Fusione nucleare. Strutture resistenti al calore nel laboratorio HRP

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1 Fusione nucleare Strutture resistenti al calore nel laboratorio HRP ENEA CENTRO DI RICERCA FRASCATI 29 settembre 2017 Dott. Giuseppe Ramogida, Laboratorio FSN/FUSTEC/TES

2 Fusione nucleare Strutture resistenti al calore nel laboratorio HRP La fusione nucleare (in due parole) Il reattore a fusione sfrutta le reazioni di fusione nucleare in cui due nuclei leggeri vengono portati a reagire insieme creandone uno più pesante e liberando al tempo stesso energia, sotto forma di radiazione ed energia cinetica delle particelle prodotte. Affinché ciò avvenga è necessario che i due nuclei si avvicinino fino a toccarsi ma, essendo entrambi carichi positivamente, ciò è possibile solo ad altissime temperature, in modo che l agitazione termica vinca la barriera di potenziale coulombiano (entrambi i nuclei sono positivi) e permetta ai nucleoni (protoni e neutroni) di avvicinarsi abbastanza da permettere l azione della forza nucleare forte (la forza nucleare forte è una delle quattro interazioni fondamentali in natura, è circa 100 volte più intensa di quella elettromagnetica ma agisce solo a distanze molto piccole, dell ordine di m). La temperatura necessaria a permettere questo tipo di reazioni nucleari è dell ordine delle centinaia di milioni di gradi (ovvero decine di kev, usando la misura dell energia E=k B T al posto di quella della temperatura) e varia con il tipo di reazione: la più accessibile e quella che sarà utilizzata nei prossimi reattori a fusione è quella tra deuterio e trizio, due isotopi dell idrogeno con, rispettivamente, 1 o 2 neutroni nel nucleo. A queste temperature qualsiasi materiale si trova nello stato di plasma, il quarto stato della materia in cui tutti gli atomi di un gas sono completamente ionizzati, ovvero tutti i nuclei e gli elettroni sono liberi e non formano singoli atomi. 1 Il confinamento magnetico (in due parole) Ovviamente nessun materiale, naturale o artificiale, è in grado di resistere a queste temperature (anche il tungsteno fonde a 3400 C ed evapora a 5500 C) perché passerebbe esso stesso nello stato di plasma: si può però sfruttare la carica elettrica dei componenti (nuclei ed elettroni) del plasma per confinarlo magneticamente, ossia per contenerlo tenendolo lontano, grazie ad elevati campi magnetici, dalle strutture della macchina stessa che lo contiene. Questo ricorda il problema

3 degli alchimisti medievali che cercavano il solvente universale, capace di sciogliere qualsiasi sostanza, e che non poteva essere contenuto in nessun recipiente. Anche le stelle (ed il sole) bruciano grazie alle reazioni di fusione nucleare tra nuclei di idrogeno che formano elio (ma anche tra altri nuclei in misura minore): in questo caso il confinamento avviene grazie alla forza di gravita che è molto meno intensa di quella elettromagnetica e richiede quindi un numero di particelle interagenti molto più grande. Abbiamo quindi un duplice problema: riscaldare un gas di particelle cariche affinché possano toccarsi ed al tempo stesso confinarle affinché non scappino via dopo gli urti: la soluzione più promettente ad oggi (e la più usata) è basata sul concetto di Tokamak (acronimo russo di TOroidal'naya KAmera v MAgnitnykh Katushkakh, "Camera toroidale con bobine magnetiche"), proposto nel 1950 da Andrei Sakharov e Igor Tamm. Il Tokamak è una macchina composta da una camera toroidale (il toro è il solido ottenuto facendo ruotare un cerchio attorno ad una retta che non lo attraversa, ossia è una ciambella) circondata da bobine percorse da corrente. Nella camera, tenuta solitamente in condizione di ultra vuoto, viene immesso all inizio dello sparo il gas (solitamente deuterio, ma anche idrogeno od elio, a volte deuterio e trizio) che si ionizzerà formando il plasma. Le bobine sono divise in due gruppi: quelle di campo toroidale, costituite da anelli attorno alla camera, che confinano il plasma e quelle di campo poloidale, costituite da anelli coassiali alla camera, che ionizzano e riscaldano il plasma oltre ad allungare il tempo di confinamento ed a creare la forma desiderata della sezione di plasma. 2

4 Oltre il confinamento I due campi magnetici prodotti dalle bobine nel tokamak (poloidale e toroidale) si sommano in un campo elicoidale, le cui linee di campo giacciono su superfici concentriche al centro della camera. Le particelle cariche che formano il plasma girano a loro volta attorno a queste linee di campo e restano confinate solo per un tempo limitato, dopo il quale, mediamente, toccano le pareti della camera perdendo parte della loro energia o venendo assorbite. Inoltre, come tutte le particelle cariche in rotazione o accelerate, perdono energia emettendo radiazione di sincrotone e di frenamento (bremmstrahlung). Il confinamento magnetico quindi non può evitare completamente che le pareti della camera vengono riscaldate dagli urti con le particelle che sfuggono dal campo magnetico e dalla radiazione che emettono. Inoltre le reazioni nucleari producono neutroni veloci che, essendo elettricamente neutri, non vengono confinati dal campo magnetico e contribuiscono ad incrementare il carico termico sulle pareti della camera. Anche la radiofrequenza che viene usata per riscaldare ulteriormente il plasma (come in un forno a microonde) fornisce, per la parte non assorbita dal plasma, un ulteriore carico termico per le pareti. In realtà è proprio questo calore sulle pareti che verrà sfruttato, in un reattore a fusione, per produrre energia, così come in una centrale termica a combustione. Nelle macchine sperimentali attuali invece questo calore viene dissipato all esterno e costituisce uno dei limiti tecnologici principali alla realizzazione di macchine ad alte prestazioni. 3

5 Il divertore Per riuscire a produrre in un reattore a fusione più energia di quanta se ne è impiegata per creare, confinare e riscaldare il plasma è necessario accedere alla cosiddetta ignizione, in cui l energia prodotta dalle reazioni nucleari supera la somma di quella irraggiata all esterno e di quella immessa dall esterno per riscaldare il plasma. Per raggiungere questa condizione è necessario che il prodotto della temperatura, della densità e del tempo di confinamento del plasma superi un certo valore (che dipende comunque dalla temperatura): è il criterio di Lawson (o più correttamente criterio di ignizione). Per la reazione deuterio-trizio la temperatura ottimale di reazione (quella che presenta il minore prodotto triplo) è di circa 20 kev ed a questa temperatura occorre, per esempio un tempo di confinamento di 1 s ad una densità di 1.5e20 m -3 per soddisfare il criterio di ignizione. Questa densità di particelle corrisponde a quella di un gas molto rarefatto: per paragone, la densità di particelle di un gas ideale a 0 C ed 1 atm è di circa 2.7e 25 m -3, tuttavia non è possibile aumentarla arbitrariamente in un tokamak perché per confinare un plasma più denso occorrerebbe un campo magnetico esterno maggiore, superiore a quanto possibile tecnicamente ed economicamente. Per raggiungere e superare il criterio di ignizione resta quindi la strada dell aumento del tempo di confinamento: questo è possibile utilizzando configurazioni particolari di plasma, dette modo H (High confinement), in cui la sezione del plasma confinato assume una particolare forma ad X e non tocca in nessun punto superfici solide, a differenza di quanto avviene con le configurazioni dette limiter. In queste configurazioni ad X le impurezze ionizzate fluiscono lungo le linee di campo magnetico fino a colpire in due zone (strike points) un bersaglio solido detto divertore che facilita l accesso al modo H, riduce il contenuto di impurezze dal plasma aumentandone la purezza e dissipa una gran parte del carico termico uscente. 4

6 La tecnologia del divertore La densità di potenza termica incidente sul divertore può raggiungere valori di centinaia di MW/m 2 che non possono essere sostenuti da nessun materiale, pertanto occorre aumentare il più possibile la superficie solida esposta al flusso termico tramite l inclinazione dei bersagli, l espansione delle linee di campo magnetico e l oscillazione (sweeping) degli strike points. Nonostante questi accorgimenti il flusso termico è sempre molto alto (decine di MW/m 2 ), occorre pertanto utilizzare per questi bersagli dei materiali capaci di resistere a tali flussi e di dissipare il calore senza deformarsi e senza fondere, per evitare che la loro erosione introduca impurezze indesiderate nel plasma che ne diminuirebbero la purezza ed aumenterebbero il rischio di perdite improvvise del confinamento (disruzioni). 5

7 Le superfici direttamente esposte al plasma del divertore dovranno quindi essere realizzate: - Con materiali resistenti al calore ed all erosione; - Con materiali ad alta diffusività termica per trasmettere il calore al fluido di raffreddamento; - Con materiali che vengono danneggiati il meno possibile dai neutroni; - In piccole piastrelle (monoblocchi) per minimizzare gli effetti dell espansione termica; - Con superfici accuratamente lavorate ed allineate per rendere omogeneo l angolo di incidenza delle particelle energetiche sui bersagli; - Con adeguati circuiti di asportazione del calore progettati in modo tale da evitare rotture o deformazioni causate dai carichi termici ed elettromagnetici. I materiali che soddisfano queste condizioni sono principalmente tungsteno e berillio ed, in parte, materiali compositi CFC con fibre di carbonio (che non possono però essere usati con il trizio perché tendono ad intrappolarlo). 6

8 I componenti direttamente affacciati al plasma del divertore si chiamano Plasma Facing Units (PFU). Essi sono costituiti da tubi di rame in cui scorre l'acqua di raffreddamento, rivestiti con materiale detto di "armour", armatura. Per il divertore di ITER, il reattore a fusione internazionale in costruzione in Provenza, a Cadarache, il materiale di armatura scelto è il tungsteno. La giunzione fra i materiali di armour e i tubi di rame a causa delle forti differenze di dilatazione termiche dei materiali richiede tecniche speciali. 7

9 Il laboratorio HRP del Centro ENEA a Frascati Nel Centro di ricerche ENEA a Frascati vengono condotte importanti attività di ricerca e sviluppo di tecnologie e standard industriali per la giunzione tra questi materiali e la verifica della qualità dei componenti realizzati. In particolare a Frascati è stato sviluppato il processo HRP (Hot Radial Pressing) di giunzione tra monoblocchi e tubi. Queste attività, realizzate nel laboratorio HRP, contribuiscono in maniera fondamentale alla fabbricazione dei PFU del divertore di ITER, Descrizione del laboratorio HRP La zona accessibile per le visite è costituita da due vaste sale adiacenti, in cui vengono effettuate buona parte delle operazioni di sviluppo del processo HRP e di costruzione dei prototipi dei componenti ad alto flusso termico per il divertore di ITER. In queste sale potranno essere osservate le attrezzature usate, i prototipi prodotti ed alcune dimostrazioni dei processi di test e controllo della qualità dei componenti realizzati. 8

10 (1) Preparazione e controllo monoblocchi in tungsteno. (2) Forno standard in grafite per il casting (fusione dell interlayer di rame nei fori dei monoblocchi di tungsteno), riscaldamento elettrico inerziale in atmosfera di argon 3 bar (max 12 bar), temperatura di operazione 1100 C (max 1400 C). 9

11 (3) Montaggio monoblocchi nei tubi ed inserimento nei gusci per HRP. (4) Forni in metallo per HRP, riscaldamento elettrico sotto vuoto 5e -6 mbar (con pompe rotativa e turbomolecolare), temperatura di operazione 600 C, gas per la pressurizzazione del tubo, argon a 600 bar (tramite moltiplicatori di pressione): (a) con riscaldamento inerziale per i PFU di ITER, curvi; 10

12 (b) con riscaldamento diretto per effetto joule di tubi diritti per piccoli campioni per indagini sperimentali. (5) Pompa e rivelatore per la verifica della tenuta del vuoto (leak test) dei tubi dopo la giunzione HRP. 11

13 (6) Sistemi di controllo non distruttivo ad ultrasuoni in acqua per la verifica della presenza di difetti nelle giunzioni e nei materiali, con sonde pulse echo (emissione e misura ultrasuoni dalla stessa sonda) a 15 MHz: (a) sistema a 4 assi (x, y, z e rotazione) ad immersione per monoblocchi (tegole) e piccoli prototipi diritti; (b) sistema a movimentazione elicoidale per il controllo dei PFU di ITER (circa 7 ore per la scansione completa di un tubo di 1.8 m). (7) Verifica dimensionale dei componenti realizzati. 12

14 Processo HRP Il processo HRP (Hot Radial Pressing) è un processo di giunzione dei monoblocchi forati al tubo in lega di rame che impiega la pressione dovuta all espansione radiale del tubo prodotta da un gas inerte per promuovere la saldatura per diffusione a temperature relativamente basse (600 C) evitando così le deformazioni e le transizioni di fase nella lega. I monoblocchi forati utilizzati sono in tungsteno e, nel passato, in materiali compositi rinforzati con fibre di carbonio CFC, di varie dimensioni (attualmente 30x30x12 mm 3 ). I tubi costituenti i componenti ad alto flusso termico per i bersagli (target) del divertore sono in leghe di rame (CuCrZr o Glidcop a basso contenuto di ossigeno). L interfaccia (interlayer) tra tubi e monoblocchi è in rame, per ridurre gli stress residui della giunzione. Il processo inizia con la preparazione dei monoblocchi forati e puliti, nel cui foro è posizionato un piccolo cilindro di rame per mezzo di un'apposita attrezzatura in grafite (su cui il rame fuso non si attacca) I monoblocchi così preparati vengono posizionati nel forno (punto (2) nella mappa) per il processo di fusione (casting) a 1100 C in atmosfera inerte di Argon a 3 bar. Il fine è quello di ottenere un rivestimento di rame all'interno del foro del monoblocco. Successivamente i monoblocchi così ottenuti vengono lavorati (da ditte esterne) per portare il foro interno a 13 mm e vengono controllati con il sistema ad ultrasuoni (punto (6a) nella mappa) per verificare la presenza di eventuali difetti nel rame. Successivamente il foro interno viene nuovamente lavorato e portato alle dimensioni finali utili per il montaggio sul tubo (15.08mm). Dopo essere stati puliti con acido cloridrico e passaggio in vasche ad ultrasuoni (nel laboratorio di chimica, non inserito nel percorso di visita) i monoblocchi sono pronti per il montaggio sul tubo in CuCrZr. Lo strato di rame puro all'interno del foro è indispensabile per il funzionamento del componente oltre che per la riuscita della giunzione; esso infatti è un materiale "morbido" che permette di attenuare gli sforzi fra "armour" e tubo. I monoblocchi così ottenuti vengono inseriti (punto (3) della mappa) nei tubi in lega di rame che costituiranno le condotte di raffreddamento dei componenti del divertore. Le parti di tubo che non sono coperte dai monoblocchi vengono rivestite con appositi gusci di contenimento che forniscono la resistenza alla pressione del gas durante il processo HRP. I prototipi così assemblati vengono quindi posti in uno dei forni HRP (punto (4) della mappa) a seconda della loro geometria e della tecnica di riscaldamento che si vuole utilizzare. Il processo HRP vero e proprio prevede una salita controllata in temperatura fino a 350 C (con una pausa di alcune ore per permettere il degassamento, ossia l'espulsione di impurezze intrappolate nei materiali) e poi fino a 600 C, durante le quali i prototipi sono liberi di espandersi nel forno. A questo punto i prototipi vengono bloccati e viene applicata una pressione di 600 bar con argon all interno del tubo, per circa 2 ore. Infine i prototipi vengono lasciati raffreddare in modo controllato. Tutto il processo è gestito da un computer che controlla il riscaldamento ed acquisisce i segnali delle termocoppie (per la misura delle temperature in vari punti del forno e del prototipo), dei misuratori di pressione, delle celle di carico meccaniche (per la misura delle forze) e dei sensori di posizione (per la misura degli spostamenti). 13

15 Dopo il raffreddamento viene controllata la tenuta al vuoto dei tubi (punto (5) della mappa) e la qualità della saldatura per diffusione tra monoblocchi e tubi utilizzando uno degli ecografi (punto (6) della mappa) a seconda delle dimensioni del prototipo da analizzare. Infine vengono effettuati i primi test dimensionali e di planarità dei componenti ottenuti (punto (7) della mappa), successivamente integrati da misure con laser tracker in un altro laboratorio del centro. I componenti finiti che si possono osservare sono i prototipi in scala 1:1 dei PFU del divertore di ITER, in particolare dell Inner Vertical Target. Ognuno di questi PFU ad alto flusso termico è composto da 138 monoblocchi di tungsteno (30x30x12 mm 3 ) montati su un tubo lungo 1.8 m in CuCrZr, per un peso complessivo di circa 30 kg. 14

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