1. Su contadu de su pohu ipinu - Il racconto del porcospino

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1 1. Su contadu de su pohu ipinu - Il racconto del porcospino Introduzione La fiaba si situa senza incertezze nel gruppo delle fiabe di magia classificate al numero 425 di Aarne e Thompson che porta il titolo "La ricerca del marito perduto", ed in particolare mostra coincidenze con il sottotipo 425 A "11 mostro o animale come sposo, o Amore e Psiche". Un ulteriore somiglianza può essere indicata col tipo AT 441 "Hans, porcospino mio", se non altro per il fatto che il mostro, come nella fiaba sarda, è un porcospino; ma altre coincidenze potrebbero essere individuate nel fatto che anche qui il porcospino ottiene la sposa per aver offerto un servigio. In ogni caso i due intrecci (AT 425 e 441) hanno come nucleo centrale la leggenda di Amore e Psiche contenuta nell Asino d oro di Apuleio (11 sec. d.c.) da cui tuttavia non derivano direttamente. Nelle sue linee generali la fiaba illustrata dal Thompson presenta un introduzione nella quale si racconta come la fanciulla cada nelle mani di un mostro o animale che sposa. Per mezzo di un bacio, di lacrime etc., il mostro che è un principe stregato, riprende le sue sembianze ma, per una disobbedienza o imprudenza della sposa, scompare dopo averle dato indicazioni sul modo di ritrovarlo. La sposa, anche con l aiuto di mezzi e aiutanti magici, ritrova lo sposo e lo riconquista. Il testo sardo si discosta alquanto da questo svolgimento, del quale conserva sostanzialmente il motivo del principe mostro al quale solo l amore di una fanciulla potrà rendere il primitivo aspetto, e quello della scomparsa e successiva ricerca del mostro che, nel nostro caso, si verifica prima e non dopo la trasformazione come nell intreccio base di AT. Il giovane riprende le sue sembianze nel momento in cui la fanciulla trovatolo morente piange e dice finalmente le parole d amore da lui invocate e dalle quali dipende la sua liberazione dall incantesimo. La narrazione si avvale di una narratrice eccezionale che comunica in maniera veramente efficace tutto il pathos della vicenda La fiaba è molto diffusa in Europa dove gode la massima popolarità nella parte occidentale. In Italia è nota anche per la versione letteraria datane da G.B. Basile nel Pentamerone. In Sardegna, allo stato attuale delle ricerche, se ne conoscono parecchie versioni variamente distribuite sul territorio. Ozieri Narratrice: Peppina Falconi di anni 70, sarta, scolarità 4 elementare. Fonte: MANUNTA, n.18, p.237 sgg.; classificazione: AT 425 A. Su contadu de su pohu ipinu Culthu este su contadu de su pohu ipinu. In unu tempu lontanu, in una idda povera, viviana maridu e muzere cun una pisedda, poverissimos su mantessi. Tanta sa povelthade ei sa debilesa propriu de su tempusu... de comente fini, de comente fin poveros si sunu... si sunu immalaidados, Il racconto del porcospino Questo è il racconto del porcospino. In un tempo lontano, in un povero paese, vivevano marito e moglie con una bambina, poverissimi anche loro. Era tanta la miseria e la debolezza proprie di quel tempo, di quanto erano poveri, che si sono ammalati entrambi; prima è morta la moglie, poi è morto il marito e hanno lasciato questa

2 s unu ei s atteru; sa prima è moltha sa muzere. poi è molthu su maridu, e ana lassadu cultha pisedda sola e offana, in cudda idda. Sas tiasa, unu pagu lontanasa ma parentese de su babbu e de sa mama, s ana ritiradu cultha pizzinna, promittende tanta promissas chi cultha pisedda la trattaian bene. E gitta si l ana a una campagna, ca viviana in una campagna, fini palthores. bambina sola e orfana in quel paese. Le zie, un po lontane ma parenti del babbo e della mamma, hanno preso con loro questa bambina facendo tante promesse di trattarla bene. E l hanno portata in una campagna, perché vivevano in una campagna, erano pastori. In cudda campagna, cuddas promissas sunu ruttas luego a terra, custa pizzinna la trattaiana male, no aiada su tantu nezessariu, tantu tribulada de Su trabagliu, chi non nde podia piusu. Issa naraia: «Pruit è chi mi nde azis attidu a inoghe. pro no mi trattare ene!» «No deves essere goi imberriada, mamma tua e babbu tou t ana imberriadu, ma inoghe che ses pro trabagliare. Ti pagamos e tue deves trabagliare.» In quella campagna le promesse ben presto son cadute a terra: trattavano male questa ragazza, non aveva il necessario per vivere, era tanto oppressa dal lavoro che non ne poteva più. Lei diceva: «Perché mi avete condotto qui per non trattarmi bene?» «Non devi essere così viziata, mamma tua e babbo tuo ti hanno viziato ma qui sei per lavorare. Ti paghiamo e tu devi lavorare.» Issa ilthaia sempre pianghende e naraiada: «Mamma e babbu, pessade bois, pessadebei oisi a mie, chi mi sezis lassende goi, sola e abbandonada dae tottu.» Fattende tottu culthas cossiderasciones, a bidu una femina chi si l è presentada: «Fiza mea cara, pruite ses pianghende?» a nadu. E l a nadu totta sa passione sua. A nadu: «Mi sun trattende troppu male, non nde potto pius. So una pover offana, chi m ana remtmidu nende chi mi trattaian bene, m ana gravadu meda de trabagliu, robba chi eo no potto faghere, ca sa folzas mi mancana, ca» a nadu «no mi dana tanta cosa a manigare, su suffiziente no mi lu dana a manigare.» «No ti disiperes no, chi asa un anima preghende, fossi ded essere s anima e mamma tua, s anima e babbu tou, chi t ana a cambiare su tempus. Ista tranquilla.» «Ih! ma intanto» a nadu «como..,» Cudda femina elthe ihumpafida. Lei piangeva sempre e diceva: «Mamma e babbo, pensate voi, pensateci voi a me, perché mi state lasciando così, sola e abbandonata da tutti?» Mentre faceva queste considerazioni ha visto una donna, che le è apparsa: «Figlia mia cara, perché stai piangendo?» ha detto. E le ha fatto tutta la storia della sua sofferenza. Ha detto: «Mi stanno trattando troppo male, non ne posso più. Sono una povera orfana, mi hanno raccolto dicendo che mi avrebbero trattato bene; mi hanno caricato di lavoro, cose che non posso fare perché mi mancano le forze, perché» ha detto «non mi danno molto da mangiare, il necessario non me lo danno da mangiare.» «Non disperarti, no, perché c è un anima che prega per te, sarà forse l anima di mamma tua o l anima di babbo tuo, e ti farà cambiare il tempo. Sta tranquilla.» «Ih! ma intanto» ha detto «adesso...» Quella donna è scomparsa. Dada l ana tottu culthos pannos a samunare chi los alla polthos in unu carru pro alidare a Le hanno dato da lavare tutti questi panni e li hanno messi su un carro per andare al

3 su riu: «Ih! Como è mezzusu! E comente fatto a samunare totta cultha robba!» a nau. «Eh, Deu meu!», issa supirende cun cuddas lagrimas, nachi, finas a terra. Ascia sos oios e bidede culth animale falende dai cultha montagna, un animale orribile, chi si assimizaida a s erittu, ma sas ipinas nachi fini mannas. Gighia sos oios nachi chi parian duos... duos... duos titones de fogu. E faladu elthe, e andadu elthe a incuddane: «Narami.» nachi «pruite ses pianghende?» Issa timendelu... timendelu... I a nadu totta s ilthoria. «Bae, fiza mea.» a nadu «e drommidi sutta de cudd avure, poi» a nadu «a s ihidada as a crobare tottu fattu.» «Ih, s idia cussu!» E gai issa elthe andada a si drommire sutta cudd avure. ilthracca de pianghere. A cando si nd elthe ihidada, crobada tottu cuddu fattu: andada a chihare cuddu allimale e no lu crobada. S atteru die... a... s atteru die, devia faghere su pane. «Comente fatto» nachi «a faghe tottu culthu pane: ma... bois no mi devides aggiuare?» «No, no. ti pagamus e lu deppes faghe tue.» Fini, nachi, malas, cultha zente, no è beru? «Ma no li azzis promissu gai a babbu e a mamma» a nadu; «pruite mi cherides trattare gai?» Issa andada ai cuddane: «Ih! Si falaia» nachi «cudd animale chi è bennidu» nachi, «deved essere cahi anima ona.» C andada ai cuddane e fala cuddu, su pohu ipinu, e l a nadu: «Tue ilthanotte, invece de ti ponnere a suighere» a nadu, «ti cohas: poi.» a nadu «manzanu ti nde asa a pesare» a nadu, «chi tottu ded essere fattu.» «Ih!...e me lu faghides de abberu?» «Ista tranquilla» a nau. «Piuprelthu, naramilu» a nadu «cantu m ilthimas.» Cando li fi nende: «Cantu...» issa... «cantu... cantu...» isse cominzaiada a offiare, a offiare, a offiare cuddos oios, nachi, fini gai mannos chi parian duos titones de fogu: «Cantu...» e no podia narrere atteru. Isse ch este iscumpafidu. «Eh! Già mi l as a narrere, mi l as a narrere!». E faghe gai, e ada su pane fattu. Tando cheriana a faghere sa ogada: sa ogada fiume: «Ih adesso sto meglio! E come faccio a lavare tutta questa roba!» ha detto. «Eh, Dio mio!» lei sospirava con lacrime che, dice, arrivavano fino a terra. Solleva gli occhi e vede quest animale che scendeva dalla montagna, un animale orribile che somigliava al porcospino ma gli aculei, dicono, erano grossi. Aveva gli occhi, dice, che sembravano due... due tizzoni ardenti. E sceso ed è andato li: «Dimmi,» dice «perché stai piangendo?» E lei lo temeva... Io temeva... gli ha raccontato tutta la storia: «Vai, figlia mia,» ha detto «e addormentati sotto quell albero; poi al risveglio» ha detto «troverai tutto fatto.» «Ih, fosse vero!» E cosi lei è andata a dormire sotto quell albero, stanca di piangere. Quando si è svegliata trova tutto il lavoro fatto; va a cercare quell animale e non lo trova. n altro giorno... un altro giorno, doveva fare il pane. «Come faccio» dice, «a fare tutto questo pane? ma... voi non dovete aiutarmi?» «No, no, ti paghiamo e devi farlo tu.» Erano cattive queste, vero? «Ma non avevate fatto queste promesse a babbo e a mamma! perché mi trattate così?» ha detto. Lei va lì: «Ih, se scendesse quell animale che è venuto!» dice. «Deve essere un anima buona.» Va in quel posto, e scende quello, il porcospino, e le ha detto: «Tu, stanotte, invece di metterti a impastare, mettiti a letto; poi,» ha detto «domani ti alzerai e tutto sarà fatto». «Ih! e me lo fate davvero?» «Sta tranquilla» ha detto. «Piuttosto» ha detto «dimmi quanto mi vuoi bene.» Mentre lei stava dicendogli: «Quanto... quanto... quanto...» lui comincia a gonfiarsi, a gonfiarsi, a gonfiare quegli occhi, dice che erano cosi grandi che sembravano due tizzoni ardenti. «Quanto...» e non poteva dire altro. «Eh, già me lo dirai me lo dirai!» ed è scomparso. E fa cósì ed ha il pane pronto. Allora volevano che facesse il bucato; il bucato era più difficile per una bambina

4 fi su prus diffizile pro una pizzinna, ca pruite la devia faghere in su riu. Prima l aiana obbligada a lu samunare, poi devia faghe sa ogada. Falada su pohu ipinu dai cuddane: «Pruite ses pianghende?» «Ca como cherene a faghe sa ogada, eo cando aia mamma, ogada non nde appo fattu mai, no iho mancu comente chere fatta; bi lis appo nadu e niente, "chi eo la devo faghere, chi mi pagana e chi eo, nachi, la devia faghere".» «Eh! andada» a nadu. «Bae, andada» a nau, «lassalos sos pannos in cue, già bi pess eo; tue» a nadu «ti cohas sutta de cudd avure» I a torrada a narrere. E andadu si ch elthe. «Coro, chie ded essere culth anima ona, Deu meu, faghidemila idere» nachi «culth anima ona chi ded essere, ma sa frigura l a mala, pruite è gai malu de frigura? Mamma e babbu ihia chi fin bellos, invece culthu» nachi «è propriu un animale...» Si nde ihidada. E falada isse torra dai cudda montagna e a nadu: «Tottu asa crobadu fattu?» «Sì,» a nadu «bos ringrazio meda» nachi «ma pruite sezis goi de mala frigura chi eo» nachi «bos timo?» «Narami cantu m ilthimas» li torraiad a narrere. Nendeli: «Narami cantu m ilthimas» isse li faghia cudda oghe bella. «Coro, ite oghe bella, ma de frigura ite malu!» Tandu comenzaiad isse: «Narami cantu m ilthimas...» e issu offiende, offiende si che faghiada, nachi, mannu meda meda. «Cantu...» naraiad issa, «cantu... cantu...». Lu timiada, e cuddu si che torraiad andare. Balthe chi, passada tottu culthu. E una die... Tottu cuddu trabagliu l aia fattu. Piusu nde faghiada, più bi lu garrigaiana cuddasa, ma sempre pessende ite fi su miltheriu de cultha pizzinna, fossi si fidi lende giogu de issas. Tando l an dadu sa lana a grammenare, poi a la filare, poi a la tessere. «Ma comente fatto tottu custu chi non d appo mai fatto? Proit e chi mi lu sezzis dende chi eo de culthu non d appo mai fattu!» «Tue lo deppese faghere. Ti pagamos e lu deppese faghere.» Issa totta disiperada e pianghende, iguddane. Torrada a falare su pohu ipinu: «proite se perché doveva farlo al fiume. Prima l avevano obbligata a lavare, poi doveva fare il bucato. Scende da lassù il porcospino: «Perché stai piangendo?» «Perché adesso vogliono che faccia il bucato; quando c era mamma io non ne ho fatto mai di bucato, non so nemmeno come si faccia; glielo ho detto, e niente: "che devo farlo, che mi pagano e che devo farlo io".» «Eh, vai!» ha detto. «Vai, vai, lascia i panni lì, già ci penso io» ha detto; «tu coricati sotto quell albero» le ha detto di nuovo. E se n è andato. «Cuor mio, chi sarà quest anima buona! Dio mio, fatemela vedere» dice «quest anima buona che dev essere; ma l aspetto è brutto; perché è così brutto d aspetto? Mamma e babbo so che erano belli, invece questo è proprio un animale...» dice. Si risveglia. E lui ridiscende da quella montagna e ha detto: «Hai trovato tutto fatto?» «Sì» ha detto; «vi ringrazio molto. Ma perché siete così di brutt aspetto, che io vi temo?» «Dimmi quanto mi vuoi bene» le dice di nuovo. Mentre le diceva «Dimmi quanto mi vuoi bene» le faceva questa bella voce. «Cuore, che bella voce ma che brutto aspetto!» Allora lui cominciava: «Dimmi quanto mi vuoi bene» e si gonfiava, si gonfiava e diventava grandissimo. Lei diceva: «Quanto... quanto... quanto...» e ne aveva paura; e lui se ne andava via di nuovo. Insomma è successo tutto questo. E un giorno... Aveva fatto tutto quel lavoro. Più lavoro faceva e più gliene davano quelle, ma stavano sempre pensando quale fosse il mistero di questa ragazza e che forse si stava prendendo gioco di loro. Allora le hanno dato la lana da carminare e poi da filare e poi da tessere. «Ma come faccio a fare tutto questo, non ne ho fatto mai; perché me lo date che io questi lavori non li ho mai fatti!» «Tu devi farlo. Ti paghiamo e devi farlo». Lei completamente disperata e piangente, va là. E di nuovo scende il porcospino: «Perché stai piangendo?» «Perché vogliono che faccia questo, fare la

5 pianghende?» «Ca cherene a faghe culthu, a faghe sa lana, a la samunare, a la tessere, a la filare, a la tessere. Eo tottu culthu, mamma mia idia chi lu faghiada, ma eo no lu potto faghere.» «Eh! bae, bae» a nadu, «e cohadi sutta a cudd avure.» Si coha sutta a cudd avure I a samunada, issa sa lana e filada, cussu già s è proada a lu faghere. Fala su pohu ipinu: «Lassalu ilthare, mancu culthu cherzo a faghere. As a bidere» a nadu «chi provvedimus finzas a igussu.» lana, lavarla, tesserla, filarla, tesserla. Io tutto questo... mamma mia vedevo che lo faceva... ma io non posso farlo.» «Eh! Vai, vai e coricati sotto quell albero» ha detto. Si sdraia sotto l albero; I ha lavata lei la lana e filata, questo ha provato a farlo. Scende il porcopsino: «Lascia stare, non voglio che tu faccia neanche questo. Vedrai» dice «che provvederemo a fare anche questo.» Tando li naraiada: «Narami... narami cantu m ilthimas.» E sempre offiende, sempre offiende. sempre offiende. «Cantu... cantu...», si l abbaidaiada: «Coro, canto bo so timende. Cantu... cantu... cantu...» e no li naraia mai nudda. Si c andad isse. Li faghe tottu cuddu e si torrad a drommire issa. E passa cussu puru. Tando la fini sighende a trattare male su mantessi, ma su pohu ipinu no s idia piusu. «E comente fatto!» a nadu. «Poh ipinu meu» nachi «no mi la fattas cultha, de m abbandonare tue chi» a nadu «faghe» nachi «de tottu; già ti naro su chi cheres tue. balthe chi tue mi c aggiues.» E torrada a falare su pohu ipinu. A nadu: «Tue, si no faghes su chi t appo nad eo, eo no ti potto aggiuare piusu; cando eo» a nau «mi che offio so isettende dae te una paraula de cunfolthu e tue mi la deves narrere.» «Eh!» a fattu ibbia. «Naramilu,» a nau «cantu m ilthimas.» «Cantu... cantu... cantu...» e no l a potidu narrere e su pohu ipinu si ch elthe andadu. E no b è torradu. Issa disiperada mala. Allora le diceva: «Dimmi... dimmi quanto mi vuoi bene.» E sempre gonfiandosi, gonfiandosi, gonfiandosi; se lo guardava: «Cuore mio, quanto vi sto temendo. Quanto... quanto... quanto...» e non diceva mai altro. Quello se ne va, le fa tutto il lavoro e lei si riaddormenta. E passa anche questo. Allora continuavano a trattarla male, ma il porcospino non si faceva più vedere. «E come faccio!» ha detto. «Porcospino mio, non farmi questo, non abbandonarmi tu che fai di tutto» ha detto; «già ti dico tutto quello che vuoi purché tu mi aiuti.» E il porcospino di nuovo scende. Ha detto: «Se tu non fai quello che io ti ho detto, non posso più aiutarti. Quando io mi gonfio» ha detto «sto aspettando da te una parola di conforto, e tu devi dirmela». «Eh!» ha fatto, e basta. «Dimmi» ha detto «quanto mi vuoi bene.» «Quanto... quanto... quanto...» e non è riuscita a dire altro e il porcospino se n è andato. E non è ritornato. Lei completamente disperata. Beni cudda femina chi li fidi appafida tando: «fiza mea cara,» a nadu «pruite l asa trattadu gai» a nadu «su phu ipinu? chi como» a nadu «no ti che torrada.» «No mi che torrada!... ma e comente faghere» «Già ti lu naro deo comente faghere. Deves andare ai cudda montagna chi ch elthe attesu attesu, in cussa montagna b ada» a Viene quella donna che le era apparsa: «Figlia mia cara,» ha detto «perché hai trattato così il porcospino? Adesso» ha detto «non torna più.» «Non torna!... Ma e come si può fare?» «Ti dico io cosa devi fare. Devi andare su quella montagna laggiù lontano; sulla montagna c è un palazzo, nel palazzo c è un cancello, al cancello c è un

6 nadu «unu palattu, in cussu palattu b ada unu gancellu, in su gancellu b ada unu cane ch iltha sempre appeddende; tando» a nadu «tue cando isse elthe appeddende no lu timas, si no lu times» a nadu «t abberi su gancellu e tue intras. Daghi intras» a nadu «as a crobare unu leone, chi cussu leone iltha sempre fattu tou chi pare chi ti devorede, invece no ti faghe nudda. Poi» a nadu «as a crobare unu serpente, de cussos serpentes mannos» a nadu «de una mala frigura, chi parede» a nadu «chi ti chefad ingullire. Tue» a nadu «no lu timas e sighis andare. Tanto c ascias» a nadu «in cuss ihala. Il cuss ihala» nada, «asa a crobare un animale malu chi ti parede» a nadu «chi abbelzendeli sa ucca, chi ti si chefada ingullire. Tue passa derettu, tue passa derettu» a nadut «e c ascias a subra; subra as a crobare» a nadu «una banca apparizzada. In cussa banca apparizzada» a nadu «b elthe su pranzu prontu» a nadu «pro chie bi deve bennere: cultha banca apparizzada» a nadu «elthe isettende a tie. Poi... Ma no bides ancora» a nadu «su pohu ipinu. Cussa è sa domo e su pohu ipinu, ma su pohu ipinu» a nadu l as a crobare in un ilthanzia chi ti lu deves girare tottu culthu palattu, e l as a crobare in malu ilthadu» a nadu «ca su pohu ipinu, si tue no andas elthe acculzu a morrere!» «Ih, coro! Cali si siada sacrifiziu, già fatto tottu su chi mi nades bois. Ma chie sezis ois, nadimilu? Mamma sezis?» «No, no so mamma tua, ma ti so proteggende.» cane che sta sempre bramando; allora tu non aver paura quando ringhia, se non ne hai paura apri il cancello ed entra» ha detto. «Quando entrerai, troverai un leone che ti starà sempre dietro e sembra che voglia divorarti, ma non ti fa nulla. Poi,» ha detto «troverai un serpente, di quei serpenti grandi, brutti, e sembra che ti voglia inghiottire; tu non aver paura e continua ad andare. Allora salirai per questa scala» ha detto, «per questa scala, e troverai un animale cattivo che sembra spalanchi la bocca per inghiottirti. Tu passa diritto, passa diritto» ha detto, «e sali al piano di sopra; e troverai una tavola apparecchiata. In questa tavola apparecchiata» ha detto, «c è il pranzo pronto per chi deve arrivare; questa tavola apparecchiata sta aspettando te. Poi... Ma non vedrai ancora il porcospino» ha detto. «Questa è la casa del porcospino, ma il porcospino» ha detto «lo troverai in una stanza, perché questo palazzo lo devi girare tutto; e lo troverai in cattivo stato perché il porcospino, se tu non vai, sta per morire.» «Ih, cuore mio! Qualunque sacrificio, già faccio tutto quello che voi mi dite. Ma chi siete? Ditemelo, siete mamma?» «No, non sono mamma tua ma ti sto proteggendo.» Tando ch intrada e crobada, nachi, su pohu ipinu, da unu momentu a s ateru, nachi, tottu offiadu, offiadu, offiadu cun cuddos oios, nachi, abbaidendesila; e issa timendelu, issa timendelu. «Pohu ipinu meu,» nachi «coro, chi già ti chelzo ene, già t ilthimo» nachi «cantu... cantu... cantu su coro.» L a nadu ibbia. Cuddu chi ad intesu "cantu su coro", si ipezzada su pohu ipinu e nde essi culthu grande prinzipe: «Eh! Finalmente» a nadu «è finida sa penitenzia mia; tue filthi» a Allora è entrata e trova il porcospino, dice, che da un momento all altro si era tutto gonfiato, gonfiato, gonfiato, con quegli occhi che la guardavano e lei ne aveva paura, lo temeva. «Porcospino mio,» dice «cuore mio, già ti voglio bene, già ti amo, quanto... quanto... quanto il cuore.» Gli ha detto solo questo. Quello, al sentire "quanto il cuore" si spezza, il porcospino, e ne vien fuori questo grande principe: «Eh, finalmente è finita la

7 nadu «protetta da un anima ona. Eo creo chi siad ilthada mamma tua, chi a mie m a raccontadu tottu culthu chi eo ti devia proteggere, e si eo no resessia a igustu de ti... de ti proteggere» a nadu «eo moria. No molzo ca tue» a nau «m asa liberadu; su pohu ipinu, ch idende sese...» a nau «so unu prinzipe chi fia sett annos in penitenzia. Como andamus» a nadu «ca su pranzu è prontu, ca sono su fizu de unu re e devimus manigare umpare.» mia penitenza!» ha detto. «Tu eri protetta da un anima buona. Io credo che fosse tua madre che mi ha raccontato tutto questo, che ti dovevo proteggere e che se non fossi riuscito a proteggerti, sarei morto» ha detto. «Non muoio, perché tu mi hai liberato; il porcospino che vedi... sono un principe che è stato per sette anni in penitenza. Adesso andiamo,» ha detto, «perché il pranzo è pronto, perché io sono figlio di un re e dobbiamo mangiare insieme.» Fiaba sarda da:

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