1. Lame e gemelli Questa è la storia di un fallimento. Questa è la storia di uomini che hanno fallito. Questa è la storia del fallimento di chi deve raccontare le storie di quegli uomini. Questa è la mia storia. La storia dell uomo che racconta le vite degli altri. La mia storia. Anzi, queste sono le mie storie. Perché di storie, in fondo, ne ho vissute almeno due, fin qui, in qualche modo legate tra loro, come non può che essere quando a disegnare una trama non è la fantasia di un autore ma la sua vita. Ho cominciato a scrivere diciassette anni fa, per caso. Lo so. So benissimo che mettere quel per caso lì suonerà a molti, se non a tutti, come un gesto naïf, quasi un tentativo mal riuscito di celare una falsa modestia che non ho. Ho quarantadue anni e ho pubblicato una quarantina di libri, dire che ho iniziato a scrivere per caso suona quantomeno inappropriato, come dire che fosse stato per me avrei passato il tempo a fare altro, invece eccomi qui. Le cose, però, sono andate esattamente così. Tutto è cominciato per colpa di una lama. 7
Anche questo libro, questo fallimento, comincia per colpa di una lama. Un altra lama. E se allora, diciassette anni fa, quella lama ha tagliato la mia carne facendo di me uno scrittore, o per dirla con un po di poesia, tirando fuori da me, manco fosse un bisturi che taglia la carne del perineo per consentire a un piccolo di venire alla luce, la cosiddetta episiotomia, lo scrittore che aspettava di nascere, oggi quella stessa lama mi ha solo sfiorato, sfrigiato ma non sfregiato, facendo cadere quello scrittore che per diciassette anni ha sempre evitato di fare i conti col suo passato, con quella lama, con il mondo che quella lama ha sempre rappresentato. Ho cominciato a scrivere, diciassette anni fa, quando mancavano pochi mesi alla fine del mio servizio civile. Si era negli anni Novanta, quando ancora il servizio di leva era obbligatorio. A pensarci oggi, che vivo a Milano, che ho una famiglia, fatto che entrerà pesantemente in questa storia e nel fallimento che sto per raccontarvi, sembra proprio una vita fa. Ho cominciato per tutto quello che leggerete in questo libro, ma mai, fino a quel momento, avevo pensato alla scrittura come al mio lavoro. Di più, fino a che quella lama non ha inciso la carne del mio braccio destro, mai avevo pensato proprio all eventualità di mettermi a scrivere. L idea di me stesso davanti a un computer, cioè esattamente l immagine in loop che si ripete quotidianamente dentro camera mia, era quasi fantascienza. Mi ero sempre considerato un musicista, e al limite mi sarei visto come un rockettaro in giro per il Paese, o un cantautore dedito a raccontare l amore e l impegno civile, ma mai, ripeto mai, mi sarei immaginato di diventare scrittore. Sì, diventare, perché non credo di essere nato con questo talento, sempre che di talento si possa parlare. Credo, anzi, che sia stato proprio quell incontro con una lama ad aver fatto di me uno scrittore. 8
O magari no. Magari le cose non sono andate esattamente così. Non parlo della lama, quella c è stata davvero. Parlo del percorso che mi ha portato fin qui. Tengo lezioni di scrittura creativa in giro per l Italia, da anni. Spesso alla Scuola Holden di Torino, ma anche in altri contesti. Nelle mie lezioni, sempre, c è un momento in cui, per spiegare l importanza dell incipit in un racconto, invito gli studenti a pensare a un episodio della loro vita che in qualche modo abbia contribuito a segnare per sempre il loro destino. Un episodio, in sostanza, che abbia fatto sì che quegli stessi studenti, al momento, si trovino in quell aula, con me, a cercare di capire l importanza dell incipit in un racconto. Un episodio vero, perché la propria biografia è più semplice da sfogliare che la fantasia, in certi casi, ma al tempo stesso un episodio novellizzato (italianismo per novelization), perché tutti, ma proprio tutti, nel momento in cui decidono di raccontare un qualsiasi fatto realmente avvenuto, applicano i canoni della fiction, a partire dalla scelta delle parole, del tono, dell incedere (io, per dire, in questo libro mi rifaccio apertamente alla lingua scritta del Richard Brautigan de Il generale immaginario e Sognando Babilonia). Tanto più se nel farlo guardano a sé stessi, con tutto quello che il subconscio è solito fare e disfare. Bene, nel tenere questa lezione sono solito partire proprio dal mio incontro con la lama, incipit di questa storia e anche, a suo modo, incipit della mia vita da scrittore. Uno dei due incipit, a dire il vero, perché per dimostrare come uno specifico incipit possa, in qualche modo, segnare un racconto, sono solito chiedere agli studenti di pensare a due episodi significativi della loro vita. Due episodi che, però, tendano a dare della loro vita una lettura differente: a questo servono gli incipit, del resto. 9
Se uno dei miei due incipit è legato al mio incontro con la lama, il secondo è di tutt altra natura. Sono infatti solito partire da una frase di John Barth, maestro inarrivabile del massimalismo e della letteratura post-moderna americana. La frase è questa: I gemelli condividono la curiosa esperienza di acquisire la capacità linguistica e altre abilità di base à deux, usando nel frattempo un linguaggio che precede e insieme supera il linguaggio articolato. Il discorso, nella prospettiva di due bambini gemelli, è per gli Altri. Noi gemelli consideriamo il linguaggio come i parlanti di un dialetto specifico considerano la lingua ufficiale: serve a rapportarci con gli estranei, fra noi non ne abbiamo bisogno. Per questo è ragionevole aspettarsi che un gemello che diventi narratore di professione non dia mai il linguaggio per scontato: lo tiene sempre presente, ci giocherella, lo mette in primo piano, ne è consapevole in un modo quasi innaturale. In queste parole del maestro americano c era già tutto quello che volevo dire. Ed erano nascosti, neanche troppo, gli indizi di questo nuovo incipit. Io sono un gemello, e in quanto tale sono votato al post-moderno e al massimalismo, con questo amore ossessivo per le parole, un amore fine a se stesso come solo l amore sa essere, dovuto a una questione genetica più che intellettuale. Io sono uno scrittore anche perché sono un gemello. E sono lo scrittore che sono, questo John Barth non poteva certo dirlo a nome mio, perché il mio gemello, Francesco Monina, è morto esattamente nel momento in cui io venivo alla luce, quarantadue anni fa. Quando dico queste parole, solitamente, gli studenti ammutoliscono. La loro attenzione è nelle mie mani, lo so, e ne abuso. Lo è anche la vostra, immagino. A questo punto, tanto per tenere alta la tensione, passo sempre a citare Philip K. Dick, autore diventato famoso per alcuni suoi libri catalogati 10
come fantascientifici come Blade Runner o Minority Report. Anche lui è nato con un gemello, come me e John Barth. Anzi, lui è nato con una gemella, e proprio come nel mio caso, la sua gemella è morta nel momento esatto in cui lui è venuto alla luce. Nel suo caso, però, forse perché parliamo di un epoca ancora più lontana della mia, anche le sorti del piccolo Phil sembravano appese a un filo, al punto che di fianco alla tomba della sorellina, i genitori gli prepararono un loculo con tanto di lapide già pronta, con solo la data di morte da scrivere. Poi Phil è sopravvissuto, come me, ma quel fatto lo ha segnato per sempre. Avere una lapide con il proprio nome scritto sopra, immagino, non deve essere così facile da metabolizzare, di qui, si potrebbe ipotizzare, la paranoia che lo ha sempre accompagnato. Io non ho una lapide che mi aspetta, perché il mio gemello è morto per una questione legata al parto, non per una malattia o una malformazione. Nel 1969, infatti, non c era ancora l ecografia, quindi l ostetrica non poteva sapere che Francesco avesse il cordone ombelicale attorcigliato come un cappio intorno al collo. Non poteva saperlo, e forse, ma queste sono solo stupide considerazioni fatte quarantadue anni dopo, proprio per questo avrebbe dovuto prestare un po più di attenzione a quello che era in tutti i casi un parto gemellare. Così non andò, e dei due gemelli Monina rimasi solo io. Anche il mio nome è dipeso da quegli eventi, perché una suora francescana presente in sala parto decise arbitrariamente di chiamare lui Francesco, battezzandolo, lasciando a me la seconda scelta, Michele. Nome, sia detto per inciso, che adoro. Da quel momento, come in una scena di un film drammatico, non ho passato compleanno, almeno nei primi diciotto anni della mia vita, in cui la mia festa non coincidesse con il ricordo di questa tragedia, con mia madre in lacrime tutto il giorno. 11
E se quel che dice John Barth è vero, e io onestamente gli credo al cento per cento, da quel momento ho avuto un costante scambio di opinioni con il mio gemello, morto. A questo punto, di solito, nelle mie lezioni di scrittura creativa faccio una pausa. Nel senso che mi fermo per qualche secondo. Esattamente come sto facendo ora, con queste frasi in cui, a ben vedere, non vi sto dicendo nulla. La pausa è atta a far ragionare gli studenti, e voi lettori, sulle informazioni fino a questo momento entrate in vostro possesso. Chi sono veramente io, come scrittore? Quello che ha cominciato a scrivere perché nel 1994 è stato accoltellato o quello che non aveva altra scelta che giocare con le parole avendo da sempre un rapporto complicato di telepatia con un bambino, il suo gemello, morto nell esatto momento in cui veniva alla luce? Quello che scrive per necessità o quello che scrive per urgenza? In tutti e due i casi, mi fanno notare solitamente i miei studenti, l accesso che do alla mia storia è sempre piuttosto altisonante. Come dire, non do certo l impressione di aver cominciato a scrivere così per caso come sostenevo all inizio di questo capitolo. O per la mia carne violata da una lama o per un rapporto telepatico con il sangue del mio sangue morto, due fatti piuttosto traumatici, quasi epici. L uno, forse, più votato al noir, l altro a una certa forma di psicologismo gotico. Niente, in tutti i casi, di semplicemente normale. Questo, però, non è un corso di scrittura creativa, ma un libro. Un libro che vuole raccontarvi la storia di un fallimento, il mio, e dei fallimenti dei protagonisti di questa storia. Quindi tutte queste parole altro non potrebbero essere che i giochi verbali di un gemello votato al post-moderno. Non fosse che, a questo ho già fatto cenno tra le righe, anche il fatto dei gemelli, in qualche 12
modo, è centrale in questa storia, tanto quanto l incontro con la lama. Tutta questa storia è nata da una lama, e da discorsi non verbali che non ho mai fatto con il mio gemello. Tutta questa storia parte da qui. 13