IN PRINCIPIO ERA L AZIONE. FERMATI, FAUST! Roberto Pecchioli. Parte I LA SCONFITTA DI GOETHE

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IN PRINCIPIO ERA L AZIONE. FERMATI, FAUST! di Roberto Pecchioli Parte I LA SCONFITTA DI GOETHE Molti anni fa chi scrive aiutò per dovere professionale una mite, anziana signora svizzera calvinista nel disbrigo delle pratiche di importazione in Italia di libri destinati alle comunità protestanti. La signora fece dono di una copia dell Evangelo ( la prima E è essenziale), in un edizione ad uso dei pastori protestanti. Dopo un occhiata distratta all introduzione, tesa all esaltazione delle figure di Lutero e Calvino, lessi con un certo turbamento l incipit del Vangelo di Giovanni: In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. Troppo giovane per cogliere il significato della differenza tra il Verbo della tradizione cattolica e la Parola protestante, sconcertato lasciai l Evangelo della buona signora in un cassetto, donde sarà probabilmente finito al macero. Qualche anno dopo, leggendo il Faust di Goethe e con maggiore conoscenza della figura storica, religiosa e personale di Martin Lutero, traduttore in tedesco della Scrittura, mi tornò in mente quel piccolo episodio personale. Dopo i due prologhi, in teatro ed in cielo, il capolavoro della letteratura germanica presenta il monologo di Heinrich Faust, tornato a casa turbato dalla presenza dietro di lui di un cane barbone (Mefistofele sotto mentite spoglie). Si tratta della celeberrima meditazione sul testo di Giovanni. In principio era la Parola, Faust è insoddisfatto, medita profondamente, non può accettare un concetto così banale, frutto della traduzione letterale del greco logos da parte di Lutero ed ha l ispirazione : in principio era l Azione, die Tat in tedesco. L arte, come sempre, sintetizza in un attimo ciò che all uomo comune, ed anche al filosofo, richiede anni di meditazione: il principio dell uomo europeo non può che essere l azione, il movimento continuo, croce ed ossessione di una creatura febbrile, votata all attivismo, alla corsa inesausta, alla scoperta continua, all ansia di andare oltre, superare ogni limite, indagatore e predatore della natura, del mondo ed anche di se stesso. Il Faust di Goethe, figura archetipica di mago, scienziato, alchimista disposto a cedere l anima per oltrepassare la linea, diventa il simbolo dell europeo che, come l Ulisse dantesco fa dei remi le ali al folle volo superando con Diomede le colonne d Ercole, ed esalta come fine, un secolo prima di Marinetti, il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa.

Eppure, in principio era il Verbo, e non la semplice Parola, ovvero la pienezza trascendente, l atto puro che chiamiamo Dio. Solo un monaco di incompleta cultura come Lutero poté tradurre Logos con parola. Goethe, evidentemente, ne era conscio, ed il suo eroe non poteva accontentarsi di un significante ed un significato tanto poveri. Scartata la forza ( kraft), niente di meno che l azione riuscì a convincere l inquietudine di Faust. Sapere e capire tutto, tutto provare e dominare, solo un azione inesausta poteva essere all altezza di un tale uomo, insoddisfatto delle deboli conoscenze della medicina, della teologia, della scienza e dell alchimia. Oswald Spengler, nel suo Tramonto dell Occidente, chiama faustiano l uomo europeo assetato di potere, conoscenza, novità, individuo assoluto, nel senso di sciolto da ogni limite, dimentico di qualunque misura. Di azione in azione, Faust prova, con l aiuto di Mefistofele, i piaceri della carne, quelli dell amore e della conoscenza. Goethe immagina per lui la redenzione e la salvezza finale, prima attraverso la figura di Margherita, l amore puro, che morirà per lui, e, nella seconda parte dell opera, di Elena, rappresentante dello splendore ideale della classicità. Questo nella finzione artistica. Ma il Faust autentico e vivente, quello che dopo la grande stagione del Medioevo, e con maggiore forza negli ultimi due secoli è il simbolo dell uomo europeo, non vende più l anima al Diavolo, semplicemente la ignora, non sa di averla, non si prende più neppure la briga di negarne l esistenza, e va avanti, corre, agisce, o meglio ormai è agito da quelle medesime forze che ha suscitato ( la Scienza, la Ragione, la Tecnica, il Progresso, il Piacere). Come il treno senza macchinista che corre su binari di cui ignora la fine, immagine della modernità disegnata da Massimo Fini, la sua velocità aumenta costantemente ed è ormai certo che andrà a sbattere contro un muro, oppure precipiterà in una scarpata. L evento sta per accadere, magari è già in atto, motus in fine velocior. La triste fine di Faust uomo d Europa non è solo la disfatta di una superba cultura degradata in civilizzazione, ma è anche la sconfitta di Johann Wolfgang Goethe, il gigante delle lettere tedesche, ma anche filosofo della storia, scienziato ed epistemologo. Goethe cercò invano di reagire agli esiti dell illuminismo; egli considerava la natura ed il mondo un organo, un grande tutto da armonizzare. Polemizzò con il principio etico geometrico di Spinoza in voga nella Germania del tempo, e gli fu estranea la concezione tassonomica e meccanica della scienza derivata dal pensiero di Newton e dalla sistematica della biologia di Linneo, con il suo metodo di classificazione degli esseri viventi. Fu scienziato e filosofo, e nella Teoria dei Colori tentò di spiegare le differenze cromatiche in base alla mescolanza della luce con l oscurità, in polemica con Newton. La sua originale morfologia della natura lo portò a convincersi che la vita intera del creato è un processo di metamorfosi per cui, attraverso graduali variazioni di una forma, si giunge alla diversità di organi e individui. Non poteva accettare che l intera natura fosse vista, studiata e trattata come un meccanismo, e la sua concezione estetica lo portò a trattare arte e natura come elementi connessi. L arte rivela la verità della natura non imitandola, ma producendo qualcosa di più alto, che diventa il simbolo attraverso cui si coglie per intuizione l universale nel particolare. Una concezione organicistica, legata tra l altro all interesse di Goethe per il mondo orientale, che rammenta un po l idea del Tao, lo ying e lo yang che si fondono armoniosamente per formare l intero, il totale, caratterizzato da un ordine ed un principio di flusso costante. Faust, al contrario, è figlio ed erede di Bacone e Cartesio. Vuole tutto, pretende tutto, ha fame e sete non solo di sapienza, ma più ancora di sperimentare, provare su di sé gli esiti della conoscenza. In termini biblici, è Adamo che consuma voracemente i frutti dell albero del bene e del male. Nel

linguaggio dei greci, è l uomo privato della phrònesis, della prudenza, convinto che la sua specifica areté, l attitudine di ogni essere a esplicare la sua particolare virtù, si compia nell oltrepassare, nello strappare ogni velo della conoscenza, e mordere, godere, consumare immediatamente i frutti di quella consapevolezza sempre nuova. Tuttavia, se l universo non è che un meccanismo, una macchina che si può smontare fare a pezzi, decostruire e rimontare a piacimento, il principio ed il fine è l azione, unici criteri veritativi restano l esattezza e la funzionalità. Buono, allora, è ciò che serve e lo scopo non può che essere lo sfruttamento. Nell ultimo secolo e mezzo, poi, la storica vittoria del pensiero scientifico ha condotto alla supremazia incontrastata della Tecnica, ossia di una concezione basata del come che ha destituito di senso e direzione l agire, ed abolito la domanda sui perché e sul significato morale di ciò che si fa. Azione, dunque, altro non è che scoprire sempre nuovi meccanismi per utilizzarli, servirsene, ed abbandonarli sul ciglio della strada dopo l uso o quando nuovi modelli di macchina li rendono vecchi, obsoleti, inutili. I mezzi si trasformano in fini, e dominano sull uomo che, pure, è l unico essere che abbia portato alla luce le leggi della natura. Il padrone della Tecnica è dominus dell azione, ed il suo esito, come capì per primo Martin Heidegger, è la sconfitta del pensiero: pensiero che non pensa, ma fa, agisce ed in ultima analisi, è agito in una corsa il cui esito è il nulla. In questa inesausta corsa agonale ed ansiogena, azione faustiana per eccellenza, l obiettivo è come l orizzonte: una linea immaginaria, che si sposta continuamente in avanti come l osservatore. Di qui la svalutazione di ogni valore, l indifferenza verso tutto ciò che non è calcolabile, misurabile e dunque, non serve. La prima vittima dell uomo faustiano si è rivelata l arte e sua sorella l estetica. La guerra di Goethe si conclude con una bruciante sconfitta. L affanno per il sempre nuovo hanno condotto ad ogni sperimentalismo, alle più audaci bizzarrie, ad un soggettivismo spesso malato, sorretto dalle interessate menzogne del mercato, ad una progressiva squalifica della bellezza, sino al divieto brutale. Osserviamo l arte prodotta dai cascami dell uomo faustiano. La musica atonale, ad esempio, da Schoenberg in avanti, prescritta dal più colto, forse, tra i pessimi maestri, Thomas W. Adorno. In pittura, tutto si potrà dire del dipinto di Picasso Les demoiselles d Avignon, tranne che sia bello. La secessione viennese, dopo Klimt, produsse l angosciante ritratto scarnificato, scavato e pressoché senza arti di Egon Schiele, che pure era un genio dalle grandi doti tecniche. Le varie avanguardie hanno ordinato la fine della raffigurazione delle sembianze umane e naturali, dal Nudo che scende le scale di Duchamp sino a Sidney Pollock, alle linee di Rathko o di Ljubov Popova. Nell architettura, arte che vive nella quotidianità di ciascuno, abbiamo assistito alla proibizione di Adolf Loos per l ornamento, che arrivò a considerare un delitto. Sul solco della secessione viennese, Gropius e mille altri hanno costruito edifici funzionali ma semplicemente brutti; la proibizione della bellezza si è propagata come parola d ordine irrinunciabile di un mondo avanzante a passo di corsa. L'evoluzione della civiltà è sinonimo dell'eliminazione dell'ornamento dall'oggetto d'uso, affermò Loos. Il suo argomento fondamentale fu che la decorazione era una forma di schiavitù della pratica, esercitata dal disegnatore sull'artigiano per mettere in scena la nostalgia del passato che occulta le vere forme della modernità. Nota fu anche la sua avversione per la musica di Beethoven, in

particolare per il Tristano e la Nona Sinfonia. Per la gioia di molti committenti, felici del risparmio, decorazioni, ornamenti e linee armoniche sono sparite a favore della geometria euclidea, o, come nel grattacielo a vite di Santiago Calatrava a Malmoe o nelle case danzanti di Gehry di Praga, di quella frattale. Le spese, peraltro, non sono diminuite, per arricchire le moderne archistar. Dove sia approdata l architettura è sotto gli occhi di tutti. Un grattacielo di Frank Gehry può essere indifferentemente a New York, Dubai o Pechino, ed il ponte veneziano di Calatrava, paradossalmente, non serve, giacché il passante vi scivola. Le Corbusier, perfetto aedo della modernità, chiamava la casa macchina per abitare e progettò una nuova Parigi con la distruzione del lavoro di Haussmann e l abbattimento degli Champs Elysées, sostituiti da una autostrada urbana fiancheggiata da grattacieli alti duecento metri ciascuno. Sulla desolata bruttezza delle periferie popolari non è il caso di insistere, Corviale a Roma, Scampia a Napoli, lo Zen di Palermo sono incubatrici di degrado morale, criminalità e sradicamento sociale. L italiano Massimiliano Fuksas ha realizzato di peggio, con l angosciante cubo grigiastro a vista, che il vescovo di Foligno ha improvvidamente consacrato a chiesa, nell Umbria che fu bellezza, armonia, spiritualità. Azione inesausta quanto funesta, sperimentazione tragica nel corpo vivo della natura, degli uomini e delle loro città. Il colonnato del Bernini che si apre su San Pietro a Roma è bellezza allo stato puro, ma è anche narrazione, spiegazione. Ciascuno capisce che la grande basilica accoglie, abbraccia, stringe insieme. La cosiddetta arte moderna ha bisogno continuo di chiarimento, di sedicenti periti che ne indichino intenti, motivazioni, significati. L arte vera spiega, illumina, non ha bisogno di improbabili esegeti, di sapienti a fattura che rimediano alla nostra ignoranza. Dispersa l arte, proibito perseguire la bellezza in nome dell azione e della funzione, restano i detriti. Si fa solo quel che serve, come il design seriale dalle poche linee essenziali, riproducibile a milioni, secondo le prescrizioni dell economia di scala. Johann Wolfgang Goethe scrisse saggi sull arte che restano modelli insuperati di interpretazione estetica contrapposti a quelli dell idealismo e del positivismo suoi contemporanei. La rivoluzione industriale e scientista ha sconfitto sul campo il grande di Weimar nel suo generoso tentativo di rigenerazione. L Occidente ha cancellato tutto in nome del progresso e dell autonomia dell uomo, declinati nella forma della corsa forsennata e del soggettivismo più insensato. Restano le macerie, insieme con una debole fiammella, la speranza prospettata da Hoelderlin, secondo cui dove cresce il pericolo, può crescere anche ciò che salva. Siamo al punto in cui l artista non ha più una qualifica ed un oggetto preciso: Joseph Beuys è definito dai manuali scultore, illustratore e performer. Che cosa significhi il termine per i sapienti della critica è difficile saperlo, ma l aggettivo, in sé, fa rifermento alla capacità di produrre prestazioni. Anche in neo-italiano, performante è ciò che realizza pienamente una specifica prestazione, un automobile o un elettrodomestico. L azione fine a se stessa è performante. Il Faust letterario, infine, salva la sua anima, al termine di esperienze intense e drammatiche. Nell affresco goethiano, chi lo salva è la Cura. Egli ha conservato la sua umanità grazie alle donne che ha amato, Margherita ed Elena, ed il suo proponimento finale è Potessi, o Natura, starti innanzi come uomo e null altro, allora varrebbe la pena di essere uomo. Ed ancora, dialogando con la Cura, deplora quel passato in cui non ha fatto che correre per il mondo, desiderato e raggiunto il desiderato, ed ho nuovamente desiderato e sono passato attraverso la vita come un turbine. Quel

turbine che è l azione, die Tat, ha reso tutti noi uomini faustiani, degni del tramonto per stanchezza, esaurimento, indifferenza al Bene, al Vero, al Bello. Perché la corsa, la Vita activa non ammette ripensamenti, soste, cambi di marcia. Come in autostrada, non si torna indietro, e ci si può fermare solo in luoghi dedicati, rigorosamente per riempire nuovamente il serbatoio dell automobile, la macchina per antonomasia, e consumare pessime cose a caro prezzo. Avanti!, ma non è la testata e la parola d ordine di un socialismo umanitario, è un percorso, quello dell azione, che finisce per riportare al punto di partenza. Aristotele, fondatore del pensiero occidentale, sulle piste di Socrate e Platone decretò la superiorità della contemplazione sul puro agire, inserendola in un circuito le cui linee di vetta richiamavano al bene ed alla virtù. Non è per caso che un pensatore come Alasdair Mc Intyre abbia provato a ritessere una tela comunitaria oltre l individualismo moderno, intitolando la sua opera maggiore Dopo la virtù, questa grande espulsa dall orizzonte occidentale dei due secoli trascorsi. Pressoché coevo di Aristotele, Confucio, dall altra parte del mondo, considerava se stesso nient altro che il continuatore della tradizione cinese, formulava analoghe diagnosi, elevando il pensiero, la riflessione ben al di sopra dell agitazione. All imperatore che gli chiese quale dovesse essere il primo atto di un saggio governante, rispose dare il giusto nome alle cose, dunque osservare, valutare, per scoprire l essenziale che permane. Due millenni e mezzo dopo, in un celeberrimo libro oggi letto soprattutto dai bambini, anche Antoine Saint Exupéry concluse che l essenziale è invisibile agli occhi. Raggiungerlo, attingerne l intuizione, è quindi compito del pensiero, non dell azione e del frastuono che l accompagna. L essenziale, poi, è per definizione non misurabile con i criteri della scienza pratica, talché ricercarlo diventa esercizio, inutile, ozioso, privo dello scopo concreto del trionfante pragmatismo nostro. René Guénon intitolò il suo libro più importante Il regno della quantità ed i segni dei tempi. Parte II L ERA DEL SOGNO DEL PICCOLO HANS. Se ci fosse chiesto di raffigurare l uomo faustiano, campione dell azione, ricorreremmo all immagine di qualcuno affannato attorno ad un globo con in mano un metro, un compasso ed un computer. Il punto è che dopo aver misurato ogni cosa, descritto, definito e classificato qualunque creatura presente sulla terra, a partire da se stesso, aver intrapreso viaggi, organizzato imprese, realizzato innumerevoli scoperte a scopo di dominio, sviscerato i meccanismi di funzionamento delle forze naturali, aver preteso di fare esperienza di qualunque possibilità materiale, Faust è insoddisfatto, inappagato quanto all inizio della sua avventura. Anzi, è preda dell angoscia di chi sa che, di fatto, non padroneggia davvero alcuna forza, e il filo di cui brandisce orgoglioso un capo si spezza e si divide in troppe parti. Nell invenzione poetica, Heinrich Faust promise di cedere l anima a Mefistofele, daemon ex machina, allorché, finalmente felice, avesse pronunciato la fatidica frase rivolta all attimo: Fermati, dunque, tu sei così bello! Comprese tuttavia che l attimo, nell azione, non si può fermare e neppure idealizzare. Dopo quell attimo, mille altri se ne pretendono più belli, tanto che

perfino Mefistofele sembra avere pietà della sua disfatta: nessun piacere lo sazia, e non gli basta felicità alcuna e così continua ad inseguire forme mutevoli. Nella realtà, siamo arrivati a scavare nel profondo di noi stessi, negli angoli più bui dell umanità, convincendoci che lì c è la verità e la motivazione dei nostri guai di creatura che rifiuta di essere tale. Sigmund Freud, nella Vienna ribollente della finis Austriae, lavorava alla nuova scienza della psicologia e, insoddisfatto, studiando un bimbo di cinque anni, il piccolo Hans che aveva terrore dei cavalli dai quali veniva morso nei sogni, pervenne ad una conclusione che ha segnato l ultimo secolo della vicenda dell uomo occidentale. Secondo il medico ebreo viennese, il bimbo, che dopo la nascita della sorellina aveva notato in lei l assenza del pene, era entrato in competizione sessuale con il padre per il possesso e l amore della madre. Di qui il sogno di Hans, in cui i cavalli simboleggiano il padre deciso a colpire e punire il figlioletto rivale. In un mondo privato dei simboli, ma ansioso di segni, ridotto ai calibri del geometra ed alla rigorosa determinazione delle quantità, l unico simbolo ammesso divenne quello freudiano dei sogni interpretati secondo la nuova teoria, chiamata psicanalisi. L uomo fu ridotto al suo inconscio in lotta con i principi del mondo esterno ( Super Io), l etica stessa ed i sentimenti morali definiti sublimazione di istinti erotici sotterranei, il principio non fu più l azione, ma, giù in basso, la libido, il principio di piacere. Nacque un Faust nuovo, sotterraneo, abitatore delle fognature dell animo, privo di una vera coscienza, posto in grado di sfuggire al principio di responsabilità, giacché ogni sua azione era diventata, coattivamente ed inevitabilmente, la risposta a spinte o pulsioni incontrollabili in quanto inconsce. L arma finale, la bomba definitiva che rendeva superflua l azione stessa di Mefistofele, il delitto perfetto contro il Bene ed il Male. La stessa Azione diventava ciò che è ancora: inerzia, riflesso condizionato, istinto da sublimare attraverso la potenza della Tecnica. Nel frattempo, l ideologia della crisi pervadeva tutti i domini della cultura e dell arte. Solo la Scienza sembrava trionfare. Un paio di eventi hanno cambiato la prospettiva, ma non ancora mutato in profondità il paradigma. Se nella scienza Paul Feyerabend ha celebrato l assenza di metodo e la fisica ha in parte superato Newton attraverso la teoria dei quanti e lo studio dell infinitamente piccolo, il positivismo è ancora padrone del campo nella biologia di Darwin, posta a fondamento dell ideologia liberalcapitalistica nella sua pretesa del mercato libero, a prevalenza del più forte ed adattivo. L arte continua a ritrarre sogni malati, talora autentiche follie ed a negare all uomo lo statuto di creatura: o è il Dio di se stesso o è l incarnazione del male e delle forze infere. Ci sono ormai due Faust, uno che prosegue superbo il suo cammino di dominatore sino a teorizzare non l Olteruomo, ma il Transumano, e il suo gemello che si parla addosso, e osserva con disperazione non più il suo ombelico, ma la propria oscurità disperante dal lettino dello psicoanalista. Al primo, occorre ricordare almeno i teoremi di Goedel, il grande logico amico di Einstein. Con il primo dimostrò per via matematica, dunque perfettamente galileiana, interna al paradigma vigente, l incompletezza delle grandi teorie formali, che sono sì vere, ma dimostrabili solo attraverso formule o linguaggi non dimostrabili che all interno del sistema stesso. Esse non sono dunque in grado di fornire una descrizione esaustiva di ciò che è vero. L altra grande scoperta del matematico moravo fu che nessuna teoria può autofondarsi, ma ognuna deve ricorrere ai fondamenti di una teoria più potente.

Al secondo Faust, erede del piccolo Hans, prigioniero del fango di una stranita umanità notturna totalmente priva di ordine, speranza e responsabilità, dobbiamo far presente che la ragione umana è in grado di riconoscere il bene ed il male, ed ha il potere di scegliere. L albero del bene e del male esiste e, comunque la si pensi in materia spirituale o religiosa, è il luogo in cui vive la scintilla di grandezza e di nobiltà dell uomo. Basta dunque con la corsa forsennata verso gli istinti, a quel misero carpe diem che non ha più alcunché della dignità di Orazio, ma è quell attimo che non si può fermare e che, con buona pace di Faust, non è poi tanto bello. A ben guardare, non vi è nulla di più pessimistico del cogliere l attimo, niente che esprima maggiore sfiducia nell essere umano, minore speranza nelle virtù che possiede, da scoprire nella riflessione ed esercitare nell azione, ma solo se si convince che in principio non era la semplice parola, o l equivoca azione, ma il Verbo, ossia che esiste qualcosa di superiore, di Altro, per alcuni immanente, per molti altri trascendente, che orienta, dà senso e direzione. A questo richiamava Johann Wolfgang Goethe, ed è incredibile che un artista di tale spessore e dagli interessi tanto vasti sia così poco letto da noi, se non per I dolori del giovane Werther e per gli echi del suo Viaggio in Italia. FERMATI, FAUST! Nessun pensatore meglio di Friedrich Nietzsche ha riassunto la corsa dell Azione. La volontà di potenza - wille zur macht- è l immagine di Faust. Ciò che il solitario di Sils Maria capì nell ultimo scorcio del XIX secolo è che l uomo europeo moderno è realmente una corda tesa tra la bestia e l Oltreuomo. Per motivi opposti, a mo di polarità che si respingono ed attraggono nel medesimo attimo, è wille zur macht tanto il delirio di onnipotenza che spinge avanti, che il cupio dissolvi verso il basso dell uomo psicanalitico. Sempre lo stesso titanico correre a perdifiato; da un lato per conseguire sempre nuovi obiettivi di dominio e conoscenza, il compulsivo porre nuove bandierine sulle vette di potenza dell Uomo-Dio, dall altro per togliere da sé le responsabilità e le conseguenze dell Azione. E colpa delle pulsioni, sono gli istinti, non è riuscita la proiezione, non è avvenuta la sublimazione, l Es ha vinto ancora. Per fortuna negli ultimi vent anni la psicanalisi ( e soprattutto l idea di uomo che esprime) ha subito sconfitte ed altolà da parte di una scienza più rigorosa, ma il danno è fatto, specie negli Stati Uniti, dove il regno freudiano si è imposto sin dalla fine degli anni Trenta del Novecento per poi propagarsi e dilagare nell Europa occidentale. Persino il diritto penale è stato attraversato da un ciclone: come si possono perseguire i delitti se gli autori si sono convertiti in semplici agenti esecutori dell inconscio, privo, ovviamente, di personalità giuridica? Con una torsione parareligiosa, anche il peccato cristiano, per essere tale, necessita di piena vertenza e deliberato consenso. Ma il giudice è un altro, l Altro per eccellenza. Il relativismo etico qui sconfina nel nichilismo, ed ancora una volta il primo a comprenderlo fu il figlio del pastore protestante Nietzsche, che sperimentò su di sé la drammatica solitudine dell uomo lasciato solo di fronte ad un Dio lontano e sostanzialmente inutile. E l Azione come scopo a sfociare inevitabilmente nel nulla. Ezra Pound scrisse di amare le idee che diventano azioni, e non saremo noi a screditare la volontà che cambia il mondo in nome della responsabilità e della speranza. Se tuttavia l azione non è preceduta dalle idee, non è altro che frastuono, vagabondaggio, gara di velocità.

L altro Faust cerca di sfuggirvi esiliandosi dalla realtà. Fautore più o meno consapevole di una isterica volontà d impotenza, agisce nel senso di distruggere tutto ciò che incontra sul suo cammino. Di qui la negazione di ogni principio ricevuto, l orrore per l autorità, la corsa forsennata a negare le identità. Quella del popolo cui appartiene e dei valori in cui esso si è riconosciuto, all inizio, ma poi, sempre più in basso, fino al disconoscimento dell identità sessuale. Dio li fece maschio e femmina, ma si sbagliava, adesso siamo arrivati noi a mettere le cose a posto, e comunque Dio non esiste. Anzi, poiché Dio esiste e sono io, deciderò da me chi sono, e la mia scelta vale solo per oggi. Domani si vedrà. Non ho voluto padri, li detesto perché mi hanno generato a loro immagine, mi hanno imposto un nome e attribuito un sesso, o forse un genere, mi hanno cresciuto in una certa cultura senza chiedere il mio permesso. Ergo, non voglio figli, o, se proprio l istinto, o l orologio biologico premono su di me ( ma quale me, l Ego, l Es, il Super Io o che altro?) me li posso procurare sul mercato, pagando, scegliendo, agendo. Una corsa verso il basso che non sembra conoscere, in Occidente, alcuno stop. La stessa eugenetica è una vergogna se viene dai nazisti, ma una moderna opportunità se rivestita dall aura del progresso scientifico e dell apertura al nuovo che avanza a passo di corsa. Due nichilismi si incontrano nell Azione e, prosaicamente, nella Tecnica dominata dal Mercato. Sullo sfondo, l io minimo del narcisismo di massa, della sazietà di chi, come il Trimalcione del Satyricon, terminate le gozzoviglie, si provoca il vomito per poter ricominciare. Lasciateci in pace, invocano i narcisisti agiti, vogliamo, dobbiamo, ricominciare ogni giorno. Del resto, che faremmo, se accettassimo l angoscia, il timore e tremore di chi si guarda attorno, si sofferma, riflette, e, orrore massimo, contempla e si ferisce gli occhi con il Nulla? Il Faust letterario è salvato dalla Cura. La scena relativa, potentissima ed evocatrice fu scritta forse nel 1825, da un Goethe ormai vecchio ( nacque nel 1749 a Francoforte sul Meno, oggi patria dei banchieri centrali europei, ed aveva dunque superato i 75 anni) rammenta il Macbeth scespiriano che incontra le tre streghe nella brughiera scozzese ( Bello è il brutto, e brutto il bello, il rovesciamento dei valori per brama di potere ) e l Eneide virgiliana, allorché Enea scende all inferno e vi incontra le figure del dolore, della cura, della vecchiaia ed altre. Solo la Cura può entrare nella casa di Faust. Egli sta infatti rinunciando alla Magia ( oggi diremmo alla Tecnica ed alla Ragione scientifica) e rientra in ciò che è semplicemente umano. La sua ansia lancinante di libertà si rivolge ora contro ciò che ha evocato e preteso da Mefistofele; d ora in poi crederà solo nella sua qualità di uomo, e nella corrispondente volontà, natura e Cura. E curioso che il vocabolo tedesco sorge, cura, contenga una potenza descrittiva ed un significato che si perdono nella nostra lingua. Ci aiuta, al di là delle acrobazie verbali di cui fu criptico maestro, Martin Heidegger. Anche per lui la Cura ha un profondo significato: essa è, addirittura, ciò che determina l essere dell esserci. Lontano dalle oscurità tanto amate dal pensatore di Messkirch, la cura è la chiave del nostro concreto stare al mondo. Potremmo, con semplicità, chiamarla l apertura agli altri, l umiltà dinanzi al nostro limite ed insieme la speranza e la volontà. Principio speranza e principio responsabilità, con un salto che ci fa incontrare i mondi diversi e contrapposti di Ernst Bloch e Hans Jonas. Nel 1937, il materialismo nazionalsocialista fu affrontato da Papa Pio XI con l unica enciclica scritta in tedesco, Mit Brennenden Sorge, con bruciante preoccupazione, cura. Oltre le distinte posizioni esistenziali o religiose, davvero la cura descrive un attitudine che contrasta e sconfigge sia

i diversi materialismi sia l orgoglio, la protervia, la superbia dell uomo Dio, quello che definiamo faustiano sulle tracce della cultura del tramonto. Il problema del nostro tempo è che, a differenza dell epoca di Goethe, la strada è divenuta deserto, e non c è più bisogno della scommessa di Mefistofele con Dio per acquisire le anime. Sono anime morte gli uomini di questa triste stagione della storia, non come i poveri contadini servi delle gleba del romanzo di Gogol, ma atomi rinchiusi nella volontà di potenza condannati ad un moto perpetuo, impauriti dalla sosta per prendere fiato, prigionieri di desideri che diventano pulsioni che non sanno o vogliono davvero padroneggiare dopo l abolizione del bene, del male, del limite e l esaltazione dell Es. Il ruolo di chi vuol prendersi cura diventa allora quello di conservare ciò che è permanente, in ossequio ad un intuizione di Nikolaj Berdjaev, per il quale il conservatore non è colui che guarda all indietro, ma chi preserva dallo scendere in basso. Persino Heidegger, tutt altro che religioso, concluse che solo un Dio ci può salvare. Forse può essere sufficiente, almeno sul piano individuale e personale, fermarsi, e finalmente avere Cura: innanzitutto di se stessi, per ricostruire dalle macerie. Ma per ricostruire, occorre un progetto, una mappa, una nuova cartografia. Anche su questo piano, il Goethe sconfitto può offrire molto, a volerlo ascoltare. Del resto, solo la bellezza, quindi l arte, l armonia, la sinfonia organica, la ragione aperta al trascendente potrà, forse, salvare il mondo. Era la convinzione dell Idiota, quel principe Myshkin attraverso il quale, nel dialogo con il nichilista e materialista Ippolit, parlava a chi sapesse ascoltare un altro grandissimo dell Ottocento, Fedor Dostoevskij. Parte III SEGNAVIA Vivere a proprio gusto è da plebeo. Il nobile aspira ad un ordine e ad una legge. Così avvertiva Goethe, e pare il negativo dell uomo massa che tutto vuole e sempre meno sa. Un Faust comicamente libertario, che non pensa, ma opina. E l uomo dei sondaggi d opinione e del mutamento continuo, il naturmensch convinto che la cultura sia un dono della natura e non una dura conquista quotidiana, che possiede poche idee appiccicate come la colla di un post-it. Niente più idee senza parole, gli universali il cui declino fu denunciato da Oswald Spengler. No, il nostro Faust vuole solo correre e tenere in mano sempre nuovi giocattoli che butta via per noia o perché, come molti bambini, non vuole più giocare quando perde o quando tutto si fa più difficile. Strano davvero, il destino di quest uomo nuovo sapientissimo, libero e liberato, che ha però orrore della complessità. Con un semplice clic, accende la luce, si connette al computer ed allo smartphone, ma è sovranamente ignaro e disinteressato al perché il meccanismo funzioni. Gli basta padroneggiare il come, maneggiare senza fatica pochi tasti, ed il gioco è fatto. Un plebeo centrato su se stesso, che merita il dominio che i tanti Mefistofele esercitano su di lui. Il Goethe, amante di un ordine cosmico ed organico, ispirato ad una sorta di armonia universale, disse una volta il politico urla dividi e regna. Risponde l uomo onesto unisci e guida.

Purtroppo, unire e guidare è impresa titanica. Non soccorrono neppure le arti, antiche banditrici di bellezza. Pensiamo alla musica, che accompagna l uomo contemporaneo più che in qualunque altra epoca, passata dalla melodia e dall armonia al solo ritmo, sino a convertirsi, in troppe occasioni, in vero e proprio baccano, colonna sonora di tutti gli eccessi di un Faust ipermaterialista e sovreccitato, a caccia di nuove notti di Valpurga. Il popolo tedesco cui Goethe apparteneva aveva già dato all umanità almeno due geni musicali assoluti, Bach e Beethoven. Eppure un suo contemporaneo, E.T.A. Hoffmann, in un racconto, ci presenta un povero maestro di cappella misconosciuto che, per vivere, suona nei salotti borghesi, ma il suo pubblico se ne va allorché i brani eseguiti sono troppo difficili. Uno degli spettatori fuggitivi chiede al suo vicino: A che cosa serve questa musica?. Plebei, anzi filistei, nel lessico goethiano. Esiste un filisteo faustiano. Vuole tutto, ha fame di nuovo, di sensazioni e di conoscenze sempre diverse, ma che servano e non inducano riflessioni critiche. E il pensiero strumentale, quello adatto ad un tipo umano un po geometra che sa di estimo ma non ha un idea di architettura, o ragioniere dall orizzonte esaurito dalla partita doppia e dalla quadratura di bilancio, più l attuario che calcola le somme dovute sulla base del reddito e dell aspettativa di vita del destinatario. Per nutrire lo spirito, cuffie ed auricolari per ascoltare in solitudine musiche scandite dal ritmo della batteria, un paio di libri, tratti accuratamente dai best sellers offerti dall industria culturale, e, per i più inquieti, una religiosità mordi e fuggi. L era dell Acquario, una spruzzata di misericordia, l energia cosmica e uno sguardo all oroscopo, perché non è vero ma ci credo, come Eduardo De Filippo nella superstizione popolare del suo popolo napoletano. Plebee o filistee, nel senso di grette, materialiste e dogmatiche sono anche le nuove scienze di cui il Faust contemporaneo è ghiotto ma superficiale consumatore. Psicologia, antropologia, sociologia, pedagogia prospettano solo soluzioni tecniche, fotografano la realtà o quella che ritengono tale con dovizia di diagrammi e di statistiche, producono una mole impressionante di dati. Analogamente al raggruppamento tassonomico degli esseri viventi di Linneo ed alla perfetta meccanica di Newton tanto invise a Goethe, classificano, ordinano, incasellano, ordinano per tipi, definiscono, appongono un timbro con impresso un indiscutibile aggettivo qualificativo, imprigionando l infinità varietà del mondo. Risultato, sempre più crisi, incertezze e dubbi, esaltata l esattezza, umiliata la verità, espulsa la bellezza. Gli esperti delle nuove scienze, depositari di un sapere specialistico ma ristretto, diventano ministri officianti di riti fatti di protocolli tanto rigidi quanto, alla fine, lontani da un autentica sapienza. Julius Evola non gradiva il termine filosofia, preferendogli quello di metafisica, ovvero conoscenza di tutto ciò che non è physis, natura misurabile. Lontani dal pensiero critico, disinteressati alla verità, gli uomini faustiani si occupano solo di ciò che serve e può essere assoggettato ad un unità di misura, evitando peraltro accuratamente di chiedersi il significato del verbo servire e se a un mondo di mezzi corrispondano ancora dei fini. E un nichilismo pratico, leggero, suadente, non paragonabile alla forza che un Ernst Junger attribuiva alla sua mobilitazione totale, simboleggiata dalla figura titanica ed archetipica del lavoratore. Tuttavia, anche Junger colse la natura nichilistica di una mobilitazione che era servizio assoluto alla Tecnica, tratteggiando la figura del Ribelle Anarca, colui che passa al bosco per salvare almeno se stesso.

Già nel XIX secolo alcuni ingegni compresero la portata della sfida in corso, ad esempio l Henry David Thoreau di Walden o la vita nei boschi e della Disobbedienza Civile. Rimasero tuttavia nell ambito di posizioni nobili, ma individuali. Lo sradicamento della nostra epoca rende il pensiero incapace di andare oltre la linea del dominio della Tecnica, tanto che lo stesso Heidegger ammise di non intravvedere vie d uscita. Siamo tutt al più in grado di risvegliare la disponibilità all attesa. Poiché l uomo, in particolare l uomo faustiano, è usato dalla Tecnica, il primo passo della speranza è la comprensione della situazione, compito di un pensiero forte. Non è nudo, quel pensiero: possiede la Tradizione, e lo stesso autore di Essere e Tempo sembra declinare nelle sue forze, allorché prescrive e pretende che il rovesciamento avvenga nello stesso luogo del mondo ove è sorta la modernità che ha prodotto Faust, il Lavoratore di Junger, il forzato della catena di montaggio di Charlie Chaplin, il Consumatore, l Uomo Massa di Ortega,il Piccolo Hans rivale del padre di Freud. Tutti costoro sono divenuti insensibili alla Bellezza, respinta nella cura maniacale del corpo e dell aspetto esteriore, svilita nel culto dello sgargiante e del vistoso. Viviamo tutti circondati dal brutto delle periferie, dai parallelepipedi grigiastri dei capannoni che, con macchie di colore o con cartelli indicatori diventano di volta in volta centri commerciali, plessi scolastici, ospedali, palazzi di giustizia, opifici produttivi, case di (civile?) abitazione. All ingresso di Auschwitz stava il famoso cancello con la beffarda scritta Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi. Analogamente, il mondo narcotico e concentrazionario del Brutto Globale ha bisogno di spiegare l uso degli spazi e dei volumi a che cosa è adibito ed a che serve! di ciascun luogo e non luogo. Ma non può evitare, né ha l autorità morale per condannare il degrado indotto, il disordine generalizzato, lo sporco accumulato materialmente e metaforicamente. Perso il centro, tutto è periferia e non saranno i tristi giardini piantumati sulle piastre dei box interrati a restituire qualcosa che valga la pena guardare, nelle brevi pause dell inesausta corsa in tondo. Anche il mansueto asinello deve essere legato, munito di paraocchi e picchiato a sangue, per costringerlo a spingere ruote idrauliche, le norie, sollevare l acqua nei mulini o girare senza posa attorno al frantoio per azionarne la pietra. L ESSERE CHE GIOCA, L ESSERE CHE CONTEMPLA Tutto deve essere utile, nel mondo razionale dell Azione, ed ogni talento sembra tenuto a rendervi omaggio. La cultura tecnica è quindi madre e maestra, ma di esseri interiormente barbari. Anche l arte deve essere riproducibile, e la sua serialità vive nel mito dell Uguale (Jean Baudrillard). Un grande poeta con interessi filosofici come Schiller mise in luce che l arte è (e dovrebbe restare) un gioco fine a se stesso. Ars gratia artis, ed è curioso davvero che il motto latino sia sopravvissuto nel logo della Metro Goldwyn Mayer, uno dei simboli del sistema di intrattenimento industriale cinematografico. Soggiunse l autore dei Masnadieri e della Congiura del Fiesco che solo nel momento in cui gioca l uomo è tale nel senso più pieno della parola. Un concetto ripreso in qualche misura, a livello di morfologia delle civiltà, da Johann Huizinga, autore di Homo Ludens. Il pensatore olandese dimostrò che la dimensione ludica è presente in qualunque attività umana, comprese la scienza o il diritto, oltre, naturalmente, l arte. Il gioco è un invariante dei comportamenti culturali della specie.

L uomo è quindi un essere che gioca, simile in questo all animale. Terminata la lotta quotidiana per il cibo, l animale riposa o gioca. L uomo moderno ha voluto calcolare, misurare, osservare con il microscopio della ragione calcolante anche questa dimensione naturale di se stesso, ed ha elaborato la Teoria dei Giochi. Si tratta della scienza matematica teorizzata da Von Neumann e perfezionata da Nash, che studia e analizza le decisioni individuali in situazioni di conflitto o interazione strategica con altri soggetti rivali, finalizzate al massimo guadagno di ciascun soggetto. Dunque, il gioco faustiano è agonistico, con un preciso obiettivo, la vittoria, ed è perciò sottratto alla sua funzione iniziale, ludica appunto. Come su ogni altra attività umana non originariamente legata all utile o all accumulo ( pensiamo allo sport professionale o ai giochi di società che diventano azzardo organizzato ) l Azione e la ragione calcolante hanno posto la loro bandierina, e la teoria dei giochi, a partire dal noto dilemma del prigioniero, ne è la prova. Se l ethos della nostra civilizzazione è il denaro, il paradigma resta l Azione che calcola, scopre, indaga, organizza, ancella fedele del Mercato, predittiva ed instancabile. Chissà, forse i titoli di Borsa si chiamano azioni non per caso! Diversamente dall animale che gioca e basta, oppure riposa, l uomo contempla. E quella la grande fase della riflessione, della scoperta autentica, del disvelamento, che genera l arte, ma anche il pensiero astratto. E contemplando, non agendo con lena forsennata, che ha immaginato dei simboli attraverso i quali esprimere concetti, o contare, i numeri, e scoprire i segreti nascosti del creato; è contemplando che ha intuito l infinito, ed ha preso a soffrire, paragonandolo alla propria caducità. Che fai tu, luna in ciel, dimmi che fai, è la domanda inevasa del pastore errante leopardiano. Nani sulla spalle di giganti, gli uomini faustiani sanno calcolare in modo perfetto la distanza dalla Terra e qualunque altra caratteristica commensurabile di Selene. Sono stati in grado di lanciare degli astronauti sulla silenziosa Luna e farli tornare salvi sul loro vecchio pianeta. Martin Heidegger, nella celebre intervista pubblicata da Der Spiegel dopo la sua morte, nel 1976, rivelò di essere rimasto raggelato dalla conquista della Luna, ed in particolare dalle fotografie della Terra scattate lassù, ritenendo, non a torto, che tale straordinaria impresa tecnica e scientifica avrebbe rotto definitivamente il rapporto filiale, quasi amniotico, tra l uomo ed il pianeta che abita. Pensieri in libertà, forse borbottii di un vecchio incapace di tenere il passo con i tempi, ma non risulta che la scienza e la tecnica frutto dell Azione ci stiano rendendo più felici, o che abbiano fatto davvero luce sul mistero che ci circonda. Non importa, bisogna andare avanti, e poco conta se questo avverbio di moto a luogo indichi o meno la direzione che si ha di fronte. Quel che conta davvero è la contrapposizione con l altro avverbio, quello brutto e negativo, indietro. In matematica esistono i postulati, verità autoevidenti ma non dimostrabili. Andare avanti, agire, è uno di quelli, ma nessuno ne ha mai mostrato la verità. I Greci, che contemplavano e giocavano che cosa sono la mitologia e la vita degli dei dell Olimpo, se non un fantastico gioco che spiega narrando ebbero grandi cognizioni matematiche e capacità scientifiche; furono gli inventori della matematica occidentale e geni dell architettura. Eppure, non vollero mai andare oltre. Temevano l ira degli Dei, certo, ma più ancora aborrivano la Hybris, l orgogliosa tracotanza, talché il senso del limite segna un confine ben visibile nella storia e nel mito dell Ellade. Basti ricordare il volo di Icaro, il cui fallimento è dovuto non all imperizia, ma al fatto che si è spinto troppo in alto, esattamente come andò oltre, nel mito cosmogonico, Prometeo scoprendo il vaso di Pandora, contenente tutti i doni divini e la conoscenza. Nondimeno, specie nell età ellenistica, ingegneri e scienziati greci pervennero a scoperte ed

invenzioni straordinarie, di cui poco si servirono. Il più grande fu forse Erone di Alessandria, autore di un fondamentale trattato di meccanica, inventore, tra l altro dell eolipila, o sfera di Eolo che dimostra mostra come l' energia termica può essere trasformata in energia meccanica sfruttando la pressione derivante dal riscaldamento di acqua all'interno di una sfera metallica. Il povero Eratostene, genio poliedrico, venne deriso per avere perfettamente indicato la natura sferica della Terra ed averne misurato con precisione il raggio. Anche i cinesi hanno raramente utilizzato a scopo economico o di dominio le scoperte scientifiche che realizzavano, talvolta con anticipo di secoli rispetto a noi. Ma laggiù il primato va alla saggezza, all armonia, al tutto superiore alle parti, a ciò che è organico. La superbia di Faust, quindi, non è neppure giustificata da una manifesta superiorità culturale. La differenza la fanno gli esiti: pensiero calcolante ed in più strumentale. Si pensa, si agisce e si realizza esclusivamente ciò che è utile e serve a dominare : la natura, gli eventi, gli altri uomini. L eroe dell azione, seguace inconsapevole di Spinoza e della sua etica geometrica, dissolve i fini nei mezzi, vive senza direzione, e la sua volontà di potenza va oltre il nichilismo e sconfina nella blasfemia, a partire dallo sfruttamento intensivo del creato, la riduzione degli altri uomini a mezzi, l indifferenza per il futuro ed i posteri. Talora, gli artisti comici sono più profondi degli intellettuali. Woody Allen è l autore della famosa battuta perché mi devo preoccupare dei posteri, che cosa hanno fatto per me i posteri?. Il cinismo individualista dei campioni dell Azione a passo di carica è tutto qui, ma questo è il primo tempo della storia che non vuole programmaticamente lasciare nulla a chi verrà dopo. Guai a chi costruisce deserti, gridava Nietzsche che aveva capito tutto con cent anni di anticipo, conosceva Goethe ed aveva sperato nel valore salvifico della musica di Richard Wagner. Le architetture contemporanee non sono fatte per resistere al tempo, i beni cosiddetti durevoli sono fabbricati per diventare rapidamente inservibili, i libri durano una stagione ed i quadri il tempo di pompose recensioni ordinate dai nuovi committenti, i mercanti, le idee non ci sono, e comunque valgono solo oggi, come gli yogurt freschi. Un epoca di esplosive bolle di sapone. ORION Accennavamo all eredità non accolta di Goethe. L uomo di Weimar, oltreché esprimere un originale visione della conoscenza, tentò di diffondere la sua visione di una comunità umana organica, olistica, una sorta di orchestra contrapposta tanto al titanismo di certi romantici quanto al razionalismo illuminista ed al meccanicismo scientista. Indicò un sentiero, stretto come una fenditura del terreno, esaltando un idea di cosmopolitismo distinta e distante dall universalismo omologante e ben lontana da quella malattia moderna che chiamiamo multiculturalismo. Dalle brume germaniche approdò in Italia alla ricerca dell arte, della perfezione e del senso apollineo che trovò, come altri nordici del suo tempo, nella straordinaria stagione della classicità greca. Ma, come Schopenhauer e, successivamente, lo stesso Nietzsche seppe guardare più lontano. Ne è prova l amore per il mondo persiano, espresso nell ammirazione per il poeta farsi Hafiz e per l utilizzo di un genere poetico, il divano, che attinse in lui vette insuperate nel Divano Occidentale Orientale. Tornò, anche culturalmente, nella sua Germania, e l opera di tutta una vita, il Faust, cui lavorò per circa sessant anni, ci presenta situazioni e personaggi universali. Uno è Homunculus, l omarino creato in laboratorio, sogno alchemico di Paracelso, l essere esclusivamente intellettuale, dotato di anima ma non di spirito, scoperto dall allievo di Faust Wagner, colui che scava con avida mano alla ricerca di tesori, ed è contento se trova lombrichi!.

Homunculus possiede un anima, ma non si è ancora innalzato alla conoscenza dei mondi spirituali. Con lui viene generato qualcosa che non appartiene al mondo dei sensi, ma gli si aggiunge. Perciò Goethe conia una nuova parola: se il nascere si chiama generazione, quella di Homunculus è una supergenerazione. Goethe forgia un termine come aveva già fatto nella scena dello Spirito della Terra, con la definizione di superuomo per l uomo che anela oltre se stesso. Ad Homunculus viene ordinato : Ti muoverai secondo leggi eterne, attraverso mille e mille forme, e sino all uomo hai tempo. Dunque, è l uomo l obiettivo a cui aspirare, non la sua scimmia intellettuale o il bruto sensuale di Valpurga. Esiste quindi un legame tra Faust ed Homunculus, che va reciso attraverso il recupero dell umanità, della dimensione spirituale e, in un certo senso, passa per la ritrovata umiltà dell uomo che accetta di chinare il capo dinanzi all infinito, all incommensurabile, al totalmente altro. Altro personaggio profondamente simbolico è Euforione, il figlio di Faust e di Elena, unione dello spirito gotico e di quello classico. Secondo il mito originario, Euforione era il bellissimo figlio postumo di Elena ed Achille. Nel poema muore giovane per aver voluto raggiungere il cielo come Icaro, ma la sua morte innesca il riscatto finale di Faust, rientrato, con l aiuto della Cura, nei panni e nello spirito di uomo. La via, dunque, è chiara e segnata. L uomo Faust ha il diritto e il destino di porsi domande, di tendere verso l ignoto. E la sua croce lo streben, sporgersi oltre i confini e penetrare il pensiero ed il mistero, l aspirazione verso la verità e l assoluto, ma anche, sempre più spesso, viaggio con destinazione il nulla. Miguel de Unamuno, nel Sentimento Tragico della Vita, si accostò alla tensione faustiana descrivendo, o tentando di farlo, l idea di Nulla. Se ne ritrasse preda dell angoscia, lo stesso sentimento che Faust ben conosce e che, infine, può essere vinta solo in due modi: o attraverso l abbandono al trascendente, l agostiniano inquietum est cor nostrum che si placa in Dio, o nell abbrutimento di ogni Homunculus nelle esperienze materiali più torbide e notturne, mascherate talora da progresso, scienza, novità, da attribuire senza dubbio alle pulsioni incontenibili di Hans divenuto adulto. Faust, al termine del viaggio, comprende la distanza incolmabile tra esattezza e validità, obiettivi, streben,della ragione calcolante, strumentale, e verità, che vive in quell altrove che rimanda alle domande eterne del pastore errante dell Asia. Il disvelamento passa necessariamente dall io orgoglioso al tu, al noi della Cura. Forse l uomo europeo occidentale, faustiano ed inguaribilmente materialista, dovrà rassegnarsi nel tramonto a ricorrere all Oriente per una nuova nascita, come intuito poeticamente nel Divano da Johann Wolfgang Goethe. Il Nord, l Occidente, il Sud si sfasciano/ saltano troni, regni vacillano; / rifugiati tu nel limpido Oriente,/ dei patriarchi assaggia l aria pura/ tra amori, libagioni, canti/ lasciati ringiovanire dalla fonte di Chiser/ Ove ai padri fu alto onore / e messi al bando culti stranieri. L alternativa è Faust senza più Mefistofele a simboleggiare e riconoscere il male, un bruto azzimato profumato ed istruito che sa ogni cosa e tutto vede, tranne l essenziale. ROBERTO PECCHIOLI