UNIVERSITA DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea di 1 livello dell area sanitaria C.L.

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea di 1 livello dell area sanitaria C.L. in FISIOTERAPIA LE LESIONI MUSCOLARI TRAUMATICHE DELL ARTO INFERIORE DELLO SPORTIVO: IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO Relatore Prof. Sandro Cortini Tesi di Alberto Marcheselli ANNO ACCADEMICO

2 INDICE Pagina RIASSUNTO 2 INTRODUZIONE Anatomia del muscolo scheletrico 3 Fisiologia e biomeccanica del muscolo scheletrico 8 Fibre muscolari e unità motorie 13 Eziologia e patogenesi delle lesioni muscolari 16 Epidemiologia 23 Classificazione delle lesioni muscolari 24 LE TERAPIE FISICHE 36 LA RIEDUCAZIONE FUNZIONALE 44 LE COMPLICANZE 60 LA PREVENZIONE 63 BIBLIOGRAFIA 72 1

3 RIASSUNTO Il muscolo scheletrico non deve essere concepito come un organo estrapolato dall apparato locomotore ed indipendente dai complessi meccanismi di controllo motorio. Possiamo considerarlo come un motore in grado di trasformare energia chimica in energia meccanica. Tale motore supportato dalla leva scheletrica produce un lavoro che controlla la postura e promuove il moto del corpo e delle sue parti rispetto all ambiente esterno. Questa attività è determinata da stimoli che provengono dal Sistema nervoso centrale e sono integrati da altri provenienti dai vari recettori periferici situati un po dappertutto e che forniscono le informazioni necessarie per eseguire un determinato compito motorio. In ambito sportivo le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro in tutte le discipline sportive e la loro incidenza è calcolata tra il 10 ed il 30% di tutti i traumi da sport. Il trattamento delle patologie muscolo-tendinee comprende una prima fase in cui è necessario favorire una restitutio ad integrum anatomica del tessuto lesionato seguita da una fase successiva di recupero della funzione. E quindi fondamentale l approccio multidisciplinare dove il ruolo della terapia fisica strumentale costituisce un valido supporto alle tecniche manuali e all esercizio terapeutico senza tralasciare l importanza della prevenzione. 2

4 INTRODUZIONE Anatomia del muscolo scheletrico Macroscopicamente il muscolo scheletrico si presenta costituito da una parte carnosa (ventre muscolare), che può assumere diverse forme, e da una parte tendinea, in continuità con esso, che si inserisce col suo lato terminale sul tessuto osseo (Non tutti i muscoli scheletrici si inseriscono effettivamente con i loro tendini sui segmenti ossei; ad esempio i muscoli pellicciai, che consentono i movimenti della pelle, presentano formazioni tendinee che si inseriscono sulle strutture profonde della cute e su fasce connettivali). Ogni muscolo è avvolto da una fascia di connettivo denominata epimisio sotto al quale è possibile notare pacchetti di fibre muscolari chiamati fasci tutti avvolti da connettivo che prende il nome di perimisio. Si arriva poi alla fibra muscolare rivestita di una sua membrana connettivale l endomisio. Nei setti connettivali posti tra i fasci muscolari decorrono i vasi ematici, che formano a livello dell endomisio, una rete capillare attorno alle singole fibrocelllule muscolari. Le strutture vascolari presentano la caratteristica di adattarsi alla lunghezza del muscolo, per questo sono di aspetto tortuoso nel muscolo contratto ed allungate nel muscolo disteso. Il distretto circolatorio della muscolatura scheletrica è, infatti, uno dei più estesi di tutto l organismo. Il flusso sanguigno che vi fluisce è però ampiamente variabile, è regolato sulla base di esigenze funzionali, da arteriole terminali, provviste di innervazione simpatica vasomotoria. Ciò spiega l elevata frequenza di versamento ematico in caso di lesione traumatica della massa muscolare. 3

5 Nel connettivo interposto tra le fibre decorrono quindi anche i nervi, costituiti da fibre motorie e sensitive. I muscoli possono essere classificati secondo vari criteri, quali la forma(fusiformi, orbicolari, ecc.), il numero dei capi di origine (bicipiti, tricipiti, quadricipiti), oppure secondo la differente modalità d inserzione delle fibre muscolari sul tendine (a fibre parallele o pennati). Esistono inoltre classificazioni che si basano su criteri funzionali, quali il tipo di movimento effettuato rispetto ad un piano di riferimento (flessori, adduttori, ecc.) oppure il numero di articolazioni che possono essere mosse direttamente (monoarticolari, biarticolari, pluriarticolari). Microscopicamente il tessuto muscolare striato è costituito da cellule plurinucleate, di forma cilindrica e allungata, denominate fibre muscolari. Ogni fibra muscolare può avere un diametro compreso tra 10 e gli 80 micrometri. Come ogni cellula la fibra muscolare è circondata da una membrana cellulare denominata sarcolemma. Ciò che caratterizza la cellula muscolare scheletrica, è il suo alto contenuto di proteine, organizzate in strutture fibrillari, denominate miofibrille che si presentano fittamente stipate all interno della fibra muscolare. La sostanza gelatinosa che occupa lo spazio tra le miofibrille è il sarcoplasma, ossia il costituente fondamentale della cellula muscolare, contiene, disciolti in soluzione, proteine, minerali, glicogeno, lipidi e differenti organuli necessari alla vita cellulare. All interno del sarcoplasma, tra le miofibrille, è presente un sistema tubulare, che deriva da invaginazioni del sarcolemma e che permette all onda di depolarizzazione di propagarsi, senza latenze, all interno della fibra. Tale sistema è in stretto contatto con il reticolo sarcoplasmatico costituito da una rete di canali membranari che sono disposti parallelamente ed intorno alle miofibrille con la funzione di contenere gli ioni calcio, i quali sono essenziali durante il meccanismo della contrazione muscolare. 4

6 Figura 1. Miofibrilla e sarcomero. 5

7 La miofibrilla, che rappresenta l elemento contrattile della fibra muscolare, può essere suddivisa in numerose sub-unità denominate sarcomeri. Al microscopio elettronico, il muscolo scheletrico presenta delle classiche alternanze di zone chiare e di zone di aspetto più scuro. Per questo è anche chiamato muscolo striato. Questa striatura è dovuta all alternanza di bande chiare, chiamate bande I (isotrope) e di bande scure, chiamate bande A (anisotrope). Ogni banda A presenta al centro una regione meno densa, denominata zona H e visibile solo nel muscolo rilassato. Anche le bande I presentano al centro una stria scura, detta linea Z. La porzione di miofibrilla compresa tra due strie Z costituisce il saromero, il quale è considerato la più piccola unità funzionale del muscolo scheletrico. Sempre con il microscopio elettronico sono visibili due tipi di filamenti all interno del sarcomero: filamenti spessi, all interno della banda A e filamenti sottili che originano dalla linea Z e si vanno ad inserire tra due filamenti spessi adiacenti, verso la zona H. I filamenti spessi sono costituiti da miosina, proteina ad alto peso molecolare che a sua volta costituisce circa i due terzi del contenuto proteico totale del muscolo scheletrico. Un filamento di miosina è formato da circa 400 molecole di miosina intrecciate tra loro, ognuna delle quali è suddivisa in due subunità, dette di meromiosina leggera e di meromiosina pesante. Quest ultima contiene numerose terminazioni globulari (le teste della miosina), che costituiscono la subunità S1, dotata di attività ATP-asica e che contiene il sito di legame con l actina. Al momento della contrazione, le teste della miosina che protrudono verso le molecole di actina andranno a formare i ponti tra i filamenti spessi e quelli sottili. I miofilamenti sottili sono composti da molecole di actina, una proteina globulare, avvolta a doppia elica, che origina dalle linee Z, che a loro volta sono costituite da una forma di actina detta actinina. Ogni molecola di actina 6

8 contiene un sito di legame per la testa della miosina che, in condizioni di riposo, è bloccata da altre due proteine, la tropomiosina e la troponina. Altre proteine presenti nel muscolo sono: la titina, la nebulina e la connettina; la loro funzione è quella di stabilizzazione e centraggio del sarcomero nel corso della contrazione stessa. 7

9 Fisiologia e biomeccanica del muscolo scheletrico Il muscolo scheletrico può essere paragonato ad un motore, che trasforma l energia chimica in esso contenuta come adenosintrifosfato (ATP), in energia meccanica, agendo sul sistema di leve scheletriche. Il lavoro meccanico così prodotto, è utilizzato per promuovere il moto del corpo e delle sue parti rispetto all ambiente esterno e per l attività posturale. L attività del sistema muscolare è determinata da una componente centrale, o nervosa, e da una componente periferica o muscolare. L impulso nervoso, originato centralmente e trasportato dai motoneuroni, perviene a livello della placca motrice e si propaga all interno della fibra muscolare grazie al sistema tubolare membranoso. Il potenziale d azione e la conseguente depolarizzazione della membrana della fibra muscolare, determinano la liberazione degli ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Questi, interagendo con il sistema di regolazione troponina-tropomiosina, provocano la liberazione del sito attivo sull actina e conseguentemente la formazione dei ponti actomiosinici. Una volta stabilito il contatto tra l actina e la testa della miosina, questa immediatamente ruota nella direzione che provoca un accorciamento del sarcomero (contrazione concentrica), attraverso lo scorrimento dei filamenti di actina sui filamenti di miosina. E interessante notare che ciascun sarcomero può accorciarsi per non più del 50% della sua lunghezza di riposo. Durante la contrazione muscolare, i ponti sono continuamente formati e scissi a patto che sia disponibile una certa quantità di ioni calcio e di ATP. Anche il rilassamento, una volta cessato lo stimolo nervoso che ha provocato la contrazione muscolare, avviene attraverso un meccanismo attivo che necessita di ATP per riportare gli ioni calcio all interno del reticolo sarcoplasmatico, ripristinando 8

10 l effetto inibitorio del sistema troponina-tropomiosina, e soprattutto per la scissione dei ponti actomiosinici. E evidente quindi, che i deficit di risintesi di ATP (tipici dell affaticamento) e le condizioni che impediscono il reuptake del calcio, implicano una difficoltà a rilassare il muscolo in esercizio. 9

11 Figura 2. Fisiologia del muscolo scheletrico. 10

12 Dal punto di vista biomeccanico, la forza muscolare è il risultato della somma delle forze prodotte dai ponti actomiosinici di un determinato muscolo, in un determinato momento. Queste dipendono dai rapporti che si vengono ad instaurare tra i filamenti di actina e di miosina nell ambito del sarcomero, che a loro volta dipendono dalla lunghezza del sarcomero, dalla sua velocità di contrazione e dal numero di sarcomeri in parallelo. Per sarcomeri in serie si intendono i sarcomeri situati uno dopo l altro, per una certa lunghezza, che non è altro che la lunghezza della fibra muscolare. Per sarcomeri in parallelo si intendono i sarcomeri situati uno sopra l altro ed appartenenti a fibrille diverse, cosicché il numero di sarcomeri in parallelo determina la superficie di sezione del muscolo. Prendendo in considerazione la tensione prodotta in condizioni isometriche e la lunghezza del sarcomero si può affermare che esiste una lunghezza ottimale alla quale il sarcomero è in grado di esprimere la sua tensione massimale. Con lunghezze maggiori o minori della lunghezza ottimale, lo stesso sarcomero esprime sempre tensioni inferiori, poiché il massimo numero di ponti che può essere formato è sempre minore rispetto alla lunghezza ottimale. Anche la forza muscolare in vivo, dipenderà quindi dalla possibilità di formare ponti actomiosinici. La forza massima del muscolo dipende in sintesi dalla superficie di sezione muscolare(cioè dai sarcomeri in parallelo), mentre la velocità di accorciamento dipenderà dalla lunghezza del muscolo(cioè dai sarcomeri in serie). Dal punto di vista funzionale, l ipertrofia muscolare andrà intesa principalmente come un aumento dei sarcomeri in parallelo, ma anche un aumento dei sarcomeri in serie può essere considerato una forma di ipertrofia. 11

13 Per avere un idea quantitativa della massa muscolare in relazione alla sua capacità di generare forza, i fisiologi muscolari sono soliti parlare di tensione specifica. E questa una grandezza che deriva dal rapporto tra la forza esercitata da un muscolo e la sua superficie di sezione fisiologica. Per superficie di sezione fisiologica si intende l area di sezione muscolare condotta ortogonalmente all asse longitudinale delle fibre ed indicativa del numero di sarcomeri in parallelo. Essa è maggiore nei muscoli nei quali le fibre non si continuano direttamente nel tendine, ma formano con esso un certo angolo, denominato angolo di pennazione, per questo questi muscoli sono detti pennati. 12

14 Fibre muscolari ed unità motorie Le fibre muscolari vengono distinte in fibre rosse o del I tipo, e fibre bianche, o del II tipo, sulla base dell aspetto assunto in relazione all attività ATP-asica posseduta dalla miosina. Dal punto di vista funzionale si è osservato che a questa classificazione morfologica, corrispondevano particolari caratteristiche meccaniche per cui le fibre bianche erano dotate di una maggiore velocità di contrazione rispetto alle fibre rosse, che risultano più lente. Lo studio di altre caratteristiche, quali il contenuto di mitocondri e l attività di enzimi propri dei processi ossidativi o glicolitici, ha permesso di precisare ulteriormente la classificazione delle fibre muscolari, e quindi oggi si possono distinguere: fibre a lenta contrazione, caratterizzate da metabolismo ossidativi (fibre SO, tipo I); fibre a contrazione rapida, con metabolismo glicolitico (fibre FG, tipo II B) e fibre a contrazione rapida, con metabolismo sia ossidativo che glicolitico (fibre FOG, tipo II A). Le fibre di tipo I e II (A e B) si trovano frammiste in modo apparentemente casuale in ogni muscolo scheletrico, tuttavia, a seconda della prevalenza dell uno o dell altro tipo, di fibre i muscoli sono classificati anch essi in due categorie: a) I muscoli bianchi, ricchi di fibre di tipo II B (ma anche di tipo II A), detti anche muscoli fasici perché capaci di contrazioni rapide e brevi. b) I muscoli rossi, ove prevalgono le fibre di tipo I, noti anche come muscoli tonici, per la capacità di restare a lungo in contrazione. Alla prima categoria appartengono i muscoli che presiedono ai movimenti più fini e veloci, alla seconda invece appartengono i muscoli del tronco e degli arti ed in genere quelli che presiedono al tono posturale. 13

15 Per comprendere appieno la funzione muscolare non è più attuale considerare la fibra muscolare indipendente dalla sua innervazione. Ogni singola fibra muscolare, infatti, si contrae poiché riceve uno stimolo che corre lungo un singolo motoneurone, il quale innerva più fibre muscolari che presentano simili caratteristiche. Il Motoneurone e le fibre muscolari da esso innervate costituiscono l unità motoria che è la più piccola unità neurofunzionale del muscolo. Ogni motoneurone può innervare da 15 a 2000 fibre muscolari. Il rapporto tra motoneurone e numero di fibre muscolari innervate, indica la capacità di eseguire movimenti fini e di graduare finemente la forza esprimibile da un muscolo. Ad esempio, il rapporto tra motoneurone e fibre muscolari in un muscolo interosseo della mano è pari a 1: 342, mentre nel gastrocnemio è pari a 1: Funzionalmente, le unità motorie sono classificate considerando il tempo di contrazione, il picco di forza, il tempo di rilassamento e l affaticamento. Ciò permette di distinguere le unità motorie in S (slow), FF ( fast fatiguing), e FR (fast fatigue-resistant). Ogni unità motoria possiede fibre muscolari omogenee: le unità motorie S sono costituite da fibre muscolari SO; le unità motorie FF sono costituite da fibre muscolari FG e le unità motorie FR sono costituite da fibre muscolari FOG. Le unità motorie S producono meno forza, poiché il motoneurone innerva un minor numero di fibre muscolari rispetto agli altri tipi di unità motorie e perché le fibre SO presentano un diametro minore rispetto alle FOG e alle FG. Le unità motorie rapide sono quindi in grado di esprimere forze elevate, di esprimere la forza velocemente e di produrre una maggiore potenza, ma con minor efficienza rispetto alle fibre lente. La proporzione di fibre muscolari e di unità motorie all interno di un muscolo, è determinata geneticamente ed è, in parte, il risultato dell esercizio quotidiano e dell allenamento. Diverse evidenze sperimentali testimoniano che l allenamento 14

16 con i sovraccarichi tende a produrre ipertrofia muscolare, mentre l allenamento di lunga durata tende a sviluppare le doti di resistenza. Tuttavia l esercizio non ha solamente effetti trofici e metabolici, ma anche effetti complessi sul sistema nervoso centrale e sull intero organismo. 15

17 Eziologia e patogenesi delle lesioni muscolari Riguardo ai fattori eziopatogenetici delle lesioni muscolari si riconoscono e si distinguono cause o condizioni predisponenti (1) e cause o condizioni determinanti (2). Distinguiamo le condizioni predisponenti in generali e individuali. a) Condizioni predisponenti generali: Difetti di allenamento e flessibilità Fatica Condizioni atmosferiche Velocità di movimento b) Condizioni predisponenti individuali: Condizioni patologiche post-infettive Fattori articolari Squilibri muscolari Età Condizioni determinanti: Trauma contusivo Azione dinamica attiva Azione dinamica passiva 16

18 1) Condizioni predisponenti Difetti di allenamento e flessibilità Può essere inteso non necessariamente in una carenza di preparazione atletica generale, ma in una mancanza di abitudine a svolgere un determinato tipo di movimento. Ciò comporterebbe a livello muscolare, un eccessiva sollecitazione rispetto alle normali capacità di lavoro. Importante è anche il ruolo del difetto di allenamento nel soggetto che inizia l attività sportiva. In questa fase, infatti, i fenomeni di adattamento neuro-motorio, che con l allenamento rendono il movimento preciso ed automatico, non sono ancora appunto e si commettono numerosi errori di esecuzione. Ciò può verificarsi anche quando l atleta riprende l attività sportiva dopo una pausa, senza un adeguata progressione dei carichi di allenamento. In questo caso l atleta conosce bene la tecnica esecutiva, ma l apparato locomotore non è ancora pronto e l errore di esecuzione del gesto tecnico può produrre la lesione muscolare. Nei difetti di allenamento possiamo contemplare anche un insufficiente riscaldamento prima della gara, ma anche degli esercizi di allenamento. Non bisogna dimenticare che la maggior parte delle lesioni muscolari da trauma indiretto si verifica proprio durante l allenamento. Un insufficiente riscaldamento compromette l adeguato funzionamento dell apparato locomotore, mantiene elevata la viscosità muscolare e tendinea, pregiudica la coordinazione e comporta un precoce intervento del metabolismo anaerobico, con aumento del debito di ossigeno. Un particolare aspetto del difetto di allenamento riguarda la flessibilità. Un insufficiente flessibilità comporta un eccessivo stiramento dell unità muscolo- 17

19 tendinea che diventa evidente negli esercizi di velocità, che necessitano di ampie escursioni articolari, da percorrere velocemente. La flessibilità inoltre può essere compromessa dalla fatica che tende ad indurre una maggior rigidità muscolare. La fatica La fatica può essere definita come l incapacità di mantenere nel tempo una determinata prestazione. Tale incapacità deriva in parte dall impossibilità di risintetizzare l ATP alla stessa velocità con cui viene utilizzato per fornire energia per gli esercizi intensi, ed in parte dall accumulo di lattato. In realtà l acidosi durante l esercizio, è sempre tamponata e solo in alcuni casi, provoca l inibizione di alcuni enzimi necessari per l utilizzo delle vie metaboliche glicolitiche, che sono deputate a fornire, in breve tempo, elevate quantità di energia. L aumento della lattacidemia oltre i valori di normalità, è indicativo di un ricorso ai meccanismi energetici anaerobici. Tali meccanismi sono caratterizzati da un elevata potenza, ma da una scarsa capacità. Di conseguenza un ricorso precoce a queste vie metaboliche, provocherà uno stato di affaticamento generale, e soprattutto localizzato, che può divenire il terreno favorente una lesione muscolare. In questi casi il meccanismo di azione viene fatto risalire ad un deficit energetico, che si esplica nell incapacità di fornire l ATP necessario per staccare i ponti actomiosinici. Il muscolo o una porzione del muscolo, rimane rigido e non è più utilizzabile durante i normali cicli stiramento-accorciamento e accorciamentostiramento. 18

20 Condizioni atmosferiche Possono avere rilevanza come fattori favorenti le lesioni muscolari, anche le condizioni atmosferiche, soprattutto il freddo, che determina un azione vasocostrittrice, responsabile di una minor irrorazione muscolare e di un minor apporto energetico, con conseguente precoce insorgenza della fatica, soprattutto nei soggetti non adeguatamente allenati e non adeguatamente alimentati. Lo stato del terreno cui non si è abituati (fango, ghiaccio), può favorire fenomeni di incoordinazione motoria che predispongono alla lesione muscolare. Velocità di movimento Un fattore predisponente sembra essere in tutti i casi la velocità elevata del movimento ed in particolare la rapidità di accelerazione. Ciò è confermato dall osservazione che spesso le lesioni muscolari si producono negli atleti ipertrofici, ricchi di fibre muscolari rapide, e comunque nei muscoli che presentano un elevata percentuale di fibre rapide(garrett, 1984; Jonhagen, 1994). Tali muscoli sono in genere più superficiali ed hanno la caratteristica di essere bio pluri-articolari. Inoltre, un muscolo rapido utilizza prevalentemente il metabolismo anaerobico e quindi risulta più facilmente affaticabile. Condizioni patologiche post-infettive Notevole importanza nella predisposizione alle lesioni muscolari è attribuita anche ai fenomeni flogistici. E stato osservato che le lesioni muscolari si verificano con una certa frequenza in atleti che tornano all agonismo dopo 19

21 un assenza, anche breve, per malattia infettiva batterica o virale. In tali casi si produrrebbero nel muscolo alterazioni metaboliche legate alla diminuzione dell ATP o del glicogeno, all aumento dei radicali liberi, oppure allo scadimento della forma fisica con conseguente maggior affaticamento generale e localizzato. Fattori articolari Una situazione del tutto particolare è quella dei muscoli bioarticolari. Infatti, quando un muscolo bioarticolare produce tensione, vengono generati momenti di forza attorno ad entrambe le articolazioni sulle quali il muscolo agisce, tali momenti di forza differiscono a seconda delle diverse distanze che li separano dalle inserzioni prossimale e distale dei rispettivi assi di rotazione. È chiaro che esiste un interazione tra le varie strutture, cosicché ogni articolazione risponde con il massimo momento di forza esprimibile per un dato livello di tensione muscolare. Tuttavia, durante il movimento varia sia la lunghezza del muscolo che il braccio di leva, per cui si vengono a creare situazioni nelle quali la forza generata risulta insufficiente per sostenere il carico. Tali evenienze possono diventare estremamente pericolose se una porzione del muscolo si contrae concetricamente e un altra eccentricamente. Squilibri muscolari Gli squilibri muscolari interessano le lesioni traumatiche indirette dell apparato locomotore, possono essere a carico di: gruppi muscolari antagonisti (es. estensori e flessori del ginocchio), gruppi muscolari sinergici (es. catena muscolare 20

22 estensoria arto inferiore), gruppi muscolari controlaterali (es. ischio peroneo tibiale di destra e di sinistra). Tali squilibri possono riguardare la forza concentrica la forza eccentrica, il rapporto tra forza concentrica ed eccentrica nell ambito di uno stesso gruppo muscolare o di gruppi muscolari antagonisti (Jonhagen, 1994). Lo squilibrio muscolare inoltre può riguardare le capacità di esprimere forza massima, oppure la resistenza e quindi l affaticabilità. L età L età è sicuramente una delle condizioni che predispone alle lesioni muscolari da trauma indiretto, essa determina modificazioni del tessuto muscolare nell ambito del quale le unità motorie subiscono un riarrangiamento, che consiste nella reinnervazione delle fibre muscolari nelle quali il processo di invecchiamento ha determinato la denervazione. Le unità motorie superstiti risultano costituite da un maggior numero di fibre muscolari, con conseguente maggior difficoltà a graduare l intensità della forza. 2) Condizioni determinanti Traumi contusivi Il meccanismo che produce la lesione indica sempre un azione pressoria violenta, di intensità variabile. Walton e Rothwell (1996) ritengono che il trauma contusivo, agendo nella sola area di applicazione della forza traumatica, determina la lesione di un numero di fibre muscolari proporzionale sia all entità della forza 21

23 agente, sia al flusso ematico presente nel muscolo al momento del trauma. Kouvalchouck (1992) sostiene, che in condizioni di rilasciamento, il muscolo sarebbe meno vulnerabile agli insulti traumatici, mentre, in stato di contrazione massimale, si realizzerebbero lesioni più gravi, sino alla rottura totale del ventre muscolare. In particolare lo stato del muscolo influenza l entità della lesione, quando la contusione colpisce la giunzione muscolo-tendinea. Traumi indiretti I fattori determinanti le lesioni muscolari da trauma indiretto sono varie e spesso di difficile identificazione, anche se in tali meccanismi sembra essere sempre implicata un azione muscolare eccentrica(garrett, 1998). Considerando che l azione eccentrica viene effettuata per controllare il movimento e soprattutto per frenare, è ipotizzabile che gran parte delle lesioni muscolari derivino da un controllo inadeguato del movimento, ed in particolare della fase di decelerazione. Si parla di contrazione eccentrica quando la tensione espressa dal muscolo è minore della resistenza esterna, il muscolo viene forzatamente allungato. La rottura si verifica per un azione dinamica passiva cioè per un mancato rilasciamento del muscolo antagonista, oppure per un azione dinamica attiva cioè per eccesso di contrazione del muscolo agonista. L aumento di tensione che provoca la rottura varia secondo lo stato funzionale e trofico del muscolo. A volte la causa determinante è data da un falso movimento, cioè dall esecuzione errata di un dato movimento o gesto atletico. 22

24 Epidemiologia Le lesioni muscolari sono tra gli eventi traumatici più frequenti nella pratica sportiva agonistica e amatoriale. Tuttavia è difficile tracciare una mappa epidemiologica, perché nella maggior parte dei casi lo sportivo ricorre alle cure dello specialista solo in caso di lesioni importanti o in fase tradiva, dopo la comparsa di complicanze post-traumatiche. Crisco e coll. (1994) riportano un incidenza delle lesioni muscolari fino al 90% rispetto ad altri traumi in alcuni tipi di sport; tale elevata percentuale sarebbe da correlare ad una inadeguata metodologia di allenamento, ad errori tecnici, all uso scorretto di attrezzature e/o accessori. In un recente studio, Volpi e coll. (2004) hanno riscontrato un incidenza del 30% dei traumi muscolari nei calciatori professionisti e la lesione si verifica con maggiore frequenza a carico dei muscoli: quadricipite e bicipite femorale. Nella maggior parte dei casi sono interessati muscoli bi o poliarticolari, che contengono grandi quantità di fibre bianche (Noonan et al, 1999). 23

25 Classificazione delle lesioni muscolari La classificazione si limita a prendere in considerazione le contusioni muscolari e le altre lesioni muscolari che sono di più frequente riscontro nella pratica sportiva senza descrivere lesioni muscolari conseguenti a ferite da taglio, punta ecc. Un primo elemento da considerare nelle classificazioni è rappresentato dalla natura diretta o indiretta del trauma (Craig, 1973). Distinguiamo: Lesioni muscolari da trauma diretto, che secondo l interpretazione classica, implica l esistenza di una forza agente direttamente dall esterno. Lesioni muscolari da trauma indiretto, che presuppongono l azione di meccanismi più complessi, chiamano in causa forze lesive intrinseche, che si sviluppano nell ambito del muscolo stesso o dell apparato locomotore. Riguardo alla diversa localizzazione delle lesioni muscolari si deve precisare che, pur nella varietà delle sedi muscolari interessate, l azione contusiva si esplica, di fatto, preferibilmente sulle masse carnose dei muscoli. Per contro, nelle modalità traumatiche indirette, la via lesiva si estrinseca più spesso in prossimità della giunzione muscolo- tendinea, pur essendo possibili anche localizzazioni a livello del ventre muscolare. In ogni caso, la conseguenza anatomo-patologica dei traumi muscolari tranne che per la contrattura e lo stiramento, è rappresentata sempre da un danno anatomico della fibra muscolare, con frequente coinvolgimento della parte connettivale ed eventualmente tendinea e delle strutture vascolari. La diversità delle espressioni anatomo-patologiche e cliniche è data, quindi, dall entità del danno strutturale prodotto dal trauma. 24

26 Lesioni da trauma diretto(contusione) Grado lieve Grado moderato Grado severo Lesioni da trauma indiretto Contrattura Stiramento Strappo Strappo di primo grado Strappo di secondo grado Strappo di terzo grado(rottura parziale o totale) Tabella1. Classificazione delle lesioni muscolari (Craig, 1973). 25

27 Classificazione delle lesioni da trauma diretto Le lesioni muscolari da trauma diretto sono di natura contusiva. Spesso queste lesioni sono considerate come condizioni patologiche di secondaria importanza destinate a guarire in tempi brevi, senza lasciare reliquati. Tuttavia dal punto di vista anatomo-patologico la rottura muscolare prodotta da tali traumi non differisce sostanzialmente da una lesione muscolare dovuta ad altro meccanismo. Poiché dal punto di vista funzionale, lo stato di contrazione muscolare conseguente al trauma provoca una limitazione dell escursione articolare, dovuta ad una ridotta estensibilità muscolare, in accordo con Reid (1992), si classificano le lesioni muscolari da trauma diretto in tre gradi, secondo la gravità, indirettamente indicata dall arco di movimento effettuabile: 1. lesione muscolare di grado lieve: è consentita oltre la metà dello spettro di movimento; 2. lesione muscolare di grado elevato: è concessa meno della metà, ma più di 1/3 dello spettro di movimento; 3. lesione muscolare di grado severo: è permesso uno spettro di movimento inferiore ad 1/3. 26

28 Figura 3. Scansione longitudinale del muscolo retto femorale. Lesione muscolare da trauma diretto III grado. Classificazione delle lesioni muscolari da trauma indiretto Vi è una certa confusione nella classificazione delle lesioni muscolari da trauma indiretto, soprattutto a causa dei diversi termini utilizzati dai vari autori anche come sinonimi. Si parla, infatti, di: contrattura, elongazione, stiramento, distrazione, strappo, rottura, lacerazione. Tali termini si riferiscono in ogni caso a gradi diversi di gravità, identificabili dalle diverse manifestazioni anatomopatologiche e cliniche della lesione. Una delle classificazioni più accreditate presso gli autori di scuola francese (Kouvalchouk, 1992) propone una suddivisione particolarmente dettagliata: 1. contrattura o lesione di grado 0. E la forma più benigna, senza lesioni anatomiche. L evento traumatico responsabile è poco definito. Tale condizione è attribuita ad uno stato di fatica muscolare che, per modificazioni metaboliche, determina un alterazione del tono muscolare. 27

29 2. elongazione o stiramento o lesione di 1 grado. In questo caso, pur non sussistendo interruzioni delle fibre muscolari microscopicamente rilevabili sono evidenziabili alcune anomalie biochimiche ben definite identificate come modificazioni metaboliche intra-citoplasmatiche, disorganizzazioni miofibrillari, lesioni mitocondriali. 3. distrazione o lesione di 2 grado. E caratterizzata da un effettiva lesione anatomica con interruzione di un numero variabile di fibre muscolari. Questo tipo di lesione presenterebbe poi quattro stadi: I. stadio: rottura completa di qualche fibra muscolare senza interessamento del connettivo di sostegno; II. stadio: rottura di un numero maggiore di fibre muscolari, con iniziale interessamento della struttura connettivale, senza un significativo versamento ematico; III. stadio o rottura parziale, caratterizzata dall interessamento di un elevato numero di fibre, associata a lesione del connettivo e delle strutture vascolari e nervose, con formazione di abbondante ematoma intramuscolare; IV. stadio o rottura muscolare completa, in cui si interrompe la continuità del ventre muscolare. Jenoure (1991) distingue, nell ambito delle lesioni muscolari acute, due tipi differenti di lesioni, che vengono a loro volta distinte in benigne e severe. Le lesioni benigne comprendono: il crampo, l indolenzimento, la contrattura, l allungamento, la contusione e lo stiramento minore. Le lesioni severe comprendono: lo stiramento maggiore, la lacerazione, la rottura parziale, il distacco osseo e l ernia muscolare. Reid (1992) suddivide le lesioni muscolari in tre tipi come illustrato in tabella 2. 28

30 1. lesioni muscolari da esercizio fisico (dolore muscolare ritardato) 2. strappo di cui riconosce tre gradi (I, II, III): I^ grado (livelli): -danno strutturale minimo; -piccola emorragia; -guarigione in tempi brevi II^ grado (moderato): -entità del danno variabile; -rottura parziale; -significativa perdita funzionale precoce III^ grado (severo) rottura completa; -occorre aspirare l ematoma; -può essere necessario l intervento chirurgico 3. contusione (lieve-moderata-severa) Tabella 2. Classificazione delle lesioni muscolari (Reid, 1992). 29

31 Muller-Wolfart (1992), distingue diversi gradi di lesione, a seconda dell unità strutturale interessata: 1) stiramento muscolare 3) strappo della fibra muscolare 4) strappo del fascio muscolare 5) strappo muscolare Secondo quest autore, la differenza fra stiramento e strappo sarebbe di tipo qualitativo e non quantitativo; in pratica, nello stiramento non c è mai rottura, anche se piccola di fibre muscolari. Come si può notare nelle proposte di classificazione che sono citate a puro titolo esemplificativo gli elementi differenziali sono costituiti da alterazioni anatomopatologiche ben definite. Le terminologie utilizzate hanno per lo più significati analoghi, e in tutte le classificazioni, vengono definiti gradi crescenti di gravità delle lesioni. Nanni et al. (2000) propone una classificazione che ha la pretesa di essere chiara, pratica e semplice, e che al tempo stesso tiene conto dei vari contributi presenti in letteratura. Tale classificazione distingue i traumi muscolari che originano da un meccanismo indiretto, in cinque livelli di gravità che vengono definiti: 1) contrattura 2) stiramento 3) strappo di primo secondo e terzo grado I criteri adottati per distinguere i cinque livelli di gravità sono contemporaneamente di ordine anamnestico, sintomatologico ed anatomopatologico. 30

32 Contrattura Si manifesta con dolore muscolare che insorge quasi sempre a distanza dall attività sportiva, con una latenza variabile (dopo qualche ora o il giorno dopo), mal localizzato, dovuto ad un alterazione diffusa del tono muscolare(criteri anamnestico e sintomatologico), imputabile ad uno stato di affaticamento del muscolo, in assenza di lesioni anatomiche evidenziabili macroscopicamente o al microscopio ottico (criterio anatomo-patologico). Stiramento E sempre conseguenza di un episodio doloroso acuto, insorto durante l attività sportiva, il più delle volte ben localizzato, per cui il soggetto è costretto ad interrompere l attività, pur non comportando necessariamente un impotenza funzionale immediata, e del quale conserva un preciso ricordo anamnestico (criteri anamnestico e sintomatologico). Poiché dal punto di vista anatomo-patologico non sono presenti lacerazioni macroscopiche delle fibre, il disturbo può essere attribuito ad un alterazione funzionale delle miofibrille, ad un alterazione della conduzione neuro-muscolare oppure a lesioni sub-microscopiche a livello del sarcomero. La conseguenza sul piano clinico è rappresentata dall ipertono del muscolo, accompagnato da dolore. 31

33 Strappo Si manifesta con dolore acuto, violento che compare durante l attività sportiva (criteri anamnestico e sintomatologico comuni a tutti gli strappi), attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari. Lo strappo muscolare è sempre accompagnato da uno stravaso ematico (criterio anatomo-patologico comune), più o meno evidente a seconda dell entità e della localizzazione della lesione e dell integrità o meno delle fasce. La distinzione in gradi viene riferita alla quantità di tessuto muscolare lacerato (criterio anatomo-patologico) e comprende: strappo di I grado: lacerazione di poche miofibrille all interno di un fascio muscolare, ma non dell intero fascio; strappo di II grado: lacerazione di uno o più fasci muscolari, che coinvolge meno dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto; strappo di III grado: rottura muscolare, che coinvolge più dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto e che può essere distinta in parziale (lacerazione imponente, ma incompleta della sezione del muscolo) o totale (lacerazione dell intero ventre muscolare). 32

34 Figura 4. Scansione longitudinale del muscolo bicipite femorale. Lesione muscolare da trauma indiretto (strappo di II grado). Figura 5. Scansione longitudinale del muscolo grande adduttore. Lesione muscolare da trauma indiretto (strappo di II grado). 33

35 Figura 6. Scansione longitudinale del muscolo vasto laterale. Lesione muscolare da trauma indiretto, (strappo di III grado). E importante sottolineare che, sul piano clinico, il confine tra stiramento e strappo muscolare di I grado è molto sfumato, specialmente in fase precoce, quando un eventuale stravaso ematico può non risultare ancora evidente. In tal caso, la diagnosi deve fondarsi, oltre che sulle caratteristiche cliniche della lesione, anche sulle risultanze dell indagine ecografiche, eseguita dopo ore dal momento del trauma. E altresì importante sottolineare che la distinzione in tre gradi di gravità degli strappi muscolari non può essere che arbitraria, data la difficoltà pratica di quantizzare l entità della lesione. Per semplicità vengono utilizzati solo tre gradi di gravità, ed il criterio adottato in questa circostanza, può essere definito come anatomo-patologico-funzionale. Infatti, l entità dello strappo di primo grado può essere facilmente apprezzata mediante l ecografia, così come la rottura muscolare completa risulta facilmente identificabile. I problemi sorgono 34

36 quando è necessario stabilire la gravità di una lesione intermedia, che coinvolge più di un solo fascio muscolare, ma meno dell intero muscolo. In questo caso si adotta un criterio definito anatomo-patologico-funzionale, che identifica lo strappo di secondo grado, come una lesione che coinvolge più di un solo fascio muscolare ma meno dei ¾ dell intera superficie di sezione anatomica del muscolo. Ciò significa che, nonostante la lesione, una buona parte del muscolo è ancora integra, il deficit funzionale è presente, ma non assoluto, ed il processo di guarigione può avvenire nell ambito di un tessuto la cui funzionalità non è completamente compromessa. D altra parte, quando il danno anatomico coinvolge approssimativamente più dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo, la lesione è sicuramente imponente, il deficit funzionale è praticamente assoluto ed il processo di guarigione si deve instaurare nell ambito di un tessuto la cui funzionalità è da considerarsi completamente compromessa. E interessante notare a questo proposito che è stato dimostrato che quando la lesione muscolare si estende per più del 50% della superficie di sezione anatomica, la riparazione avviene in non meno di 5 settimane (Pomeranz, 1993). E chiaro che l entità della lesione, cioè la distinzione tra strappo di primo, secondo e terzo grado, può essere stabilita con buon approssimazione, solo grazie all indagine ecografia o alla RMN. 35

37 LE TERAPIE FISICHE Nel corso degli ultimi anni la tecnologia è venuta incontro al riabilitatore, proponendo una serie di interessanti innovazioni che hanno fornito risultati incoraggianti dopo i primi lavori sperimentali. Le energie fisiche prese in considerazione sono l ipertermia a microonde, T.E.C.A.R. terapia e la laserterapia a neodimio-yag. E bene precisare che alcune terapie fisiche solo apparentemente superate, tra cui la crioterapia e gli ultrasuoni trovano ancora e a buon diritto il loro spazio nei protocolli riabilitativi delle affezioni muscolo-tendinee. Per terapia ipertermica o ipertermia clinica si intende l induzione nei tessuti biologici di temperature di poco superiori a quella fisiologica. Il riscaldamento dei tessuti realizzato tramite campi elettromagnetici. Le microonde diffondono molto facilmente attraverso i tessuti poveri di acqua (adiposo e osseo) nei quali è poca l energia elettromagnetica che si trasforma in calore. Al contrario perdono energia attraverso tessuti ricchi di acqua (tessuto muscolare) nei quali avviene la trasformazione dell energia elettromagnetica in calore. In definitiva è principalmente nel tessuto muscolare che l'energia delle microonde si trasforma in calore. Il calore prodotto diffonde nei tessuti circostanti per conduzione, ma soprattutto attraverso il sistema circolatorio (Olmi et al, 1997). Proprio per queste caratteristiche l ipertermia elettromagnetica è utilizzata in fisioterapia con diversi dispositivi che, usando diverse frequenze del campo elettromagnetico (13, 27, 434 e 2450 MHz) o consentendo, attraverso particolari antenne maggiormente focalizzate e munite di bolus termostatato, il riscaldamento in profondità, hanno dato il nome a diverse modalità terapeutiche (marconiterapia, radarterapia, ipertermia) fondamentalmente coincidenti nell effetto indotto, cioè 36

38 un significativo riscaldamento localizzato. Il calore fino ad un certo livello, agisce sui tessuti: 1) Aumentando il flusso sanguigno. Lo stato di iperemia (vasodilatazione localizzata ed aumento della velocità del flusso ematico) permette un aumento degli scambi con il sangue di sostanze necessarie per i processi riparativi ed una più rapida eliminazione delle sostanze tossiche; 2) Riducendo l edema. Lo stimolo dell attività macrofagica che permette una più rapida rimozione di scorie (detriti cellulari, residui di calcificazioni, ecc.) accelera i tempi di risoluzione della risposta infiammatoria; 3) Stimolando una più rapida ed efficace riparazione del danno tissutale grazie all esaltazione, prodotta dal calore, del metabolismo cellulare in genere; 4) Aumentando l estensibilità del tessuto collagene (nei tendini, nelle capsule articolari, nelle cicatrici); 5) Riducendo lo spasmo muscolare; 6) Riducendo la rigidità articolare; 7) Riducendo il dolore (aumento della soglia del dolore per azione diretta del calore sulle radici nervose e per azione indiretta stimolando secrezione di endorfine). I diversi studi sperimentali e l ormai lunga consuetudine clinica hanno confermato l'efficacia dell ipertermia (Borrani et al, 1996) come valido ausilio nel trattamento delle comuni patologie ortopediche, dove viene ormai impiegata in modo routinario (Pedrini et al, 1998). La terapia non prevede disagi significativi né effetti collaterali per il paziente. Per ciò che riguarda le controindicazioni all utilizzo dell'ipertermia valgono le stesse norme osservate per tutte le altre forme di termoterapia (Tofani et al, 1997). 37

39 Il sistema TECAR (terapia a trasferimento energetico per contatto capacitivo e resistivo) consiste in un generatore di radiofrequenza ( Hz-0,5Mhz) che attiva energia nei tessuti sfruttando il principio fisico del condensatore. Sfruttando la qualità conduttrice del substrato biologico, il sistema Tecar agisce mediante l attrazione e repulsione alternativa delle cariche elettriche proprie del tessuto biologico generando in un area geometricamente definita correnti capacitive di spostamento. Le principali caratteristiche sono: -Focalità d azione in quanto l effetto biologico viene risvegliato solo là dove esiste indicazione terapeutica. -Azione sedativa delle terminazioni nervose nocicettive, sintomatiche del dolore -Vascolarizzazione ed irrorazione sanguigna superficiale ed in profondità -Rigenerazione tissutale -Stimolazione naturale del drenaggio venoso e linfatico -Riequilibrio dell attività metabolica -Gestione/aumento della temperatura corporea -Maggior ossigenazione dei tessuti a livello profondo e superficiale -Azione a livello energetico -Riequilibrio della conducibilità elettrica-nervosa -Modificazione tessuto connettivo da fase gel a fase sol -Reidratazione tessuti profondi. 38

40 Trattamento capacitivo (quadricipite, adduttori, ischio-crurali) Trattamento capacitivo(tricipite surale)-trattamento resistivo (ischio-crurali) Figura 7. Tecarterapia. Il termine LASER è l acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation ovvero amplificazione della luce mediante l emissione stimolata di radiazioni. Il principio fisico risiede nell emissione di una radiazione luminosa che è composta da fotoni dotati della stessa lunghezza d onda e senza discontinuità di fase od oscillazioni di ampiezza. Il fascio laser è dunque costituito da una radiazione elettromagnetica monocromatica, caratterizzata da una precisa lunghezza d onda e da una potenza di emissione variabile. Come per la luce diffusa, il laser produce fotoni che vanno ad interagire con la materia vivente. La luce diffusa ha sia effetti termici che effetti fotochimici sull organismo. Gli effetti termici sono prevalentemente legati alle radiazioni nell infrarosso, mentre quelli fotochimici alle radiazioni nell ultravioletto, anche se effetti non 39

41 termici possono essere prodotti nello spettro dell infrarosso. Il laser permette di selezionare e modulare queste attività mediante un emissione preordinata di fotoni dotati della lunghezza d onda desiderata. Classificazione degli apparecchi per laserterapia - Laser al Neodimio YAG (lunghezza d onda 1064): arriva ad una certa profondità, fino a 5-6 cm, ed è pertanto indicato nelle patologie muscolo-tendinee o traumatologiche articolari. - Laser all Arseniuro di Gallio (lunghezza d onda nm): abbastanza superficiale ed ad emissione pulsata, adatto alla laser ago-puntura ed alla stimolazione del circolo linfatico. - Laser ad HeNe (lunghezza d onda 632,8 nm): molto superficiale, idoneo per accelerare processi di cicatrizzazione, terapia antalgica superficiale e riflessa, laser ago-puntura, effetto drenante sull imbibizione linfatica. - Laser a CO2 (lunghezza d onda nm): molto utilizzato in passato, attualmente indicato nella terapia antalgica superficiale riflessa. - Laser a materiali ternari (lunghezza d onda tra 780 e 980 nm): rappresentano un evoluzione del laser all Arseniuro di Gallio; nelle versioni più moderne, ad alta potenza, ed in associazione con un laser Nd: YAG è possibile trattare anche patologie a notevole profondità. 40

42 Indicazione della Laserterapia La laserterapia trova indicazione essenzialmente in due momenti del processo di guarigione della lesione muscolare dello sportivo: nello stimolare il processo di cicatrizzazione, effetto biostimolante e nel ridurre la sintomatologia dolorosa, effetto analgesico. Effetti della Laserterapia Effetti molecolari - Attivazione di alcuni enzimi - Attivazione della duplicazione del DNA - Attivazione della pompa ionica di membrana - Deformazioni plastiche di alcune macromolecole come il collagene e le glicoproteine Effetti cellulari -Accelerazione della proliferazione cellulare, soprattutto di cellule immunocompetenti - Attivazione dei fibroblasti Effetti tissutali - Promozione della vascolarizzazione e della rivascolarizzazione - Formazione di tessuto cicatriziale 41

43 Effetto Biostimolante È legato sia ad effetti termici che non termici. I primi sono ben noti e sostanzialmente analoghi a quelli di altre forme di diatermia, seppure usando energie inferiori rispetto a microonde o ad ultrasuoni. Più controversa è la questione degli effetti non termici: sembrerebbe infatti che l energia ceduti ai tessuti in rigenerazione favorisca la cicatrizzazione attraverso un attivazione della catena respiratoria mitocondriale ed un attivazione dei fibroblasti, che sarebbero sia più numerosi, per l attivazione della sintesi del DNA, che più produttivi. Ne consegue quindi un orientamento precoce delle macromolecole prodotte, ossia collagene e glicoproteine. Il tutto condurrebbe ad una significativa riduzione dei tempi di guarigione del trauma sportivo. Il laser che sembra avere maggiore efficacia come biostimolante è il laser al Nd: YAG con densità di potenza di 5-10 W/cmq, applicato ad intermittenza. Effetto analgesico Lo scopo è quello di ridurre il dolore modificando la soglia degli algorecettori. Si può agire o a livello dei recettori superficiali (cutanei e sottocutanei) o a livelli di quelli posti in profondità (articolari). Per i recettori superficiali è sufficiente un laser a HeNe o a CO2 con bassa potenza, mentre per quelli profondi è necessario un laser al Nd: YAG. Si può procedere irradiando specifici punti dolorosi, che di solito corrispondono alle inserzioni dei fasci legamentosi sull osso, oppure in punti trigger, analoghi a 42

44 quelli dell agopuntura o del dolore miofasciale. Di solito è richiesto un tempo di somministrazione maggiore che per l effetto biostimolante (viene consigliato almeno 1 minuto per punto di applicazione). 43

45 LA RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Il trattamento immediato delle lesioni muscolari ha lo scopo di favorire il ripristino dell integrità anatomica del muscolo, mediante una stimolazione dei processi rigenerativi. In caso di strappo, dovendosi realizzare una riparazione cicatriziale, lo scopo del trattamento è di favorire il riassorbimento dell ematoma, ottenendo una cicatrice il più possibile resistente ed elastica. In un secondo momento, trascorsa la fase acuta della lesione, il trattamento riabilitativo tende a ripristinare la funzionalità muscolare, stimolando il muscolo con adeguati esercizi, volti a favorire un ottimale recupero funzionale. Le cinque fasi del trattamento riabilitativo 1. Fase acuta: RICE (riposo, ghiaccio, compressione, elevazione) 2. Recupero dell escursione articolare e della estensibilità 3. Lavoro aerobico di base e recupero della forza 4. Lavoro specifico sul campo 5. Esercitazioni di mantenimento Nella scelta del trattamento si deve prendere in considerazione tre fattori: a) Il tipo di lesione b) La sede della lesione c) Le caratteristiche del paziente 44

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