Un grido di dolore dall antica Via Latina

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1 QUADERNO DI LAVORO Archeoclub d Italia sede locale di Arpino, Via Aquila Romana movimento di opinione pubblica al servizio dei beni culturali e ambientali Un grido di dolore dall antica Via Latina (un percorso unico, lasciato all incuria e all abbandono)

2 Un grido di dolore dall antica Via Latina (un percorso unico, lasciato all incuria e all abbandono) Tracciato e resti della via Latina 1 (ramo interno denominato Via Vitole 2 ) Un antica via passava per Castelliri, venendo da Casamari e più in su dalla Latina, che in località Serelle per Il Ponte delle 7 cosce o di San Paolo 3 si dirigeva ad Arpino, mentre un altro ramo o diverticolo si dipartiva da sotto Castelliri fino al Ponte Marmone di fronte alla villa di Cicerone. Del Ponte S. Paolo che doveva essere di bellissima costruzione, esiste dunque (in stato di completo abbandono e occultato alla vista) un intero arco (dei cinque originari). Da qui la strada continuava verso Arpino, passando sui resti visibili ad ovest della stazione (la via poi continuava anche per Isola per più di 2 Km. e oltre come si scorge da qualche masso isolato 4 e ad ovest della contrada Morroni da un ponticulus a volta 5 e più oltre dai ruderi delle testate di un altro ponticulus ) 6. Poco prima del Ponte sulla ferrovia, salendo dalla valle verso Arpino, emergono questi resti visibili, costituiti da un tratto integro di basolato in pietra, che oggi funge da spartitraffico (lunghezza di ca 108 m., largo 1,80 m., posto poco sopra l attuale livello stradale). Subito dopo, il tracciato incrocia a destra la strada che conduce alla stazione ferroviaria, al di sopra uno sperone roccioso detto la rava del corvo o anche pizzo falcone. Sempre salendo lungo il tracciato, sul dorso destro un altro e più piccolo sperone con la Chiesa di San Sebastiano 7 (perennemente chiusa), mentre in basso sul costone alla sua sinistra, si lascia notare la Chiesa di Santa Lucia 8. Più avanti, sempre sulla destra, si incontra una chiesetta intitolata alla Madonna della Consolazione 9 (perennemente chiusa), a circa 90 metri a sud della cappella, a 325 m/slm, trovasi lo sbocco del cunicolo che una volta portava all interno delle Mura. Proseguendo lungo la salita, dopo aver lasciato sulla destra un vecchio deposito cavernoso e attraversato una cava dismessa, sempre sul lato destro si riesce ad intuire il tratto (ricoperto da vegetazione infestante, cumuli di scarti e acque reflue 10 ) che entrava in Civita Falconara tramite una posterula (demolita nel 700) ubicata nei pressi del torrione, dove ora sorge la sagrestia della chiesa di San Rocco. Poco oltre, anch esso ricoperto da vegetazione e cumuli di scarti, un vecchio viottolo che portava verso la porta del cacciatore e sempre su questo lato, si intravedono a malapena quello che resta dei 1 Descrizione in appendice 1. 2 Idem 2. 3 Idem 3. 4 In località le Lisce tratto di strada antica con basoli di calcare. In località Chiavatti tratto di strada antica con basoli di calcare. 5 In località Morroni la presenza di due ponticulus a volta. 6 S. Aurigemma, Configurazione stradale della regione etc., pag. 38 e Descrizione in appendice 4. 8 Idem 5. 9 Idem Idem 7.

3 ruderi della Madonna della Costa S. Apollonia 11. Poco dopo, sulla sinistra in pieno tornante, si nota una comunale (ormai impraticabile) la Veteri Monumento, una stradina che tagliava diagonalmente il monte e scendeva alla fonte le Vitere. Subito dopo, i resti del Tumulo di Saturno 12 detto la Jocca re ll Ova eretto in epoca romana in onore del dio Saturno, ritenuto il fondatore di Arpino. Infine, prima dell imbocco di Via Giuseppe Cesari 13, là dove un tempo sorgeva la porta dell Arco detta anche porta Roma, scendendo sulla destra lungo via Porta ciclopica proprio sullo spigone a nord delle mura poligonali, posti sulle pietre più in basso: I simboli fallici 14 (occultati da una recinzione, deteriorati e deturpati). 11 Descrizione in appendice Idem Idem Idem 11.

4 Appendice 1 La via Latina Questa strada fu così denominata in quanto diretta da Roma (Porta Latina) verso sud-ovest dove si trovavano le città facenti parte della lega latina. Essa attraversava Ferentum (Ferentino), Frusino (Frosinone), Fregellae (Ceprano), Aquinum (Aquino), Casinum (Cassino), Teano Sidicium (Teano), Casilinum (Santa Maria Capua Vetere). Sicuramente esistente nel IV sec. a.c. quando i romani mossero guerra contro gli Ernici e Volsci, la Via Latina ricalca un tracciato utilizzato in precedenza dagli Etruschi, mossi alla conquista delle fertili pianure della Campania. Inizialmente la strada univa l Urbe con Fregellae (Ceprano), solo successivamente fu proseguita verso Casinum e Casilinum in modo da poter controllare più facilmente il territorio sannitico. Un ramo della Via Latina si dirigeva verso Lenola e Fondi, congiungendosi con la Via Appia, mentre un secondo ramo risaliva il corso del fiume Liri e permetteva di raggiungere Sora e il lago del Fucino, collegandosi con la Via Valeria. La via Latina. Bibliografia 15. Via Latina fu detta così, perché uscendo dalla Porta Latina passava pel Lazio, di cui toccava molte ragguardevoli città. Era essa una delle tre nobilissime vie: la Appia, la Valeria, e la Latina, che correva in mezzo alle due. Sul corso di questa via trovavasi il tempio della Fortuna Femminile, la cui statua le sole donne maritate potevano toccare senza sacrilegio. Attraversato il Lazio, penetrava la Via Latina nella regione dei Volsci. Secondo gli Itinerari a 4 miglia da Fabrateria giungeva ad un ponte sul Melfi. Dopo altre 5 miglia arrivava ad Aquino, e di là dopo altre sette miglia a Casino, dove pare che terminasse, perché sin qui si estendeva il nuovo Lazio. Il suo corso però continuava per Teano, donde proseguiva sino a Capua. Traverse della Via Latina. Nel passar che facea questa Via da Frosinone a Fregelle, un ramo di essa menava, passando il Tolero, dopo 11 miglia a Fabrateria, donde per un altra traversa protendevasi a sinistra verso Arce, per cui transitando, nonché per Arpino e Sora, penetrava nel paese dei Marsi. Era tuttavia in essere la Via Latina nel medio evo quando era denotata col nome di Campanina. Dalle rovine, che di essa riconoscono i moderni topografi, pare che il descritto suo corso toccasse i seguenti luoghi dell odierna topografia. Dopo cioè le rovine di Fabrateria traversando il bosco di Ceprano, dirigevasi ad Aquino. Di qui per le campagne di S. Gregorio, Piedimonte e Piombarola menava a S. Germano. Secondo il Pratilli osservavansi nel passato secolo (1700) lungo il corso della Latina pei cennati luoghi, rovinati edifizii, avanzi di ostelli da riposo e di sepolcri 16. Secondo Strabone: Nella Via Latina vi sono accanto dé castelli e delle città rispettabili, Fermentino, Frusinone, bagnata dal fiume Cosa, Falvaterra, vicino alla quale passa il fiume Trero. Vi si vede anche Aquino, città ragguardevole, vicino cui scorre il torrente la Melfa. Vi è parimenti Interamnia, città situata tra i due fiumi Liri, e Cassino, essa anche memorabile e l ultima città dei Latini Rocco de Cesare, La città di Arpino. 16 F. Cirelli, Il regno delle due Sicilie etc., Napoli, 1853, pag G. Civelli, Dizionario corografico universale dell Italia etc., pag. 477.

5 Appendice 2 La strada delle Vitole o Strada per via Latina. Bibliografia a.c. Via Vitularia sarebbe 19 Via della Vitulatio o pressappoco Via della Vittoria; infatti i buoni agricoltori arpinati, festanti e inneggianti per la Via Vitularia, avevano buoni motivi di volgere ringraziamenti e sacrifici di Vitelli alla popolare dea della vittoria, Vitula, per le vittorie di Caio Mario Partendo 20 (dalla villa Arcana di Quinto fratello nel luogo hora detto Lisoletta vicino a Ciprano), se ne passò nelli paterni loro poderi de luoghi Arpinati per diritto la strada delle Vitole; quella che vicino le mura d Arpino ritiene fin di presente l istesso nome, scorgendosi quivi l antica selciata in parte corrosa dalli falcati carri di quel tempo; onde li dice : Ex eo loco recta Vitularia via profecti sumus in Fuffidianum fundum, quem tibi proximis muntijs de Fuffidio sestertios (2.500 scudi) emeramus. (Cic. Lib. 3 Ad Quint. Frat. In epistol. I). Via Vitularia o strada dei vitelli, poi nel sec. XVII Strada delle Vitole; ora Via Latina Dalla parte dell Arco la strada 21 di sotto S. Stefano, che dalle mura di questa città va a passare tra la chiesa della Madonna della Costa e l antico monumento, e, inoltrandosi sotto lo Spirito Santo, col prendere la denominazione di Strada delle Vitole, conduce nella contrada detta le Macchie e propriamente nel luogo chiamato le Pagliarelle. Configurazione viaria della Media valle del Liri in epoca romana. Mappa di Mons. L. Ippoliti Rocco de Cesare, La città di Arpino. 19 G. Pierleoni, Il patrimonio archeologico di Arpinum, Arpino, B. Clavelli, L antica Arpino, Napoli, 1623, p Archivio Parrocchia di S. Michele Arcangelo. 22 Luigi Ippoliti, La celebrazione Mariana, 1938.

6 Appendice 3 Il Ponte delle 7 cosce o di San Paolo Nel Cereate Mariano passava un diverticolo della Via Latina, che sboccava ad Arpinum, per il ponte detto delle sette cosce (dai sette piloni degli archi) o di S. Paolo ed a Sora per quello detto Marmone o Marmore o di Cicerone o di Annibale ed era a tre luci, ora solo un arco 23. Dei sette piloni, ne restano solo due, a sorreggere l unico arco rimasto ancora in piedi, costituito da grossi parallelepipedi di pietra, di cui alcuni lunghi fino a 1,10 metri, di spessore m. (0,44-0,47) e di larghezza m. (0,56-1,00). L archeoclub di Arpino è riuscito a recuperare grazie allo studio fotografico R. Folchetti, una immagine esclusiva dell arco del Ponte ancora in piedi, databile inizi 900, dove si staglia in tutta la sua bellezza. Questa diramazione della via Latina, così come emerge dalla mappa Ippoliti, partiva da Castelliri (Muraglie-San Lorenzo) per giungere ad Arpino attraverso il Ponte di San Paolo anche detto delle 7 cosce 24, importante costruzione in pietra a più arcate 25. L Aurigemma, che scrive nel 1911, riferisce che in epoca non precisata, per meglio utilizzare la forza idrica del Liri, la parte esposta di uno degli archi fu murata, mentre gli altri archi furono lasciati alla naturale erosione dell acqua o distrutti. Si venne a formare così, una piccola isola che costringeva il fiume a diramare il suo corso, formando due piccole cascate. L arco murato si conservava all epoca nel lanificio dei Pelagalli. Lo stesso Aurigemma ne fornisce una descrizione precisa, annotando anche che il lato interno era impreziosito da affreschi, che intaccati dall umidità lasciavano solo scorgere una figura di fanciullo. Nei pressi sono stati riportati alla luce alcuni reperti archeologici, quali blocchi di colonne in pietra calcarea, uno dei quali in stile dorico con scanalature (ora nella villa comunale di Castelliri). Rinvenuti anche, pezzi di capitelli, resti di sepolcri e vasi cinerari. Del ponte è tuttora visibile l unico arco superstite, inglobato nella centrale elettrica costruita sull isolotto detto isola di Cicerone. 23 D. Mauro, M. Cassoni, Casamari etc., 1912, pag R. C. Hoare, A classical tour, cit., pag Cfr. M. Rizzello, Viabilità e tratturi della Media Valle del Liri, in Viabilità e territorio del Lazio Meridionale: persistenze e mutamenti, Frosionone 1992, pag. 51.

7 Appendice 4 La chiesa di San Sebastiano La chiesa è documentata storicamente 26 fin dagli anni 1308/1310, ma sicuramente risale a secoli prima tra i beni del Monastero di Montecassino in Arpino. Sappiamo inoltre che era stata adibita a lazzaretto per gli appestati e la zona circostante, nel 1797 fu scelta come cimitero (fuori le mura cittadine) per tumularvi i cadaveri dei militari e civili colpiti dalle epidemie. San Sebastiano veniva invocato dagli arpinati per scongiurare il pericolo delle epidemie in generale. Nel 1915, fu gravemente danneggiata dal sisma della Marsica, rimasero in piedi le mura perimetrali e la parte del presbiterio, per cui si salvarono i preziosi affreschi dell abside. Il Prof. Angelo Conti (direttore della pinacoteca del Museo Nazionale di Napoli) nel 1927, pubblica il volumetto La chiesa campestre di S. Sebastiano. Questo volumetto scritto da Angelo Conti, fu venduto al prezzo di 2 Lire ai cittadini amanti del patrio suolo, ricco di bellezze, memorie e arte con l intento di recuperare i fondi necessari ai restauri del tempietto. Nonostante le buone intenzioni del Conti, i lavori di restauro non iniziarono mai e la chiesa diventò un deposito. Finalmente, sul finire degli anni 70, vengono finanziati i fondi necessari per il restauro e nell estate del 1981 si vedono i primi lavori. Dopo tanta attesa nel Maggio del 1983, la chiesa viene riaperta al culto, con una semplice cerimonia presieduta dal Vescovo Diocesano Lorenzo Chiarinelli, dal rag. Elio Rovardi allora Sindaco e dal compianto Prof. Pasquale Rotondi all epoca Sovrintendente alle Belle Arti ed altre autorità. Nel Bollettino dell Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale IX, /1977 a cura di Patrizia Fortini, si trova una descrizione più approfondita degli affreschi conservati nella chiesa prima dei lavori di restauro curati dalla Sovraintendenza ai beni Artistici e Storici e il rifacimento delle strutture architettoniche della Sovraintendenza ai Monumenti del Lazio. 26 Marco Gabriele, Ricerche di storia arpinate.

8 La chiesa 27 ha pianta rettangolare (Fig. 1), con l interno in parte sopraelevato da un gradino ed è coperta da una volta a crociera poggiante su piccole lesene. Sul lato destro vi è un piccolo ambiente adibito probabilmente a sacrestia. Dietro l altare e vicino alla porta di detta sagrestia, si notano alcuni affreschi in buono stato di conservazione, da sinistra a destra per chi guarda, si hanno le seguenti raffigurazioni: -Martirio di San Sebastiano. Il Santo, nudo, ad eccezione di un piccolo lenzuolo usato come perizoma, è legato secondo una consueta tipologia ad una colonna. Il corpo è già trafitto da saette. Sullo sfondo, a destra, un paesaggio montuoso con una città caratterizzata da una lunga fortificazione munita di torri (secondo alcuni si tratta di Arpino). La scena è limitata lateralmente da due pilastrini con decorazione floreale, sormontati da capitelli corinzi sorreggenti una trabeazione con palmette e fiori; -Busto di Madonna intenta ad allattare un bambino tunicato (per questo motivo la Madonna viene detta Madonna del Latte ); -Martirio di San Sebastiano. Legato ad un albero, il Santo è ormai prossimo ad esalare l ultimo respiro. Un fanciullo tunicato è reso nell atto di togliere una freccia infissa nel costato del martire; -Raffigurazione di San Domenico su sfondo damascato, nell atto di leggere un testo sacro (San Domenico viene detto da Foligno). Entro un cartiglio rettangolare, posto alla base del dipinto trovasi un iscrizione OPUS AMBROSII FERENTINATIS ANNO DOMINI 1498 MENSE AUGUSTI DIE OCTAVO. -Sulla parete di destra si conserva un altra raffigurazione del martirio di San Sebastiano. Il santo è raffigurato legato ad un albero, con il corpo mollemente piegato, i capelli biondi sulle spalle, il braccio destro alzato: sullo sfondo un damasco. Le restanti pareti della chiesa furono dipinte nuovamente all inizio del secolo con colori a tonalità accese. L affresco centrale limitato ad un riquadro aggettante in malta, può essere datato al XVIII secolo per il chiaroscuro accentuato, le ampie pennellate, e per quell impressione di incompiuto che traspare dal suo insieme. il santo fu sovrapposto ad una precedente complessa raffigurazione, forse evanida di cui si ignora il soggetto. Di questa l artista conservò in alto a sinistra, l immagine della Madonna. A convalida si rileva: un lembo svolazzante del mantello del fanciullo copre parte del corpo di Maria; il nimbo di Maria e Gesù è ritoccato in rosso in epoca contemporanea alla raffigurazione centrale, entro una cornice aggettante, che si interrompe proprio per delimitare e conservare l affresco più antico. La caduta fortuita di un tratto dell intonaco nella parte superiore del riquadro centrale, ha portato alla luce la continuazione del fregio floreale che inizia nel primo dipinto a sinistra. 27 P. Fortini, La chiesa di S. Sebastiano, Boll. Istituto di Storia e Arte Lazio Mer., Casamari, 1976.

9 I tratti stilistici riscontrabili nella raffigurazione della Madonna col Bambino concordano perfettamente con quelli delle altre figure (panneggio e decorazione delle vesti, resa dei capelli, occhi, mani, bocca a cuore ). Questi quattro affreschi sono opera di Ambrogio da Ferentino 28, non certamente un pittore corretto e di fine colorazione, ma un provinciale partecipe del suo tempo che riporta i segni della nobiltà del secolo, un indubbio amante dei particolari decorativi del Rinascimento. Ricerca Bibliografica sulla chiesa di S. Sebastiano in Arpino Abbate Lando rettore della Chiesa di S.to Stefano e di S. Sebastiano di Arpino /10. Pagava per la decima tarì 3 la Chiesa di S.to Stefano e la Chiesa di S. Sebastiano Diploma dell 8 gennaio del re Ladislao, con cui ordina di prestare assistenza e difesa all abate Mazeo Pulderico di Napoli nel possesso e godimento dei proventi della Chiesa di S. Sebastiano Decreto del Papa Clemente VII di nomina di Eliseo de Teodinis ad abbate della collegiata Chiesa di S. Arcangelo di Arpino e di S. Sebastiano fuori le mura. Datum Romae anno 1523 il 16 di aprile Beneficiato di S. Sebastiano La cappella rurale di S. Sebastiano aveva bisogno di riparazioni. Decreto di visita del 12 marzo del 12 marzo del vescovo Nicola Marini Salendo dalla stazione, dopo circa 200 metri, si vede a destra la chiesetta campestre di S. Sebastiano che ha affrescate presso l altare e dietro di esso tre rappresentazioni votive del secolo XV. Uno dei tre affreschi rappresentante S. Domenico da Foligno, porta in basso in un rettangolo la scritta: Opus Ambrosii ferentinatis sub anno domini 1498, mense angusti, die octavo A.Conti, Arpinum Bollettino Museo civico, Anno I, n Rocco de Cesare, Le chiese di Arpino. 30 Archivio vescovile di Sora, strumento del notaio Rainaldo Oderisio. 31 M. Inguanez, Rationes Decimarum Italiae Campania, n Archivio di Napoli, Regesta Agioini, I, Archivio di S. Michele. 34 Catasto, Carlo Conti, Piccola Guida di Arpino, pag. 20.

10 Appendice 5 Chiesa di Santa Lucia 36 La credenza popolare: Santa Lucia venne in paese per una visita allo Spirito Santo (una piccola cappella che si trovava sotto Treppanico, poi demolita nel 1935). Mentre vi si recava, quasi all altezza delle Vitere, le si parò innanzi Lucifero, dio degli inferi, sbarrandole la strada: Lucia per evitarlo, salì verso il centro di Arpino, ma il demonio non le dava tregua. Lei allora, si precipitò nella scarpata sottostante, scivolando nella foga, su una grande pietra, dove per miracolo rimase impressa la forma del suo corpo (da quel momento quella pietra rimasta incavata fu chiamata la connorella di Santa Lucia, cioè la culletta della Santa, ed è lì, ancora visibile). Il demone nel frattempo, poco più avanti, stanco per l inutile inseguimento si sedette lasciando a sua volta su un'altra roccia le impronte dei suoi arti (anch esse ancora visibili). La Santa liberatasi così dall ossesso, risalì parte del fossato e si fermò proprio là, dove ora sorge la Chiesa con il suo nome. I fatti: dell esistenza certa della chiesa (antica cella medioevale ovvero un Monastero Benedettino) si ha notizia da una pergamena del sec. XI (Giugno 1029/1030) dove risulta che essa fu donata ai monaci benedettini nell Aprile del 1029 da due cittadini arpinati, il prete Franco e un tale Adenolfo, insieme a undici pezzi di terreno ed a una casa ubicata in luoghi vari del territorio. Secondo il Chronicon casinense, tale donazione avvenne nell anno 1026, ma i più sono propensi a ritenere più attendibile la data del A donazione avvenuta, sorsero contestazioni da parte di un certo Crescenzo, arpinate anch egli, che reclamava di essere comproprietario e della chiesa e delle terre donate ai monaci. Nacque così un contenzioso: in giudizio fu assegnata al reclamante la metà dei beni, che in parte donò al Monastero. Allora sacerdoti e monaci della chiesa di Santa Lucia erano Don Nantari e Don Ponzo (addetti a guidare la propositura cassinese). Don Ponzo fu il primo prepositore e svolse la sua opera per molti anni in tre monasteri di Arpino: in San Silvestro (1010/1029), in Santa Lucia (1029) e in San Benedetto in Colle d Isola (1026/1037). Altri documenti che attestano l esistenza del Monastero di S. Lucia sono i Privilegi Pontifici e Imperiali. In particolare il privilegio di Enrico III del 3 Febbraio 1047, che conferma a Montecassino tutti i suoi possedimenti, tra cui le celle poste nel territorio di Arpino (S. Benedetto in Colle d Isola, S. Silvestro, S. Lucia che obbediva al Monastero di S. Nazario di Atina). Uguali conferme furono date da nel 1057/1059, rispettivamente dai papi Vittore II e Niccolò II a Desiderio, abate di Montecassino. Nel documento del 1057, la Chiesa è chiamata S. Lucia apud fractas (Santa Lucia presso fratte), mentre in un documento del 1058 la chiesa è chiamata S. Lucia de frata, nell elenco del 1059 il riferimento a fratta non esiste più. Nel Gennaio del 1133 c era stata un altra donazione da parte di un abitante di Arpino, il quale aveva assegnato tutti i suoi averi al cenobio benedettino nella persona del suo prepositore Don Sicone che fu il secondo ed ultimo preposito, se ne deduce che la vita monastica non si protasse oltre la prima metà del sec. XII. 36 M. Gabriele, Ricerche di storia arpinate; A. Incani, Appunti; D. e U. Fiorentini, Testimonianze orali.

11 Al tempo delle decime (1308/1310) la chiesa di Santa Lucia non era più una prepositura, ma una semplice chiesa che versava alla sede 15 Tareni e probabilmente in essa officiava il clero secolare continuando ad essere un possedimento benedettino, infatti nel 1379 l abate di Montecassino Pietro de Tartoris, l affidò al chierico arpinate Giovanni Infuso, infine verso la fine del 1400 passò sotto la giurisdizione della Parrocchia di Civita Falconara. Successivamente anche i papi Urbano II e Onofrio III, confermarono l esistenza della cella di Santa Lucia insieme alle altre celle di Arpino; così fece pure il papa Sisto IV nel Il 2 Agosto del 1477 la chiesa di Santa Lucia insieme a quelle di San Martino e San Marco sempre di Arpino, ormai ridotte a chiese rurali senza cure d anime, per ordine dell Abate commendatario di Montecassino Giovanni D Aragona passò in commenda al Chierico Inico de Mamayona della Diocesi di Calaorra in Spagna. Il 19 Luglio 1530, l Abate di Montecassino Don Crisostomo d Alessandro nominava procuratore e gestore delle prepositure di Santa Maria di Canneto in Settefrati, Santa Lucia, San Marco, San Martino di Arpino, appartenenti alla Diocesi di Sora e annesse al Monastero di Montecassino, Don Federico de Manilion. Nel 1569 Santa Lucia passò dalla giurisdizione di Santa Maria di Civita a quella di San Michele Arcangelo. Dal resoconto delle Visite Pastorali dei Vescovi si traggono altre notizie riguardanti la chiesa, nella relazione del Vescovo Biagio Musto nel 1934, oltre a descrivere la chiesetta e le feste religiose e civili che vi si celebravano si parla anche dell esistenza di una reliquia di Santa Lucia. Oggi la chiesa del tutto rimodellata rispetto alla sua struttura originaria fa parte delle Parrocchia di Santa Maria di Civita, del suo antico nucleo conserva solamente una lunetta affrescata con il ritratto a mezzo busto della Santa (ingresso secondario laterale destro) risalente alla fine del seicento. All interno, nella parte absidale sopra l altare centrale ed unico (ai lati ci sono due quadri di piccole dimensioni), in una nicchia vi è la statua della Vergine Martire della fine del XVII sec. (prima della statua c era una tavola raffigurante la Santa, persa ne tempo). Ricerca Bibliografica sulla chiesa di di S Lucia I Regesta Petri Diaconi dell Archivio di Monte Cassino riportano la donazione al Monastero di Monte Cassino fatta in Arpino dal Prete Francone ed Adenolfo della Chiesa di S. Lucia con dieci pezzi di terreno. (III, 6) Una pergamena dell Archivio di Monte Cassino riporta la definizione dei confini della proprietà della Chiesa di S. Lucia davanti al giudice Giovanni Longo in Arpino. (I,82) Nel mese di ottobre il Sig. Gerardo Senior figlio di Pietro Senioris de Civitate Sorana. dona la Chiesa di S. Pietro e la Chiesa di S. Lucia alla Chiesa del Monastero di S. Maria e di S. Domenico di Sora Il privilegio dato in Capua il 3 febbraio da Enrico III il Nero conferma a Monte Cassino le possessioni, tra cui la Chiesa di S. Silvestro e di S. Lucia in Arpino (I,29) La Chiesa di S. Lucia è confermata da Nicola II all Abate Desiderio di Monte 37 Rocco de Cesare, Le chiese di Arpino. 38 Archivio dell Abbazia di Casamari. Codice Cartario Antico, pp

12 Cassino Confermata ancora da Urbano II, pag. 91; 1105/1113. Confermata da Pasquale II pag. 127; Confermata da Lotario III; Confermata da Alessandro III, pag. 371, tomo 2; Confermata da Callisto Il, pag. 189; Confermata da Clemente III; Confermata da Innocenzo III; Confermata da Onorio III, pag. 177 torno Teodino e Massaro arpinati vendono a Sicone ed alla Chiesa di S. Lucia una terra nella valle di Frasso per il prezzo di 3 soldi in settembre Giovanni figlio di Giovanni Marti di Arpino offre al cenobio della S. Vergine Lucia tutti i suoi beni in gennaio Enrico VI con privilegio del 21 maggio conferma a Monte Cassino la Chiesa di S. Lucia. (I, 83) Il privilegio di Innocenzo III contiene il possesso a S. Domenico di Sora delle Chiese di S. Gervasio e S. Lorenzo m territorio di Arpino e delle Chiese di S. Lucia e S. Altissimo in Isola /10. Per la decima del la Chiesa di S. Lucia pagava alla S. Sede insieme ad altre Chiese isolane tarì L Abate Pietro de Tartaris di Monte Cassino conferiva il 3 gennaio all Abate Giovanni Infuso, Arciprete di S. Vito, il possesso canonico di S. Lucia Sisto IV con privilegio del 23 dicembre conferma a Monte Cassino la Chiesa di S. Lucia. (III,45) Il Regestum I dell Archivio di Monte Cassino riporta l investitura fatta il 2 gennaio dall Abate Cardinale Giovanni d Aragona al chierico Inico de Mamayona spagnuolo delle Chiese dì S. Martino, S. Marco e S. Lucia in Arpino, Chiese rurali. (III, 10). 19/7/1530. L Abate di Monte Cassino don Crisostomo d Alessandro nomina a procuratore e gestore delle prepositure di S. Lucia, S. Martino e S. Marco di Arpino, unite e annesse al Monastero di Monte Cassino lo spagnuolo don Federico de Manlion, con l obbligo di corrispondere ogni anno sei ducati sui frutti di dette prepositure /11/1568. Datum Sorae. I1 Vescovo di Sora Tommaso Gigli unisce alla Chiesa e Capitolo di S. Michele i Benefici di S. Lucia, S. Martino e S. Marco fuori le mura di Arpino, vacanti con tutti i loro diritti Bullario privilegiorum etc. Caroli Cocquilines. 40 Archivio di Monte Cassino, n Archivio di Monte Cassino, n Datum Ferentini 4 luglio. Ribadito, pp. 1654/ M Jnguanez, Rationes Decimarum ltaliae Campaniae. 44 Archivio di Monte Cassino. 45 Archivio di Monte Cassino, n Archivio di S. Michele, Cardinale Sacripante Ponente, p. 136.

13 Chiesa campestre S. Lucia foto anni 30 Chiesa campestre S. Lucia, ingresso laterale foto anni 30.

14 Appendice 6 La chiesa della Madonna della Consolazione Nel libro delle Capitolazioni del 1708/1801, conservato nell archivio della Parrocchia di Santa Maria di Civita, al foglio 125 r, abbiamo notizie della cappella della Madonna della Consolazione. Die quarto mensis Septembris Domincio Die transportata fuit Imago B.Mariae Virginis Lauretane ex Icone posita in radicibus montis quo itur ad molendinam ill. mi et Excelle. mi D. Antonii Buoncompagni Ducis Sorae prope Eccelsiam Ruralem S.Sebastiani magno populi concursu. La sacra immagine, dipinta su un muro della chiesetta (ex Icone) posta alle radici del monte sulla strada (quo itur) che conduceva al mulino del Duca Boncompagni, vicino (prope) alla chiesa rurale di S. Sebastiano, fu portata, salendo per il monte, sullo sperone di Civita, in occasione dello scampato pericolo di una pestilenza e con la partecipazione di un gran numero di fedeli. Di lì fu staccata e trasportata nella chiesa del Castello la seconda domenica di Settembre del A questo fatto è legata una pia tradizione popolare, secondo la quale in quella circostanza suonarono a festa spontaneamente tutte le campane della città. Da ciò il titolo di Madonna delle Campanelle che veniva anche dato all immagine della Madonna e l istituzione della festa della campanelle, che si celebrava tradizionalmente la prima domenica di Settembre. L episodio del trasporto dell immagine della Madonna, è raffigurato nel grande affresco (a sinistra di chi guarda, realizzato da Niccolò Cassevano o Caccevano); si notino i particolari del paesaggio del castello e la figura del portatore che cade. Al riguardo, la tradizione popolare vuole che questi fosse una persona indegna, e lungo la salita il peso del Simulacro divenne tale da non poterlo più trasportare: solo dopo che il Parroco ebbe disposto l allontanamento dell indegno peccatore, l immagine sacra tornò leggera, consentendo la ripresa del cammino. Questa visione legata alla tradizione locale, non trova riscontro in Mons. L. Ippoliti 47 che vuole l affresco raffigurante la Madonna di Loreto staccato da una parte non ben individuata della Chiesa di San Sebastiano. 47 Mons. L. Ippoliti, La chiesa della Madonna di Loreto al Castello di Arpino, Roma, 1929.

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17 Appendice 7

18 Appendice 8 Madonna della Costa - Santa Apollonia Molti arpinati celebravano le nozze in questa chiesetta che il Clavelli chiama la Cona del Monumento (riferito al Tumulo di Saturno), dedicata più precisamente alla Madonna della Costa - Santa Apollonia ( Bellonia). Le suggestioni di cui il Clavelli si fa interprete lasciano intendere, che questa chiesa venga identificata originariamente come Cona del Monumento, da una trasposizione di origine popolare, tesa ad attribuire, con intento del tutto simbolico, alla figura della Madonna il ruolo di vestale posta a custode della prosperità.

19 Appendice 9 Il Tumulo di Saturno in Arpino la Jocca re ll Ova Né so qual testimonianza maggiore posso aversi di così antica origine, che trasse Arpino da quel gentil Dio di ciò che ne rappresenta il proprio tumulo; del quale si vengono hoggi grossi vestigi presso alle sue mura fuori dalla porta del quartiere Arco. Ritiene sin di presente il detto Tumulo il nome di Monumento ( ) onde comunemente hora chiamasi una piccola chiesa, quivi appresso eretta, la Cona del Monumento. E ben che dalle ruine di tant antica fabbrica non si vegga hoggidì altro, che un altra e grossa machina di muro, che ci dà chiaro segno, quanto ampio fosse, e superbo quell edificio fatto per sepolcro del loro falso Dio ( ) ove di più sappiamo, che dà nostri Antenati fu ritrovata l Urna con le proprie ceneri di Saturno col sottoscritto Dittico in antichissima pietra: Conditur Hic Primus Saturnus morte Deorum Imperio cuius Arpinum fundamina sumpsit. Qui il Clavelli con una dotta disquisizione, spiega come questo Epitaffio si scorge, che egli è rozzo, e disusato, possa essere stato collocato al monumento molti secoli prima dell edificazione di Roma. ( ) di quanta riprensione riputar dovremo meritevoli coloro che, o Arpinati, o altri che fussero; i quali di cose tanto memorande, e degne, mostrarono di tenere così poco conto? donando l Urna con le ceneri di Saturno al Cardinal di Carpi e non molti anni dopo la pietra con l epitaffio al Cardinal Montino; quella, ch io mi ricordo d haver più volte veduta in casa del Cavalier Bartoli, senza speranza di potersi mai più ricuperare? Perché Jocca dell Ova? Al di là delle suggestioni di cui il Clavelli si fa interprete, lungo la Via Latina si erge un semplice monumento funebre di epoca romana. La tradizione popolare, lontana dalla origini dotte, definisce il rudere Jocca dell Ova. Il motivo è che la gallina, nell antica mitologia greca, con i suoi pulcini, era simbolo di prosperità e fecondità. Da ciò la tradizione voleva che i novelli sposi andassero ad accovacciarsi sotto il rudere e rimettendosi alla protezione della grande chioccia sperare fecondità e salute

20

21 Appendice 10

22 Appendice 11 I simboli fallici Le figurazioni falliche sono in bassorilievo, aggettanti rispetto al piano dei monoliti, fatto estremamente importante perché esclude ogni possibilità di falsificazione: a dimostrazione che pietre e figurazioni falliche sono necessariamente nati contemporaneamente. La simbologia fallica, usata come attributo di potenza, riassume la forza vitale. In Grecia emerge nei miti di Dionisio, di Ermete, di Priapo, il quale ultimo, proprio in Roma, acquisisce il carattere di divinità della Procreazione (Iuppiter). Questo simbolismo risale, in Grecia, a oltre 3000 anni a. C., perché l Ermes Itifallico (l Ermete Trismegisto, in Copto rappresenta il tre volte potente ) vi era già venerato. Secondo la stessa tradizione greca il mito ebbe origini pelasgiche. Questo simbolo si trova in Anatolia, nella Frigia, a Creta e nel Peloponneso, non ultimo ad Alatri, sul frontone della porta fallica.

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