LEZIONE 2: I CANONI PRELIMINARI DEL CCEO CANONE 1 1 I SOGETTI IN GENERE. LA TERMINOLOGIA CANONICO-ECCLESIASTICA

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1 LEZIONE 2: I CANONI PRELIMINARI DEL CCEO CANONE 1 1 I SOGETTI IN GENERE. LA TERMINOLOGIA CANONICO-ECCLESIASTICA a) I soggetti principali dei Codici della Chiesa cattolica La questione principale del can. 1 CCEO e del can. 1 CIC riguarda i destinatari della legislazione canonica. Si parla di soggettività passiva del fedele alla legislazione ecclesiastica. Ogni norma deve avere propri e determinati destinatari, chiaramente individuabili. Pertanto, le norme in questione, indicando i soggetti ai quali sono rivolti i due Codici, indirettamente mostrano anche la limitazione della loro efficacia rispetto a coloro che non vi sono assoggettati. Seguendo il concetto giuridico dei primi canoni di ambedue le codificazioni, nasce involontariamente l opinione che la legislazione latina non abbia nessun diritto di ingerenza ( ) nel diritto delle Chiese cattoliche orientali. A ciò fa seguito un altrettanto, in apparenza, chiara risposta del CCEO: un ingerenza nel diritto della Chiesa latina si ha soltanto quando ciò sia espressamente stabilito. Prima di soffermarmi su questa relazione reciproca e/o vincolante tra i due Codici, vorrei passare in rassegna alcuni documenti del passato che mostrano la spesso diretta soggezione canonica degli orientali cattolici alla legislazione latina. Inoltre, per approfondire questo oggetto di studio è utile, per i canonisti, guardare al processo che ha portato i Romani Pontefici alla riscoperta delle tradizioni orientali. Essi, in passato, riconoscevano agli orientali cattolici il diritto di avere e vivere secondo un proprio diritto canonico e, infatti, emanavano norme con le quali prescrivevano una diligente osservanza della propria tradizione. Inoltre, cercavano anche di allontanare un opinione diffusa in tutta la Chiesa cattolica: quella secondo la quale la legislazione latina godeva di una superiorità nei confronti della legislazione orientale. Come esempio di questo fatto possono essere presi in considerazione alcuni pontificati. Il primo considerato è quello di Urbano VIII che, nel documento Christianae patientiae (14 ottobre 1628), cercava di proteggere i fedeli rutheni ortodossi, che si univano alla Chiesa cattolica, dal tentativo di latinizzarli messo in atto dal Governo e dall episcopato latino di Polonia. Purtroppo, però, essi riuscirono a limitare l intervento del Pontefice. Il Pontificato di Benedetto XIV introduce, invece, il principio della praestantia ritus latini, secondo il quale tutto ciò che non era conforme alla mens legislatoris latina non era pienamente e autenticamente cattolico. Un altro Papa favorevole a ristabilire l uguaglianza tra i fedeli provenienti dalle diverse tradizioni presenti nella Chiesa universale fu Pio IX. Il suo pontificato rimane sotto la mentalità predominante della prestantia ritus latini anche se, tuttavia, mette in evidenza l uguaglianza dei riti quando determina la precedenza tra i patriarchi. Un taglio forte, se così possiamo dire, si è avuto con la promulgazione della lettera apostolica di Leone XIII Orientalium dignitas ( ). Il Pontefice abbandona definitivamente l opinione sulla prestantia ritus latini e dichiara, nel proemio, che la varietà della liturgia e della disciplina orientale approvata dal diritto è di «fulgido ornamento a tutta la chiesa» perché essa afferma «la divina unità della fede cattolica», ritenendo anche che «forse non vi sia altro di più mirabile per illustrare la nota della cattolicità nella chiesa di Dio».

2 Con Papa Pio XI si avviano, infine, i lavori per la redazione del Codice orientale che ottiene il suo primo risultato con la promulgazione, da parte di Pio XII, di quattro motu proprio (CICO). Concilio Vaticano II a). parità delle Chiese sui iuris in senso teologico Il desiderio del Romano Pontefice Pio XI ha trovato il suo fondamento teologico nella Cost. Dogm. Lumen Gentium 23 d.: Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica costituzione divina della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri. Questa varietà di Chiese locali tendenti all'unità dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa. In modo simile le Conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e fecondo contributo acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente. Anche nel Decreto Orientalium Ecclesiarum 5 leggiamo: La storia, le tradizioni e molte istituzioni ecclesiastiche chiaramente dimostrano quanto le Chiese orientali si siano rese benemerite verso tutta la Chiesa. Per questo il santo Concilio non solo circonda di doverosa stima e di giusta lode questo loro patrimonio ecclesiastico e spirituale, ma lo considera fermamente quale patrimonio di tutta la Chiesa (5). Dichiara quindi solennemente che le Chiese d'oriente come quelle di Occidente, hanno il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari, poiché si raccomandano per veneranda antichità, si accordano meglio con i costumi dei loro fedeli e sono più adatte a provvedere al bene delle loro anime. b). parità delle Chiese sui iuris in senso giuridico Le Chiese Orientali Cattoliche hanno un proprio diritto e l obbligo di reggersi secondo proprie norme (OE, 3): Queste Chiese particolari, sia dell'oriente che dell'occidente, sebbene siano in parte tra loro differenti in ragione dei cosiddetti riti - cioè per liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale - tuttavia sono allo stesso modo affidate al governo pastorale del romano Pontefice, il quale per volontà divina succede al beato Pietro nel primato sulla Chiesa universale. Esse quindi godono di pari dignità, cosicché nessuna di loro prevale sulle altre per ragioni di rito; fruiscono degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi, anche per quanto riguarda la predicazione del Vangelo in tutto il mondo (cfr. Mc 16,15), sotto la direzione del romano Pontefice. OE include anche diverse disposizioni giuridiche che disciplinano alcune materie nelle quali non vi fu chiarezza prima del Concilio. Quindi, il CCEO è stato promulgato nel 1990 come frutto dell insegnamento della Chiesa. Con la promulgazione dei due Codici della Chiesa cattolica (CIC/83 e CCEO 1990) viene a cessare il principio della superiorità della Chiesa latina (in vigore dal 1054) in quanto essa non viene più 2

3 considerata sinonimo di Chiesa universale. Di conseguenza le sue leggi non sono più considerate le leggi universali della Chiesa cattolica. INTERDIPENDENZA TRA CCEO E CIC. I SOGGETTI IN SPECE a) obbligatorietà diretta via «riferimento diretto» Il can. 1 CCEO, a differenza del can. 1 del CIC/83, include l espressione a meno che, per quanto riguarda le relazioni con la Chiesa latina, non sia espressamente stabilito diversamente. Questa indicazione mostra come la legislazione orientale ( ) avverta la possibilità dell estensione della vigenza di alcuni canoni anche alla Chiesa latina, quando ciò è espressamente stabilito. Qui occorre dire che nel CCEO sono presenti nove/dieci canoni che esplicitamente si riferiscono ai fedeli latini. Essi sono: c. 37; c. 41; c. 193; c. 207; c ; c. 432; c. 696; c. 830; c ; c I soggetti principali del CCEO sono i fedeli orientali. Tuttavia altri canoni dello stesso Codice si riferiscono direttamente anche ad altri soggetti. Questa circostanza rende opportuno precisare il fatto che ( ) il Codice orientale non si possa considerare come completamento giuridico del CIC; questo significa che in caso di contraddizione con il Codice latino, il Codice orientale, in genere, non può obbligare i fedeli latini come norma posteriore dello stesso legislatore supremo. Possono quindi presentarsi, teoreticamente, dei casi quando il CIC e il CCEO contengono delle norme contrastanti su una relazione giuridica interrituale. b) obbligatorietà indiretta «ex natura rei» Oltre i canoni che esplicitamente si riferiscono alla Chiesa latina ci sono altre varie norme giuridiche presenti nel Codice orientale che, in altro modo, devono essere prese in considerazione (cfr. can. 451 CCEO) o anche osservate (cfr. can. 678; can. 689 CCEO) dalla stessa Chiesa latina. Per es., nel CCEO esistono canoni che si riferiscono ad altre Chiese sui iuris, anzi, accade di frequente che nella legislazione orientale si trovino canoni che si riferiscono ad altre Chiese sui iurus. Il motivo sta nel fatto che, trovandosi nello stesso territorio nazionale, si rende necessaria una solida collaborazione tra di esse. Questa reciproca considerazione si esprime, per esempio, quando sono chiamate ad esprimersi riguardo a determinate questioni interecclesiali, quali: can CCEO promozione dell unità dei cristiani; can CCEO fissare le offerte e le tasse; can CCEO l uniformità delle leggi penali Il concetto dell obbligatorietà indiretta «ex natura rei» non sempre e non da tutti viene condiviso. Secondo alcuni autori ciò risulta evidente se si considera, per esempio, il Rescritto «Ex Audientia» di Papa Giovanni Paolo II del 26 novembre Questo documento permette ai fedeli latini di passare ad un altra Chiesa sui iuris ma solo dopo aver ottenuto due permessi scritti: uno dal proprio Ordinario del luogo e l altro dal Gerarca del luogo orientale, i quali esercitano la propria giurisdizione nello stesso territorio nazionale. Quindi, l esistenza di questo Decreto, emanato dalla Sede Apostolica per i fedeli latini, indica che non sempre quando il Codice orientale (per es. can CCEO) si riferisce alle altre Chiese sui iuris comprende in esse anche la Chiesa latina. Perciò nel caso in cui un fedele latino chieda di passare ad una Chiesa orientale sui iuris avente nello stesso territorio la propria eparchia, il consenso della Sede Apostolica si presume ma sulla base del 3

4 Rescritto «Ex Audientia» e non del can CCEO, purché il Vescovo orientale e il Vescovo latino acconsentano per iscritto al passaggio. c). «luoghi paralleli» (can. 17 CIC 83; can CCEO) La questione appena affrontata riguardava i destinatari principali del CCEO (i fedeli orientali), e quelli secondari (i fedeli appartenenti alla Chiesa latina, che possono essere obbligati all osservanza diretta o indiretta del Codice orientale). Ad essa se ne aggiunge un altra relativa alla possibilità che entrambi i Codici possano essere considerati come luoghi paralleli nella interpretazione delle proprie norme canoniche. La risposta potrebbe essere affermativa e, allo stesso tempo, negativa. Inoltre, l espressione luoghi paralleli non significa che ci si debba riferire esclusivamente al Codice. L espressione permette, infatti, il ricorso anche ad altre leggi della Chiesa cattolica allo scopo di rispondere alle varie esigenze che possono essere sorte. Il motivo principale che spinge ad accettare la possibilità di considerare i due Codici come luoghi paralleli sta nel fatto che entrambi sono stati promulgati dallo stesso Supremo Legislatore. Ciò richiede, pertanto, di ricercare lo scopo principale dell esistenza di queste norme, ossia capire la mens legislatoris. Un canonista, che per risolvere una questioni di natura giuridica, si rivolge a luoghi paralleli, deve ricordare che le norme canoniche promulgate dallo stesso Supremo Legislatore in un altro Codice, diverso da quello suo proprio, non sono iniziativa privata. Anzi, come è stato già detto, il Romano Pontefice è consapevole della missione a lui affidata, come successore di Pietro, nei confronti dei fedeli orientali cattolici e questa consapevolezza ( ) lo ha indotto ad emanare una determinata legge, con quel suo preciso significato e contenuto, e la sua attesa circa il modo di comprendere e di applicare la legge stessa. Nel ricercare la mens legislatoris, giova molto considerare la sua mentalità, i suoi atteggiamenti e i motivi ispiratori di tutta la sua attività di governo, oltre che di quella specificamente legislativa. Nel caso della legislazione pontificia, tale intenzione generale emerge per esempio dalle encicliche, dai discorsi del Sommo Pontefice, e specialmente dalle sue leggi emanate in seguito o in precedenza. Anche se il Codice orientale non obbliga la Chiesa latina, l interprete del CIC deve tener presente l intero CCEO promulgato, mediante Costituzione Apostolica, dal medesimo Pontefice. Tale valore interpretativo venne riconosciuto già alla precedente codificazione canonica orientale. È opportuno ricordare, poi, che le leggi devono essere interpretate secondo il significato proprio delle parole, nel testo e nel contesto. Quest ultimo comprende non solo i canoni, ma anche il titolo, nel quale sono state collocate le leggi, e la sua divisione in capitoli. Solo nel caso in cui una certa espressione non si mostri chiara si permette di passare ad altri criteri, che si qualificano come sussidiari, ossia i luoghi paralleli, le circostanze e la mens legislatoris. Quando si parla di interpretazione di una norma, occorre tener presente che il ricorso ai luoghi paralleli non può esserci quando le norme si contraddicono o sono diverse. Una simile prassi, infatti, creerebbe confusione giuridica e non consentirebbe di raggiunge la chiarezza necessaria per risolvere le questioni sorte. Inoltre, i luoghi paralleli non possono permettere una interpretazione estensiva delle leggi penali o limitanti l esercizio dei diritti o che contengono una eccezione alla legge (CIC c. 18 CCEO c. 1500). «Testi paralleli» (CIC 83 can.19; CCEO can.1501). Se confrontiamo, invece, i cc. 19 CIC e 1051 CCEO, ci accorgiamo che un altro principio di interpretazione canonica, cioè il ricorso ai testi paralleli o ai testi simili non può avere luogo, nel caso considerato dai due canoni, perché 4

5 il CCEO si riferisce, diversamente dal CIC, ai «canoni dei Sinodo dei Santi Padri» e al «diritto antico della Chiese orientali». CCEO, can. 1501: Se su una certa cosa manca un espressa prescrizione di legge, la causa, se non è penale, è da dirimersi secondo i canoni dei Sinodi e dei santi Padri, la legittima consuetudine, i principi generali del diritto canonico applicati con equità, la giurisprudenza ecclesiastica, la comune e costante dottrina canonica. CIC, can Se su una determinata materia manca una espressa disposizione di legge sia universale sia particolare o una consuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi tenute presenti le leggi date per casi simili, i principi generali del diritto applicati con equità canonica, la giurisprudenza e la prassi della Curia Romana, il modo di sentire comune e costante dei giuristi. Quindi, occorre ricordare che l esistenza dei due Codici nella Chiesa cattolica non significa necessariamente che essi siano delle fonti reciproche per se stessi. Cioè il CCEO non è fonte di interpretazione per il CIC e il CIC non è fonte di interpretazione per il CCEO. «Lacuna legis» Questo reciproco rapporto fra i due Codici ha un unico scopo la salvezza delle anime. Un caso concreto Perciò potrebbe esserci il tempo prima dell Istruzione Dignitas Connubii. Nel passato la giurisprudenza della Rota Romana, che trattava i matrimoni misti tra cattolici e battezzati non cattolici, circa gli impedimenti e la forma canonica, esisteva la prassi di applicare il can.780 e can. 781 CCEO perché era presente una lacuna legis nella legislazione latina (cfr. can.1059 CIC). Considerando quanto sopra detto, ossia la questione circa i destinatari dei due Codici, la loro obbligatorietà e la loro eventuale interpretazione nella prassi canonica, si deve constatare che ( ) i primi canoni dei due Codici enunciano delle regole di applicazione, precisando i destinatari delle loro norme, ma non costituiscono una rigida e generale regola di interpretazione che esclude che il significato di qualsiasi parola si riferisce alla Chiesa latina o, rispettivamente, alle Chiese orientali. CANONE 3 IL CONTESTO STORICO DELLA REDAZIONE L espressione usata alla fine del canone: a meno che non siano contrarie ai canoni del Codice viene prestata dallo schema della redazione della legislazione latina CIC/83. Durante il lavoro di formulazione di questo canone sono emerse alcune voci che insistevano per omettere questa frase. Sostenevano, infatti, che il diritto liturgico è, nella tradizione delle Chiese orientali, un diritto proprio che non viene definito né positivamente né negativamente dal diritto canonico e che non è stato mai toccato nemmeno dal diritto pontificio. Alla fine questa proposta è stata abbandonata a motivo del fatto che anche nella Chiesa primitiva le norme liturgiche contrarie ai Concili Ecumenici, ai Sinodi Provinciali o all insegnamento dei Padri della Chiesa dovevano essere abrogate. Nell aprile 1984 la PCCICOR ha deciso di sostituire l espressione norme liturgiche con la frase le prescrizioni dei libri liturgici. Si deve dare una precisazione in merito che riguarda i due Codici della Chiesa cattolica. Innanzitutto, il Codice latino usa l espressione leggi liturgiche intendendo le prescrizioni date per l intera e la sola Chiesa latina. Dunque queste norme sono uguali 5

6 per questa Chiesa sui iuris e regolano la sacra liturgia e perciò determinano pure i riti nel celebrare le sacre funzioni; il complesso di queste leggi, attualmente vigenti, forma il cosiddetto diritto liturgico. Invece, la legislazione orientale, quando si riferisce alle prescrizioni dei libri liturgici, vuole lasciare un grande spazio a ciascuna delle Chiesa sui iuris orientali di produrre i propri libri liturgici secondo le proprie tradizioni che hanno anche una propria evoluzione storica. Questo riferimento alle prescrizioni dei libri liturgici può, perciò, essere considerato come una canonizzazione, ovvero come un attribuzione di valore giuridico, quindi obbligatorio, alle rubriche previste nei libri liturgici. Questa canonizzazione ha trovato, peraltro, la sua conferma nei canoni CCEO. DUE SIGNIFICATI DELLE PRESCRIZIONI DEI LIBRI LITURGICI: AMPIO E STRETTO Il senso ampio delle prescrizioni dei libri liturgici si ha quando il libro liturgico vene usato nel culto pubblico. Il can CCEO presenta il concetto di culto pubblico e indica tre elementi necessari affinché sia considerato tale: a). deve essere celebrato in nome della Chiesa; b). dalle persone legittimamente autorizzate dalla Chiesa (diaconi, presbiteri, vescovi); c). con l aiuto degli atti approvati dalla competente autorità ecclesiastica. Il senso stretto si ha, invece, con la divulgazione dei libri liturgici grazie allo sviluppo della stampa. RIFORMA LITURGICA a). il magistero del Vaticano II Parlando delle prescrizioni liturgiche è necessario mostrare il rapporto che esiste tra la liturgia e il rito. È importante tener presente che non si può identificare o diminuire il concetto del rito rapportandolo soltanto alla liturgia. A riguardo, occorre ricordare che il Supremo Legislatore ha cercato di superare questo concetto ristretto di rito per mostrarlo nel suo senso ampio come un patrimonio della disciplina, della spiritualità, della teologia e anche della liturgia (cfr. can CCEO). Il Vat. II nella Cost. Ap. Sacrosanctum Concilium fornisce gli elementi dottrinali comuni obbligatori per tutte le tradizioni liturgiche che esistono nella Chiesa cattolica. Si può dire che, nella pratica, la liturgia nella Chiesa latina è regolata sia dalla Costituzione sulla Sacra liturgia, sia dal proprio Codice canonico. Infatti, per es., quando si paragonano i canoni riguardanti l Eucaristia si può notare che il CIC/83 (cc ) spiega e prescrive, canone per canone, come deve essere celebrata l Eucaristia. Invece il CCEO (cc ) indica soltanto le norme generali da osservarsi per tutte le Chiese orientali cattoliche. Tornando al Vat. II, la questione dei riti e della liturgia nelle Chiese orientali cattoliche viene trattata in vari documenti conciliari: Lumen Gentium 23, Unitatis Redintegratio e nel decreto dedicato proprio alle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum. Questi documenti hanno una propria riflessione sulla legislazione comune orientale che cerca di presentare i lineamenti generali della liturgia e dei riti lasciando, però, ad ogni singola Chiesa sui iuris, una grande autonomia nello stabilire le prescrizioni liturgiche contenute nei propri libri liturgici. 6

7 b). documenti postcodiciali Un altro documento pratico che riguarda le applicazioni delle prescrizioni liturgiche previste dal CCEO è l «Istruzione per l applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali». Questa Istruzione può essere considerata come lo strumento pratico dell applicazione del CCEO nella vita di ciascuna Chiesa sui iuris. Presenta, infatti, l applicazione diretta delle norme liturgiche contenute nel CCEO. Inoltre, si deve sottolineare che lo scopo principale per cui l istruzione è stata promulgata dalla Congregazione per le Chiese Orientali è quello di fornire un sussidio efficace nella ricerca ed osservanza del proprio rito, secondo il quale ogni singola Chiesa sui iuris orientale esprime la propria identità. L Istruzione si pone i seguenti obiettivi: - guidare ad un migliore approfondimento della immense ricchezze proprie alle autentiche tradizioni orientali, da custodire gelosamente e comunicare a tutti i fedeli; - comporre in un quadro organico le norme liturgiche valide per tutte le Chiese orientali cattoliche ed introdurre al recupero, dove necessario, dell autenticità liturgica orientale, secondo la Tradizione che ogni Chiesa orientale ha ereditato dagli Apostoli attraverso i Padri; - esortare ad organizzare su solide basi la formazione liturgica permanente, sia del clero a partire dai seminari e dagli istituti di formazione -, sia del popolo di Dio mediante scuole di catechesi mistagogica; - elencare i principi comuni per l elaborazione dei Direttori liturgici delle singole Chiese sui iuris. c). rapporto tra «ius commune» e «ius particulare». Riferimento alle prescrizioni dei libri liturgici L espressione usata nel can. 3, che si riferisce alle prescrizioni dei libri liturgici, deve essere considerata in senso ampio. Quando, nei singoli canoni, il Supremo Legislatore rimanda alla materia liturgica intende, non soltanto le rubriche prescritte nei libri liturgici ma, anche, tutte le norme liturgiche esistenti in ogni singola Chiesa sui iuris. Perciò possono essere trovati vari termini nel Codice orientale per definire le questioni della liturgia. Essi sono: «prescritti nei libri liturgici», «quanto è contenuto nei libri liturgici», «leggi liturgiche», «regole del culto divino», «diritto particolare» in materia liturgica, «legittime consuetudini» in materia liturgica. Tramite questo riferimento alla liturgia viene presentato anche il rapporto tra ius commune e ius particulare. Occorre ricordare, in merito, che le questioni di materia liturgica sono oggetto di trattazione riservata ai competenti organi legislativi di ciascuna Chiesa sui iuris (cfr. can ; can CCEO. 7

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