Giovanni Lauriola ofm

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1 EUCARISTIA E PENITENZA SECONDO DUNS SCOTO Giovanni Lauriola ofm Nella concezione teologica di Duns Scoto, l Eucaristia occupa il posto principale e privilegiato. E considerata come il cardine dell intera economia divina, verso il quale gravitano tutti gli altri sacramenti e da cui trae alimento tutta la vita spirituale della Chiesa. Scrive: «Cristo è rimasto con noi nell Eucaristia, affinché ognuno si sentisse spinto alla riverenza e alla devozione verso la persona del Cristo. Ciò appare evidente dal fatto che quasi ogni devozione è nella Chiesa ordinata a questo sacramento» 1 ; e con pari decisione aggiunge: «Se Cristo non fosse presente nell Eucaristia, scarso sarebbe l interesse per gli altri sacramenti, e scomparirebbe dalla Chiesa ogni devozione e non si farebbe atto di adorazione a Dio» 2. Senza Eucaristia, secondo Duns Scoto, tutto resterebbe spiritualmente pietrificato sia nella Chiesa sia nella vita degli uomini. L Eucaristia è la vita e il nutrimento spirituale dei singoli e della comunità; non è solo memoriale della passione di Cristo, ma anche principio dell unità della Chiesa: Sacramentum unitatis ecclesiae. In quanto sacrificio e in quanto sacramento, l Eucaristia unisce il corpo mistico nel culto alla SS. Trinità e realizza l unione dinamica spirituale della Chiesa. L Eucaristia non entra nella costituzione dell ordine soprannaturale e della Chiesa come una realtà occasionale e a titolo medicinale, bensì come una realtà costitutiva e come continuazione storica dell Incarnazione medesima. Questa deduzione è in perfetta sintonia con la liturgia, secondo cui la celebrazione eucaristica è una partecipazione alla liturgia celeste, in quanto all offerta del sacrificio eucaristico partecipa direttamente anche l ordine degli angeli. In tal senso, si comprende bene l affermazione che l Eucaristia è la preghiera ufficiale della Chiesa universale, sia del cielo che della terra. Come a dire: il mondo reale adora la SS. Trinità per mezzo dell Eucaristia, che viene offerta sull altare. In altre parole: l Eucaristia è stata decretata e voluta in funzione di Cristo e della Chiesa, e non è condizionata in nessun modo dal peccato originale e dalle sue conseguenze. Nell Eucaristia ritorna sempre tutto intero il Primato ontologico di Cristo: cuore della visione teologica e spirituale del Beato. E in questo orizzonte smisurato della concezione eucaristica cristocentricamente interpretata, che giganteggia senza limiti la fisionomia spirituale del sacerdote! Per 1 Ordinatio, IV, d. 8, q. 1, n. 3, (n. 24): «Congruum est Christum esse nobiscum in tali signo sensibili, ut magis excitetur quilibet ad reverentiam et devotionem ad Christum; et hoc patet de facto, quod quasi omnis devotio in Ecclesia est in ordine ad illud Sacramentum». 2 Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q. 1, n. 3, (n. 15): «Nisi enime corpus Christi esset in sacramento Eucharistia, parum curaretur de aliis sacramentis, et periret omnis devotio in Ecclesia, nec exhiberetur actus latriae Deo».

2 Duns Scoto, infatti, il sacerdote è la più grande potestà che l uomo possa esprimere: consacrare il corpo di Cristo e costruire la Chiesa. Il sacerdote è inteso come vicario di Cristo e lo rappresenta nella Chiesa, e rappresenta anche la Chiesa verso Cristo 3 : agisce nella persona di Cristo nella Chiesa e come amico della Sposa verso lo Sposo. Il sacerdote, per Duns Scoto, è mediatore tra Dio e la Chiesa, tra Dio e l umanità. Simpatica è l immagine con la quale Duns Scoto caratterizza la funzione del sacerdote nella Chiesa. Lo paragona al cuore che fa arrivare il sangue-vita a tutte le membra del corpo: «Come l anima comunica alle altre membra le sue virtù mediante il cuore che ne è la sede principale, così è logico che questa capacità di fare e di dispensare l Eucaristia risieda in colui che è principalis, il supremo, nella gerarchia ecclesiastica, cioè nel sacerdote» 4. E in questo delicato ufficio, il sacerdote dovrebbe essere meno correttore che conciliatore dei peccatori. Scrive: «Nella Chiesa non si richiedono tanti sacerdoti che correggano quanto sacerdoti che attraverso la preghiera e l Eucaristia riconcilino i peccatori» 5. Leggere il mistero dell Eucaristia in questo spaccato di Duns Scoto significa richiamare alla memoria il mistero dell Incarnazione, che costituisce l asse portante e centrale del suo sistema teologico. Allo scopo è sufficiente ricordare due riferimenti dottrinali, uno generale e l altro particolare, che hanno come sfondo il fine ultimo dell uomo nel grandioso processo del reditus ad Deum per Christum, (il ritorno a Dio per mezzo di Cristo). Con il mistero dell Incarnazione, l uomo è stato come divinizzato dal Verbo, e lo stesso mistero vive storicamente nella Chiesa, come continuazione dell Incarnazione, attraverso i beni della Redenzione, donata liberamente dallo stesso Cristo. Nel riferimento generale è sottesa la delicata questione del fine ultimo dell uomo alla gloria, con tutto ciò che comporta la determinazione della natura umana elevata all ordine soprannaturale della visione beatifica. Problema che investe direttamente il rapporto ragione-fede e anche il desiderio naturale dell uomo in rapporto alla grazia divina. L uomo, secondo Duns Scoto, pur avendo «Dio come fine naturale del suo desiderio; tuttavia tale fine non può essere raggiunto naturalmente, ma solo in modo soprannaturale» 6, cioè per mezzo della grazia di Cristo, che rende concreta la visione beatificante di Dio uno e trino, fine ultimo dell uomo. 3 Ordinatio, IV, d. 33, q. 2, n. 4, (n. 34): «Sacerdos tanquam Christi Vicarius in Ecclesia repraesentans personam Christi, et e coverso». 4 Ordinatio, IV, d. 13, q. 2, n. 20, (n. 205): «Sicut ab anima mediante corde derivantur virtutes animae ad caetera membra, et in corde est principalis sedes ita rationale est istum actum conficiendi et dispensandi Eucharistiam resideat apud illum qui est principalis in Hierarchia Ecclesiastica; huismodi autem est Sacerdos». 5 Quaestiones quodlibetales, q. 20, n. 16, (n. 63): «Nec tantum requiruntur rectores in Ecclesia ad correctionem faciendam, sed ad reconciliationem faciendam peccatorem per orationem Ecclesiae et hostiam salubrem». 6 Ordinatio, I, prol., pars 1, q. un., n. 12, (n. 40): «Concedo Deum esse finem naturalem hominis, sed non naturaliter adipiscendum sed supernaturaliter».

3 Il riferimento specifico, invece, abbraccia tutti i problemi riguardante la vita sacramentale. Punto importante è certamente la determinazione della causalità dei Sacramenti, specialmente nell interpretazione della classica espressione ex opere operato. Secondo Duns Scoto, l espressione significa che i Sacramenti, per virtù di Cristo, hanno in se stessi il potere di produrre la grazia indipendentemente dal volere di colui che li amministra. Per questo, i Sacramenti sono chiamati anche segni efficaci della grazia. La loro causalità, quindi, è di natura strumentale, perché operano in virtù del potere causale dato loro da Cristo, causa efficiente principale. L Eucaristia, fondamentalmente, è il dono di Cristo agli uomini per salire a Dio con Lui. L Eucaristia è sacramento in modo del tutto speciale, perché è sacramento da sempre, cioè dal quando avviene la transustanziazione, come a dire che sacrificio e sacramento, pur distinguendosi nel termine e nel significato, sono ed esprimono la medesima realtà, il Cristo integrale o il Cristo totale. Per precisare questa singolarità dell Eucaristia, Duns Scoto l analizza come Sacramento sotto diversi aspetti: 1) nella causalità dei sacramenti in genere; 2) come fundamentum et forma dei sacramenti; 3) come nutrimento spirituale dell anima; 4) come fons del culto latreutico; e 5) nel rapporto con la Penitenza. 1. Causalità dei sacramenti Alla comprensione della causalità dei sacramenti è sottesa la diversa interpretazione tra lettura teocentrica e lettura cristocentrica della storia della salvezza, sintetizzabile, per comodità di sintesi, nel rapporto fede-ragione, grazia-libertà, grazia-natura, in cui l uomo è chiamato a partecipare alla vita divina, con l incorporazione a Cristo mediante i sacramenti amministrati dalla Chiesa e nella Chiesa, come continuazione storica della stessa Incarnazione. L inizio dell incorporazione è dato dal Battesimo, che cresce e si perfeziona specialmente con l Eucaristia. Ovvia sembra l affermazione che Cristo sia l autore dei sacramenti, mentre alla Chiesa è lasciato il compito di amministrarli e di precisarli. Circa la causalità dei sacramenti, si afferma comunemente che essi producono la grazia che significano. La diversità di opinione riguarda il modo di interpretare il valore del segno nella produzione della grazia. Chi segue la concezione teocentrica ritiene la causalità d ordine fisico, nel senso che il sacramento come segno efficace produce la grazia, a modo di causalità strumentale; chi invece segue la prospettiva cristocentrica ritiene la causalità di tipo morale, nel senso che il sacramento come segno efficace influisce nella produzione della grazia come causalità efficiente morale e non fisica.

4 Poiché questa seconda ipotesi, dovuta a Duns Scoto, è seguita da molti autori anche di diversa estradizione francescana, sembra opportuno precisare con più attenzione la sua posizione o interpretazione, così da allontanare ogni eventuale ombra di dubbio in un campo così delicato. Prima di tutto, la causalità morale, di cui parla Duns Scoto, ha valore e significato di efficienza e non di occasione nella produzione della grazia, onde il valore causale del segno sacramentale. Il segno sensibile del sacramento non ha alcun valore magico, nel senso che possa determinare Cristo a conferire la grazia, perché unico autore della grazia è solo Cristo, che agisce come un ablativo assoluto, cioè senza alcuna dipendenza da creatura o da elementi. Onde, l adagio che i sacramenti agiscono ex opere operato, nel senso che hanno in se stessi, ma per virtù di Cristo, il potere di produrre la grazia, indipendentemente dal potere di colui che l amministra (ex opere operantis). La loro causalità, perciò, tecnicamente si chiama strumentale o dispositiva, perché operano in virtù del potere causale dato loro direttamente da Cristo 7. A documentazione essenziale di questa ipotesi del Dottor Sottile, si riportano due testi, uno circa la recezione in genere dei sacramenti, e l altro sulla causa strumentale. Il primo: «La recezione del sacramento è una disposizione necessitante per [produrre] l effetto significato dal sacramento, non in virtù di una forza intrinseca [al segno] che necessariamente deve causare la grazia o una sua disposizione prossima a riceverla, ma solamente per l assistenza di Dio che causa la grazia, non per necessità assoluta, bensì per quella necessità che deriva dalla sua potenza ordinata» 8. L altro testo, invece, recita: «la recezione del sacramento è causa strumentale per la grazia, cioè è disposizione efficace e necessaria in virtù dell istituzione divina per ricevere la grazia E secondo questo modo di agire è chiaro come il [rito del] sacramento è causa strumentale della grazia» L Eucaristia come fundamentum et forma dei sacramenti La particolarità dell Eucaristia nasce fin dal momento della sua costituzione. Mentre gli altri sacramenti donano la grazia che significano nei loro specifici segni, l Eucarestia è la stessa grazia, è lo stesso autore della grazia, è lo stesso Cristo, è lo stesso Verbo Incarnato, è lo stesso Capolavoro di Dio, è la stessa imago Dei o il Summum Opus Dei. 7 Cf Ordinatio, IV, d. 1, q. 5, nn , (nn ). 8 Ordinatio, IV, d. 1, q. 5, n. 13, (n. 284): «susceptio Sacramenti est dispositio necessitans ad effectum signatum per Sacramentum, non quidem per aliquam formam intrinsecam, per quam necessario causaret terminum, vel aliquam dispositionem praeviam, sed tantum per assistentiam Dei causantis illum effectum, non necessario absolute, sed necessitate respiciente potentiam ordinatam». 9 Ordinatio, IV, d. 19, q. un., n. 23, (nn ): «susceptio istius Sacramenti est instrumentum ad gratiam, hoc est, dispositio efficax necessaria ex statuto divino ad gratiae susceptionem; instrumentum autem vel dispositio praevia non est signum rememorativum, sive ostensivum alicuius Et secundum hoc patet quomodo Sacramentum hoc est instrumentum ad gratiam primam».

5 Questa specificità dell Eucaristia nei rapporti con gli altri sacramenti si può anche sintetizzare così: l Eucaristia, in quanto è lo stesso Cristo - ieri oggi sempre - è il sacramento che continuamente dura, finché sussistono le specie ; gli altri sacramenti invece sussistono solo nell atto della loro costituzione o confezione; mentre nell Eucaristia confezione del sacramento (o sacrificio) e sacramento coincidono perché è lo stesso Cristo che perennemente si auto-dà, rendendosi presente ogni qualvolta che si consacra, gli altri sacramenti danno la grazia e poi non sono più. Il sacramento dell Eucaristia, invece, è, rimane e perdura dall atto della sua confezione fino alla sussistenza delle specie. In altre parole: l Eucaristia è sacramento sia sull altare dopo la consacrazione, sia nel tabernacolo quando viene conservata per l adorazione e per gli ammalati. Questa è la presenza continuativa di Cristo tra gli uomini: «resterò con voi fino alla consumazione del tempo» (Mt 28, 20), cioè il Cristo dell Eucaristia è lo stesso Cristo com è nei cieli: «ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8). A questo punto nasce la delicatissima domanda come tentativo di spiegazione del concetto di transustanziazione: nella conversione totale della sostanza che cosa si muta o cambia? Lo stesso Cristo così com è nei cieli, oppure si moltiplica la sua presenza? Nella dottrina comune si afferma la prima ipotesi, mentre la seconda ipotesi viene proposta da Duns Scoto, e costituisce anche la spiegazione più convincente della presenza reale di Cristo nell Eucaristia. Secondo il Maestro Francescano, quindi, non è Cristo che si moltiplica - sulla terra e nei cieli - ma è la sua presenza che si moltiplica qui e là. Questa speciale moltiplicazione di presenza costituisce l essenza del grande e imperscrutabile mistero del sacramento eucaristico. a) La transustanziazione adduttiva Nel tentativo di spiegare questa misteriosa pluri-presenza di Cristo, si caratterizza l interpretazione geniale di Duns Scoto, il princeps theologorum. Ammessa per fede la presenza reale di Cristo nell Eucaristia, si pone il delicato compito di interpretare il modo come può avvenire tale presenza di fatto. Storicamente si è imposto il concetto della transustanziazione, cioè della conversione totale di sostanza: dalla sostanza del pane alla sostanza del Corpo di Cristo, che si moltiplica senza addurre alcun cambiamento ulteriore. Questa, in sintesi, la dottrina comune. Duns Scoto, con la sua proverbiale subtilitas, si interroga: se il Cristo pre-esiste per fede alla consacrazione, come può costituire il termine della stessa consacrazione? E così scrive: «La questione si pone a causa del termine preesistente, perché non sembra

6 possibile che qualche cosa che già esiste, possa essere convertito in ciò che già è» 10. Ora, nel momento della consacrazione, il Cristo totale già esiste per fede nei cieli in tutta la sua reale e gloriosa personalità, allora che cosa avviene dopo la consacrazione? Si risponde: la transustanziazione, cioè il passaggio o la conversione totale della sostanza del pane nel Corpo reale di Cristo. E continua: come interpretare questa transustanziazione? Comunemente, a causa dell influsso delle categorie aristoteliche dell ilemorfismo, applicate da molti teologi, si risponde in modo produttivo o riproduttivo, cioè come se la conversione totale della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, si potesse chiamare riproduzione o ricreazione di una nuova sostanza, quella del Cristo nella sua completa realtà. Duns Scoto, invece, precisa il concetto di transustanziazione, dicendo che esso non si può chiamare tecnicamente vera mutazione, perché nulla della sostanza del pane resta nel Corpo di Cristo; né si può chiamare annichilazione della sostanza del pane, perché il pane è convertito sostanzialmente nel Corpo di Cristo, e non viene annichilato. Anche per lui, quindi, la transustanziazione è una conversione totale della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, che moltiplica la presenza di Cristo, senza produrre nulla di nuovo nel suo termine sostanziale, che è sempre lo stesso e unico. Fondandosi criticamente su principi speculativi diversi dall ilemorfismo, interpreta la transustanziazione in due modi: «o in quanto termina a una sostanza che riceve per mezzo di essa un nuovo essere, o in quanto termina a una sostanza da cui riceve per mezzo di essa la sua presenza qui. La prima si può chiamare produttiva del suo termine finale, e l altra adduttiva, perché per mezzo di essa il termine [il Corpo di Cristo] si rende presente qui. In altre parole, l una produce l esistenza del suo termine, e l altra rende presente nel luogo la presenza del termine» 11. Viene la tentazione di applicare la distinzione filosofica di kantiana memoria tra ut apparent et sicuti sunt. E in forza della sua prospettiva cristocentrica, Duns Scoto pensa che la transustanziazione non può essere produttiva, perché il suo termine (il Corpo di Cristo) già esiste, ma debba essere intesa in modo adduttiva o transitiva, perché ha come scopo l adduzione della presenza sacramentale del Corpo di Cristo, cioè con la transustanziazione non si riceve l essere-cristo come tale, che già esiste, ma si riceve l essere presente qui. In altre parole, non si produce un nuovo essere, già esistente, che non avrebbe senso riprodurre una realtà già esistente, ma si rende nuova una 10 Ordinatio, IV, d. 11, q. 3, n. 22, (n. 162): «Sed est dubium speciale hic propter terminum ad quem praeexistentem, quia non videtur quod in praeexistens, et secundum esse pristinum manens, possit aliquid converti». 11 Ordinatio, IV, d.11, q. 3, n. 23, (n. 167): «Potest dici quod transubstantiatio (hoc stante quod sit inter terminos positivos, qui sunt substantiae) potest poni duobus modis intelligi. Uno modo quod sit ad substantiam, ut per ipsam accipientem esse; alio modo ut sit ad substantiam, ut per ipsam accipientem esse hic. Prima potest dici productiva sui termini ad quem; secunda adductiva, quia per ipsam, adducitur terminus, ut sit hic. Et sub aliis verbis potest esse, vel ad entitatem sui termini, vel ad praesentialitatem eius alicubi».

7 presenza diversa di ciò che già esiste, cioè si adduce una nuova presenza del Cristo. Per questo, Duns Scoto ammette la transustanziazione adduttiva, che ha come scopo l adduzione della presenza sacramentale di Cristo. b) Natura della presenza adduttiva Ammessa per fede la transustanziazione, Duns Scoto la interpreta in modo adduttiva e, consapevole della sua novità teologica, si preoccupa di precisarne la natura e le caratteristiche. Come interpretare quel qualcosa di nuovo che la transustanziazione esprime? Esclude categoricamente che si tratta di una produzione o riproduzione di sostanza, perché la sostanza del Corpo di Cristo già preesiste nei cieli ed è unica e irripetibile come ogni persona, e afferma con forza che si tratta di una transustanziazione adduttiva che dà origine alla presenza sacramentale di Cristo, qui e ora. Di nuovo è la presenza multipla del Corpo già esistente nella gloria che si rende presente in altro luogo sotto le specie del pane. Questa è la vera forma di umiltà o annichilamento paolino: la presenza del Corpo di Cristo, per sé glorioso, sotto le specie del pane. Duns Scoto chiama questa interpretazione della transustanziazione come presenza sacramentale e moltiplicata. Quale la sua natura? Così risponde: «Si potrebbe dire che questa conversione [sacramentale] è come di sostanza a sostanza, non in quanto all essere della sostanza come tale, ma in quanto al suo essere presente qui; di modo che come questo Corpo, in quanto è qui, succede al pane in quanto qui, così il pane in quanto qui è mutato nel Corpo in quanto è qui. E questa conversione, sebbene sia di sostanza a sostanza, non è tuttavia tra sostanze in quanto termini. Difatti, i termini sono solamente la presenza e la non-presenza che possono essere ricondotte alla categoria dell ubi (luogo). Come mediante la mutazione positiva non è prodotto il Corpo come tale, ma tuttavia è prodotto il suo essere in quanto è presente qui, così mediante la mutazione deperditiva corrispondente il pane non perde il suo essere come tale, ma il suo essere in quanto è qui. La transustanziazione è transitiva e non produttiva...» 12. Per comprendere il delicato e novativo linguaggio di Duns Scoto, bisogna tener presente l insieme del suo pensiero. Quando parla di categoria dell ubi o del luogo, non parla in modo accidentale ma in modo sostanziale perché parla di conversione di 12 Ordinatio, IV, d. 11, q. 4, n. 15, (nn ): «Posset ergo dici, quod conversio ista est sicut substantiae in substantiam, non quantum ad esse substantiae simpliciter, sed quantum ad hic esse, ut sicut corpus ut hic succedit pani ut hic, ita panis ut hic convertitur in corpus ut hic, et illae mutationes licet sint inter substantias, tamen non sunt inter substantias, ut inter terminos; termini enim sunt tantum modo praesentialitas, et non praesentialitas, quae possunt reduci ad genus Ubi... Sicut ergo mutatione positiva non acquiritur simpliciter esse corpori, sed tantum esse hic, ita mutatione deperditiva correspondente, quam inclusit conversio ista, in quantum ista conversio est transubstantiatio translativa, non autem productiva».

8 sostanza in sostanza, in quanto è in relazione a un essere presente qui. Se i due termini sostanza e essere qui vengono presi isolatamente, si cade naturalmente e facilmente in errore; invece in Duns Scoto i due termini sono sempre presi insieme, e allora la soluzione è pacifica e rispettosa del mistero che si vuol tentare di svelare qualche lembo di comprensione. Nella transustanziazione si ha veramente la conversione di sostanza in sostanza, senza la produzione del termine già preesistente, ma si rende presente qui, mentre prima non c era. In altre parole, l effetto della transustanziazione è la produzione della presenza nuova e moltiplicata di Cristo, già preesistente, e ora è presente anche qui. Con questa interpretazione della transustanziazione, si può dire che il Cristo subisce una qualsiasi mutazione? Duns Scoto risponde categoricamente di no. Se di mutazione si può parlare, essa non riguarda minimamente il Corpo di Cristo, ma unicamente la specie, dal momento che la sostanza, il Corpo, in sé non è limitato a un luogo preciso: la transustanziazione infatti riguarda la sostanza in sé, prescindendo dai suoi accidenti che restano identici. Questo vuol dire l essere in tale luogo, sotto le specie, non tocca affatto la sostanza del Corpo di Cristo, il quale non esiste sotto le specie in modo quantitativo, ma soltanto in modo illocale, cioè in modo aspaziale come le sostanze spirituali, che non hanno un ubi locale, e può esistere ovunque si ripete la consacrazione. Il Corpo di Cristo, perciò, non subisce alcuna mutazione locale. Egli è e resta sempre immutato e identico così com è nei cieli. Per concludere questo brevissimo e delicatissimo cenno sul mistero del sacramento eucaristico secondo Duns Scoto, si afferma con tutta tranquillità che la novità della presenza del corpo di Cristo nell Eucaristia non è data dall ubi locale, ma direttamente dalla transustanziazione, che comporta la presenza nuova di Cristo, sotto le specie che, prima della conversione, erano sostentate dalla sostanza del pane. La nuova presenza di Corpo di Cristo è una presenza sì reale ma di natura metafisica, che si attua in virtù della transustanziazione. E un modo di presenza nuova, che supera ogni legge fisica, e che ha attinenza con la presenza gloriosa della Risurrezione. E la glorificazione della Risurrezione il fondamento della dottrina sacramentale dell Eucaristia, e ne assicura la reale presenza soprannaturale. L Eucaristia, come Cristo, è non un mistero, ma il mistero. 3. L Eucaristia come nutrimento spirituale L Eucaristia è il cibo spirituale e soprannaturale per eccellenza, perché è lo stesso Cristo Gesù autore della grazia a suggerirlo: chi mangia il mio Corpo, vive di me (Gv 6,

9 51). Difatti, dopo la rigenerazione alla grazia con il sacramento del battesimo, è stato molto conveniente da parte del Cristo dare alle anime il nutrimento spirituale, per similitudine al nutrimento corporale, simboleggiato nel pane e nel vino 13. La comunione eucaristica può essere fatta in due modi: durante il sacrificio e fuori del sacrificio. Nel sacrificio abbraccia il significato di riconciliazione, come naturalmente significa il banchetto, cioè segno di comunione, di riconciliazione, di amicizia, di amore, di perdono. Tutti questi e altri segni del banchetto sono realmente presenti nella comunione ricevuta durante il sacrificio eucaristico. L Eucaristia è veramente il cibo che riconcilia, che perdona, che apre alla vita e all amore. Anche se, per giusta causa e diversa situazione, si riceve il Corpo di Cristo fuori del sacrificio, l Eucarestia conserva, benché in modo meno evidente, le stesse caratteristiche della comunione durante il sacrificio, di cui ne è il coronamento e il complemento. Alla luce eucaristica, la parabola del figliuol prodigo acquista certamente una luce nuova e più penetrante, da arricchirne il significato. Tutto il nuovo, che il Padre ordina per celebrare il ritorno del figlio perduto, può indicarsi nell Eucaristia, vero banchetto di festa. Anche la considerazione del contatto corporeo con il Corpo dell Agnello Immacolato, rende più splendido e più forte il nostro essere, come ha reso per sempre virgineo e sublime il cuore della Madre Immacolata. Quando si riceve con le dovute disposizioni, l Eucaristia - dice Duns Scoto - produce due grazie specifiche: quella propria del sacramento o santificante o abituale, indicata dal gesto della stessa manducazione delle specie eucaristiche, che è propria di chi la riceve con fede, e quella essenziale o sussistente, che è propria del Cristo stesso, che è il caput omnis gratiae, presente in modo permanente sotto le specie consacrate. E questa seconda grazia costituisce il significato autentico dello stesso sacramento 14. E utilizzando un pensiero caro ad Agostino, anche Duns Scoto stabilisce l analogia capovolta tra il cibo materiale e il cibo spirituale, demarcandone fortemente la differenza: il cibo naturale viene assimilato da chi lo consuma, il cibo eucaristico invece trasforma in sé chi lo riceve. Difatti scrive: «Credi e mi mangerai, ma non sarai tu a trasformare me in te, ma tu ti trasformerai in me» 15, così da poter gettare le basi di quella crescita in Cristo fino alla perfetta maturità. 13 Ordinatio, IV, d. 8, q. 1, n. 3, (n. 25): «Congruum etiam fuit, post generationem spiritualem conferri etiam nobis nutrimentum spirituale, et illud magis congrue nobis datur sub similitudine nutrimenti corporalis; nutrimentum autem corporale praacipuum consistit in pane et vino». 14 Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q. 1, n. 9, (n. 27): «hoc sacramentum differt ab aliis ratione significati, nam alia sacramenta significant ratiam accidentalem inesse animae virtute sacramenti, istud sacramentum significat gratiam essentialem, ut Christum verum, qui est caput omnis gratiae, et ipsum veraciter continet; et non continet gratiam accidentalem virtute sacramenti, nisi per modum meriti, igne se praeparans ad susciptionem Eucharistiae, recipit gratiam accidentalem etiam ab illa gratia essentiali, quae hic virtute sacramenti veraciter et inseparabiliter continetur»; Ordinatio, IV, d. 8, q. 1, n. 5, (n. 36): «alia enim Sacramento significant gratiam accidentalem inhaerentem suscipienti; istud autem significat gratiam subsistentem, scilicet verum corpus Christi ibi existens». 15 Ordinatio, IV, d. 8, q. 3, n. 2, (n. 150): «Crede, et manducabis me, non me convertens in te, sed tu converteris in me».

10 4. L Eucaristia come fons del culto latreutico Quando parla dell Eucaristia, Duns Scoto usa i termini di massima eccellenza e sempre al massimo del superlativo, come per esempio, excellentissimus sacramentum 16, nobilissimum sacramentum 17, summum et excellentissimum in Ecclesia 18. E questo perché l Eucaristia contiene ciò che realmente significa, il Verbo Incarnato, il Cristo intero, il Christus totus, per il quale applica il suo principio ermeneutico preferito: «Quando si tratta di lodare Cristo, preferisco dire di più che di meno, se a causa della mia ignoranza dovessi cadere nell uno o nell altro eccesso» 19. In rapporti agli altri sacramenti ne stabilisce fortemente la differenza: mentre gli altri sacramenti significano la grazia accidentale conferita a colui che li riceve; l Eucaristia invece significa e realmente contiene la grazia essenziale, cioè lo stesso Cristo, che è la fonte d ogni grazia (caput omnis gratiae), oltre alla grazia accidentale che si riceve in forza della preparazione con cui la si riceve. Per il Maestro francescano, il significato primo e importante dell Eucaristia non è tanto la grazia accidentale, quanto la grazia essenziale, onde tutta la delicatezza e precisione di linguaggio che utilizza quando parla dell Eucaristia e del rito della stessa celebrazione, secondo le disposizioni della Chiesa. L altra grande differenza che mette in luce Duns Scoto nei confronti con gli altri sacramenti è il carattere di permanenza dell Eucaristia. Testualmente scrive: «Dal momento che Cristo ha voluto restare tra noi in modo permanente, è stato conveniente la scelta del segno sacramentale di permanenza»; e continua: «Cristo ha voluto restare con noi nel segno sacramentale, per eccitare maggiormente la nostra devozione e il nostro amore verso di Lui»; e aggiunge: «Ogni forma di culto nella Chiesa ha fondamento e forma in relazione all Eucaristia»; conclude: «Se il clero applica la diligenza più attenta nel celebrare i misteri divini, se il popolo di Dio assiste con più devozione alla santa Messa, e se i fedeli si confessano con più cura e si comunicano con più diligenza... [ciò è per merito di questo Sacramento eucaristico]» Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q. 3., n. 3, (n. 110): «sobrie et devote acciperetur hoc Sacramentum excellentissimum». 17 Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q. 1, n. 5, (n. 19): «Significat enim Eucharistia effectum Dei gratuitum, et gratiam per se subsistentem, et ideo nobilissimum sacramentum est». 18 Reportata Parisiensia, IV, d. 25, q. 1, n. 9, (n. 24): «sacramentum Eucharistiae, cui omnes Ordines obsequuntur, est summum et excellentissimum in Ecclesia, 19 Ordinatio, III, d. 13, q. 4, n. 9, (n. 50): «In commendando enim Christum malo excedere, quam deficere a laude sibi debita, si propter ignorantiam oporteat in alterum incidere». 20 Ordinatio, IV, d. 8, q. 1, n. 3, (n. 24): «congruum est Christum esse nobiscum in tali signo sensibili, ut magis excitetur quilibet ad reverentiam et devotionem ad Christum; et hoc patet de facto, quod quasi omnis devotio in Ecclesia est in ordine ad illud Sacramentum. Propter hoc enim clericus cum maiori diligentia persolvit officium divinum in ordine ad Missam. Propter hoc etiam populus devotius audit Missam, quam aliquod aliud officium Ecclesiasticum. Propter hoc etiam singuli cum maiori diligentia confitentur, quando intendunt secundum ordinationem Ecclesiae, saltem semel in anno communicare»; Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q. 1, n. 3, (n. ): «Nisi enim corpus Christi esset in sacramento Eucharistia, parum curaretur de allis sacramentis, et periret omnis devotio in

11 In un testo dei Reportata arriva a dire: «Se non ci fosse il Corpo di Cristo nell Eucaristia, tutti altri sacramenti perderebbero di importanza, e sparirebbe ogni devozione nella Chiesa, né sarebbe possibile offrire il culto di adorazione o latria a Dio» 21 ; dal momento che «all Eucaristia è dovuto il culto di latria come a Dio» 22. Parafrasando il suo pensiero, si può anche dire che senza Eucaristia, le chiese sarebbero un luogo freddo e gelido, un corpo senz anima, senza cuore e senza sangue, un ammasso di pietre anche se ben colorate... Pensieri troppo forti e belli per essere sottaciuti in una pastorale eucaristica! 5- Rapporto Eucaristia e Penitenza Prima di chiudere questo brevissimo pensiero eucaristico secondo il Dottor Sottile, sembra interessante accennare almeno velocemente al rapporto tra Eucaristia e Penitenza, che, specialmente dopo il concilio Vaticano II, ha mobilitato molti teologici a chiarirlo, specialmente nell applicazione al nuovo rito della penitenza che prevede anche la celebrazione comunitaria con l assoluzione sia individuale che generale, ma con quella individuale differita a tempo opportuno. Senza neppure sfiorare le complesse e delicate questioni, si cercherà soltanto di presentare le opinioni dei tre grandi teologi della Scolastica, dal momento che i moderni in un modo o in un altro ad essi si rifanno. Con la seconda tavola di salvataggio che Cristo ha inventato per venire in aiuto costante ai suoi fratelli vengono cancellati e purificati i peccati gravi o mortali, cioè quelli che distruggono la presenza della grazia di Dio nell uomo. La tradizione della Chiesa, in questo insegnamento, è costante nel ritenere necessaria la confessione sacramentale, come lo sono anche i nostri tre teologi di riferimento. Qualche leggera differenza si può notare circa i peccati lievi, dal momento che non cadono sotto il precetto della confessione annuale, benché vengano cancellati dalla degna recezione dell Eucaristia. Così scrive il Dottor Angelico: «La virtù di questo Sacramento [dell Eucarista] può considerarsi in due modi. L Eucaristia in sé considerata ha la virtù di rimettere qualsiasi peccato, perché Cristo, in forza della sua passione, è fonte causa della remissione dei peccati. Chi riceve l Eucaristia, se ha coscienza di essere in peccato mortale, che è impedimento a ricevere l effetto del Sacramento, non deve assumere il nutrimento Ecclesia, nec exhiberetur actus latriae Deo, nisi propter reverentiam huius, quia tam Clerici quam Laici parant se per Confessionem et paenitentiam ad dignam susceptionem huius sacramenti, quod si non esset in Ecclesia, parum curarent homines de confessione. Nec de hoc multi curant nisi propter hoc, quod nollent videri praecisi, vel mali Christiani, quia perceptio huius sacramenti ab omnibus Christianis semel in anno debet fieri ex praecepto». 21 Reportata Parisiensia, IV, d. 8, q.1, n. 3, (n. 15): «Nisi enim corpus Christi esset in sacramento Eucharistia, parum curaretur de allis sacramentis, et periret omnis devotio in Ecclesia, nec exhiberetur actus latriae Deo». 22 Reportata Parisiensia, IV, d. 11, q. 3, n. 8, (n. 86): «Eucharistia adoratur ut Deus, nam sibi debetur cultus latriae».

12 spirituale, perché non vive spiritualmente» 23 ; e anche: «In questo sacramento [dell Eucaristia] si possono distinguere due cose: una in sé e l altra come effetto del sacramento. In entrambi i significati appare chiaro che questo Sacramento ha la forza di rimettere i peccati veniali anzi è proprio di questo sacramento rimettere i peccati veniali» 24. Da parte sua il Dottor Serafico così scrive: «Bisogna dire che il sacramento dell Eucaristia è dato in cibo a coloro che sono uniti nel corpo di Cristo; perciò ha effetto soltanto nei giusti, che hanno la carità, e perciò l effetto è solo nei giusti. Ora l effetto proprio nei giusti è anche liberare dalla colpa veniale e preservare dalla colpa mortale» 25. E nella questione terza precisando l efficacia dell Eucaristia sul peccatore e il modo di essere unito a Cristo e alla Chiesa, scrive: «Bisogna dire che, poiché questo sacramento [dell Eucaristia] è di unione, il suo primo effetto è di unire o di unire di più, ma non di unire di nuovo, più tosto di unire di più chi è già unito. L unire di più si può prendere in triplice senso: o perché chi si unisce con vincolo maggiore, come colui che ha una carità pià grande; o perché con lo stesso vincolo si unisce più strettamente, come colui che ama in modo più fervoroso dell amore; o ancora si unisce con più forza, come colui che è più radicato nella medesima virtù. E per questo, ciò che rende la carità più generosa, giova a bruciare il difetto del peccato veniale» 26. Per quanto riguarda la remissione della colpa lieve così scrive: «La penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio [del peccato originale. I peccati veniali non fanno naufragare. Nessuno naufraga per i peccati veniali. Pertanto, nessuno è tenuto a ricorrere alla penitenza per i peccati venili. Perciò, non è necessario confessarli» 27 ; poco dopo però precisa: «Bisogna 23 Tommaso d Aquino, Summa theologicae, III, q. 79, a. 3, Respondeo: «Virtus huius sacramenti potest considerari dupliciter. Un modo, secundum in se. Et sic hoc sacramentum habet virtutem ad remittendum quaecumquae peccata, ex passione Christi, quae est fons et causa remissionem peccatorum... Quicumque autem habet coscientiam peccati mortali, habet in se impedimendum percipiendi effectum huius sacramenti, eo quod non est conveniens susceptor huius spiritualiter, et ita non debet spirituale nutrimentum suscipere, quod non est nisi viventis».. 24 Ibidem, a. 4, Respondeo: «In hoc sacramento due possunt considerari: scilicet ipsum sacramentum et res sacramenti. Et ex utroque apparet quod hoc sacramentum habet virtutem ad remissionem venialium peccatorum...et ideo competit huic sacramento ut renittat peccata venialia» 25 Bonaventura da Bagnoregio, Commentarium in Sententiarum libros, IV, d. 12, pars 2, a. 1, q. 2, Respondeo: «Dicendum est istud sacramentum [Eucaristiae] datum est in cibum illis qui sunt de corpore Christi; et omnes tales habent caritatem: ideo effectus [sacramenti] habet in solis iustis. Effectus autem in iustis est liberando a culpa veniali et praeservando a mortali». 26 Ibidem, q. 3, Respondeo: «Dicendum quod, cum hoc sacramentum sit unionis, effectus eius primus aut est unire aut magis unire; sed non est de novo unire. Magis autem unire est tripliciter: aut quia quis unitur maiori vinculo, ut ille magis unitur qui maiorem habet caritatem; aut quia eodem vinculo unitur strictius, ut ille qui secundum eundem habitum ferventius amat; aut quia eodem firmius, ut ille qui in eodem habitu est magis radicatus Et ex hoc quod reddit caritatem magis ignitam, adiuvat ad consumendam peccati venialis rugginem». 27 Ibidem, d. 17, pars 3, a. 2, q. 1, Contra: ««Poenitentia est secunda tabula post naufragium; sed per veniale nemo naufagatur; ergo pro venialibus nullus tenetur recurrere ad Poenitentiam: ergo nec ea confiteri».

13 dire che la confessione dei peccati veniali non è di precetto, tuttavia però è consigliabile» 28. Senza ripetere gli stessi concetti già esposti, piace del Dottor Sottile affrontare tale argomento soltanto con la puntualizzazione circa un quesito, ipotetico quanto si vuole, ma sempre d immediata attualità, quando si chiede: «Chi sta nel peccato mortale pecca mortalmente se riceve il sacramento dell Eucaristia?» 29. Data la delicatezza della domanda, l analisi è abbastanza puntuale e precisa. La si riporta nelle linee essenziali. Prima di tutto precisa il senso di essere in peccato mortale. Tre sono le possibilità: quando si pecca al presente con un atto interiore o esteriore; quando non si ricorda qualche peccato mortale fatto nel passato, di cui non si è pentito; e quando, pur pentito di qualche peccato mortale fatto nel passato, ma non è stato confessato al sacerdote né sciolto dalla Chiesa. La risposta è circostanziata a ogni possibilità. Al primo modo dice che «pecca mortalmente perché semplicemente mangia in modo indegno» il pane degli angeli; anche del secondo modo dice che «non scusa dal peccato, benché la gravità è inferiore a quella del primo modo, a causa della negligenza di non ricordare» 30. Più attenzione dedica al terzo modo di stare in peccato mortale. Enuncia il principio generale: «Dico che se c è opportunità, si è tenuti a confessarsi per comunicarsi. E spiega: bisogna riconciliarsi non tanto con Dio quanto con la Chiesa se si vuole ricevere degnamente il Sacramento dell unità ecclesiastica. Se invece non c è opportunità di confessarsi e si può evitare di comunicarsi senza scandalo, allora non bisogna comunicarsi ma aspettare l opportunità di confessarsi» 31. E l analisi penetra più in profondità nella circostanza in cui non si potrebbe evitare lo scandalo senza comunicarsi. Così scrive: «Se invece c è occasione di scandalo se non si comunica, come nel caso del sacerdote che si è vestito per celebrare e si ricorda di avere un peccato mortale non ancora confessato, e non ha la possibilità di un confessore idoneo, allora, per evitare lo scandolo [perché il popolo è già raccolto in chiesa per la 28 Ibidem, Respondeo: ««Dicendum quod confessio venialium non esta in praecepto, est tamen in consilio». 29 Ordinatio, IV, d. 9, q. un., n. 3, (nn ): «Utrum existens in peccato mortali peccet mortaliter percipiendo sacramentum Eucharistiae». 30 Ibidem, n. 2, (nn ): «Dicendum, quod aliquis potest intelligi esse in peccato mortali tripliciter: primo, in actu, quia scilicet tunc peccat mortaliter peccato interiori vel exteriori; secundo, quia post peccatum mortale praeteritum, de quo non recolit, non paenituit, nec paenitet; tertio, quia etsi de illo praeterito paenituit, vel paenitet, non tamen confessus est, nec ablutus in Ecclesia. De primo [cf supra n. 10] dico quod peccat mortaliter, quia simpliciter manducat indigne. De secundo [cf supra n. 10] dico quod si est negligentia affectata vel crassa, propter quam non recolit peccatum, non excusatur a peccato, licet minus peccet quam primus». 31 Ibidem, n. 3, (n. 16): «De tertio [cf supra n. 10] dico quod si occurrat opportunitas, tenetur prius confiteri quam communicare. Cuius ratio est, quia non tantum debet reconciliari Deo, sed Ecclesiae, ad hoc, quod digne recipiat Sacramentum Ecclesiastica unitatis. Si autem non occurrat opportunitas confitendi, si potest sine scandalo vitare, ne tunc communicet, tenetur non communicare, sed expectare confessionem propter eandem rationem, quae dicta est nunc».

14 celebrazione], può celebrare, dopo un atto di sincera contrizione del cuore e con la promessa di confessarsi a tempo opportuno» 32. E la spiegazione è profondamente teologica. Scrive: «Né è da pensare che pecca mortalmente o trasgredisce il principio generale, chi evita lo scandalo, perché in questo caso con tale atto non si offende alcun precetto, in quanto la dilazione della confessione in atto che ora si ha nell effetto, non esclude che non sia membro della Chiesa militante, idoneo cioè all atto con cui i membri si comunicano, ma si è tenuti a non scandalizzare il prossimo» 33. Dopo questa meravigliosa intepretazione teologica, sembra ugualmente utile ricordare il pensiero del Dottor Sottile anche intorno al peccato veniale. Nella stessa questio così scrive: «Del peccato veniale, non c è alcun dubbio, perché di esso non c è alcuna necessità di confessarlo» 34. Mentre in un altra questione, in cui si chiede: «Se sia necessario per la salvezza del peccatore confessare tutti i suoi peccati al sacerdote?» 35, scrive: «Il precetto di confessarsi riguarda il peccato mortale, e non riguarda altro. Difatti, per il peccato veniale nessuno rischia di stare fuori dalla nave della Chiesa, perché il peccato veniale sta con la perfetta carità, che è la nave che salva. Perciò, dalla prima istituzione della penitenza come seconda tavola [di salvezza dopo il Battesimo], non è necessario ch qualcuno ricorra alla penitenza per il rimedio contro il peccato veniale, ma soltanto contro il peccato mortale» 36. Quali indicazioni possono emergere da questi testi di grandi personalità teologiche? Certamente sono state raccolte particolarmente dal concilio di Trento e poi trabordate fino alle preoccupazioni pastorali del concilio Vaticano II, con il primo documento emesso con il nome di Costituzione sulla Sacra Liturgia 37, che invita a un riforma dei riti sacramentali, per renderli più chiaramente espressivo degli effetti che producono 38, e in particolare del mistero eucaristico e della Penitenza Ibidem, n. 3, (n. 17): «Si vero occurrit scandalum, nisi statim communicet, utpote si est indutus, et postquam indutus est, occurrit sibi conscientia de peccato mortali, de quo non fuit confessus, et non habet in promptu idoneum confessorem, tum cum contritione et voluntate confitendi tempore opportuno potest celebrare, ut scandalum evitetur». 33 Ibidem, n. 3, (n. 19): «Nec est dicendum, quod peccat mortaliter, vel transgreditur praeceptum, ut evitet scandalum, quia nullum praeceptum excludit istum ab isto actu in hoc casu, quia dilatio confessionis in actu, quae nunc habetur in affectu, non excludit, quin sit membrum etiam Ecclesiae militantis, habile ad actus, in quibus membra communicant, et tenetur vitare scandalum proximi». 34 Ibidem, n. 4, (n. 20): «De peccato autem veniali, non oportet dubitare quia de illo non est necessitas, paenitentiae». 35 Ibidem, d. 17, q. unica: «Utrum necessarium sit ad salutem peccatori confiteri sua peccata omnia suo sacerdoti». 36 Ibidem, n. 19, (n. 64): «Continet etiam hoc praeceptum quid debet confiteri, quia peccatum mortale, et non continet aliud; nam per veniale nullus periclitatur extra navem Ecclesiae, quia peccatum veniale stat cum perfecta charitate, quae est navis salvans; et ideo ex prima institutione paenitentiae, ut secundae tabulae, non oportet aliquem ad eam confugere pro remedio contra veniale, sed tantum contra mortale». 37 Sacrosactum Concilium, ( ). 38 Sacrosactum Concilium, n Sacrosactum Concilium, nn ; n. 72.

15 L invito conciliare ha prodotto le diverse riforme volute, come quella del Messale Romano 40 e del Rito della Penitenza 41, le cui disposizioni generali sono state recepite anche dal Codice di Diritto Canonico 42 e dalla formulazione del Catechismo della Chiesa cattolica 43. Senza alcuna intenzione di sfiorare le singole evoluzioni dei nuovi adattamenti o chiarimenti dei riti sacramentali, piace restringere lo sguardo soltanto sul rito della Penitenza in sé e nel rapporto con l Eucaristia. Il nuovo rito penitenziale prevede alcune forme comunitarie, fermo restando la norma generale della confessione individuale. Due sono le forme previste per la riconcialiazione di più penitenti: una con l assoluzione individuale e una con l assoluzione generale. Quello che bisogna evidenziare i tutti i casi di celebrazione, individuale e comunitaria, è l introduzione della Parola di Dio, che acquista la sua originaria fonte e causa di ogni conversione. Difatti, nelle note introduttive delle premesse vengono elencate le tre classiche forme per la remissione dei peccati: Battesimo, Eucaristia e Penitenza 44. Ogni sacramento riconciliativo ha la sua specifica peculiarità, già messa in luce dagli autori sopra citati della Scolastica. E salvo il principio generale della distinzione tra peccato grave o mortale e peccato lieve o veniale, di cui il primo toglie la grazia di unione con Dio e la Chiesa, mentre il secondo la indebolisce soltanto. E proprio per questa specifica differenza qualitativa anche la loro remissione ha dei canali privilegiati. Per il peccato grave o mortale è di necessità il sacramento della prima tavola di salvezza o quello della seconda tavola, cioè il Battesimo o la Penitenza, con la relativa specificità propria; mentre per il peccato veniale è sufficiente per sé l Eucaristia 45, anche se è consigliato confessarlo nella Penitenza 46. Di novativo introdotto nella situazione attuale del rito penitenziale è l assoluzione generale di più penitenti, che ha come supporto storico e teologico la posizione di Duns Scoto, che l aveva già proposta e spiegata. In più punti, il rito penitenziale precisa il giusto senso della particolare riconcialiazione. Nelle premesse 47 e nelle rubriche 48 viene ben determinato la modalità di tale ritualità, che richiamato quasi alla lettera il pensiero di Duns Scoto, come il lettore può confrontare. Il testo del rito penitenziale recita: «I fedeli, desiderosi di ricevere l assoluzione generale, si dispongano a dovere: 40 Del Del 7 marzo Del Del Rito della Penitenza, pp , n Ivi; Catechismo della Chiesa Cttolica, n Rito della Penitenza, p. 20, n. 7; Codice di Diritto Canonico, can. 988, 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, n Ibidem, pp , nn Ibidem. p. 97, n. 60.

16 ognuno si penta dei peccati commessi, proponga di evitarli, intenda riparare gli scandali e i danni eventualmente provocati, e s impegni inoltre a confessare a tempo debito i singoli peccati gravi, di cui al momento non può fare l accusa» 49. Come si può notare, sono le stesse condizioni della confessione individuale, con la differenza che questa viene dilazionata a tempo debito o a tempo opportuno. Una riflessione a parte meriterebbe la confessione dei peccati lievi, o la confessione di devozione. Essendo un problema di maturità di fede e di una corretta informazione teologica e pastorale, non può facilmente essere trattato se non nelle linee generali, perché importante è il dialogo tra confessore e penitente. Poiché la maturità di fede è personale, come la libertà, che si costruisce gradualmente nel tempo con la stessa persona, allora non si può dire quasi niente di particolare su questo argomento. Per la dimensione teologica, che s intreccia intimamente con la maturità di fede, è stata ampiamente accennata sopra. Non resta, se non l aspetto pastorale, che di per sé è esclusiva competenza della Chiesa, l unica a poter orientare il fedele in questo cammino di conversione con la massima sicurezza. Già Bonaventura da Bagnoregio aveva espresso il suo parerre pastorale quando scrisse che la confessione dei peccati veniali, pur non essendo di precetto, è «tuttavia di consiglio». Lo stesso pensiero viene espresso dal nuovo rito della Penitenza, allorquando scrive: «Anche per i peccati veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento» 50. Poiché non c è alcuna necessità d obbligo, l uso della confessione dei peccati veniali è lasciata alla sensibilità e maturità di fede del penitente, che deve sempre rapportarsi a Cristo in modo del tutto personale. Bisognerebbe tener ben chiaro che, salvo i casi specifici, la confessione non dev essere considerata come una preparazione immediata alla comunione eucaristica, altrimenti si falsa la stessa natura del sacramento della Penitenza. Di conseguenza, bisognerebbe evitare di partecipare contemporaneamente a due sacramenti che hanno momenti propri e riti differenti, cioè cercare di evitare di confessarsi e confessare durante la celebrazione eucaristica. La cura spirituale, come quella della salute, salvo eccezione, dev essere programmata sia a livello individuale che comunitario, per meglio usufruire dell abbondanza della grazia di Cristo che elagisce a tutti coloro che la chiedono con purezza di cuore e povertà di spirito. 49 Ibidem, p. 33, n. 35; p. 97, n. 60; Codice di Diritto Canonico, can. 962, per i fedeli, e can. 916, per i sacerdoti; meno preciso il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1457, che non ricorda l obbligo della confessione successiva a tempo debito 50 Rito della Penitenza, p. 20, n. 7b; Codice di Diritto Canonico, can 616

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