C'è del nuovo in Medio Oriente

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1 C'è del nuovo in Medio Oriente GUERRA E PACE di Ugo Tramballi L attentato a Rafik Hariri ha fatto saltare il tappo che bloccava il Libano. In Egitto prende ora il via qualche timido tentativo di riforma. In Palestina finalmente si vota. E Sharon prosegue con il suo piano di pace. In tutta l area c era una grande esigenza di democrazia. E persino sotto la crosta di regimi fino a oggi apparentemente immutabili come l Arabia Saudita...

2 GUERRA E PACE C osa fu alla fine, l 11 settembre 2001: l'involontario inizio di un processo di riforme per la più statica delle regioni del mondo o la scintilla premeditata del grande caos mediorientale, come furono per l Europa i colpi di pistola di Sarajevo, nel 1914? A Beirut i siriani sarebbero ancora lì, se non avessero eliminato Rafik Hariri in un modo così brutale; senza quella arrogante prova di forza, forse centinaia di migliaia di giovani non avrebbero mai avuto il coraggio di scendere in strada con le bandiere libanesi, a chiedere libertà e democrazia. In Palestina ciò che ha permesso nuove elezioni democratiche (quasi democratiche) è stata la morte di Arafat: senza la scomparsa fisica del _A sinistra una delle grandi manifestazioni popolari a Beirut dopo l attentato terrorista che ha ucciso Hariri. Sotto, palestinesi al voto nella striscia di Gaza vecchio rais, l Intifada continuerebbe con la stessa violenza di prima e i palestinesi non sarebbero tornati alle urne. In Israele Ariel Sharon ha deciso di ritirare truppe e coloni da Gaza per un calcolo demografico: gli arabi sono troppo numerosi; per preservare l'essenza ebraica e la sua democrazia, Israele deve rientrare nei suoi confini naturali. E non è affatto detto che i confini ai quali pensa Sharon siano gli stessi che chiedono i palestinesi e la comunità internazionale. In Egitto Hosni Mubarak non poteva candidarsi per la quinta volta alla presidenza dopo 24 anni di potere ininterrotto senza offrire in cambio delle riforme: quelle che ha proposto sono al limite del ridicolo, considerando lo stato del Paese; ma quando viene messo in moto un processo, nessuno sa dove andrà a finire. In Arabia Saudita le elezioni locali erano previste e continuamente rinviate da un trentennio: prima o poi dovevano essere organizzate. In Iraq, invece, il voto di gennaio non ha fermato le violenze: e Olycom

3 C È DEL NUOVO IN MEDIO ORIENTE comunque quella scadenza elettorale faceva parte di un calendario di disimpegno americano che sta procedendo troppo lentamente. Come si vede, tutti i segnali di democrazia nel mondo arabo hanno cause interne e subiscono dinamiche locali. Tuttavia, come dice un oppositore egiziano di Mubarak, non è possibile che così tanto stia accadendo in così poco tempo senza una ragione unificante. Il New York Times non è mai stato tenero con l'invasione irakena del 2003: recentemente, tuttavia, riconosceva che anche una guerra moralmente sbagliata può portare a qualcosa di politicamente buono. Un processo è stato avviato: incerto e doloroso, ma ormai senza alternative accettabili. In nessuna parte del mondo un armata di uomini invade un Paese senza che nella regione circostante lo status quo non venga intaccato: è un effetto quasi automatico, le cui dinamiche spesso sfuggono anche alla volontà di chi decide di fare la guerra. In Medio Oriente c era un esigenza di democrazia. Era in gran parte inespressa, ma anche sotto la crosta dei regimi immutabili, questa necessità emergeva attraverso alcuni dati fondamentali: mentre nel resto del mondo il ruolo sociale, politico ed economico della donna cresce, più del 50% delle arabe è analfabeta; in una regione affamata d infrastrutture e d investimenti, 107 miliardi di dollari arabi fruttano interessi nelle banche in Occidente ed Estremo Oriente; il commercio estero arabo è di 409 miliardi di dollari l anno (è di quello europeo, di quello dei Paesi Nafta), ma se si escludono il petrolio e i suoi derivati, la cifra diventa ridicola. Le riforme non sono più _Qui sotto, alcune studentesse palestinesi. Più del 50% delle donne arabe è analfabeta. Per decenni il Parlamento kuwaitiano ha negato il diritto di voto alle donne. Accanto, una pattuglia di soldati israeliani a Gaza Contrasto_Corbis

4 GUERRA E PACE In una regione affamata di infrastrutture e di investimenti, 107 miliardi di dollari arabi fruttano interessi nelle banche occidentali; il commercio estero arabo è di 409 miliardi di dollari l anno, ma se si escludono il petrolio e i suoi derivati la cifra diventa ridicola eludibili: dobbiamo farle ora, diceva re Abdullah di Giordania, a maggio, al World Economic Forum dedicato al Medio Oriente e dal titolo significativo: Cogliere l'attimo. Il problema è capire se la democrazia sia la soluzione e quanto sia grande la differenza tra la democrazia che ha in mente l'amministrazione Bush e quella che possono dare gli arabi. La religione che al momento governa a Washington è la democrazia, scrive su Ha'aretz Nahum Barnea, il più famoso dei giornalisti israeliani. Bush è convinto che la democrazia risolva ogni cosa: compreso un conflitto esistenziale e sanguinoso, vecchio di 100 anni (quello fra palestinesi e israeliani, n.d.r.). Se lo Stato Palestinese è democratico, dice, tutto può essere risolto, compreso il problema dello spazio aereo. Chiunque viva in Medio Oriente sa che questo è un approccio semplicistico, naive e forse anche pericoloso. Ma chiunque abbia una posizione di leadership nella regione sa che almeno un impegno a parole deve essere dato. Olycom

5 C È DEL NUOVO IN MEDIO ORIENTE Forse la democrazia tutto e subito di George W. Bush non è la soluzione: dopo aver scoperto che in Iraq le armi di distruzione di massa non c erano potremmo constatare oggi che non c è nemmeno la democrazia Gli ostacoli principali alle riforme e alla democrazia, quelli dichiarati e ufficiali, sono sempre stati due: la mancata soluzione della questione palestinese e il fondamentalismo islamico. È vero che per l opinione pubblica araba l occupazione israeliana dei Territori palestinesi è una specie di family value: è qualcosa d inaccettabile, una ferita aperta e costantemente ricordata dai servizi televisivi di al-jazeera. La soluzione di quel problema sarebbe un contributo decisivo alla stabilizzazione della regione. Ma affermare che Israele sia un ostacolo alle riforme arabe, la causa dell analfabetismo femminile, il responsabile di tutte le instabilità regionali e il fattore che deprime i prodotti interni nazionali, è così ridicolo che anche i leader locali hanno smesso di usarlo come pretesto. Più serio è il dilemma islamico. I due unici casi che fanno testo riguardo a un partito religioso al potere quello iraniano e il turco sono troppo antitetici per offrire uno sguardo sul futuro. Non è pensabile che la democrazia araba incominci escludendo il diritto dei fondamentalisti di parteciparvi e dunque di concorrere al potere. In qualche modo è già successo: alle limitate elezioni saudite, la maggioranza dei seggi nei consigli locali sono stati conquistati dai conservatori religiosi. Le previsioni alle elezioni legislative palestinesi danno Hamas vincente a Gaza e con un buon risultato in Cisgiordania: per questo Abu Mazen ha cercato in ogni modo di rinviarle. A volte la democrazia in Arabia ha degli effetti collaterali: il parlamento kuwaitiano, uno dei più antichi nel Golfo, ha negato per un decennio il diritto di voto alle donne. La legge alla fine è passata due mesi fa solo per diretto intervento dell emiro che ha fatto valere i suoi poteri tribali su quelli legittimamente democratici dell assemblea. Cosa faremo in Occidente quando nel parlamento palestinese di Ramallah siederanno i deputati di Hamas e della Jihad Islamica eletti dal popolo? E come reagiremo quando nel nuovo governo libanese, nato dalle prime elezioni senza i siriani, ci saranno ministri di Hezbollah? Nei giorni in cui le opposizioni libanesi quelle scese in piazza a febbraio e marzo, sostenute da noi aprivano una trattativa politica con Hezbollah, il Parlamento europeo inseriva quel partito-milizia nell elenco delle organizzazioni terroristiche. Non solo in Libano, la tendenza che prevale nel mondo arabo, diversa dalla nostra, è il tentativo di inclusione e non di esclusione dei fondamentalisti. Ma il risultato finale non è certo per nessuno. Anatol Lieven del Carnegie di Washington sostiene che quella di Bush è una visione orwelliana della democrazia. Lo spazio fra ciò che viene chiesto e ciò che può essere dato è troppo ampio per stabilire regole valide per tutti: per l Occidente, per il Mondo arabo e per ogni singolo Paese impegnato a riformarsi. Il modello cinese non è applicabile quaggiù: è culturalmente troppo lontano, per cominciare. Tuttavia ci sono riforme economiche e sociali che gli arabi possono già fare, indipendentemente dall occupazione israeliana dei Territori palestinesi, dall instabilità irakena e dal dilemma islamico. Dallo stretto di Gibilterra a quello di Hormuz in questi anni ci sono state più elezioni che riforme. Come dimostrano i cinesi, se non proprio la democrazia politica si può ottenere la libertà economica. Prima di sperare che l Egitto permetta ad altri candidati di sfidare seriamente Hosni Mubarak alle elezioni presidenziali, l oligarchia militar-industriale potrebbe incominciare a smantellare il suo 140

6 GUERRA E PACE potere economico. Al Cairo non c'è organizzazione professionale, sindacale, associazione d industriali e d intellettuali che non abbia al suo vertice un rappresentante del governo. In Libano è difficile aprire un impresa se non si appartiene a una delle solite famiglie del Pouvoir ; in Arabia Saudita non si fa un affare senza coinvolgere un membro della pletorica famiglia reale e in Siria non se ne fa uno senza dimostrare che anche il partito Baath ci guadagna qualcosa. L economia libica è un affare di famiglia Gheddafy e per inspiegabili ragioni gli algerini comprano acciaio in Francia anzichè in Tunisia: i commerci intra-arabi sono una percentuale ridicola del sistema degli scambi internazionali. Sempre escludendo il petrolio, che storicamente nel mondo arabo ha presentato più un problema per lo sviluppo che un vantaggio. Eppure, come spiega Bernand Lewis, il maggiore arabista occidentale, alla fine del XIX e anche all'inizio del XX secolo, un povero di umili origini aveva più possibilità di crescere fino al vertice sociale nel Medio Oriente musulmano che in ogni altra parte del mondo cristiano, compresi la Francia e gli Stati Uniti post-rivoluzionari. La democrazia tutta e subito, davvero vagamente orwelliana di George Bush, non è la soluzione: dopo aver scoperto che in Iraq le armi di distruzione di massa non c'erano, potremmo constatare che non c'è nemmeno la democrazia. Non oggi e nemmeno domani. Ma se la storia si misura su traiettorie più lunghe di quelle di una presidenza americana, prima o poi anche gli arabi riscriveranno il loro futuro. Contrasto_Reuters _Fondamentalista islamico con pugnale e Corano. Mentre le opposizioni libanesi aprivano una trattativa con Hezbollah, il Parlamento europeo inseriva quel partito milizia nell elenco delle organizzazioni terroristiche 141

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