione peggiorava e lo faceva stare sempre peggio. Fece la sua prima visita da un medico privato il 2 novembre, e fu qui che gli venne diagnosticata una leucemia di tipo mieloide. Gli rimanevano cinque anni di vita, scegliendo di non farsi curare. Ma col tempo i dolori aumentavano, conducendolo a sottoporsi a una seconda visita dal suo medico prima di quanto stabilito. Sono le otto di sera del 7 dicembre, nevica e Lerry sta tornando a casa a piedi con una grande busta di carta giallina sotto il braccio. La neve scricchiola sotto i suoi piedi ad ogni passo che fa. Arriva davanti a casa, infila la chiave nella toppa della porta e la apre. Appoggiò la busta sul tavolo della cucina, poi ci si sedette davanti: era il momento della verità. Rimase fermo per un minuto, fissando ciò che conteneva la risposta alle sue domande. Quanto ho da vivere ancora? Ho tempo per innamorarmi di nuovo, ridere, correre per i prati? Ho tempo per stupire qualcuno, far vedere quello che sono veramente? Ma soprattutto: ho ancora abbastanza tempo per capire cos è veramente la vita?. Appoggiò la mano sopra quel contenitore di carta sottile. Per un momento gli mancò il respiro. Non sono pronto a rinunciare a tutto questo. Non posso. La prese tra le mani, una lacrima gli percorse lentamente il viso. Un soffio di vento entrò dalla finestra aperta e corse verso di lui, passandogli tra i capelli e sollevando il lembo di apertura della busta. Lerry ci infilò dentro la mano. Esitò. In quei dieci secondi prima di estrarre il foglio con i risultati delle sue analisi gli sembrò che il tempo si fosse fermato e che il suo cuore avesse smesso di battere. Si sentì come catapultato in un mondo parallelo, dove tutto era perfetto. Niente problemi, niente sofferenze. E quando avevi vissuto veramente tutto quello che potevi vivere, provato tutto quello che potevi provare, te ne andavi. Prendevi il volo e scomparivi. Per sempre. 4

5 CAPITOLO 2 - Pronto Jeff?! - - Ciao papà! - rispose suo figlio al telefono. - Tutto bene campione? - - Certo! E tu papà? - - Bene tesoro. Tutto bene. Senti c è la mamma? Le dovrei parlare. - - Si te la passo. - Maaaaaaaaaaaaammaa!! Sentì urlare dall altro capo della cornetta. Cercò di trattenere le lacrime. - Pronto?! - - Ciao Melissa sono Lerry. - - Cosa diavolo vuoi? - - Me ne vado. Per sempre. - - Ahahahah. Bella battuta. E sentiamo dove vorresti andare conciato come sei? All ospizio dietro la nostra vecchia casa? - - Mel non sto scherzando. Me ne vado. Vado a fare quello che ho sempre desiderato, a esaudire il mio sogno. Mi rimangono 5 mesi. - - Co-Cosa?! - non si aspettava minimamente una notizia del genere. Le mancavano le parole per dire qualsiasi cosa. 5

6 - Mi dispiace ma non posso buttarli via facendo avanti indietro ogni giorno da uno stupido ufficio. Ho l aereo domani mattina alle 8. Ormai è deciso tutto quanto. - Melissa non sapeva cosa dire. Era sbigottita, senza parole, forse più di Lerry. - Ah. No, stupendo. Grazie. E scusa con chi penseresti di andare? - - Con me, la mia macchina fotografica e la mia malattia. - - Ma che bella trovata! No io non ci posso credere! E ai bambini? Hai pensato ai bambini? In questi anni non ci sei stato, mai, e quelle poche volte che c eri eri completamente assente, come in un mondo tutto tuo. Scusa io adesso cosa dovrei dirgli? Che il loro papà è partito per un viaggio di lavoro e non si sa tra quanto tempo tornerà?! - - Dì loro la verità, è l unica cosa da fare. - - Lerry ma ti sei accorto di quanti anni hanno?! - - Preferisci che ci rimangano male adesso ma che poi ti ringrazino per avergli detto subito le cose come stavano, oppure preferisci non dirgli niente ora e farti odiare tra dieci anni?! - - Mel sei ancora lì? - chiese Lerry. Sentì singhiozzare. Sospirò. - Dalla vita ho imparato che arrivano momenti in cui non bisogna più pensare agli altri, ma essere egoisti e capire cos è meglio per sé e cosa ti renderebbe veramente felice. E ora l unica cosa che mi potrebbe rendere veramente felice è coronare il mio sogno di una vita. - - La sai una cosa? disse Melissa asciugandosi le lacrime LA SAI UNA COSA?! Spero che tu muoia prima di quanto dovresti, e che questo viaggio che dici sarà tanto bello e felice sia una vera tortura! Muori! E non farti sentire mai più! - Melissa gli appese il telefono in faccia, lasciandolo completamente sbalordito. Non chiuse occhio per tutta la notte. Le parole della sua ex moglie gli continuavano a tornare in mente, così come la voce del suo bambino, che non avrebbe sentito mai più. Erano le sei di mattina. Prese le chiavi di casa, quelle della macchina, il suo bagaglio, il portafogli con dentro tutto quello che gli rimaneva e salì in auto. Ci si rivede nei ricordi, Edmonton. 6

7 CAPITOLO 3 Edmonton\Hanoi 8 dicembre 2007 Arrivò in aeroporto appena in tempo per l imbarco. Destinazione: Hanoi, capitale del Vietnam. Era da quando aveva quindici anni che desiderava farlo, e finalmente ci stava riuscendo, tutto grazie alla malattia che pensava gli avrebbe distrutto per sempre la vita. Hanoi, Phnom Penh, Hatgal, Dheli, Lima, Marrakech: erano solo alcune delle destinazioni che voleva raggiungere. Il suo scopo? La fotografia. Aveva sempre sognato di girare il mondo solo con la compagnia della sua macchina fotografica, senza un soldo, con quattro vestiti in croce, salendo senza biglietto su un treno che portava da Santiago alla città più vicina. Voleva conoscere nuove persone, nuove culture e nuove tradizioni, arrivare a vedere tutto quello che la Terra non gli aveva lasciato a portata di mano e fotografarne ogni singolo particolare sotto le prospettive più impensabili. Voleva cogliere nelle sue immagini le luci che rimanendo fermo sempre nello stesso posto non avrebbe mai potuto neanche mai immaginare, arrampicarsi sulla cima dell albero più alto del mondo e catturare con uno scatto la magnifica vista che avrebbe avuto da lì, scalare l Himalaya e aspettare anche tre giorni prima di ripartire pur di fare LA foto, quella perfetta, che avrebbe descritto la vera essenza di quel posto. Per la prima volta in tutta la sua esistenza si sentiva padrone della sua vita, il suo domatore, il suo capo. Gli sembrava tutto così dannatamente perfetto che avrebbe voluto che anche solo quel viaggio in aereo non finisse mai. Era assurdo: la sua malattia non l aveva costretto a rimanere rinchiuso nella gabbia del suo letto, ma gli aveva regalato la libertà che prima non aveva. Uno scossone lo svegliò dal suo sonno leggerissimo. Si alzò la manica della camicia e guardò l orologio, impiegandoci un po prima di riuscire a mettere a fuoco. Erano le 2 di notte del 10 dicembre, l aereo, dopo trentasei lunghe ore di volo interrotte da due caotici scali, stava atterrando. Alzò la tendina del finestrino e guardò fuori. Era tutto così diverso, tutto così assurdamente lontano da ciò che era abituato a vedere. Poche e fievoli luci provenienti dai grandi hotel e da qualche palazzo sparso qua e là illuminavano la città avvolta da una coperta di stelle. Tutto era calmo. Tutto era addormentato. Il rumore del motore dell aereo ruppe quell angosciante silenzio. Si sentiva di troppo in tutta quella tranquillità, un adulto nella stanza di un bambino. Appena data la possibilità di alzarsi, Lerry prese il suo bagaglio e uscì. La pista d atterraggio era popolata soltanto dai suoi compagni di volo, che stavano andando verso l edificio dell aeroporto. Ma mentre camminava verso l ingresso, lontano dal resto della folla, si fermò, di colpo. In quella frazione di secondo gli passò davanti tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, tutto quanto, dalla cosa più stupida a quella più seria. Per un motivo assurdo, che però neanche lui riusciva a capire quale fosse, pensò: E se Melissa avesse ragione? Se stessi sbagliando?. Una folata di vento, come un abbraccio soffocante, lo strinse a se. - Ormai sei mio. Non te ne puoi andare. Non te ne vuoi andare. Resta, ti prego. - Un sorriso quasi impercettibile gli comparve sulla bocca. Era il suo momento. Non poteva farselo scappare. Prese lo zaino che aveva appoggiato per terra e cominciò a camminare. La vita è bella, è veramente stupenda, devi solo saper aspettare il tuo turno. La stanza d albergo che aveva prenotato si trovava nel Quartiere Vecchio, vicino alla strada della seta. Questa zona della città era caratterizzata da 36 strade, col tempo divenute una cinquantina, ognuna delle quali aveva il nome di ciò che i negozi che presentava vendevano. C erano la strada dei fiori, dei mobili, del pesce, quella della verdura e così via. In un ora emmezza, a piedi, arrivò all albergo. La città era praticamente vuota, ad eccezione di alcune persone ancora sveglie nei pochi locali aperti. 7

8 La stanza era piccola e accogliente, e offriva una vista mozzafiato su quel quartiere di Hanoi. Lerry sistemò i suoi vestiti con cura nell armadio, consapevole del fatto che quella sarebbe stata la sua casa per praticamente un mese, poi andò a letto, completamente sfinito dal viaggio. Alle 9.30 a.m. della mattina la sveglia del suo cellulare cominciò a suonare. Si alzò, ancora stanco, e andò dondolando ad aprire le tende di stoffa pesante dell enorme porta-finestra. Il vento soffiò sulla nuvola che copriva il sole, facendola correre via e permettendo alla luce di intrufolarsi nella camera di Lerry. Lui si stropicciò gli occhi, si grattò la testa e andò sul terrazzino con un tavolino e una sedia bianca. Si appoggiò al cornicione con le braccia, allungando la testa per vedere cosa succedeva laggiù, nel caos della capitale Vietnamita, rimanendo a bocca aperta per quanta vita ci fosse. Clacson che strombazzavano, persone che urlavano ad altre parole incomprensibili, bambini che si rincorrevano, gatti che si arrampicavano con agilità sui rami di un albero: erano già tutti in piedi, pronti a battersi per uscire vivi dalla giornata che li aspettava. Gli sembrava impossibile che da lì a un ora emmezza anche lui avrebbe cominciato a far parte di quella folla iperattiva. Il suo incontro con Kitah, suo accompagnatore e compagno di (dis)avventure per i prossimi venti giorni, era alle a.m. davanti a Uyen Nhung, negozio di giocattoli poco prima dell inizio della via della seta. Aveva ancora abbastanza tempo per prepararsi con calma e fare colazione. All ora stabilita, preciso some un orologio svizzero, Lerry era davanti al negozio. Da lontano, facendosi largo tra la folla, stava arrivando Kitah. L aveva visto solo in foto prima di quel momento, e finalmente era arrivato il momento di conoscerlo. Dall unica telefonata che si erano fatti prima d ora gli era sembrato un tipo molto simpatico e disponibile, che sicuramente l avrebbe accompagnato nel corso delle sue settimane in Vietnam con molta allegria. - Xin chào! - esclamò Kitah. Lerry lo guardò con occhi sbarrati e bocca spalancata. - Significa ciao, in vietnamita. - gli rispose la sua guida con molta gentilezza. - Ah. Che figura. - - Non si preoccupi, presto imparerà molte più parole di quante possa immaginare. Allora, io avevo in mente di fartele visitare come prima cosa il Bat Trang, villaggio della ceramica, per poi tornare in città per visitare il Mausoleo, la Thap Rua, Ngoc Son e come ultima cosa il Tempio della Letteratura, tanto per rilassarsi un po alla fine della giornata. - - Bel programmino! - disse Lerry, forse più stupito dalla scioltezza con cui parlava Kitah in una lingua che non era la sua che da quello che avrebbe fatto in quella sua prima giornata in città. - Già! Hanoi è la città delle meraviglie, bisogna visitarla a fondo se poi si vuole dire di conoscerla veramente. Pronto per partire? - - Penso proprio di si. - 8

9 Hanoi 10 Dicembre 2007 Per arrivare a Bat Trang ci vollero mezz ora di macchina e un gran mal di stomaco, ma non si può dire che alla fine non ne valse la pena. Sceso dalla macchina, Lerry venne subito raggiunto da un gruppo di bambini sui sei anni che volevano vendergli piccoli vasetti e pentoline di ceramica, ma sotto consiglio di Kitah li allontanò senza dargli un soldo. Tutto quello che aveva in torno a lui era completamente l opposto di ciò che era abituato a vedere, ma anche la stessa identica cosa. Non c erano grattacieli alti decine e decine di piani, negozi di vestiti costosissimi o ragazzine snob che giravano con ai piedi un paio di tacchi più alti di loro, ma le persone erano esattamente le stesse. Erano tutte impegnate in un incarico diverso, chi a vendere le ceramiche, chi a esporle e chi a prepararle: l unica differenza era la forma degli occhi. Incantato ma allo stesso tempo intimorito dalla realtà che si trovava davanti, non poteva rimanere imbambolato più di tanto. Il tempo scorreva, e il giro per il paese doveva iniziare. Tutto quello che vedi qui è fatto a mano cominciò Kitah, indicando gli espositori vicino ai quali passavano Dal piatto più grande e finemente decorato alla statuetta più piccola e meno ricca di arabeschi. Come puoi notare le tonalità principali sono il blu e l azzurro, mentre la ceramica è ottenuta dall impasto di sabbia, argilla e rifiuti animali. Ma non so quanto questo ti possa interessare. Quindi Prego, guarda, scegli e compra! È sempre cultura gli rispose Lerry scherzando. Di certo non poteva andarsene da un posto del genere senza aver acquistato nemmeno una forchetta, ma scegliere tra tutti quei pezzi a dir poco spettacolari non era facile. C era di tutto. Tazze, bicchieri, piatti, statuette, vasi. Ma tra tutte quelle cose, solo una attirò veramente la sua attenzione. Era di un blu talmente intenso e sfumato che se fosse vissuto in un cartone animato molto probabilmente ci si sarebbe tuffato dentro scambiandolo per l oceano. In un angolo si era formata una piccola crepa che svelava il bianco della ceramica disegnando due simboli che lo lasciarono di pietra. J K. Jeff e Kevin, i suoi due figli. Probabilmente se non fosse stato per questo piccolo difetto, quella mattonella non l avrebbe mai comprata. Tra un negozio e l altro il tempo passò velocemente, e prima di quanto se lo aspettasse arrivò l ora del pranzo. Thuy, la cuoca del villaggio, li avrebbe ospitati a casa sua per fargli assaggiare i suoi due piatti preferiti: il bahn cuon e il lau rau. Il primo era una frittella di riso cotta a vapore con un ripieno di carne di maiale tritata e moc nhi, mentre il secondo una minestra tipica a base di verdure. Trascorrere quelle poche ore in compagnia dell anziana signora fu veramente piacevole. Nel corso della sua vita aveva fatto cose che Lerry non si sarebbe mai immaginato. - Da giovane - raccontò mentre stavano prendendo il caffè vivevo in una famiglia molto povera. Eravamo in otto figli, ed io ero la minore. Vedere i miei fratelli andarsene via, uno dopo l altro, in cerca di fortuna in altri paesi per me era veramente struggente, poiché io ero troppo piccola per affrontare un avventura come la loro. Mi sentivo come prigioniera delle pareti di casa mia. E dei miei genitori. Ma io ero uno spirito libero, non ero fatta per lavorare nei campi tutti i giorni, facendo sempre le solite cose. Così a sedici anni, poco dopo che se ne andò la mia ultima sorella rimasta, 9

10 decisi di scappare. Un giorno mi preparai una piccola valigia e al posto che andare nella coltivazione di mio nonno a lavorare presi una strada che non conoscevo. Camminai per giorni e giorni tra sterminati campi di riso, nella desolazione più totale. In certi momenti pensavo che sarei morta di colpo, che non avrei retto tutto quello stress, che avevo fatto la cosa più stupida della mia vita ad andarmene così. Poi per la strada incontrai un uomo. Era molto vecchio, sull ottantina, e lo associai subito ad una tartaruga per tutte le rughe che aveva in faccia. Camminava lento, aiutandosi con un bastone. Ogni tanto si fermava, prendeva fiato, e riprendeva a muoversi. Mi scusi chiesi, timidamente Per favore, mi saprebbe indicare dove si trova la città più vicina? Silenzio. Non mi rispose. Cominciò a fissarmi intensamente. Ero molto imbarazzata, non sapevo cosa fare, così tentai di ripetere la domanda, ma appena aprii la bocca mi interruppe. Ce l hai proprio qui davanti Mi scusi? Sei tu la tua città. Tutto quello di cui hai bisogno è già dentro di te, nel tuo cuore. Le case sono le esperienze che hai accumulato negli anni, i cittadini le persone alle quali tieni di più. Bisogna imparare a usare la fantasia nella vita, non è tutto materiale. Poi mi sorrise e se ne andò. Di certo non avevo ottenuto la risposta alla mia domanda, ma quell uomo mi aveva appena regalato il consiglio per andare avanti senza arrendermi. E il giorno dopo arrivai a Bat Trang. - Un brivido percorse la schiena di Lerry. Un soffio di vento entrò dalla finestra socchiusa e gli passò tra i capelli, catapultandolo con la mente al 7 dicembre. Era incredibile quanto quella storia fosse simile alla sua. Entrambi erano scappati dalla loro prigione, ed entrambi avevano trovato il paradiso. Non credeva in Dio, ma quella nuova conoscenza gli sembrava qualcosa di molto più grande di un semplice caso. Sarebbe rimasto in quella casa per ore e ore, ascoltando tutto quello che Thuy aveva da raccontare, ma era arrivato il momento di andarsene. Era da quando era partito che Lerry stava cercando di trovare una parola che potesse definire la sua vita fino a quel momento. Non voleva una di quelle frasi incomprensibili dette da tizi troppo scontati come Einstein o Shakespeare, ma una parola normale, una sola, che potesse raccontare quello che aveva passato. Nonostante continuasse a scervellarsi per trovare qualcosa di più originale, la parola più adatta rimaneva quella: sorprendente. Qualsiasi cosa per lui era sempre stata una sorpresa, dalla sua infanzia al suo matrimonio, dalla malattia alla stupenda possibilità di fare questo viaggio. Una voce proveniente dal sedile della macchina affianco al suo lo fece riemergere dalle parole della sua profonda piscina di pensieri. - Eccola là. È veramente.. - Lerry alzò la testa e guardò fuori dal finestrino. - Sorprendente. - disse, completando le frase di Kitah. Edificata nel XVII secolo d.c., la Thap Rua era veramente spettacolare, e la leggenda che l avvolgeva la rendeva ancora più magica. Questa diceva che nel lago Ho Hoan Kiem, dal quale è circondata la costruzione, vivessero e vivano tutt ora delle tartarughe giganti, con dimensioni che superano i due metri. Secondo il mito, chi dovesse riuscisse a vederne una, sarebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita da un immensa fortuna. Una, molti anni fa, era stata addirittura trovata senza vita su una sponda del lago, presa e sistemata in un piccolo tempio che le dedicarono, il Ngoc Son. I due scesero dalla macchina e si fermarono nel parco davanti alla Thap Rua, alla quale i visitatori non avevano accesso. Il sole tentava di farsi largo tra l ammasso di nuvole che c erano quel giorno, e un leggero venticello correva e giocava tra le foglie degli alberi, facendoli risuonare come tanti scacciapensieri. Lerry tirò fuori la sua macchina fotografica e cominciò a scattare, e mentre fotografava l infinità del lago, la vide. Scostò l occhio dal mirino, lo riportò in posizione, zoommò ancora un po. Si, l aveva trovata veramente. Ebbe giusto il tempo di catturare quella fantastica scena, poi la tartaruga si immerse in quell acqua fantasticamente limpida. Non si sarebbe mai aspettato di trovarsene una davanti. Kitah si alzò in piedi. 10

11 -Su, è ora di andare. Si sono fatte le 5 p.m., ci restano ancora da visitare il Ngoc Son, il Mausoleo e il Tempio della Letteratura, dobbiamo muoverci, prima che faccia buio! Ripresa la macchina, i due tornarono in città dopo una breve visita al tempio della Montagna di Giada (altro modo per chiamare il Ngoc Son) per andare a vedere il Mausoleo. L imponenza del palazzo era incredibile. In memoria del leader vietnamita Ho Chi Minh, era situato proprio nella piazza in cui Ho, il 2 settembre 1945, lesse la dichiarazione d indipendenza che rese libero il suo paese. La struttura, completamente di granito nero, grigio e rosso, era alta più di due metri ed era stata costruita prendendo spunto dal Mausoleo dedicato a Lenin a Mosca. Tutt intorno cerano sette giardini, caratterizzati dalla particolarità di presentare più di 200 specie diverse di piante. Passando davanti al corpo imbalsamato del leader, Kitah raccontò a Lerry che inizialmente l imperatore aveva scritto nel suo testamento di farsi cremare. Fu il suo successore però a stabilire che imbalsamare il defunto sarebbe stata un idea migliore. Ecco così che si crea un luogo in cui sistemarlo e in cui tutti i cittadini lo potessero rivedere e ricordare: il Mausoleo. Terminato il giro in quell edificio così insolito e particolare presero la strada diretta all ultimo posto in cui dovevano andare, distante da dov erano una ventina di minuti a piedi. Di un acceso azzurro pastello, come nel disegno di un bambino, il Tempio della Letteratura spiccava in mezzo al grande parco che lo circondava. Erano incredibili la pace e la tranquillità che si impossessavano di te entrando in quel paradisiaco posto. Bastava prendere un libro scritto in una qualsiasi lingua e sedersi per essere catapultati in un altra dimensione. Uccellini che cantavano, il rumore del vento tra le foglie e il suono delle menti delle persone che facevano lavorare la fantasia. Lerry sarebbe rimasto li per il resto della sua esistenza. Attento a non far rumore per evitare di disturbare gli altri, si avvicinò allo scaffale dei libri in inglese e cominciò a leggere qualche titolo finché non trovò quello che più lo attirava. Ne aveva sentito molto parlare, ma non sapeva nemmeno lui per quale motivo non avesse mai deciso di leggerlo. Il suo nome era Ivanhoe. Trovò una poltrona libera sotto una finestra, si sedette e guardò ancora una volta il romanzo che aveva tra le mani, sempre più incuriosito da che storia potesse raccontare. In quel bel distretto della lieta Inghilterra che è bagnato dal Don cominciò a leggere Si estendeva negli antichi tempi una vasta foresta che copriva la maggior parte delle amene colline e vallate tra Sheffield e la bella città di Doncaster.. 11

12 Hanoi 11 Dicembre 2007 La mattina dopo si svegliò verso le otto, anche se la sveglia era impostata per le dieci. Non aveva passato una nottata tranquilla, continuando a girarsi e rigirarsi nel letto per tutto il tempo, svegliandosi a intervalli di mezz ora. Andò in bagno e si guardò allo specchio. Quasi non si riconosceva. Era bastata una giornata un po più piena del solito perché sembrasse invecchiato di due anni. C era qualcosa che non andava nel suo volto. Era come più stanco, quasi patito. Continuava a chiedersi se avrebbe retto per tutto il viaggio, che doveva durare ancora tre mesi, poiché voleva chiudere la sua vita con il ricordo di esser riuscito a fare la cosa per cui era nato. E nonostante quello che gli aveva detto Melissa al telefono l ultima volta che si erano sentiti gli continuasse a tornare in testa, non riusciva a pentirsi di aver intrapreso quell avventura. Avendo più di due ore prima dell incontro con Kitah, decise di sistemarsi il meglio possibile, almeno da tornare a sembrare la persona che era stata fino al giorno precedente. Dopo una doccia bollente, prima di rivestirsi del tutto, si cosparse il corpo di tutte le creme possibili che l albergo gli aveva dato in dotazione con la camera. Poi si fece la barba (seppur fosse ancora corta), indossò abiti comodi ma che avevano comunque una certa classe, si pettinò e uscì, quando ancora mancava mezz ora all incontro, così da avere tempo per fare la strada con calma e scattare qualche foto. La hall era tranquilla, ancora addormentata, per essendo già le dieci emmezza del mattino. Uscito dall ascensore percorse con pochi passi lo spazio che lo separava dal portone d ingresso dell hotel, pronto a tuffarsi in quello sciame di api impazzite. Gente che urlava, gente che correva, nessuno che se la prendeva con calma: la scena era esattamente quella della mattina prima. Avvicinò una mano alla maniglia. Tre. Due. Uno... Aprì la porta, varcando con un piede la linea di confine che separava la pace dallo scempio. Via Camminava, a passo lento ma deciso, con l andatura di una persona che sa benissimo dove deve andare, sicuro di sé. Talvolta si fermava per catturare con un click il momento in cui una signora comprava dei fiori, quello in cui una ragazza leggeva un libro seduta per terra, probabilmente in attesa di qualcuno, o ancora quello in cui due bambini giocavano a chi arriva primo. Alla fine tutto quel caos non gli dispiaceva, stava imparando a coglierne i lati positivi, come in fondo bisognerebbe fare per tutte le cose, anche se spesso non si ha la pazienza di provarci. Mentre era assorto nei suoi pensieri, cercando di indovinare per cosa stessero litigando i due uomini dall altra parte del marciapiede, sentì una fitta incredibile al braccio. Ma cosa diavolo?! una scia di sangue cominciò a macchiargli la camicia. Hey! urlò all uomo, ormai troppo lontano da lui Hey! Avevo la camicia pulita! Hey! si guardò la ferita che gli aveva fatto, poco sopra il polso Dannazione. Dah, e come faccio adesso? Si tolse lo zaino e lo aprì, alla ricerca di cerotti abbastanza grandi o di qualsiasi altra cosa si potesse rivelare utile per riparare il danno. Tra tutte le cianfrusaglie che c erano lì dentro riuscì a trovare delle garze ed una benda, ancora meglio di quello che si aspettava. Ma proprio mentre si stava tirando su la manica della camicia, pronto a effettuare una medicazione di massima precisione, qualcuno gli colpì l altro braccio, facendogli cadere a terra quello che aveva in mano. Girò la testa, scorgendo tra le migliaia di persone intorno a lui un altro uomo che scappava da qualcosa, o forse, più probabilmente, che rincorreva qualcuno. Dannazione! Ma cos avete oggi tutti quanti?! Si fermò un attimo per prendere un 12

13 respiro Queste persone dovrebbero bere meno caffè di prima mattina disse fra sé e sé. Guardò l orologio. Cinque minuti e sarebbero state le undici, l ora x, in cui avrebbe cominciato a esplorare le stranezze del Vietnam. Come se fino ad adesso non gli fosse già sembrato abbastanza strano. Si chinò per raccogliere la benda e le garze, tenendosi la ferita con una mano anche se ormai non sanguinava più così tanto. Guardandola bene non era così grave. Si rialzò, perplesso. Perfetto, ci mancava solo che tutto quello che avevo per medicarmi si polverizzasse di colpo disse, ad alta voce, non rendendosi conto di star parlando da solo. - Cercavi questi? gli chiese una tranquilla voce femminile, diversa da quelle di tutti gli altri che c erano per le strade. Si voltò. Non l aveva mai vista prima, ovvio, ma già soltanto i suoi occhi avevano mosso qualcosa in lui, provocandogli una stupenda sensazione che non provava ormai da troppo tempo. Non sei di qui, vero? - Gli chiese lei, gentilmente. - N-no, esatto. Vengo da Edmonton, Canada. Lei gli sorrise. Piacere, Tyma - Lerry ricambiò il sorriso Parli inglese? - Mio padre è di qui, ma mia madre è londinese. Quindi si, parlo anche inglese Disse scherzando Lerry lanciò un occhiata all orologio. Era in ritardo di cinque minuti. - Scusami, sono in ritardo all appuntamento con la mia guida, non so cos abbia in programma di farmi visitare oggi, e non vorrei fargli una cattiva impressione, ci conosciamo solo da due giorni. Sai, è una persona veramente molto gentile e disponibile e non vorrei fargli perdere tempo - Mi sembra giusto. Bhè, allora.. disse con un tono quasi deluso Ci si vede in giro - Aspetta! La fermò Lerry, prima che scomparisse Potremmo vederci stasera per la cena, se ti va. Ovviamente è solo un idea, se hai altro da fare non preoccuparti. - - Sarebbe perfetto Fu come preso da un senso di vittoria - Tieni le allungò il suo biglietto da visita Se ti va bene chiamami tu, quando vuoi, o mandami un messaggio Tyma gli sorrise di nuovo, e poi sparì, mangiata dalla folla. Il passaggio di un motorino risvegliò Lerry, completamente immobile sul bordo del marciapiede mentre migliaia di persone continuavano a camminare frettolosamente, dal suo stato di trance. Guardò per l ennesima volta l orologio. Le a.m. Ottimo, si era appena guadagnato il titolo di ritardatario tanto temuto. Si mise in spalla lo zaino ancora aperto, ci infilò garze e benda e cominciò a correre verso il punto d incontro. - Kitah! Urlò all amico appena lo vide, in lontananza Scusami per il ritardo, ma ci sono stati degli inconvenienti - - Non preoccuparti Gli rispose in tono amichevole Dopotutto venti minuti sono sempre meno di un ora. Piuttosto, cosa ti è successo al braccio? - Ah, niente di che, un uomo che scappava da un altro mi ha preso col coltello, ma non è grave, solo una ferita superficiale. - Non ti preoccupare, ci penso io - Kitah lo aiutò a medicarsi, e poi via!, partirono, pronti per un altra avventura. Due ore di volo e sarebbero arrivati. Meta: Phu Quoc, l isola più bella del Vietnam. Tanto contesa tra Vietnam e Cambogia, poiché nonostante si trovi in territorio cambogiano è sotto il potere dei Vietnamiti, è caratterizzata dalla produzione del nuoc mam, la salsa di pesce fermentato che dà sapore (e odore) al Vietnam. L atterraggio era previsto per i successivi venti minuti, e seppur mancasse veramente poco, Lerry non stava più nella pelle di scendere da quell aereo. Dal finestrino cominciò a intravedere qualcosa. Una lacrima caduta in mezzo al mare dopo essere scivolata sulla guancia di un gigante che guardava la Terra dal cielo, triste di non poter essere lì anche lui. Uno scossone. Poi un altro. Piano piano il velivolo cominciò a fermarsi. Via le cinture e poi giù dagli scalini in tutta fretta. Il cuore che batteva a mille. La macchina fotografica stretta tra le mani. 13

14 In lontananza una sottospecie di suv traballante si stava avvicinando a lui e Kitah, pronto a portarli verso la spiaggia in cui avrebbero passato la maggior parte della loro giornata. Il tragitto fu piuttosto breve, ma essenziale a Lerry per placare la sua eccessiva agitazione. In fondo però era giusto averne almeno un po : sarebbe mai tornato in un posto del genere? Con i finestrini aperti, quel venticello leggero che trasportava la salsedine gli sfiorava delicatamente la faccia. Eccolo, il profumo del paradiso. Pochi minuti e raggiunsero quella distesa di sabbia dorata bagnata da un mare di tempera blu. Il sole, debole in quel cielo invernale, accarezzava dolcemente tutto quello che riusciva a raggiungere, regalando agli occhi dei due compagni di viaggio e all obbiettivo della reflex di Lerry uno spettacolo di luci e sfumature mozzafiato. Stesero due asciugamano per terra e tirarono fuori il pranzo al sacco che Kitah aveva preparato prima di lasciare Hanoi. Finito il pranzo, passato chiacchierando e ammirando la stupenda scena che la natura gli aveva offerto, i due si sdraiarono, in presagio di una giornata di relax. Aprì un occhio, poi l altro. Si sedette e prese una boccata d aria. Kitah stava ancora riposando e non voleva svegliarlo, così decise di tirare fuori carta e penna dallo zaino e gli lasciò un bigliettino Sono a scattare qualche foto, questo posto è troppo bello per non poter essere raccontato. Lerry I granelli di sabbia non avevano il tempo di saltargli sui piedi che un ondata di acqua gelida li portava via con se. Prima di partire Kitah gli aveva detto Mi stai simpatico, quindi oggi ho deciso di portarti in paradiso. All inizio lui aveva riso, gli sembrava quasi una frase stupida, detta da una persona innamorata del suo paese, ma non aveva ancora visto niente. È incredibile.. pensò..è incredibile come la gente, e io per primo, riesca a pensare di sapere già tutto su una cosa senza averla mai incontrata prima. Per un momento sperò di essere già morto, perché non era sicuro che il paradiso fosse come quel posto, e soprattutto non era sicuro che ci sarebbe andato, ma quel luogo gli sembrava semplicemente perfetto per passare il resto della sua vita non terrena. In realtà non aveva mai creduto nell esistenza di una vita dopo la morte, in un posto in cui andare, aveva sempre avuto pensieri più scientifici e razionali riguardo all argomento, ma probabilmente la situazione in cui si trovava lo portava a cambiare i suoi irremovibili pensieri elaborati già da tanto tempo e che pensava non sarebbero mai mutati. Camminando assorto nei suoi pensieri, cercando di scovare i particolari più strani di quello stupendo scenario da fotografare, inciampò in qualcosa che lo fece ritornare sulla Terra. - Oh, mi scusi, non volevo. Le ho fatto male? chiese all anziano signore seduto sulla sabbia Dannazione aggiunse probabilmente lei non parla neanche inglese Non si preoccupi, tutto a posto rispose l uomo, non permettendogli di aggiungere niente Da dove vieni, ragazzo? - Edmonton, Canada. Sono qui per.. Perché avevo voglia di una vacanza, dopotutto per me è Natale - Che piacere, un Canadese! Io sono John, abitavo dalle parti di Boston, prima di venire qui - Lerry, piacere mio - Ci fu un momento di silenzio. Il mare reso brillante dal sole aveva catturato l attenzione di John - Così lei è venuto fin qua da Boston.. continuò Lerry, non sapendo se avesse dovuto andarsene o rimanere lì a parlare ancora - Già, 46 anni fa. Strana decisione da prendere, quella della guerra. - Guerra? chiese Lerry d impulso, spiazzato da quell affermazione \1975, Guerra del Vietnam, tanti morti per niente Lo guardò con faccia sconvolta, senza sapere assolutamente cose dire. John gli sorrise, e andò avanti a parlare. - Entrare nell esercito è sempre stato il mio sogno, fin da piccolo. Volevo diventare un eroe, qualcuno che avrebbe lottato la sua patria e sarebbe stato ricordato per tutto il corso della storia a venire. È proprio bello essere bambini. Puoi immaginare ciò che vuoi, senza sapere che in realtà tutto quello che succede al di fuori del tuo mondo è troppo ingiusto e crudele. Avevo appena compiuto 22 anni, quando ricevetti la telefonata. Mia madre era eccitatissima, forse più di me. Mio figlio partirà per la guerra! continuava a gridare. Mio figlio sarà il nostro salvatore!. Ma nessuno dei due sapeva cosa può voler dire combattere una battaglia del genere - Prese una boccata d aria, poi continuò. 14

15 - Il 30 marzo 1962 salii a bordo della nave che mi avrebbe portato ad Ho Chi Minh City insieme a trecento altri soldati. Fu un viaggio lunghissimo, il tempo non passava mai, ma almeno mi ero fatto un amico, una amico sincero, se solo fossi riuscito a salvarlo.. Toccata la costa tutti quei giorni passati in mare si cancellarono dalla mia mente in una frazione di secondo: ero in Vietnam, ero arrivato sano e salvo, e l obbiettivo era quello di tornare a casa tale. Il primo giorno morirono settantatre delle persone venute con me, eravamo talmente inesperti. Giorno dopo giorno imparai a nascondermi come si doveva, a correre appena si sentiva anche solo la puzza del pericolo e, soprattutto, per cosa stavo lottando. Da piccolo volevo diventare un eroe per tutto il Mondo, adesso volevo diventarlo almeno per me stesso. Ma non riuscii a fare nemmeno quello. Il tempo passava, ogni secondo era uguale all altro, non cambiava mai niente, il ritmo della mia vita era sempre lo stesso. Tra la paura e la monotonia passò un anno, e poi finalmente la mia vita quaggiù cominciò a cambiare. Il governo di Diem, presidente del Vietnam del Sud, stava cadendo in rovina: la struttura amministrativa si indeboliva, mentre corruzione e autoritarismo stavano cominciando a prendere il potere. Per non parlare di tutte le rivolte da parte dei monaci buddisti verso la minoranza cattolica, favorita dal presidente. In quel periodo in America regnava Kennedy che, a capo dell organizzazione militare americana, prese la decisione di riformare il governo del Vietnam del Sud. Ma Diem stava diventando un ostacolo, era troppo inetto e ostinato, e questo di certo non aiutava a sistemare la situazione. Così la cosa da fare diventò solo una: toglierlo di mezzo. - Lerry ascoltava, più attento che mai. - Il 6 ottobre fui convocato al cospetto dei più importanti capi americani presenti in Vietnam insieme a James, il mio unico amico, e ci venne richiesto, o più che altro ordinato, di entrare a far parte dell operazione che avrebbe portato il nostro paese a compiere un enorme colpo di stato. Eravamo stati scelti perché a quanto pare eravamo i due soldati più qualificati, ma continuo a pensare che fossimo troppo giovani per fare una cosa del genere. Ogni giorno davamo il massimo di noi per far vedere che eravamo pronti per il fatidico 1 novembre, ma forse James aveva preso la cosa con una preoccupazione esagerata. Non faceva che pensare a quello, ogni cosa che faceva, ogni suo singolo pensiero era rivolto a quella dannata operazione. E giusto prendere l incarico sul serio gli ripetevo ma devi pensare anche a cercare di uscire vivo da questo scempio. Niente, non mi dava ascolto. Quanto era testardo, convinto di quello che faceva.. 29 novembre 1962, tutti i suoi sogni svanirono nel nulla insieme a lui, polverizzati da una bomba sganciata dagli aerei del Vietnam del Nord. Ogni volta che ci ripenso non riesco a capire perché io sia sopravvissuto e lui no. Avevo il corpo completamente ustionato, ma le forze per muovermi, dannazione, le forze per muovermi le avevo ancora! L esplosione l aveva lanciato a qualche metro da me. Era lì. La faccia che gli si contraeva dal dolore. Io tentai di strisciare per raggiungerlo, per cercare di salvarlo, o almeno per tenergli la mano mentre la sua anima scappava da tutto quello schifo, ma non riuscivo neanche a gridare aiuto. Mi aggrappai a ogni sasso che trovavo per tirarmi verso di lui. Le ustioni che mi uccidevano a ogni movimento. Mancava così poco, ma non riuscì ad aspettarmi. Salvati e scappa, fallo, se puoi. Io ti aspetterò lassù, tanto.. tanto non credo che avrò niente di meglio da fare. Furono le sue ultime parole. Chiuse gli occhi, abbozzandomi un sorriso con le labbra. Ero conciato troppo male per piangere, ma in quel momento mi si spezzò il cuore. Dopo poche ore mi trovarono e mi portarono allo stabilimento dell ospedale, ci rimasi per tre settimane, senza partecipare al colpo di stato. Appena ne ebbi la possibilità ripresi a lottare, ma a quel punto il mio obbiettivo era diverso: non volevo diventare soltanto un eroe per me stesso, ma volevo anche rivendicare tutto il male che avevano fatto all unica persona che poteva contare qualcosa nella mia vita. Mi avevano tolto un polmone, e io li avrei tolti entrambi a loro. Nel giro di due anni diventai generale, a quanto pareva tutti i miei sforzi non erano vani, e cercai di sfruttare al meglio il mio piccolo esercito. All inizio non andava così male: nonostante la situazione fosse veramente tragica riuscivo a orientarmi in quella foresta di lupi mannari, ma poi le cose cambiarono. Durante una spedizione mi danneggiai gravemente una gamba, e orientarsi diventò più difficile. Ero bravo, ma di certo non ero Dio. Marzo 1972, erano passati esattamente dieci anni, e non riuscivo più a reggere tutta quella pressione. Tornare in America era decisamente impossibile, ma scappare in un posto sicuro no. Durante una notte di tregua presi le mie poche cose e cominciai a camminare. Non sapevo dove stavo andando, ma sapevo che quando sarei arrivato sarebbe stato tutto migliore. Passarono due mesi di cammino ininterrotto, trascorsi cercando di non farmi vedere da nessun militare e non farmi uccidere da bome sganciate all improvviso, e finalmente giunsi alla costa del Vietnam che dà sul 15

16 golfo del Siam. Mettere piede in Cambogia sarebbe stato troppo pericoloso, quindi l unica soluzione era cominciare un viaggio in mare. Non avevo la minima idea di cosa mi serbasse il destino, ma il fatto che avessi trovato una piccola barchetta abbandonata sulla riva era di certo un segno. Così mi lanciai in mare con le poche provviste che mi ritrovavo, alla ricerca del paradiso, e dopo un altro mese di viaggio arrivai qui, nel vero paradiso. - Lerry continuava a fissarlo, pietrificato dalla storia che aveva appena sentito. - Non posso credere che le persone siano davvero responsabili di tanto male gli disse. - All inizio non lo credevo neanche io - Kitah si risvegliò con calma, più riposato che mai. Si guardò in torno, non trovando Lerry, ma poi notò il bigliettino. - Chissà che ore sono si chiese ad alta voce. Trovato l orologio e guardata l ora, strabuzzò gli occhi. - Già le 5.30?! Alzò gli occhi al cielo, divertito da quanto fosse svampito il suo compagni di viaggio. Così, alzandosi con fatica, cominciò a camminare sul perimetro della spiaggia in sua ricerca. Lo trovò dopo qualche minuto seduto sulla sabbia, chiacchierando con un anziano signore che da lontano non riusciva a riconoscere - Vedo che hai conosciuto John! gli disse, appena gli fu vicino - Già! Che vita che ha passato - Meglio così che in poltrona tutto il giorno! commentò l ex generale, scherzando Kitah aveva conosciuto John dopo aver cominciato a frequentare l isola per lavoro. Era un po il simbolo di Phu Quoc, il saggio dell isola. I tre si scambiarono quattro parole, fin quando Lerry e Kitah non furono costretti a doversene andare per non perdere l aereo di ritorno ad Hanoi. Erano le 8.30 di sera, e il sole stava mandando a dormire i suoi raggi nei letti delle case della capitale Vietnamita. Lerry era in bagno da 30 minuti, praticamente da tutto il tempo in cui era ritornato all hotel, cercando di attribuirsi il look migliore che poteva. Già la scelta della camicia era stata molto combattuta, e ora quel dannato ciuffetto che si ritrovava in testa non voleva proprio mettersi a posto. Alle nove meno dieci, in orario perfetto e con una (ac)conciatura perfetta, uscì dall albergo, in direzione del suo appuntamento con Tyma. Camminava velocissimo, e per colpa del cuore che gli batteva a mille ogni tanto faceva qualche salto per farsi passare la tensione. Potrei sembrare pazzo pensò, accorgendosi di come lo guardavano le altre persone sono pazzo. Nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi da quella serata, se qualcosa di sconvolgente o una noia pazzesca, e forse era per quello che era agitato. Alle nove in punto si trovava davanti a Uyen Nhung, il negozio di giocattoli della via della seta nel Quartiere Vecchio. Con la vista si faceva largo tra la folla alla ricerca di Tyma, ma senza buoni risultati. Per un quarto d ora nuotò con gli occhi in quel mare di persone, fino a che non cominciò a pensare che si fosse dimenticata del loro appuntamento. Certo, è ovvio, avrà di meglio da fare si diceva fra sé e sé, ma non osante tutto non riusciva ad andarsene. Preferiva rimanere lì, con la speranza di vederla arrivare anche tra due ore, che tornare in albergo e svegliarsi la mattina dopo con il ricordo di una serata passata ad ubriacarsi in compagnia di sé stesso. Si sedette per terra, con la schiena appoggiata al muro di una casa, e cominciò ad aspettare. Ogni tanto lanciava un occhiata allo schermo del telefonino, pregando nell arrivo di un messaggio, ma niente, silenzio, non si faceva sentire. Diventarono le nove emmezza, poi le dieci meno un quarto, le dieci, le dieci emmezza, fino a che, in un momento come tutti gli altri, non la vide arrivare. Era bellissima, con un tubino rosso e una giacca bianca, i capelli sciolti che venivano spettinati dal vento. - Mi hai aspettata! disse Tyma, con gli occhi illuminati. - Già esclamò Lerry, con un sorriso sul volto che avrebbe benissimo potuto illuminare tutti gli angoli di Hanoi Ma sento che ne è valsa la pena - Mi sono dimenticata il cellulare a casa e le strade erano tutte bloccate, davvero non so come farmi perdonare 16

17 - Non ti preoccupare, capita a tutti. Allora, ormai è troppo tardi per andare al ristorante, hai qualche idea? Ci pensò un attimo. Seguimi! Lo prese per mano e cominciarono a correre verso uno dei tanti taxi liberi al bordo del marciapiede, salirono in tutta fretta e Tyma disse al conduttore con parole impossibili il luogo da raggiungere. Le stelle scintillavano in cielo, libere di mostrare tutta la luce che avevano senza essere disturbate dai lampioni delle strade. La sabbia era fredda, la luna si specchiava nel mare chiedendogli Chi è la più bella del reame?, il rumore delle onde cullava Tyma e Lerry, assorti nei loro discorsi. Tra il viaggio in taxi e quelle ore passate lì, sulle spiagge di Do Son, sapevano già tutto l uno dell altra. Era tutto scritto. Quel loro incontro, quella loro serata. Era già stato tutto scritto da qualcuno. Qualcuno di soprannaturale, di magico, di pazzo, e anche un po cattivo. Non erano stati loro a creare quella situazione, era successo e basta. Entrambi avevano cercato il vero amore per lungo tempo, ma non ci erano mai riusciti, forse perché non era ancora arrivato il loro momento, perché non erano ancora pronti. - Chi è l artefice del nostro destino? chiese Tyma, dopo un momento di silenzio - Potremmo essere noi, così come potrebbe esserlo qualcun altro. Dipende da quanto sei bravo a raccontare - Mmm.. Spiegati meglio- - Ho sempre pensato che la vita di ognuno di noi in realtà sia un romanzo molto lungo. È come se non nascessimo dalla pancia di nostra madre, ma dalla mente di uno scrittore, e nel momento in cui cominciamo a esistere dentro la sua testa, cominciamo a vivere. All inizio siamo soli, sperduti tra le pagine bianche del nostro libro, ma poi cominciamo a conoscere cose, a conoscere persone, e iniziamo a condividere la nostra storia con qualcun altro. - Quindi, secondo te, noi adesso stiamo condividendo lo stesso libro? - Esattamente - E chi è lo scrittore? - Sinceramente non lo so, so solo che adesso ha abbandonato carta e penna sulla scrivania perché era troppo stanco, voleva andare a letto, e ha lasciato a noi il compito di finire di scrivere il capitolo Si guardarono negli occhi. Le stelle fissavano solo loro, un leggero venticello li cinse nel suo abbraccio. Ora non posso più raccontare, erano diventati loro gli artefici del loro destino. Lerry diede un occhiata alla luna. Mi dispiace, ma non sei tu la più bella 17

18 CAPITOLO 4 Hanoi\Junin 4 Gennaio 2008 Il mese in Vietnam volò via in fretta come un aquilone in una giornata eccessivamente ventosa. Kitah all inizio del viaggio gli aveva detto Hanoi è la città delle meraviglie, e lui aveva subito pensato Abbastanza presuntuosa come frase, ma ora avrebbe cancellato volentieri quella frase che gli aveva percorso la testa. Tutto il Vietnam era il luogo delle meraviglie, non solo Hanoi. Lasciare il paese per intraprendere la sua prossima avventura non era stato facile, ma alla fine avrebbe vissuto qualcos altro di ugualmente sorprendente, quindi ne valeva la pena. E poi, comunque, con lui c era Tyma, oltre a tutti i ricordi di quel mese che aveva rinchiuso sotto chiave nel suo cuore. Il volo fu abbastanza tranquillo, sicuramente molto più del precedente, con atterraggio a Lima previsto per le 10 p.m. del 4 gennaio. Da lì Tyma e Lerry avrebbero incontrato il loro accompagnatore, il quale li avrebbe portati fino all albergo che avevano prenotato nella città di Junin. Appena l aereo toccò terra tutti i passeggeri si alzarono caoticamente, correndo verso le porte d uscita come se fossero in ritardo ad un appuntamento molto importante con il presidente degli Stati Uniti. Lerry era seduto accanto al finestrino, e rimase al suo posto finché non furono scesi quasi tutti. L unica cosa che riusciva a vedere allungando gli occhi era un infinita distesa di asfalto. Tutto grigio. Per chilometri e chilometri. Un mare di asfalto in cui nuotava il niente. In cui nuotava la morte di ciò che c era stato prima che l uomo creasse quella pista d atterraggio. Tutto quello che poteva riguardare anche solo lontanamente la morte lo ossessionava. La paura di svegliarsi la mattina e ritrovarsi nella desolazione, nell oscurità più totale lo ossessionava, come una spina in un fianco. O forse era più la paura di non svegliarsi mai più. Cosa c era dopo la morte? O meglio: c era veramente qualcosa? Non sapeva neanche lui in cosa credere, in cosa sperare. Non riusciva a capire se la vita gli avesse fatto un dono con quella malattia, permettendogli così di intraprendere quel viaggio, o se avesse rovinato tutto. Ma alla fine l unica cosa da fare era accettare la situazione in cui si trovava e andare avanti, non la poteva cambiare. Aveva fatto la sua scelta, aveva deciso di non farsi curare, e ora doveva assumerne le conseguenze. Si girò, cercando di cacciare quell orribile chiodo fisso che si ritrovava. Tyma si era già messa la giacca. Si alzò anche lui, con calma, prese il suo bagaglio a mano e si incamminarono verso l uscita, verso quella pace immensa che li attendeva là fuori. Un omino piuttosto basso e di certo non magro gli si avvicinò - Tu Lerry, giusto? chiese in un inglese tentennante - Esattamente. Ah e lei è Tyma, la mia nuova compagna di viaggio - Veramente felice di conoscervi. Io sono Jose, e come già sapete vi accompagnerò in giro per Perù durante vostra permanenza. Allora, ora vi portare in hotel, dove potrete mangiare qualcosa e riposare in vista della giornata di domani, che, vi avviso, sarà molto interessante ma veramente impegnativa. Tyma sorrise, impaziente che arrivasse il giorno successivo. Ma solo poche ore e la maratona sarebbe partita. 18

19 I tre si diressero verso una macchina che non rientrava assolutamente nelle aspettative dei due viaggiatori: piccolina e di un verdino scrostato, era più alta da una parte e più bassa dall altra a causa delle ruote praticamente sgonfie e il cofano, rotto per chissà quale incidente, se ne stava un po alzato al posto che essere completamente chiuso. Saliti su quella specie di giocattolino per bambini cominciarono a percorrere la strada tremolante (quanto la macchina) che li avrebbe portati alla cittadina di Junin. Già di notte, in un intreccio di ombre, il paese era fantastico. Tutti dormivano, e Lerry aveva quasi paura che il rumore di quella macchina completamente distrutta svegliasse qualcuno. L albergo si trovava un po fuori, ai piedi delle montagne che circondavano il lago Junin, primo posto che avrebbero visitato l indomani. Arrivati, Jose li accompagnò fino all entrata principale, dove si salutarono dandosi appuntamento nella hall del La Pasada del Parque per le 10 a.m. della mattina seguente. Junin 5 Gennaio 2008 Come stabilito, alle 10 a.m. del 5 gennaio Lerry, Tyma e Jose erano tutti nella hall dell albergo con zaini e provviste, pronti per cominciare la loro camminata. Il programma prevedeva di percorrere tutta la strada dall hotel fino al lago Junin in tre ore con un unica sosta: il pranzo. Certo, faceva abbastanza freddo, ma la fantastica vista che offriva quel paesaggio distoglieva il pensiero da qualsiasi altro problema. Lerry cercava di intrappolare con uno scatto tutte le scene più belle che riusciva a cogliere: dal semplice ma mozzafiato panorama alla caduta di una goccia d acqua sulla testa di un uccello. La caratteristica principale di quella zona infatti era quella di presentare oltre 250 tipi di volatili, dei quali più di cento si ritrovano sulla così detta lista rossa. Tecnicamente il posto dovrebbe essere protetto dal parco naturale Parque Nacional Yanachaga- Chemillen, ma apparentemente questo non è in grado di fare gran ché. Oltretutto venne costruita, nel 1929, una diga sull Upamayo, che però a causa di continui cedimenti stava diventando insostenibile. Un inondazione dopo l altra distruggeva i campi coltivati dai pochi abitanti di questa zona, oltre a rovinare flora e fauna. 19

20 - Guardate disse Jose, interrompendo il cinguettio degli uccelli - Non è fantastico? Eccolo là, il lago Junin, azzurro come l indaco. Se avesse avuto una lista delle cose da fare prima di arrivare al Capolinea, di sicuro in quel momento avrebbe potuto cancellare la voce Vedere qualcosa di maestoso 1. Gli sembrava di essere appena entrato nel quadro dai colori sgargianti di un pittore famoso, in una foto ritoccata mille volte con Photoshop prima di essere resa perfetta. Ogni giorno che passava si stupiva sempre di più di cosa si stesse perdendo la gente che rimaneva chiusa in casa a guardare la tv perché non aveva voglia di uscire nonostante non avesse niente da fare. Mentre Lerry scattava qualche foto dalle prospettive più impensabili, Tyma e Jose montavano le tre piccole tende in cui avrebbero passato la notte. No, non erano impazziti e volevano passare una notte al gelo, semplicemente erano lì per guardare il più bel film mai uscito in tutte le sale del Perù: il tramonto e l alba sul lago. Il pomeriggio passò piuttosto velocemente tra le meraviglie che nascondeva quella zona. Poco dopo il loro arrivo infatti scalarono uno dei monti che c erano lì intorno, dal quale si poteva avere una bellissima vista panoramica del lago Junin. Il percorso non fu così complicato come era apparso, anzi, sotto un certo punto di vista fu anche divertente e sicuramente molto interessante. Di tanto in tanto, durante la scarpinata, si fermavano, così che Jose potesse spiegar loro a cosa serviva una pianta piuttosto che un altra. C erano precisamente specie di piante, delle quali la più diffusa tra il popolo di Junin era la maca, piccolo tubero giallastro considerato molto prezioso per i carboidrati che offre. Dalla cima del monte si vedeva tutto in un modo diverso. Non solo le cose materiali, ma la vita in generale. Era riuscito ad arrivare fino a lì, lottando contro la malattia che si ritrovava. Finalmente si sentiva il domatore, non più il domato. Le cose, viste da quell altezza, non sembravano più piccole, ma semplicemente più raggiungibili, più a portata di mano. Prendere in mano il lago sarebbe stato come raccogliere una pietra da terra. - È tutto tuo disse Tyma, avvicinandosi all orecchio di Lerry. - Il mio regno, il mio impero - Le terre che hai conquistato con una lunga e ardua lotta La vista era spettacolare. Il sole stava cominciando a calare, e sarebbero dovuti scendere prima che si tuffasse nel Junin. Sul ramo di un albero davanti a loro, un piccolo uccellino li spiava con la coda dell occhio. - Lo vedi quello? È un Bubulcus Ibis, uno dei volatili più popolari da queste parti - Disse Lerry. Quello girò la sua testolina bianca verso di loro, come se si fosse sentito davvero chiamare in causa, mostrando la piccola cresta rosso-arancione. - Ogni tanto non ti verrebbe voglia di essere uno di loro? Di spiccare il volo e arrivare dove ti porta il vento? - - Si può arrivare in posti lontani anche senza avere le ali rispose Tyma, pacatamente. - Mah, non ne sarei così sicuro - Tu l hai fatto L iris cominciò a scuotersi, saltellando da una parte all altra del ramo. E proprio mentre stava per spiccare il volo verso chissà quale luogo nascosto della Terra rivelò una piccola piuma blu sulla crestina che risaltava tra tutte le altre di colori caldi. Forse quella penna era nata per errore, ma lo rendeva ancora più attraente di quello che già era. Che strano, un errore che migliorava qualcosa. Arrivarono alle tende appena in tempo per il tramonto: uno spettacolo indescrivibile. Il sole scendeva lentamente dietro le montagne come per giocare a nascondino, seguito dai raggi più pigri che lo raggiungevano sempre un po dopo. Alcuni saltellavano sulle poche nuvole presenti nel cielo, andando a creare colori impossibili da ricreare e talmente rari che l uomo non è riuscito nemmeno a dargli un nome. 1 La voce Vedere qualcosa di maestoso si riferisce al film Non è mai troppo tardi, di Rob Reiner, in cui i due protagonisti, anch essi malati di cancro, creano una lista con scritto tutto quello che avrebbero dovuto fare prima di arrivare al Capolinea. 20

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