Corte di Cassazione - Sez. 4 penale - Sentenza 07/12/2005 n

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1 Corte di Cassazione - Sez. 4 penale - Sentenza 07/12/2005 n PREMASSIMA: Sicurezza e igiene sul lavoro - Preposto - Delega - Limiti - Conseguenze. MASSIMA UFFICIALE: In materia antinfortunistica devono ritenersi destinatari delle disposizioni di prevenzione coloro che presiedono direttamente o per delega alla organizzazione aziendale; non sono invece responsabili dell'incidente derivante dalla mancanza o dalla insufficienza di cautele e mezzi antinfortunistici coloro ai quali - non esplicando essi un potere di supremazia e di direzione nell'organizzazione del lavoro - spetta unicamente l'onere di vigilare sull'osservanza dei precetti imposti. Al preposto (destinatario delle norme per la prevenzione di infortuni sul lavoro, ma svolgente attività sussidiaria), peraltro, può essere delegato l'apprestamento delle misure preventive, ma non anche quei compiti affidati in via esclusiva dalla legge ai dirigenti o all'imprenditore. Ne consegue che la delega non scagiona dalla responsabilità penale l'imprenditore o il direttore dei lavori, in quanto il preposto non è tenuto ad assumere da solo l'obbligo di predisporre, far realizzare e pretendere in concreto la utilizzazione delle norme protettive previste dalla legge. (Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con sentenza in data 31 ottobre 2002 il Tribunale di GENOVA assolveva G. P. perché il fatto non costituisce reato dall'accusa di avere, in GENOVA il 4 novembre 1998, nella sua qualità di responsabile dell'unità Operativa Gestione Risorse dell'azienda Ospedaliera "VILLA SCASSI" di GENOVA - SAMPIERDARENA, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 86, avendo omesso di predisporre sulla macchina "hamburgheratrice" NILMA, in uso presso la cucina dell'azienda, misure idonee ad impedire il passaggio delle dita dei lavoratori tra la zona di ingresso dei piattelli e il disco formatore della macchina, cagionato a A. B. lesioni, consistite nell'amputazione della falange ungueale del pollice sinistro, da cui era derivata una malattia e una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per la durata di 64 giorni. 2. La sentenza veniva impugnata dal Pubblico Ministero e dalla parte civile. Il Pubblico Ministero rilevava che l'infortunio di cui era rimasta vittima la B. si era verificato per la mancata predisposizione di ripari idonei ad evitare il contatto delle mani con gli organi in movimento; di esso doveva rispondere il P. al quale il direttore generale dell'azienda aveva delegato la vigilanza sul rispetto delle norme antinfortunistiche. La parte civile osservava che la condotta della B., che con la mano "libera" aveva tolto un residuo di carne da uno dei piattini posti sotto la tramoggia girevole, era stata imprudente ma non abnorme sicché non poteva essere posta in discussione la responsabilità dell'imputato. 3. Con sentenza in data 11 luglio 2003 la Corte di Appello di GENOVA confermava la sentenza di primo grado. La Corte premetteva che l'infortunio si era verificato perché la macchina, cui era addetta la B., era priva di dispositivi di protezione benché già da tempo fosse stato posto in

2 commercio dalla casa produttrice altro tipo di macchina dotato dei medesimi. Escludeva, peraltro, che l'evento fosse conseguenza di colpevole omissione dell'imputato, osservando: - che non poteva ritenersi compito di un direttore amministrativo, delegato alla vigilanza sulla sicurezza dei lavoratori, quello di "visionare personalmente i macchinari usati in cucina" per valutare se presentassero o meno rischi per le persone addette; - che l'imputato non aveva mai saputo che la macchina hamburgheratrice esponesse a rischi la lavoratrice; - che, in particolare, non aveva ricevuto alcuna segnalazione da parte dell'ing. M., che ricopriva, all'epoca dei fatti, la carica di responsabile del Servizio Prevenzione Protezione Infortuni; - che l'ing. M., benché privo di autonomia di spesa, era tecnicamente competente ed aveva, tra le sue funzioni, proprio quella di segnalare al datore di lavoro ogni situazione a rischio, da lui stesso individuata, ovvero rilevata dai rappresentanti dei lavoratori; - che mai, però, l'ing. M. aveva trasmesso al P. segnalazione alcuna; - che era irrilevante che l'ing. M. non rivestisse qualifiche dirigenziali perché la sua funzione era quella di collaborare, ai fini dell'individuazione di situazioni di pericolo, con il datore di lavoro e, nella specie, con il delegato P.; - che anche la rag. V. dirigente del settore nel quale la B. prestava la propria attività di addetta alla cucina, non aveva mai segnalato al P. la mancanza di protezioni della macchina hamburgheratrice; - che l'imputato, per contro, si era attivato, invitando la V. per iscritto a segnalargli eventuali situazioni di pericolosità all'interno del settore Economato; - che le schede di valutazione dei rischi compilate dalla V. e da M. non contenevano alcun riferimento alla macchina hamburgheratrice; - che, in conclusione, la responsabilità del P. avrebbe potuto essere ravvisata, trattandosi di struttura di notevoli dimensioni, solo nel caso di mancata adozione degli interventi richiesti dal responsabile del servizio infortuni. 4. Avverso l'anzidetta sentenza ricorre per Cassazione il difensore della parte civile, chiedendone l'annullamento agli effetti civili. Con due motivi articolati congiuntamente deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettere b), e), l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione. Osserva il ricorrente che, con deliberazione n. 518 del 3 luglio 1996, la figura del datore di lavoro, nell'azienda in questione, era stata individuata nella persona del direttore generale. Con successiva deliberazione n. 556 del 25 giugno 1998 l'amministrazione aveva provveduto a delegare ad altri soggetti gli adempimenti che, secondo il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, potevano essere affidati al datore di lavoro. Le deleghe erano state conferite ai dirigenti responsabili delle Unità Operative Amministrative ed ai dirigenti medici di 2^ livello responsabili delle Unità Operative Sanitarie. Nell'allegato 1^ della predetta deliberazione erano stati specificati i compiti demandati dal datore di lavoro ai dirigenti delegati, tra i quali quello di "aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai

3 fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione". L'organigramma dell'ospedale riportava il settore cucina alla competenza dell'unità Operativa Gestione Risorse di cui, all'epoca del fatto, era dirigente responsabile il P.. Ne era conseguito, pertanto: - che al P. erano stati attribuiti i poteri di gestione in ordine all'attività ed al settore di sua attribuzione, da cui dipendeva, tra l'altro, il settore cucine dell'ospedale; - che, invece, all'ing. M., preposto dal dirigente responsabile, era stato affidato il compito di "coadiuvare il proprio dirigente nella stesura del reporting semestrale sui controlli dello stato di sicurezza dei locali, degli impianti, delle attrezzature e sul rispetto da parte dei lavoratori dell'obbligo di comportamento sicuro". La responsabilità gravava, dunque, sul P., a nulla rilevando la nomina di un preposto, atteso che costui - pur destinatario delle norme antinfortunistiche - non si sostituiva al primo nelle mansioni direttive, ma ne condivideva, secondo le proprie incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza. Poco importa, inoltre, - secondo il ricorrente - chiedersi se il preposto, privo di una delega diretta, certa e circostanziata del datore di lavoro, avesse capacità e qualifiche personali idonee per la valutazione degli eventuali rischi, gravando comunque sul P. un obbligo di diretta vigilanza. Il preposto non disponeva, tra l'altro, dei necessari mezzi finanziari per organizzare in modo diverso il lavoro con la conseguente autonomia decisionale. Osserva, da ultimo, il ricorrente che, in ogni caso, in tema di individuazione dei destinatari degli obblighi relativi alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora si tratti di violazioni connesse all'impiego di macchinari non dotati, sin dall'inizio dell'uso dei mezzi di protezione a tutela dell'incolumità dei lavoratori, i titolari dell'impresa, ancorché non preposti concretamente alla vigilanza sul lavoro dipendente, non sono mai esenti da responsabilità in ordine all'applicazione delle norme antinfortunistiche. Conclude il ricorrente ribadendo le "vistose" colpe, in vigilando ed in eligendo, del P. che non aveva vigilato direttamente sull'operato del personale tecnico, che avrebbe, tra l'altro, dovuto essere scelto con più cura. MOTIVI DELLA DECISIONE 6. Il ricorso è fondato. Le questioni prospettate impongono di ricordare i tratti salienti della figura del dirigente e di quella del preposto. Il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, non contempla alcuna definizione, ne' di dirigente, ne' di preposto, limitandosi ad affermare che i dirigenti sono coloro i quali "dirigono" le attività soggette alla normativa prevenzionale, mentre i preposti sono coloro i quali vi "sovraintendono" (articolo 1 c.p., comma 1-bis). Peraltro, secondo la comune interpretazione, per dirigenti si intendono quei dipendenti che hanno il compito di impartire ordini ed esercitare la necessaria vigilanza, in conformità alle scelte di politica d'impresa adottate dagli organi di vertice che formano la volontà dell'ente (essi

4 rappresentano, dunque, l'alter ego del datore di lavoro, nell'ambito delle competenze loro attribuite e nei limiti dei poteri decisionali e di spesa loro conferiti); i preposti sono invece coloro i quali vigilano sull'attività lavorativa degli altri dipendenti, per garantire che essa si svolga nel rispetto delle regole prevenzionali, e che sono all'uopo forniti di un limitato potere di impartire ordini ed istruzioni, di natura peraltro meramente esecutiva. Ciò premesso, va rammentato che la giurisprudenza di questa Suprema Corte è solita affermare che, in materia antinfortunistica, devono ritenersi destinatari delle disposizioni di prevenzione coloro che presiedono direttamente o per delega alla organizzazione aziendale; non sono, invece, responsabili dell'incidente derivante dalla mancanza o dalla insufficienza di cautele e mezzi antinfortunistici coloro ai quali, non esplicando un potere di supremazia e di direzione nell'organizzazione del lavoro, spetta unicamente l'onere di vigilare sulla osservanza dei precetti imposti (cfr. Cass. 4^, 3 ottobre 1989, Costantini, RV ). Con espresso riferimento alla figura del preposto, si è, inoltre, ritenuto che al medesimo - in quanto destinatario delle norme per la prevenzione di infortuni sul lavoro, ma svolgente attività sussidiaria - possa essere delegato "l'apprestamento delle misure preventive, ma non anche quei compiti affidati in via esclusiva dalla legge ai dirigenti o all'imprenditore"; sicché la delega "non scagiona dalla responsabilità penale l'imprenditore o il direttore dei lavori, in quanto il preposto non è tenuto ad assumere da solo l'obbligo di predisporre, far realizzare e pretendere in concreto la utilizzazione delle norme protettive previste dalla legge" (cfr. Cass. 4^, 10 aprile 1981, Fabbri, RV ). L'ascrizione della responsabilità dell'infortunio non può, dunque, che avvenire tenendo conto dei principi anzidetti, dell' effettiva ripartizione dei compiti all'interno dell'ente e della concreta possibilità di farvi fronte. Nel caso in esame, l'organigramma dell'ospedale riportava il settore cucina alla competenza dell'unità Operativa Gestione Risorse di cui, all'epoca del fatto, era dirigente responsabile il P.. Era l'imputato, pertanto, il destinatario delle disposizioni di prevenzione in materia antinfortunistica. All'ing. M., preposto dal dirigente responsabile, era stato affidato, invece, solo il compito di "coadiuvare il proprio dirigente nella stesura del reporting semestrale sui controlli dello stato di sicurezza dei locali, degli impianti, delle attrezzature e sul rispetto da parte dei lavoratori dell'obbligo di comportamento sicuro". Se è vero, poi, che non è esclusa la possibilità che - a certe condizioni - al preposto siano affidate competenze ulteriori rispetto a quelle che normalmente fanno capo a questa figura in base alla normativa vigente, è altrettanto vero che l'eccezione presuppone che il preposto abbia ricevuto un'espressa delega (idonea ad ampliare la sua sfera di attribuzioni) e che sia persona tecnicamente preparata e capace (cfr. Cass. 4^, 6 febbraio 1990, Santamaria, RV ). Nel caso in esame non risulta, però, che il preposto abbia ricevuto espressa delega con affidamento di competenze ulteriori rispetto a quelle sopra indicate. 7. La decisione impugnata va, pertanto, annullata ai soli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello anche per le spese del giudizio di Cassazione.

5 P.Q.M. annulla ai soli effetti civili la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello anche per il regolamento delle spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, il 12 ottobre Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2005

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