BATTEZZATI ACATTOLICI IN RAPPORTO CON LA CHIESA CATTOLICA (can. 35; cann CCEO)

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1 BATTEZZATI ACATTOLICI IN RAPPORTO CON LA CHIESA CATTOLICA (can. 35; cann CCEO) La Chiesa cattolica nel proprio insegnamento dottrinale esprime il desiderio di ristabilire la piena comunione tra i cristiani e nello stesso tempo condanna qualsiasi forma di proselitismo. Come punto di riferimento della dottrina in merito si possono considerare due documenti del Vaticano II: il decreto sull ecumenismo Unitatis redintegratio, 4 e il decreto sulle Chiese cattoliche orientali Orientalium Ecclesiarum, 25. FEDELI ACATTOLICI VERSO LA CHIESA CATTOLICA 1 Nel passato il diritto di scelta. La legislazione precedente, in merito all oggetto di studio, conferiva ai cristiani acattolici la libera scelta del rito (ritum quem maluerint possunt). Godendo di tale diritto il cristiano acattolico poteva aderire sia ad un rito orientale che latino. Pur se muniti di tale diritto, ai fedeli orientali acattolici veniva però consigliato di scegliere il proprio rito corrispondente nella Chiesa cattolica. Invece, quando erano gli stessi fedeli orientali acattolici a porre come condizione per venire alla piena comunione quella di diventare fedeli latini, essi venivano aggregati al rito latino, ma conservavano allo stesso tempo il diritto di tornare al rito orientale cattolico. il dovere d osservanza (conseguenza). Con il decreto conciliare Orientalium Ecclesiarum, 4, la possibilità di scelta, contenuta nel can CS, venne cambiata con la prescrizione di conservare il proprio rito dopo essere entrati in piena comunione nella Chiesa cattolica: «Infine, tutti e singoli i cattolici e i battezzati di qualsiasi Chiesa o comunità acattolica che vengano alla pienezza della comunione cattolica, mantengano dovunque il loro proprio rito, lo onorino e, in quanto è possibile, lo osservino, salvo il diritto in casi particolari di persone, comunità o regioni, di far ricorso alla Sede apostolica; questa, quale suprema arbitra delle relazioni inter-ecclesiali, provvederà essa stessa alle necessità secondo lo spirito ecumenico, o farà provvedere da altre autorità, dando opportune norme, decreti o rescritti. Con questa prescrizione si è voluto dare uno sviluppo organico alle Chiese orientali cattoliche che tramite l osservanza del proprio rito venivano protette da una eventuale riduzione. Questa prescrizione si riferiva anche ai nuovi membri della Chiesa cattolica che, ristabilendo l unione con essa, dovevano continuare a vivere secondo le proprie tradizioni e i riti precedenti. Inoltre si è cercato di evitare di imporre delle altre impostazioni ecclesiastiche su questi fedeli che avrebbero potuto creare per loro delle difficoltà nel processo d unione. «Considerate bene tutte queste cose, questo sacro Concilio inculca di nuovo ciò che è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai romani Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la comunione e l'unità bisogna non imporre altro peso fuorché le cose necessarie (At 15,28)». eccezioni dal dovere. Il documento conciliare OE, 4 oltre a parlare del diritto degli acattolici che si uniscono con la Chiesa cattolica e dell obbligo di osservare il proprio rito come fedeli cattolici, prevedeva la possibilità che, da questa norma, potessero emergere delle eccezioni. OE concedeva a tali fedeli di seguire un altro Rito diverso da quello d origine. Per 1

2 poter applicare tale diritto, il fedele doveva ricevere il permesso dalla Sede Apostolica. Questo indulto poteva essere rilasciato anche da un altra autorità ecclesiastica inferiore, che nel nostro caso poteva essere individuata nei relativi Sinodi dei Vescovi della Chiesa patriarcale/arcivescovile maggiore, nei Consigli dei Gerarchi, nelle Conferenze Episcopali. I motivi per cui era permesso seguire un rito diverso da quello d origine, riguardavano le varie condizioni particolari in cui si sono venuti a trovare sia i singoli fedeli, che le comunità o anche le regioni. 2 Attualmente Il can. 35 CCEO oltre a cambiare il linguaggio giuridico non usando più il termine Rito, ma Chiesa sui iuris, dichiara per i fedeli acattolici il diritto di ristabilire la piena comunione con la Chiesa cattolica e, nello stesso tempo, prescrive che vengano ascritti alla Chiesa sui iuris del medesimo rito. Inoltre la legislazione orientale conferma l insegnamento del Vaticano II che prescriveva che la deviazione dalla norma nella futura iscrizione, è riservata solo alla Sede Apostolica. Si deve sottolineare il fatto che la redazione del can. 35 CCEO è diversa da OE, 4 quando parla dell organo competente a consentire di non seguire il proprio rito essendo già nella Chiesa cattolica. Prima era possibile che il consenso fosse dato, oltre che della Sede Apostolica, anche un'altra autorità ecclesiastica inferiore; la norma canonica vigente, invece, riserva questo diritto solo alla Sede Apostolica. Questo fatto potrebbe trovare la propria motivazione negli abusi che si sono verificati in questa materia da parte dell autorità ecclesiastica inferiore che non ha sempre osservato le norme emanate da parte della Sede Apostolica per queste circostanze fino alla promulgazione del CCEO. Un altra differenza che è presente tra le due norme è la questione dell obbligo dell osservanza del proprio rito. Circa questo obbligo per i fedeli provenienti dalle Chiese ortodosse vi sono state varie discussioni in occasione della redazione di questo canone. Alcuni consultori insistevano affinché la nuova redazione del canone includesse la dottrina del Vaticano II, che veniva considerata non ad validitatem, ma come una raccomandazione, e nello stesso tempo promuovesse lo sviluppo delle Chiese orientali cattoliche alle quali dovevano appartenere i fedeli provenienti dalle Chiese ortodosse esercitando il culto divino secondo il rito di origine. Quindi, nel decreto sulle Chiese orientali cattoliche (cfr. OE, 4), si raccomandava e non obbligava che gli orientali acattolici continuassero ad osservare il proprio rito. Il can. 35 CCEO, invece, parlando dell osservanza del proprio rito da parte dei fedeli esprime il concetto come un obbligo e non come un invito. 3 Il concetto dell acattolico Abbiamo visto come la normativa canonica vigente apra le porte a tutti i fedeli acattolici sottolineando che l unione con la Chiesa di Roma non implica l abbandono del rito di provenienza. Ora è opportuno presentare anche gli altri canoni del Codice orientale attuale dedicati a vari gruppi di fedeli cristiani che ristabiliscono la piena comunione con la Chiesa cattolica. 2

3 Lo studio dei cann CCEO permette di constatare che le norme canoniche prevedono la possibilità di unione con la Chiesa cattolica sia delle persone fisiche che delle persone giuridiche. Nel primo caso si intendono i singoli fedeli cristiani, mentre quando si parla di persona giuridica si intende un gruppo di persone (parrocchia, associazioni). Oltre alla distinzione fra le persone fisiche e quelle giuridiche, il Codice orientale presenta un altro tipo di distinzione tra due gruppi di fedeli che vengono alla piena comunione con la Chiesa cattolica: i fedeli orientali acattolici e fedeli protestanti. Applicando, nei loro confronti, il can. 35 CCEO, che non trova corrispondenza nella legislazione della Chiesa latina, sorgono due questioni che meritano di essere trattate perché da un certo punto di vista possono essere considerate diverse, ma dal un altra prospettiva si influenzano reciprocamente. La prima questione si riferisce al modo in cui un acattolico deve essere accolto nella Chiesa cattolica. La seconda, invece, riguarda la sua appartenenza ad una Chiesa sui iuris. È vero che la norma codiciale (can. 35 CCEO) prescrive in senso chiaro che il fedele acattolico, quando viene alla piena comunione con la Chiesa cattolica, deve appartenere alla Chiesa sui iuris che è più vicina al rito che praticava essendo ancora fedele acattolico (qui viene considerato il rito come il patrimonio - can CCEO). Però esiste anche un altra possibilità, che viene conferita sempre dal Supremo Legislatore a tale fedele e che concerne il suo diritto di rivolgersi alla Sede Apostolica chiedendo il permesso di essere ascritto ad un altra Chiesa sui iuris, dove esiste un altro rito diverso dal proprio di origine. Come il fedele ortodosso deve essere accolto nella Chiesa sui iuris nella quale viene praticato lo stesso rito, così nella situazione ordinaria in cui un protestante viene accolto nella Chiesa cattolica, a norma del can. 35 CCEO, deve essere ascritto alla Chiesa latina. Quando però un fedele vuole diventare non un fedele latino, ma un fedele orientale cattolico, perché ad esempio sua moglie è fedele di questa Chiesa sui iuris, o quando un ortodosso, per gli stessi motivi, vuole diventare un fedele latino, ci si deve rivolgere alla Sede Apostolica. Quindi, quando un fedele protestante si presenta davanti al parroco orientale cattolico ed esprime davanti a lui il suo desiderio di diventare un fedele della stessa Chiesa della moglie, il parroco lo accoglie nella Chiesa cattolica tramite la presentazione di una dichiarazione (can CCEO), dovendosi però rivolgere anche al Gerarca del luogo (Vescovo orientale cattolico) esprimendo tale desiderio e, insieme con la richiesta della persona interessata e la lettere del Gerarca del luogo, si deve scrivere alla Congregazione per le Chiese Orientali. Nel frattempo nei confronti di questo fedele deve essere applicato il diritto canonico latino (CIC 83), perché, a norma del can. 35 CCEO, il protestantesimo proviene dalla scisma nella Chiesa latina quindi, tornando nella Chiesa cattolica, si deve seguire il rito della Chiesa latina. Soltanto dopo aver ricevuto l indulto dalla Sede Apostolica tale fedele viene ascritto alla Chiesa della moglie, cioè alla Chiesa orientale cattolica. Il parroco che lo ha accolto deve annotare in uno speciale registro dell avvenuto accoglimento nella Chiesa cattolica e, dopo essere stato informato circa il rilascio dell indulto per essere ascritto in un altra Chiesa sui iuris, deve annotare anche questo fatto. Per quanto riguarda i chierici che sono stati accolti nella Chiesa cattolica, essi devono essere ascritti (incardinati) in una eparchia/esarcato/diocesi. Soltanto dopo tale ascrizione giuridica possono ricevere un ufficio da esercitare nella Chiesa cattolica. Per es. quando un sacerdote ortodosso ucraino viene accolto nella Chiesa cattolica da un Vescovo latino (fatto 3

4 permesso) occorre considerare due questioni. La prima è che questo sacerdote, a norma del can.35 CCEO, diventerà un fedele greco-cattolico ucraino, a meno che non abbia ottenuto dalla Sede Apostolica il permesso di essere ascritto nella Chiesa latina. La seconda è che dopo essere stato accolto, deve essere anche ascritto dal Vescovo diocesano nella sua diocesi come ministro sacro orientale cattolico. Invece, se viene accolto come fedele latino, la Congregazione per le Chiese Orientali può anche proibire l esercizio del ministero. Il divieto potrebbe essere legato con il fatto che i presbiteri o diaconi ortodossi sempre sono sposati, almeno che non appartengono ad un monastero. Anche quando un monaco ortodosso, dopo essere stato accolto (solo con la professione di fede) nel monastero cattolico, deve ripete il noviziato (cfr. can CCEO). Invece il Vescovo ortodosso viene accolto nella Chiesa cattolica secondo il modo indicato sopra, però svolgerà il proprio ministero dopo aver ottenuto l assenso del Romano Pontefice, Capo del Collegio dei Vescovi. LA CHIESA CATTOLICA VERSO I FEDELI ACATTOLICI 1 Il ruolo delle Chiese orientali cattoliche nell ecumenismo I cannoni trattano quindi i principi e dell organizzazione nella Chiesa orientali del servizio dell unità dei cristiani. Questo canone che viene formulato alla luce del UR 4 obbliga tutti fedeli cattolici, ma in modo particolare i Pastori della Chiesa di impegnarsi nel movimento per l unità dei cristiani. Il c. 902 con la sua sollicitudo unitatis instaurandae stabilisce il principio fondamentale secondo cui la realizzazione dell unità dei cristiani è una funzione prioritaria della Chiesa. La base fondamentale è il battesimo can. 7 CCEO. Il can. 902 corrisponde al numero 9 del Nuovo Direttorio Ecumenico del Can. 903 (OE 24) in modo particolare il Codice orientale impegna le Chiese orientali cattoliche per la promozione del dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse. Dalla redazione del canone si può capire che l impegno ecumenico deve essere svolto in due indirizzi: tra le stesse Chiese orientali cattoliche e tra le Chiese orientali cattoliche e Chiese ortodosse. Indica anche i mezzi che devono aiutarle in questo ruolo importante: - la preghiera (personale, liturgica e comunitaria), - l esempio della vita - la fedeltà alle tradizioni antiche che creano un patrimonio comune per tutti fedeli orientali. Questa richiesta alla fedele osservanza del patrimonio comune intrinsecamente suggerisce agli stessi orientali cattolici di ritornare alle proprie radici tradizionali, che durante i secoli sono state sottoposte ad un processo di latinizzazione. In quel modo si crea una più profonda conoscenza che permetterà anche dicompiere alcuni atti insieme (per es. catechesi, Can nel livello della Chiesa sui iuris. Necessità delle iniziative per promuovere il movimento ecumenico. 4

5 Qua il diritto comune obbliga il legislatore di ciascuna Chiesa sui iuris di produrre le norme che aiuteranno a svolgere bene questo compito. Inoltre 1 indica che legislatore inferiore prima di produrre tali norme deve consultare la Sede Apostolica. Qui s intende il Pontificio Consiglio per la promozione dell unità dei cristiani. Questo canone trova la propria corrispondenza nel NDE sotto il numero (Commissione di esperti; consultare altre Chiese sui iuris). NDE Per poter realizzare ed applicare le norme proprie per il movimento ecumenico in una Chiesa sui iuris il Supremo Legislatore raccomanda di creare una commissione di esperti. NDE nel nr. 46 parla dei membri di questa Commissione. Invece nel nr. 47 dello stesso Documento vengono elencati le funzioni specifiche di questa Commissione. Inoltre se nello stesso territorio esistono varie Chiese sui iuris si invita, prima di promulgare tali norme, di sentire il parere dei Gerarchi che presiedono le altre Chiese sui iuris. 3 Consiglio nel livello eparchiale o un fedele cristiano. il compito principale di questo consiglio è di tradurre in pratica le decisioni del vescovo eparchiale concernenti l applicazione dell insegnamento e delle norme del concilio Vaticano II sull ecumenismo come pure dei documenti post-conciliari che vengono emanati dalla Santa Sede e dal proprio Sinodo dei Vescovi o il Consiglio dei Gerarchi (cfr. NDE, 44). Il can CCEO fa vedere come, a livello eparchiale, il promotore del movimento di unità dei cristiani è, in prima persona, il Vescovo eparchiale. Oltre che essere promotore, testimone ed operatore di questa azione, il Codice orientale mostra che egli ha anche un obbligo, quello di ricordare ai fedeli cristiani affidati alla sua cura pastorale di partecipare vivamente e contribuire con le proprie forze all unità dei cristiani. Questo canone corrisponde ai numeri del NDE. Can. 905 a livello di parrocchia. Il dialogo deve essere svolto in un clima di fiducia, comprensione e di apertura. Si invitano i pastori delle anime a formare i propri fedeli (per es. tramite catechesi, prediche) e si esortano i formatori nei semiari (can CCEO) a cercare i mezzi opportuni per spiegare agli alunni il ruolo delle Chiese orientali cattoliche nel movimento ecumenico. Nel dialogo ecumenico il falso irenismo può condurre al sincretismo e alla confusione dottrinale, all offuscamento della verità e alla perdita dell unità stessa che si cerca di ristabilire. Lo zelo eccessivo può portare alla sconsiderata concorrenza oppure alla mancanza di realismo nelle iniziative ecumeniche intraprese. La solida formazione, la saggezza e la prudenza devono ispirare ogni attività ecumenica. Vedi anche NDE 6. Cann CCEO corrispondono ai numeri NDE. Can. 908 collaborazione sociale. NDE 140, 144,

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