I S A G R A M O S O a cura di Pier Francesco e Guido Sagramoso - Milano 2001

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1 I S A G R A M O S O a cura di Pier Francesco e Guido Sagramoso - Milano 2001

2 DALLE ORIGINI AL 1450 Correva il secolo VIII. Pipino III di Heristal - figlio di Carlo Martello e padre di Carlomagno - re dei Franchi dopo l'abdicazione del fratello Carlomanno (751), scendeva in Italia e, in due campagne, nel 754 e nel 756, sconfiggeva i Longobardi, ai quali, i Franchi si so-stituivano nel dominio di gran parte dell'italia. Seguiva questo sovrano, tra i vari suoi baroni, un cavaliere i cui discendenti avrebbero preso il cognome "de' Galtela de' Castel Duzzo de' Galta de Lugo". Pipino lo lasciò a presidio di parte dei territori conquistati fra il lago di Garda e Verona. Il feudo prendeva il nome dalla rocca principale, Pacengo. Da allora i discendenti di quella famiglia, che certamente aveva già storia alle spalle avendo i Franchi conquistata la Gallia dopo avere superato il Reno, ebbero il titolo di Cattanei di Pacengo. Cattanei perché Capitanei, cioè insigniti della dignità, non comune, di porgere la coppa all'imperatore, e che nella gerarchia feudale veniva subito dopo quella di conte. Il conte di cui i Cattanei di Pacengo erano vassalli risiedeva, in quel tempo, a Verona. Da quel lontano 754 al primo signore di Pacengo seguirono il figlio, e via via i suoi discendenti. La famiglia consolidava il suo potere con l'acquisizione di nuove terre, di nuovi feudi, e, seguendo l'evoluzione dei tempi che vedevano, man mano, la trasformazione della civiltà contadina 2

3 in civiltà cittadina, come altre famiglie feudali si portava a Verona, di cui diventava una delle più importanti e influenti perché, oltre che potente e ricca, era anche di antica stirpe. Quale ragione le facesse assumere, già molto presto, il soprannome Sacramosius, è difficile dirlo; forse da sacer e da mos: "dal solenne comportamento". Sta di fatto che nel 942, quando sulla Marca veronese governava, lasciatovi da Berengario del Friuli re d'italia, Milone di Sambonifacio, troviamo un cavalier Palamede Sacramosius che il 24 maggio partecipa a un torneo per onorare le nozze di Pamphilia de' Scacchi con Galeotto Nogarola. La giostra si svolse nell'anfiteatro di Verona e il Sacramosius vi partecipò accompagnato da sedici "trombetti". Fra il 900 e il 1100, nei cosiddetti "secoli bui", la potenza delle città si consolidava; i feudi costituivano solamente ricchezza, non più potere che, a poco a poco, salvo qualche rara eccezione, passava nelle mani della ricca borghesia mercantile. I Sagramoso rappresentavano questa eccezione, tanto che furono tra i primi a essere iscritti nell'ordine militare. A Verona il primo podestà fu eletto nel In quegli anni la città si oppose al Barbarossa, prima nella Lega veronese e poi nella Lega lombarda. Nel 1184, invece, Verona accolse di nuovo Federigo. Sempre in quel tempo due fazioni si affrontavano dentro la città: quella dei Sambonifacio e quella dei Montìcoli e Quattroventi. I Sagramoso quale appoggiavano? Forse, per ciò che diremo più avanti, quella dei 3

4 Montìcoli. È certo che non furono travolti: erano una delle "case forti" e, asserragliandosi nei baluardi turriti, evitarono saccheggi e distruzioni. Questa lotta cessò, infine, quando Ezzelino III da Romano, portatosi alla testa della fazione dei Montìcoli, riuscì a farsi eleggere podestà di Verona, inaugurando, in tal modo, una specie di signorìa. Ezzelino, dapprima contrario, si sottomise poi a Federico II che lo nominò Vicario imperiale nella Marca veronese e comandante delle sue milizie. Con Ezzelino, prima a Treviso e a Padova, poi nel 1237 a Cortenuova, combatté Pietro Sagramoso che comandava una compagnìa di cavalieri. A Cremona l'imperatore celebrò il trionfo seguendo il Carroccio catturato e i prigionieri, fra cui il podestà Tiepolo: il Sagramoso era presente insieme con Ezzelino. Egli era, infine, fra i gentiluomini che accompagnarono in Italia Isabella d'inghilterra, moglie di Federigo II, e nel corteo veniva subito dopo Ezzelino. In quegli anni Verona divenne feudo imperiale. Nel 1259, però, quando Ezzelino fu sconfitto da Oberto Pallavicino a Cassano, Verona ritornò al governo comunale. A reggerlo venne eletto un borghese, Leonardo Della Scala, detto Mastino, che nel 1262 fu creato Capitano del popolo. Ma poco dopo Mastino cadeva ucciso, per vendetta politica, da Antonio Nogarola. Per evitare il ritorno alle lotte intestine, i nobili e i maggiorenti della città si riunirono e decisero di affidare la signoria al fratello Alberto, che si era rifugiato a Mantova. Siamo nel Fra i nobili c'era anche un Sagramoso, Uberto, che in tal modo stabiliva rapporti di amicizia e, in seguito, di parentela con i Della Scala. 4

5 Nel 1298 Ognibene Sagramoso, figlio di Uberto, venne creato cavaliere da Alberto Della Scala, in occasione delle nozze di Alboino, suo figlio, con Caterina, figlia di Matteo Visconti, signore di Milano. Nel 1304 Alboino inviava a Venezia un'ambasceria per trattare importanti questioni relative ai rapporti fra le due città: di essa faceva parte Ognibene Sagramoso. In quegli anni le città come Verona, Mantova, Milano e Venezia erano in continua tensione: le alleanze cambiavano così come cambiavano gli interessi dei signori. I Sagramoso erano sostenitori degli Scaligeri, e prendevano quindi parte alla vita pubblica della città e agli interessi della stessa. Il 16 gennaio 1311 un Sagramoso, Vescovo di Mantova, insieme ad altri ambasciatori di Passerino Bonacolsi, Capitano del popolo di Mantova e amico degli Scaligeri, assistette all'incoronazione dell'imperatore Enrico VII a Milano (cfr. Fondazione D'Arco, Storia di Mantova, Mantova 1958, vol. I, p. 302). Il 18 luglio 1329, alla presa di Treviso da parte di Cangrande Della Scala, emerse per valore il cavaliere Guglielmo Sagramoso, figlio di Ognibene e marito di Verdetta, figlia di Alberto Della Scala signore di Verona e sorella dello stesso Cangrande. Col matrimonio di Guglielmo e con quello del suo diretto nipote, Guglielmo come lui, che intorno al 1370 sposava Margherita, figlia di Bartolomeo II Della Scala e di Beatrice Nogarola, la famiglia Sagramoso giungeva a imparentarsi con gli Estensi, gli Svevi, i Da Correggio, i Gonzaga e i Visconti. Per quanto riguarda i Visconti, 5

6 Cav. Guglielmo Sagramoso (1329) marito di Verdetta della Scala 6

7 Agnese, figlia di Matteo II, era madre di Bartolomeo II Della Scala e quindi nonna di Margherita, moglie di Guglielmo Sagramoso, mentre un nipote di Matteo I, Bernabò, aveva sposato in prime nozze Beatrice Regina Della Scala, figlia di Mastino II, e in seconde nozze Donnina de' Porri. La signoria scaligera, nel corso degli anni, perdeva il suo smalto. Il 25 gennaio 1365 Giovanni Sagramoso, che non condivideva la politica violenta degli ultimi Scaligeri e parteggiava per Paolo Alboino, venne decapitato nell'arena di Verona per ordine di Cansignorio, fratello di Beatrice Regina Della Scala. Nel 1387 Verona fu conquistata da Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, il quale rivendicava i diritti sulla città vantati da Beatrice Regina moglie di suo zio Barnabò, - che peraltro egli stesso aveva fatto imprigionare e uccidere -, e cacciò dalla città l'ultimo degli Scaligeri, Antonio. In questa sua impresa Gian Galeazzo fu sostenuto da Nascimbene e da Sagramoso Sagramoso. Il dominio visconteo non ebbe però grande durata: alla morte di Gian Galeazzo la città tornò per qualche mese in mano agli Scaligeri nella persona di Guglielmo e, nel 1390 fu, per un breve periodo, sotto il dominio di Giacomo da Carrara, signore di Padova. Mancando l'uomo forte che potesse riportare la città agli antichi splendori, nel 1405 Verona chiedeva di far parte della Repubblica di Venezia. Il 12 luglio di quell'anno, infatti, ambasciatori veronesi, scelti fra i cittadini più illustri, rimettevano nelle mani del doge Michele Steno le chiavi della città: della rappresentanza faceva parte 7

8 Donato II Sagramoso. Nell'accordo fra le due città si conveniva che Verona mantenesse una certa autonomia e la propria forma di governo, mentre il podestà e il Capitano del popolo dovevano essere di gradimento di Venezia. Era un patto federativo. Caduto l'arengo e il vecchio consiglio dei Cinquecento, il 31 luglio 1405 fu deciso di eleggere un consiglio di cinquanta cittadini, dodici dei quali detenessero il potere esecutivo. Dal 1447 la scelta di questi cittadini fu però riservata ai nobili. È da quell'anno quindi che ha inizio il Nobile consiglio di Verona, che durò per quasi tre secoli. Di questo fecero parte molti Sagramoso che diedero alla città personaggi illustri sia nell'amministrazione cittadina sia su campi di battaglia anche lontani dalla propria terra, combattendo e perdendo la vita sotto il gonfalone di Venezia. La libertà concessa negli accordi con Venezia ai nobili di Verona, permise a questi di mantenere i rapporti e i contatti che già da tempo avevano con l'impero. Questo spiega perché nel 1438, a riconoscimento dell'antica nobiltà e dei molti servigi resi, Donato Sagramoso ricevette dall'imperatore Alberto II il titolo di conte palatino, titolo trasmissibile a tutti gli eredi maschi. Questa investitura fu confermata nel 1442 da Federico, imperatore e re dei Romani, e riconosciuta infine da Federico IV imperatore. Con questa nomina i Sagramoso potevano, nell'ambito dell'impero, creare notai e giudici oltre che legittimare figli naturali. È in questi anni, fra il 1435 e il 1470 circa, come risulta dalle ricerche e dagli studi fatti dal dr. Kurt Weissen di Basilea, che Ognibene Sagramoso, il capostipite del ramo di S. Paolo di Cam- 8

9 pomarzo, sembra abbia operato quale banchiere, da solo o in collaborazione con altri, quali i Guarienti, i Benzi, i Bueri, etc, per conto della Curia romana e di altre istituzioni, tra cui l Ordine teutonico. In questa attività ebbe contatti con altri banchieri, come i Borromeo di Venezia e i Medici, e tenne Basilea come base operativa. Va inoltre ricordato che, in questo periodo, il Sagramoso acquistò molte e vaste proprietà in Verona e nel territorio veronese. La potenza raggiunta dalla famiglia anche fuori dall'originario territorio di Verona spiega perché il 1 maggio 1468 Visconte Sagramoso avesse potuto armare, in Genova, "una galeaza" per muoversi a incontrare, a Aigues Nantes, Bona di Savoia, che andava sposa a Galeazzo Maria Sforza, di cui il Sagramoso era fra i gentiluomini più in vista (Marin Sanudo, Cronache, tomo I, pag. 80). * * * * 9

10 Co. Ognibene Sagramoso (1438) 10

11 DAL 1450 AI GIORNI NOSTRI La storia della famiglia Sagramoso, che in buona parte si identifica con quella della città di Verona, per gli anni che vanno dal 1450 circa a oggi si può dividere in tre periodi: - dal 1450 al 1797, quello in cui la città fece parte della Repubblica di Venezia, salvo due brevi parentesi, dal 1509 al 1517, quando fu alla mercé delle soldatesche germaniche e spagnole, e dall'ottobre al novembre del 1797, quando subì l'occupazione dell'esercito francese di Napoleone; - dal 1797 al 1850, quello in cui Verona fece parte dell'impero asburgico come Regno lombardo-veneto; - dal 1850 in poi, quando Verona venne finalmente a far parte dello stato italiano. Senza entrare in molti particolari, che si possono meglio conoscere nel volume di Gustavo Oneto Mille anni di storia della nobile famiglia Sagramoso di Verona, edito a Milano nel 1938 per conto di Guido Sagramoso, viene ora esposta una sintesi di questi tre periodi, collegandoli sia al periodo precedente sia agli anni dal 1938 a oggi, che vengono registrati per la prima volta. 11

12 Co. Lionello Sagramoso (1493) e la moglie Anna Ultramarino Affreschi di Domenico Morone nella Biblioteca di S. Bernardino a Verona (1509) 12

13 Alla morte di Donato, primo conte palatino, da due dei suoi cinque figli hanno inizio i tre rami della famiglia: - da Tomaso quello di S. Fermo e S. Andrea; - da Ognibene quello di S. Paolo di Campomarzo; - da Donato II, figlio di Tomaso, quello della Pigna, estintosi alla fine del XVIII secolo. La denominazione dei rami traeva origine dalla parrocchia nella quale aveva sede il palazzo di quel ramo. Al primo feudo, quello di Pacengo, con il passare degli anni, s'erano aggiunti e venivano ancora aggiungendosi altri feudi nei territori di Salizzole, Palù, Ronchi di Cavalcaselle, Pescantina, Roverchiara del Lago, Fumane, Valeggio, Ponton, Illasi, Piovazzello, Isola Porcarizza, Peschiera, Bardolino, Malcesine, Garagnano e Monte S. Zilio, oltre al castello di Zevio. I matrimoni con nobili famiglie veronesi e venete, come i Morando, i Ciuran, i Maffei, gli Ultramarino, i De Revolto, i Guarienti, i Pellegrini, i Nogarola, i Nichesola, i Sérego Alighieri, gli Emìlei, allargavano il consenso e l'autorevolezza della famiglia. 13

14 Cav. Co. Francesco Sagramoso (1547) 14

15 Col crescere della ricchezza e della potenza crescevano anche gli onori e le investiture: - il 16 marzo 1648 Carlo II, duca di Mantova, concedette a Marcantonio di S. Fermo e S. Andrea la cittadinanza mantovana e il 7 settembre 1649 a suo padre, Sagramoso Sagramoso, il titolo di marchese di Serralunga nel Monferrato, titolo trasmissibile a tutti i primogeniti del suo ramo; - il 19 ottobre 1717 Orazio di S. Fermo e S. Andrea divenne gentiluomo di corte di Vittorio Amedeo di Savoia; - il 20 maggio 1776, Stanislao, Re di Polonia, conferì il diploma di indigenato a Giuseppe, fratello di Michele, Balì del S. M. O. di Malta, creandolo nobile polacco e poi margravio (marchese), con privilegi confermati dalla Dieta di Varsavia. Nel campo militare, al servizio della Repubblica di Venezia, si distinsero: - nel 1570 il capitano di cavalleria Sagramoso Sagramoso, figlio di Francesco di S. Paolo di Campomarzo, noto uomo d'armi del tempo, che cadde nella difesa di Nicosia accerchiata dai Turchi durante una sortita per la quale era stato scelto dal Provveditore generale di Venezia, Marcantonio Bragadin; - negli stessi anni Marcantonio, fratello del precedente, che combatté valorosamente sempre contro i Turchi a Cipro; 15

16 Il Ducato del Monferrato in una mappa del XIX secolo: "Serralunga, de' march.i d'incisa, 1338 di Franco Spurio di Monfer.o, march.o de' Guasco 1595, de' Sagramoso 1649, contea de' Balbi 1774."

17 Morte del Co. Sagramoso Sagramoso (1570) alla difesa di Famagosta (Nicosia) nell isola di Cipro. (particolare del dipinto attribuito a Brusasorzi)

18 - nel 1640 Costanzo di S. Paolo di Campomarzo, pronipote del predetto Sagramoso Sagramoso, che raggiunse il grado di colonnello di fanteria dell'esercito veneziano; nel 1665 in Dalmazia, arruolò un esercito alemanno per le operazioni militari a Candia; nel 1666 prese parte a diversi fatti d'arme col reggimento creato a sue spese; il 3 agosto 1667, colpito da morbo insidioso, morì a Candia e venne sepolto nella chiesa di S. Pietro presso l'altare di S. Domenico; - nel 1685 Costanzo, figlio di Lionello della Pigna, che, arruolatosi volontario, cadde giovanissimo durante un fatto d'arme in Morea; - nel 1686 il colonnello Giovanni Battista di S. Paolo di Campomarzo, figlio di Giovanni Maria junior, che dopo aver prestato servizio nel Levante in tre successive campagne come capitano e come maggiore agli ordini del generale Antonio Zen, e aver provveduto nel 1680 ai lavori di fortificazione di Legnago, fu comandato di arruolare a sue spese un reggimento di mille fanti corsi e rivieraschi col quale fino al 1699 ottenne brillanti successi; - nel 1693 Giulio di S. Paolo di Campomarzo, fratello del precedente, che, al servizio della Serenissima come capitano di fanteria del Reggimento Sagramoso, si segnalò al comando della fortezza di Peschiera; - negli anni successivi Marcantonio di S. Fermo e S. Andrea, già giovanissimo vessillifero dei catafratti (cavalleria pesante), che si distinse tanto da essere "addottato figlio carissimo e dilettissimo della Repubblica", massimo tra gli onori militari. 18

19 Co. Giovan Francesco Sagramoso (1673) 19

20 In campo politico e diplomatico vanno ricordati: - Lionello figlio di Donato I, cavaliere, che il 29 gennaio 1472 fu tra gli ambasciatori inviati dalla città di Venezia a Verona; - Lapodonà, Cristoforo, Pietro e Donato, che il 4 giugno 1489 furono tra i cavalieri che accompagnarono i Rettori della città incontro all'imperatore Federico IV che entrava a Verona; - Michele di S. Fermo e S. Andrea (1651), figlio di Marcantonio e di Chiarastella della Torre, che fu ambasciatore del Duca di Mantova alle corti di Vienna e di Parigi e a cui venne concesso il cavalierato dell'ordine del Redentore; - Giovanni Francesco di S. Paolo di Campomarzo, cavaliere del S. M. O. di Malta che, nel 1673, si rese utile alla Serenissima come comandante militare e come ambasciatore in Oriente; - Michele di S. Fermo e S. Andrea (1700), figlio di Orazio (1678) e della principessa Sofia Orsini di Bar Hannover, Balì e Cavaliere di giustizia del S. M. O. di Malta, che, nel 1744 iniziò l'attività diplomatica prima alla corte di Monaco, poi alla corte di Assia, infine alla corte di Russia da Caterina ed Elisabetta, che lo utilizzarono per missioni speciali in Prussia, presso Federico il Grande, e in Polonia, alla corte di re Stanislao; fu anche studioso di botanica e a Stoccolma strinse amicizia col Linneo: nominato socio per l'italia della Reale accademia delle scienze di Svezia, molti suoi scritti figurano in quegli atti. 20

21 Palazzo Sagramoso di Campomarzo a Verona 21

22 Nel campo dell'arte si devono ricordare: - Lionello, figlio di Donato I, che fu sepolto nel 1493 nella biblioteca del convento di S. Bernardino a Verona: per incarico della seconda moglie, Anna Ultramarino, nel 1509 Domenico Morone li raffigurò su una delle pareti con lo sfondo di Malcesine e della Rocca del Garda; - Cassandra (1590), figlia di Paolo della Pigna e di Olimpia Guarienti, sposa di Alvise di S. Paolo di Campomarzo, che fu eruditissima in latino, greco, matematica e filosofia, autrice di una raccolta di pregiate poesie italiane e latine. Nel campo politico e amministrativo, infine, vanno ricordati, anche senza elencarli: - quattro giudici del Nobile consiglio dal 1532 al 1672; - quattordici vicari della Casa dei mercanti dal 1496 al 1765; - un podestà di Peschiera nel 1459; - due provveditori del Comune: nel 1460 e dal 1768 al 1781; - tre Capitani del lago: dal 1636 al 1639, dal 1675 al 1678 e dal 1693 al 1696; - un provveditore della Casa dei mercanti dal 1760 al 1765; - quattro cavalieri del S. M. O. di Malta dal 1605 al 1746; - un Balì e Cavaliere di giustizia del S. M. O. di Malta dal

23 Palazzo Sagramoso in S. Chiara a Verona 23

24 Prima che Verona passasse dal dominio veneziano a quello austriaco, la città subì, anche se per breve tempo, l'occupazione delle truppe napoleoniche, che fu dolorosissima e contro la quale molti nobili veronesi si opposero anche a rischio della vita. Insieme al conte Francesco Emìlei, provveditore della città, al conte Augusto Verità e al marchese Antonio Maffei, Giulio Cesare Sagramoso si oppose alle violenze dei francesi esortando alla rivolta le truppe venete e i contadini. L'Emìlei e il Verità, a seguito di questi fatti, venivano condannati a morte e giustiziati mentre il Sagramoso, insieme agli altri, languì per molti anni nelle carceri ed ebbe i beni confiscati. Nel 1801, dopo la breve parentesi del Regno italico, Verona passò sotto l'austria. In questo periodo si devono ricordare: - il già citato Giulio Cesare di S. Paolo di Campomarzo, I. R. paggio (1800), I. R. ciambellano (1802), membro del Comunal consiglio di Verona (1812), membro della deputazione della Fazione militare (1814), podestà di Lazise (1814), commissario di governo per Verona (1815), deputato nobile presso la Congregazione provinciale di Verona (dal 1821), podestà di Verona (1823); 24

25 - Teresa dei conti Emìlei, moglie del precedente, insignita dell'ordine della Croce stellata (1814), dama di palazzo di S. M. Imperiale; - Pietro, figlio di Giulio Cesare: tenente dei corazzieri imperiali (1840), capitano durante la campagna d'ungheria, I. R. ciambellano (1848), sposò la nobile Erminia Breyer von Breinau, figlia del cavaliere Francesco Saverio, governatore della I. R. Banca, e di Carolina Kauffman, figlia del nobile Carlo, cavaliere del S. R. I.; nel 1856, per italianità, si dimise da tutte le cariche senza però violare il giuramento fatto all'imperatore; - Giovanni Battista, figlio di Giulio Cesare: ingegnere a Padova (1854), si arruolò volontario nella legione patavina e poi nell'artiglieria toscana aggregata all'armata piemontese; fu caporale nella campagna contro il brigantaggio meridionale (1860), e capitano all'inizio della III Guerra d'indipendenza contro l'austria; morì nel 1865 a Borgoforte tagliato in due da un proiettile d'artiglieria nemico mentre comandava la sua batteria; ricevette la croce di cavaliere dell'ordine militare di Savoia alla memoria Di questo periodo vanno ricordati: - Ugo di S. Fermo e S. Andrea ( ), che da colonnello dell'esercito partecipò al soccorso delle popolazioni colpite dal terremoto di 25

26 Messina (1908) e col grado di maggiore generale comandò la Brigata Puglie; - Antonio ( ), avvocato, figlio di Ugo: prese parte alla I Guerra mondiale guadagnando una promozione sul campo; - Lionello ( ), avvocato, cugino dei precedenti, che fu tenente colonnello degli Alpini, e combatté nella I Guerra mondiale meritando tre croci di guerra al v.m.; - Alessandro ( ), abiatico di Alessandro figlio di Giulio Cesare di S. Paolo di Campomarzo: capitano dell' esercito, nel 1936 ricevette un encomio solenne per il valoroso comportamento tenuto in Cirenaica; - Giulio Carlo ( ), figlio di Pietro: ingegnere civile a Roma (1878), diplomato all'école des Mines a Liegi, direttore degli Altiforni di Hautmont (Francia) della Société Belge des Forges de la Providence, nel 1888 creò a Milano con l'ingegner Vanzetti la prima fonderia di acciaio in Italia e nel 1915 fu chiamato a progettare e costruire per conto della Società E. Breda gli impianti delle acciaierie e dei laminatoi; - Pietro ( ), figlio di Giulio Carlo: volontario, morì sul S. Michele del Carso mentre comandava l'attacco a una posizione nemica e fu decorato con la medaglia d'argento al v. m. alla memoria; - Pier Luigi ( ), figlio di Pietro: generale di corpo d'armata, durante la ritirata di Caporetto (1917) diede dimostrazione di perizia e valore contenendo con le sue divisioni l'urto del nemico e poi riorganizzò le nuove linee permettendo il ripiegamento ordinato della II e III Armata; 26

27 a lui furono concesse le croci di cavaliere e cavaliere ufficiale dell'ordine militare di Savoia e la medaglia d'argento al v. m.; - Lionello ( ), figlio di Pier Luigi: ufficiale di marina, comandò il battaglione S. Marco a Tien-Tsin in Cina e fu capitano di vascello durante la II Guerra mondiale; - Ottorino (1904), figlio di Pier Luigi: quindicenne seguì D'Annunzio a Fiume, fu volontario in Africa Orientale (1936) dove ricevette la croce di guerra per il valoroso comportamento durante la campagna d'etiopia; - Alfonso ( ), figlio di Pietro: tenente colonnello degli Arditi, nel 1917 per il suo coraggio venne decorato con la medaglia d'argento al v. m.; - Guido ( ), figlio di Pietro: ingegnere al Politecnico di Milano, nel 1898 entrò nella Soc. E. Breda, iniziò la costruzione dei nuovi stabilimenti di Sesto S. Giovanni e ne promosse i principali progressi tecnici; nel 1918, alla morte del fondatore, divenne amministratore delegato; superato il periodo delle agitazioni sociali e della riconversione industriale, attuò un notevole programma di sviluppo con l'impianto idroelettrico del Lys sotto il Monte Rosa, con la costruzione del cantiere navale di Porto Marghera, delle officine aeronautiche e dei nuovi impianti siderurgici per la produzione di acciai speciali, con iniziative nel settore minerario e la creazione di un istituto di ricerca scientifica; nel 1930 superò brillantemente la difficile 27

28 Co. Guido Sagramoso, Senatore del Regno Cavaliere del Lavoro ( ) 28

29 crisi finanziaria, che aveva colpito tutte le industrie, permettendo alla società di rimanere indipendente e guidandola al primato nelle costruzioni ferroviarie; avviò la produzione di trattrici e autocarri per uso militare, sviluppò quella delle armi leggere e delle macchine agricole; portò la società dai 2000 addetti, che aveva quando egli era entrato, a ; nel 1937 fu creato Cavaliere del lavoro, nel 1939 Senatore del regno; durante il travagliato periodo della II Guerra mondiale diresse la Breda con energia e perizia; nel 1944 fu arrestato dai Tedeschi e dai repubblichini perché oppostosi al trasferimento delle maestranze e del macchinario in Germania; - Carolina Greppi di Bussero ( ), moglie di Guido, figlia di don Carlo e di Maria Giusta dei conti Borromeo: sposa e madre esemplare fu di grande aiuto al marito sostenendolo nei momenti di maggiore difficoltà; - Ernesto Vittorio ( ), figlio di Guido: volontario, sottotenente pilota dell'aeronautica militare, nel 1942, durante la battaglia di Pantelleria, colpì con una bomba la corazzata inglese Malaya, azione per la quale fu decorato dal Capo del governo, Mussolini, con la medaglia d'argento al v.m. sul campo; trasferito in Africa settentrionale partecipò a un gran numero di operazioni; il 21 gennaio 1943, quando già era in partenza per rientrare in Italia, si offrì volontario per un'azione, ma la sua squadriglia, di soli tre apparecchi, si scontrò con una formazione di 40 caccia americani: egli ne abbatté due ma, colpito, fu visto allontanarsi in fiamme verso il deserto; proposto per la medaglia 29

30 Co. Ernesto Vittorio Sagramoso Sottotenente Pilota ( ) 30

31 d'oro al v.m., gli fu concessa una seconda medaglia d'argento al v.m.; - Carlo Emanuele ( ), figlio di Guido: volontario, sottotenente pilota dell'aeronautica militare combatté nei cieli del Mediterraneo in difesa dei convogli; al termine di un'azione cadde in Algeria vicino a Sfax dove fu raccolto gravemente ferito; invalido di guerra fu esonerato dal servizio; venne decorato con una medaglia d'argento al v.m., una medaglia di bronzo al v.m. sul campo e una di bronzo al valore aeronautico; laureatosi in ingegneria industriale progettò impianti chimico-farmaceutici e strutture per la costruzione di grandi opere di ingegneria civile; - Pier Francesco (1921), figlio di Guido: volontario, sottotenente degli Alpini, comandante di un caposaldo sul Don ( ), ferito alla testa e congelato, mutilato di guerra, reduce di Nikolajevka, proposto per la medaglia d'argento al v.m., decorato della croce di guerra al v.m.; laureatosi in ingegneria civile al Politecnico di Milano (1945) realizzò in Italia e all'estero importanti opere edili, idrauliche, idroelettriche e stradali, prima con l'impresa Ing. Lodigiani e in seguito con la Sycic Italia, la Costruzioni Generali Sycic e la PFS Costruzioni; - Emma Orietta Porro Schiaffinati ( ), moglie di Pier Francesco, figlia del conte don Lorenzo e di Olga Maggi: sposa affettuosa e madre esemplare accompagnò e sostenne il marito nelle missioni di lavoro spesso difficili e seppe adeguarsi a pesanti restrizioni con serenità e dolcezza; si dedicò alla crescita e alla salute dei figli in modo mirabile; fu generosa d'affetto per tutti coloro che la conobbero; 31

32 - Alvise ( ), figlio di Guido: laureato in giurisprudenza si trasferì in Argentina: qui e in Cile realizzò molte opere stradali, prima con una società sua (Sycic s.a., Sagramoso y C. Industrial y Constructora) poi in associazione con l'impresit (Impresit Sycic Vial s.a.). * * * * * * 32

33 APPENDICE Altre notizie sulla Famiglia e su alcuni suoi membri 1- de Galtela de Castel Duzzo de Galta de Lugo (p. 2) Questo è il cognome con cui la famiglia viene chiamata nel diploma di nomina a conte palatino del Il cognome, in realtà, un tempo doveva essere quello di "di Castel Duzzo", da Chateau d Oux, in Francia, da dove i Sagramoso erano venuti al seguito del re franco. Galtela dovrebbe essere il diminutivo di Galta, nome longobardo di donna. Galta de Lugo, infatti, nel 1290 circa, fu la moglie di Uberto Sagramoso, figlio di Gerardo, di Rodolfo, di Guglielmo, di Francesco, il "miles" del Perché, ad un certo momento, divenne parte integrante del cognome? Forse per distinguere questo ramo da quello, poi estinto, discendente da Guglielmo, fratello di Uberto e marito di Verde della Scala? Dopo la vittoria di Pipino e fino a quando con Carlomagno il territorio non passò definitivamente sotto il dominio franco, Franchi e 33

34 Longobardi convissero e si integrarono. Ciò spiegherebbe momenti particolari della storia della famiglia Sagramoso che sono evidenziati in particolar modo con l uso, per un certo periodo, del cognome "de Galtela". 2- Verona nei secoli XI, XII, e XIII - Ezzelino da Romano e Pietro Sagramoso (p. 3s) Da Il Veneto nel Medioevo - Le Signorie trecentesche, Banca Popolare di Verona, 1997, p. 206s; 213s, leggiamo e sintetizziamo. Nei secoli XI e XII, nel veronese, come nelle vicine località venete, le famiglie dominanti di dividevano in comitali (come i Sanbonifacio) e capitaneali (come i Sagramoso), che avevano origine feudale. Successivamente, a queste, si aggiunsero le famiglie signorili, quelle, in maggioranza, cittadine, che si erano create potere con l esercizio di una professione (notai o avvocati), di una funzione pubblica (Visconti) o, infine, nell esercizio di un attività mercantile. Alla scomparsa di Ezzelino nel 1259, il comune veronese appare retto da un podestà del popolo, Mastino della Scala, di famiglia cittadina, già podestà del comune cittadino per Ezzelino da Romano nel gennaio dello stesso anno. 34

35 L affermazione del 'Comune del popolo' avviene nell ambito di un processo che porta all affermazione economica e sociale prima, politica poi, dei ceti produttori, i quali conseguono la capacità di incidere nell ambito propriamente politico, creando associazioni, societatis populi. La famiglia dei Della Scala, senza consistenti basi di potere giurisdizionale e militare, come i Da Camino a Treviso, i Da Carrara a Padova, gli Estensi a Ferrara, raggiunse il governo signorile. Essa fu la sola signoria con politica filoimperiale ghibellina, nonostante le sue origini cittadine, 'borghesi'. I primi scaligeri apparvero a metà del XI secolo, ma solo ai primi del XII secolo parteciparono alla vita pubblica. Il primo, Adamo, fu giudice; il secondo, Balduino I, fu console del comune nel L evoluzione verso la forma signorile avvenne lentamente; prima col controllo del comune del popolo e della Domus mercatorum, poi con la difesa degli interessi della città contro tutti i fuoriusciti (Sambonifacio, da Lendinara, etc), infine, con la partecipazione alla vita interna della città. Solo dopo la morte di Mastino, nel 1277, e l ascesa del fratello Alberto, si ha il riconoscimento giuridico della 'signoria'. Nell azione di comando gli Scaligeri furono in gran parte aiutati dai rappresentanti di famiglie di uguale tradizione, come i Dal Verme, affermatisi tra il XII e XIII secolo, i Da Sacco ancor più recenti, 35

36 i Pompei, provenienti dal contado, e i Bevilacqua, mercanti di legname in Trentino. Parteciparono al comando però, anche altre famiglie che, invece, provenivano dall Età precomunale ed erano già potenti, come i da Nogarole, i Malaspina, [i Sagramoso ndr.] etc, che, prima, avevano partecipato anche al governo ezzeliniano. Queste famiglie conservavano tradizioni diplomatiche e militari preziose ancora nel secolo XIV. Né indifferente doveva essere, alla corte scaligera, che con Cangrande si avviava a modelli principeschi, il prestigio 'nobiliare' che tale tradizione ad essa conferiva. Da Giusto Geremia, Ezzelino III da Romano, Signore veneto, Sugarco, Varese, 1997, sintetizziamo. L azione di Ezzelino III da Romano [di cui Pietro Sagramoso fu comandante di una compagnia di cavalieri, ndr.], si svolse nell arco di quasi cinquant anni, dal 1210 al 1260, nel territorio compreso fra Treviso e Brescia, a ridosso di Venezia ed in contrasto con questa ed i guelfi sostenitori dei vari pontefici nella lotta contro l Impero. In questi anni si attua il passaggio dal feudalesimo puro dei castelli, al centro di vasti territori agricoli, all insediamento dei borghe-si e dei mercanti nelle varie città, per arrivare, poi, a quel sistema integrato dove non sono più i castelli, ma nemmeno le singole città a essere centro 36

37 di unione e di politica, ma ampie intere zone dove ogni singola città rappresentava il centro di un vasto territorio. Per raggiungere questo scopo Ezzelino si affiancò a Federico II imperatore, che si spostava da una parte all altra della penisola per sottomettere le comunità guelfe. Nella sua zona, fra Treviso e Verona, con alterne vicende riuscì a dominare i Sambonifacio e gli Estensi e tutti guelfi a loro fedeli. Amava Verona e cercava di identificarsi col destino di questa città. Ezzelino l amava e prediligeva perché non tormentata da sussulti sociali; il Vescovo stesso aveva posizione di neutralità; il Comune, senza avere distrutto certi distintivi di feudalità, mostrava preferenze democratiche; dal contado non provenivano sommosse dannose al Comune stesso; castelli del contado e nobili delle città avevano creato un modo di convivenza assai normale; l assimilazione tra le classi si realizzava concretamente nel rispetto delle singole particolarità; le libertà fondamentali erano garantite dal Podestà, la cui gestione si svolgeva fuori dalle influenze dei partiti e delle fazioni. In verità, Ezzelino vedeva nel Comune di Verona l istituzione modello ed esemplare entro la quale si accordavano cittadini e castellani dando vita ad una comunità che dall armonia cooperativa traeva profitto e potenza. Questo ordinamento comunale era fondamento del nuovo mondo ideato da Ezzelino dopo essere stato costretto a riconoscere che il feudalesimo mostrava segni di decadenza dinnanzi a una civiltà meno osservante dei valori morali ma che elevava il tenore di vita di tutti. 37

38 Da questa biografia di G. Geremia Ezzelino emerge non già quale perfido tiranno assetato di sangue e vendette, così come la leg-genda vuole, bensì quale uomo di governo dalle vedute straordina-riamente nuove e moderne. Non per nulla Ezzelino segnò una svolta profonda nella storia dell Italia padana ed un alternativa in quella euro-pea. Lo storico J. Burchardt, nel suo volume Le civiltà del Rinasci-mento in Italia (Firenze, 1961) scrisse: Federico II ed Ezzelino III rimangono per l Italia le due più grandi figure politiche del XIII secolo. In questo contesto storico e politico, prende vigore l azione militare svolta da Pietro Sagramoso e dai suoi eredi, che, alla morte di Ezzelino, poterono contribuire in modo valido alla creazione di una Verona nuova che, tramite i Della Scala, anche da loro sostenuti, diede dimostrazione di forza, di saggezza politica e di efficienza. 3- I Sagramoso al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia (p. 15ss) Ci pare utile, per meglio comprendere le figure di quei membri della famiglia Sagramoso citati alle p. 15 e 18, esporre una sintesi del quadro storico della Repubblica di Venezia da quando, dopo la sconfitta subìta ad opera della coalizione fra stati italiani, Impero e Francia, all epoca della Lega di Cambrai (1509), l espansione territoriale di Venezia nella terraferma si esaurì. Da quel momento, infatti, 38

39 Venezia dovette contrastare le minacce dell Impero ottomano ai suoi domini in oriente e in Dalmazia. Fino a quel momento i Veneziani, gelosi del loro potere, non avevano gradito servirsi dell opera dei nobili delle città dell en-troterra. D altra parte, questi stessi, come dimostrato dalla loro parziale autonomia politico-amminstrativa, non avevano amato pren-dere parte alle vicende militari veneziane dell entroterra. Quando, però, Venezia ebbe a sostenere il peso derivante dal pericolo ottomano che, d altra parte, coinvolgeva anche l economia delle città di terraferma, i nobili di queste risultarono importanti per la difesa degli interessi della Repubblica di Venezia, che erano pure i loro. Nonostante la vittoria di Lepanto (1571), infatti, Cipro fu attaccata da armati e da 150 navi ottomane al comando di Alì Pascià. Gli ultimi 2000 uomini di Marcantonio Bragadin, dopo aver perso Nicosìa e aver difeso strenuamente la rocca di Famagosta, il 19 luglio 1571 si arresero e lasciarono l isola. Persa Cipro, i veneziani si arroccarono in Creta, che, per la sua posizione geografica, presidiava la Morea (Peloponneso) e i dominii in Dalmazia. Verso il 1650 i veneziani, agli ordini di Lazzaro Mocenigo, distrussero a Paros l armata turca di Alì Ammazzamanna, e combatterono, e più volte sconfissero, i turchi fin dentro i Dardanelli. 39

40 Causa le vittorie ai Dardanelli, con le quali Venezia aveva sgominato gran parte dei convogli turchi, questi non riuscirono a conquistare Candia (Creta), dove fin dal 1645 erano sbarcati con 400 navi e un forte esercito. Nel 1657 infatti Lazzaro Mocenigo, con 12 galee affrontò e sconfisse 22 galee turche ma morì durante la battaglia. Il Mocenigo fu sostituito da Francesco Morosini, il quale cercò di salvare la martoriata Candia ma, nonostante la forza delle sue azioni, non ottenne risultati apprezzabili. Dopo essere stato sostituito, per breve tempo, da Giorgio Morosini e da Andrea Cornaro, riprese il comando. Nel luglio del 1669 dovette però arrendersi per risparmiare la vita ai superstiti. Nel 1688 però, tredici anni dopo l eroica sconfitta di Candia, lo stesso Francesco Morosini conquistò la Morea. È nell arco di questo periodo, dal 1561 al 1688, che quei membri della famiglia Sagramoso diedero dimostrazione delle loro capacità militari e umane. 40

41 4- Michele Sagramoso ( ) (p. 20) Estratto dal volume Caterina II di Russia di Casimiro Waliszowski, edizioni Dall Olio, Milano 1983, p : "... Fu espressamente vietato a Caterina di scrivere direttamente e personalmente a chiunque, anche a suo padre e sua madre. Doveva limitarsi a firmare le lettere che venivano redatte per lei al collegio degli Affari Esteri... Il che significava, per così dire, invitare Caterina alla pratica della corrispondenza segreta, tanto in voga a quell epoca. Ella non si curò di protestare. In quello stesso momento arrivava alla corte di Pietroburgo un nobile italiano di nome Sacromoso, cavaliere di Malta. Gli vennero tributate grandi onoranze. Fu presente a tutti i festeggiamenti e a tutti i ricevimenti ufficiali o intimi. Un giorno, baciando la mano della granduchessa, riuscì a consegnarle furtivamente un biglietto. "È di vostra madre", mormorò, in modo da non essere udito da nessuno. Nello stesso tempo, le indicò un musicista dell orchestra del granduca, un compatriota di nome Olilio, come l uomo che si incaricava di trasmettere la risposta. Caterina nascose prontamente il biglietto nel proprio guanto... Sacromoso non l aveva ingannata; era veramente sua madre che le scriveva. 41

42 Stesa la risposta, seguì per la prima volta con attenzione i concerti del granduca. Non sentiva passione per la musica. L uomo additatole, vedendola avvicinarsi, estrasse senza ostentazione il fazzoletto in modo da lasciare abbondantemente aperta la tasca del vestito. Caterina fece scivolare il biglietto in quella improvvisa buca delle lettere e la corrispondenza divenne in questo modo possibile. Continuò per tutta la durata del soggiorno di Sacromoso a Pietroburgo...". L episodio sopra riportato, che sembra sia ricordato nelle Memorie scritte dalla stessa Caterina II ed è citato pure nella monografia dello storico H. Trojat, si riferisce al periodo in cui Caterina aveva appena sposato l erede al trono, Pietro. Il Sagramoso, come è scrit-to nel volume di G. Oneto, dal 1744 ad oltre il 1775, ebbe rapporti sia con Elisabetta che con Caterina II. Da Valentina Anker e altri, Viaggio verso le Alpi, :Nella descrizione del Monte Bianco e dei suoi segreti gli autori scrivono: "Nel 1755 i ricercatori di cristalli accompagneranno il giovane cavaliere di Malta, l avventuroso Michel de Sagramoso, fino alla vetta del ghiacciaio del Télèfre. Ma ciò che stupisce di più gli abitanti delle vallate è l abito del Reverendo d Oriente. Cosa può essere più di moda che varcare le cime in costume orientale? 'Turqueries' e Turismo: è lo chic supremo che permette di 42

43 varcare, senza meravigliarsi, dalle cupole dorate alle cupole di cristallo. Liotard, a cui piacevano le 'Turqueries' non mancò di dipingere questo elegantone, che dormiva in tenda 'con i fuochi accesi e con scintille la notte', dato che il viaggio era pericoloso" Altre notizie sul conte Michele Sagramoso si possono trovare in: Atti e memorie della Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, Anno accademico , Vita del marchese Michele Enrico Sagramoso, Balì del S.M. Ordine di Malta, di Aurelio Bertola, Pavia, 1793, Aurelio Bertola nella Letteratura del 70, di A. Piromani, 1959, Scipione Maffei e Verona settecentesca, di Gaetano Gasperoni, Verona, 1955, Carteggio M.E. Sagramoso, buste 86 e 87 della Biblioteca civica di Verona, Michele E. Sagramoso e Giambattista Morgagni, di Luigi Messedaglia, in Atti dell Accademia di Agricoltura... di Verona, 1996, Ritratti di alcuni illustri amici, di Silva Curtoni Verza, Verona, 1907, ecc. 43

44 5- Motto Sagramoso (p.20) Da Carlo Padiglione, I motti delle famiglie italiane, Napoli, 1910, ristampa anastatica di Forni Editore, Bologna, 1972 Sacra musa canente Questo motto fu usato da Michele Sagramoso o Sacromo-so, come molti chiamano tale Famiglia, cui appartenne pure l altro Mi-chele Sagramoso... [il Gran Balì del S. M. O. M. ndr]. 6- Il palazzo Sagramoso di Campomarzo a Verona (p. 21) Questo palazzo, originariamente della famiglia Ciuran, era stato portato in dote da Niccolina Ciuran sposata nel 1458 a Ognibene Sagramoso, capostipite del ramo di San Paolo di Campomarzo (V.Cartolari, Cenni sopra varie famiglie illustri di Verona, 1855, ristampa anastatica di Forni Editore, Bologna, 1969, p.62). 44

45 9- Situazione economica dei Sagramoso tra il XVII e il XVIII secolo Elementi tratti da Giorgio Borelli, Un patriziato della terraferma veneta tra XVII e XVIII secolo - Ricerche sulla nobiltà veronese, Biblioteca della Rivista economica e storica, Giuffré, Milano, Dall introduzione: "... Ci siamo proposti... di analizzare il sistema economico sociale di una città della terraferma veneta fra la metà del XVII secolo sotto il profilo della classe sociale che in esso ebbe la preminenza, vale a dire la nobiltà... : una nobiltà che non è più o non soltanto quella d origine feudale legata al feudo ed alla titolarità di pubblici poteri. La ventata comunale, con irruzione dei ceti mercantili ed artigianali fioriti sul terreno della rinascita urbana, modificò profondamente il volto degli strati dirigenti. Il segno feudale di essi si illanguidì, e, attraverso un processo molecolare di ricambio alla testa delle città della terraferma erette a comune, trovarono un ceto composito in cui elementi della nobiltà feudale si saldano al mondo dei mercanti e delle arti. Il periodo delle Signorie rappresentò un momento di stabilizzazione del nuovo strato dirigente che si amalgama intorno al Signore legandosi agli uffici. La conquista veneziana della terraferma nel corso del XV secolo apre una fase nuova. La dominante, retta da ordinamenti che sancivano anche giuridicamente la premi-nenza di 45

46 coloro che partecipavano al Maggior Consiglio spinge nel senso di una chiusura dei consigli cittadini agli homines novi che via via si affacciavano alla ribalta della Storia. Siamo... di fronte ad una nobiltà ereditaria che legittima la sua ragion d essere con l appartenenza ai consessi che reggono le città di terraferma. Una sorta di patriziato degli uffici, o di nobiltà di to-ga, che fu tanto più puntiglioso nella deifesa delle proprie preroga-tive, quanto più esso si dimostrò privo di reale potere in uno stato in cui l ultima definitiva parola spettava all aristocrazia veneziana. Su questa nobiltà di terraferma intendiamo soffermarci " Dal capitolo II: Ricchezza e Nobiltà: Le famiglie citate sono 29: Alberti, Allegri, Bevilacqua, Brognollago, Carlotti, Canossa, Campagna, Della Torre, Del Bene, Emilei, Giusti, Giuliari, Lando, Lisca, Maffei, Malaspina, Miniscalchi, Montanari, Morando, Nogarola, Pellegrini, Pindemonte, Pompei, Sagramoso, Sambonifacio, Serego, Spolverini, Verità. I Sagramoso nell arco di tanti secoli si imparentarono con quasi tutte queste famiglie. Dal sottocapitolo 25, I Sagramoso: "Per censo e prestigio sono tra le famiglie più insigni dell aristocrazia cittadina. Si presentano con 8 fuochi, 19 componenti e 21 persone di servizio nel 1653; con 5 fuochi, 17 componenti e 11 servi nel 1682; con 4 fuochi, 10 componenti e 10 servi nel 1696; con 3 fuochi, 11 componenti e 21 persone di servitù nel 1745". 46

47 I beni dei Sagramoso sono ubicati in 32 località del territorio veronese e precisamente... a Soave,...Trezzolano,...Castagnè,... Poiano,... San Pietro Incariano,... Fumane,... S. Ambrogio,... Pastrengo e Piovezzano,... Ponton,... Castelrotto,... Affi,... Caprino,... Pazzon,... Dolcè,... Lazise,... Peschiera,... Pacengo,... Ronchi di Cavalcaselle,... Castelnuovo,... Sandrà,... Malavicina,... Fagnano,... Vigasio,... Cerea,... Isola Porcarizza,... Tomba di Sotto,... Palù,... Roverchiara,... Santa Maria di Zevio,... Remedello. "Il primo fuoco dei Sagramoso è anche quello che risulta caratterizzato dalle maggiori capacità economiche...: Sagramoso Sagramosi, q. Michele nel 1653 è proprietario di c. (campi) Nel 1682 Marcantonio Sagramoso, q. Sagramoso è proprietario di c. 2694,... nel 1696 sempre Michele Sagramoso è proprietario di c. 2802". L elencazione continua fornendo ulteriori dati interessanti su altri fuochi della stessa famiglia. 8 - Guido Sagramoso ( ) (p. 27ss) Dal quotidiano "la Repubblica" del 21 febbraio 1995, l articolo di Cristina Sanna Passino, scritto in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa, così intitolato: 47

48 "La città della memoria. Guido Sagramoso, ingegnere, alla guida della fabbrica di Sesto si oppose al trasferimento in Germania di operai ed impianti. Era il 1945, le SS lo portarono in carcere - La fabbrica nel cuore - Un eroe discreto contro il regime - Il salvatore della Breda. Milano, primavera del Guido Sagramoso non poteva certo sapere che sarebbe stato ricordato come uno 'Schindler milanese', l eroe che si sacrifica per salvare la vita dei suoi operai. Né che, a distanza di quasi cinquant anni dalla sua morte, avvenuta il 18 febbraio 1945, pochi mesi dopo essere stato rilasciato dal carcere, il suo gesto avrebbe fatto rabbrividire tanti, ripensando a quando a S. Vittore gli industriali ci finivano per delle buone ragioni. Eppure, lui, non era il tipo dell esibizionista. Figlio di una nobildonna viennese, Erminia Breyer von Breinau, allevato secondo rigidi principi morali, aveva fatto soltanto il suo dovere, quando insieme ad altri due dirigenti della Breda era stato prelevato dai repubblichini e portato al macello di Monza, poi all Albergo Regina, in via S. Margherita, dove le SS avevano il loro quartier generale, interrogato e poi sbattuto in carcere a S. Vittore. Lui, che aveva già 69 anni suonati, non esitò un secondo ad opporsi ai tedeschi che volevano smantellare la fabbrica di cui era amministratore delegato dal 1915, portando in Germania macchine e maestranze che non sarebbero mai più tornate. Grazie a lui la Breda si salvò. Da solo, salvò lo stabilimento di Sesto S. Giovanni, quello di Bresso e quello di Niguarda. E anche tutti gli operai. 48

49 Quando uscì da S. Vittore, ai familiari accorsi in piazza Duse a riceverlo chiese solo il testo della Divina Commedia. Voleva riguardare un verso del Paradiso che nelle fredde nottate del carcere non era riuscito a ricordare. Dei giorni passati a S. Vittore non volle mai parlare: era provato e aveva sofferto molto. Milano, allora, viveva avvolta nell ombra e nel silenzio. Erano gli anni della banda Kock, del colonnello Colombo, comandante della Muti, delle barbarie nei colpi di coda del regime. Guido Sagramoso si batteva per salvare il salvabile. Del resto, per lui, la Breda era tutto. Nato nel 1875 a Negrar (Verona), nella villa di Pojega, dal conte Pietro Sagramoso, discendente da una famiglia arrivata in Italia ai tempi di Pipino il Breve, Guido entrò a far parte dei quadri della Società Italiana Ernesto Breda già nel 1898, appena laureato in ingegneria al Politecnico di Milano. A lui si devono gran parte dei progetti tecnici compiuti dalla Breda nella prima metà del secolo, la progettazione e costruzione dello stabilimento di Sesto S. Giovanni, l impianto idroelettrico del Lys sotto il massiccio del Rosa, il cantiere navale di Porto Marghera, le officine aeronautiche di Bresso e l Istituto di ricerche 'Ernesto Breda', nato per dare impulso alla ricerca scientifica ed allo sviluppo delle nuove tecnologie. Certo, la camicia nera l aveva dovuta indossare anche lui. Ma sul tavolo di Mussolini i rapporti dei federali fascisti parlavano chiaro. E anche l Ovra non ci mise molto a segnalare il suo antifascismo: l amministratore delegato della Breda è "animato da spirito super- 49

50 capitalistico" e orientato perciò su "direttive megalomani". A lui si addebitava anche il "sabotaggio del piano di fusione della Breda con la Franchi Gregorini di Brescia e le Officine Reggiane", due imprese meccanico-siderurgiche in gravi difficoltà che il Ministro dell'economia nazionale e quello delle Finanze avevano deciso di far sopravvivere. Guido Sagramoso, pur non pienamente convinto degli aspetti tecnici dell'operazione, aveva invece sostenuto l'urgenza e la necessità di un vero progetto di ristrutturazione per la Breda, che la depressione degli Anni Trenta non era riuscita comunque a travolgere. Anche perché, alla prova dei fatti, il suo amministratore delegato aveva rivelato doti non comuni di intraprendenza o sagacia uniti a quel tanto di spregiudicatezza ed abilità che erano necessari per tenersi a galla e uscire dai marosi della crisi. Nel 1936, l'anno in cui la Fiat varava la "Topolino" nella prospettiva di una crescente motorizzazione, la Breda di Sagramoso inaugurava con un elettrotreno dal profilo aerodinamico a struttura tubolare i primi sviluppi del trasporto veloce su rotaia. Nel settore dell'aviazione erano nati gli apparecchi militari Breda 64 e Breda 65; in quello civile un bimotore per il trasporto merci ed un trimotore metallico per passeggeri. La Breda si presentava così come una delle principali concentrazioni industriali italiane. Lo stabilimento di Milano provvedeva alla costruzione oltre che di locomotive anche di caldaie, macchine utensili, proiettili, affusti di cannone ed altri prodotti di impiego bellico. Quello di Sesto si occupava di vetture di ogni genere e classe, carri 50

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