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Deliberazione n.8/2002/g REPUBBLICA ITALIANA la Corte dei conti in Sezione del controllo II Collegio nell adunanza del 20 novembre 2001 * * * vista la deliberazione n. 15/2000 adottata dall Adunanza plenaria della Sezione del controllo in data 10 febbraio 2000, con la quale è stato definito il programma del controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni pubbliche per l anno 1999; vista la relazione, in data 21 giugno 2001, del Consigliere Delegato della Sezione regionale di controllo per la Toscana della Corte dei conti e dei magistrati istruttori componenti l apposito gruppo di lavoro per l indagine sulle Autorità di bacino dei fiumi Arno e Tevere (legge 18 maggio 1989, n. 183); vista l ordinanza in data 30 ottobre 2001, con la quale il Presidente della Sezione di controllo sulla gestione ha deferito l esame e la pronuncia sulla relazione in argomento al Secondo Collegio convocato per l adunanza odierna; 5

viste le note n. 767/01/G in data 19 ottobre 2001, e n. 778/01/G in data 31 ottobre 2001, con le quali l Ufficio per l esecuzione degli adempimenti relativi alle adunanze delle Sezioni centrali di controllo Stato ha trasmesso copia rispettivamente della relazione e dell ordinanza presidenziale al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Gabinetto Roma, al Ministero dell ambiente e della tutela del territorio Gabinetto - Roma, al Ministero dell economia e delle finanze Gabinetto e Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato Roma, all Autorità di bacino del fiume Arno - Firenze, all Autorità di bacino del fiume Tevere Roma; visto il T.U. delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214; vista la legge 21 marzo 1953, n. 161; vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20; visto il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni nella legge 20 dicembre 1996, n. 639; udito il relatore, Consigliere dott. Gianfranco Bussetti; sentiti i rappresentanti delle due Autorità oggetto dell indagine: per l Autorità di bacino del fiume Arno il prof. Giovanni Menduni, Segretario generale, e il dott. Marcello Brugioni, dirigente; per l Autorità di bacino del fiume Tevere l ing. Roberto Grappelli, Segretario generale, il dott. Carlo Ferranti, dirigente, e la dott.ssa Letizia Oddi, dirigente; non intervenuti i rappresentanti delle altre Amministrazioni; ha assunto la seguente deliberazione: 6

APPROVA l unita relazione e ORDINA che la presente deliberazione e la relazione vengano trasmesse alla Presidenza della Camera dei Deputati, alla Presidenza del Senato della Repubblica, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Gabinetto, al Ministero dell ambiente e della tutela del territorio Gabinetto, al Ministero dell economia e delle finanze Gabinetto, al Ministero dell economia e delle finanze Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, all Autorità di bacino del fiume Arno, all Autorità di bacino del fiume Tevere. IL PRESIDENTE (Tullio Lazzaro) IL RELATORE (Gianfranco Bussetti) 7

INDAGINE SULLA GESTIONE DELLE AUTORITA DI BACINO DEI FIUMI ARNO E TEVERE 8

INDICE INTRODUZIONE pag. 5 NOTE METODOLOGICHE pag. 40 AUTORITA DI BACINO DEL FIUME ARNO pag. 43 AUTORITA DI BACINO DEL FIUME TEVERE pag. 84 CONCLUSIONI pag. 111 QUADRO FINANZIARIO pag. 146 QUADRO NORMATIVO pag. 152 Le parti della relazione sono dovute rispettivamente ai seguenti magistrati con la collaborazione dei funzionari a fianco di essi indicati 9

. INTRODUZIONE Consigliere Gianfranco Bussetti Consigliere Carlo Concioni Claudio Felli NOTE METODOLOGICHE Consigliere Gianfranco Bussetti AUTORITA DI BACINO DEL FIUME ARNO 1 Referendario Maria Annunziata Rucireta AUTORITA DI BACINO DEL FIUME TEVERE Consigliere Roberto Tabbita Franco Mattei Arturo Benedetti Maria Bertolone CONCLUSIONI Consigliere Gianfranco Bussetti DATI GEOGRAFICI Consigliere Gianfranco Bussetti QUADRO FINANZIARIO Consigliere Gianfranco Bussetti Vncenzo Bocchetti QUADRO NORMATIVO Consigliere Gianfranco Bussetti INTRODUZIONE FINALITÁ DELL INDAGINE. 10

L indagine è stata deliberata in data 10 febbraio 2000 e rientra nel programma del controllo sulla gestione delle amministrazioni pubbliche per l anno 1999 (deliberazione n. 15/2000 dell Adunanza plenaria della Sezione del controllo). Il periodo gestionale di riferimento è pertanto l esercizio 1999, con estensione peraltro in qualche caso all esercizio successivo per completezza di informazione sull andamento degli interventi, che, ai sensi della legge 18 maggio 1989, n. 183, sono programmati (art. 21) e finanziati (art. 25) per trienni. La Corte ha già svolto tre indagini sulla gestione di autorità di bacino: due sull Autorità per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno, l una relativa al periodo dal 1990 (data della sua costituzione) al 1996, con aggiornamento dei dati finanziari al 31 dicembre 1997, la cui relazione è stata approvata dalla Sezione del controllo III Collegio nell adunanza del 10 luglio 1998, con deliberazione n. 116/98, depositata il 20 ottobre 1998, l altra, con carattere di aggiornamento riferito agli anni 1998 e 1999, e con estensione all Autorità di bacino interregionale del fiume Sele e alle autorità regionali della Campania (Nord-occidentale della Campania, Sarno, Destra Sele e Sinistra Sele), la cui relazione è stata approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione nell adunanza dell 11 maggio 2001, con deliberazione n. 27/2001/G, depositata il 2 luglio 2001; e una indagine sull Autorità per l Adige, concernente il periodo 1998-2000, la cui relazione è stata approvata dalla Sezione del controllo per il Trentino-Alto Adige nell adunanza del 21 dicembre 2000, con deliberazione n. 13/2000, depositata il 22 dicembre 2000. La presente indagine pertanto, oltre ad effettuare due altre analisi specifiche sulla gestione di altrettante autorità, con riferimento peraltro a un individuato esercizio finanziario ai fini di un monitoraggio quasi in spaccato di gestioni, che si svolgono operativamente per periodi triennali, più che di un esplicazione storico-evolutiva delle vicende istituzionali, programmatorie e gestorie delle medesime, è finalizzata altresì a fare il punto della situazione in ordine all incisività della funzione e dell opera di tali organismi nel settore della difesa del suolo, risanamento delle acque e gestione del patrimonio idrico, e quindi alla rispondenza di detti organismi, istituiti appositamente a tale scopo dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, alle finalità della legge stessa. L indagine quindi, mediante l analisi gestionale di altri due di tali importanti organismi, intende apportare un contributo, ancorché sotto tale ottica operativa, alla verifica di adeguatezza, alle previsioni di legge, del sistema di intervento a tutela e difesa delle acque e del suolo, messo in campo dalla legge 183, che ha provveduto a riorganizzare funditus il settore, sulla base e con recepimento dell ampio concetto di conservazione e 11

difesa del suolo, cui era pervenuta la Commissione interministeriale istituita ai sensi dell art. 14 della legge 27 luglio 1967, n. 632. CONCETTO DI DIFESA DEL SUOLO. Il problema della difesa del suolo, infatti, è stato affrontato in modo organico soltanto a partire dagli anni 70. Fino ad allora il quadro normativo era caratterizzato dalla mancanza di una disciplina organica in materia di difesa del suolo. I problemi legati alla difesa idrogeologica del suolo venivano affrontati seguendo la prassi degli interventi parziali, frazionati e senza un sufficiente coordinamento, cosicché la difesa del suolo era il risultato di un intreccio di leggi e decreti succedutisi nel tempo, a partire dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, Alleg. F, relativa alla classificazione delle opere idrauliche, per continuare con il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267 sul riordinamento e la riforma della legislazione in materia di boschi e terreni montani, il testo unico delle leggi sulla bonifica integrale del 13 febbraio 1933, n. 215, che prevedeva già una coordinata esecuzione delle opere fondiarie, di qualunque natura tecnica (idrauliche, stradali, edilizie, agricole, forestali), necessarie per adattare terre e acque a produzione più intensiva, tali da assicurare lavoro e civili forme di vita a popolazione più densa; e il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775; la tutela e la salvaguardia dalle piene dei corsi d'acqua erano affidate alle norme del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 e ad altre poche norme. Inoltre il legislatore, prima e indipendentemente da quella che sarebbe stata la riforma dell amministrazione pubblica e comunque prima di emanare una disciplina organica in materia di difesa del suolo e tutela delle acque, ha trasferito parte della tutela relativa a tali settori alle regioni, complicando notevolmente il quadro normativo della materia. Fu solo dopo l'eccezionale evento alluvionale che, fra il 4 ed il 7 novembre 1966, colpì diverse regioni del centro-nord che l attenzione del legislatore cominciò a rivolgersi a una nozione di difesa del suolo più adeguata alle effettive e reali esigenze del paese. Con la già citata legge 27 luglio 1967, n. 632, recante "Autorizzazioni di spesa per l'esecuzione di opere di sistemazione e difesa del suolo", si previde la costituzione di una Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo. La Commissione, nominata con decreto dal Ministro dei lavori pubblici ai sensi dell art. 14, secondo comma, della legge (conosciuta poi come Commissione De 12

Marchi dal nome del suo Presidente), aveva "il compito di esaminare i problemi tecnici, economici, amministrativi e legislativi interessanti al fine di proseguire ed intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo sulla base di una completa ed aggiornata programmazione (art. 14, primo comma). Entro il termine stabilito nel decreto di nomina, la Commissione (doveva) depositare presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici la relazione conclusiva, con le proposte che (avesse ritenuto) di formulare" (art. 14, comma 4). I risultati, dopo tre anni di lavoro, furono compendiati in una monumentale relazione, che prese il nome dall autorevole presidente della Commissione, il professor Giulio De Marchi. In tale relazione come sostiene il Ministero dei lavori pubblici nella relazione sull uso del suolo e sulle condizioni dell assetto idrogeologico, del luglio 1994 si tracciavano le soluzioni, probabilmente definitive, al problema della sistemazione idraulica del Paese e, più in generale, della difesa del suolo; venivano inoltre individuati gli strumenti operativi, e quantificati i mezzi necessari per conseguire gli obiettivi prefissati. Si affrontava poi, organicamente, il problema della riorganizzazione di alcuni fondamentali servizi dello Stato operanti sul territorio: il Servizio geologico, il Servizio idrografico e mareografico, il Servizio sismico nazionale, il Servizio nazionale dighe e altri ancora, tutti ritenuti indispensabili a svolgere una specifica attività conoscitiva e a fornire quindi i presupposti per la definizione e la progettazione degli interventi. La Commissione De Marchi, nella sua relazione conclusiva, affermava quindi innanzi tutto la necessità che il settore della difesa del suolo e quello della tutela delle acque rimanessero di competenza statale. Ma il merito maggiore che si riconosce alla Commissione è quello di aver offerto punti di riferimento alle successive riforme del settore, definendo le questioni principali e soprattutto fornendo una nozione di difesa del suolo, alla quale ancor oggi si fa riferimento. In base alla definizione della Commissione De Marchi la difesa del suolo comprende "ogni attività di conservazione dinamica del suolo, considerato nella sua continua evoluzione per cause di preservazione e di salvaguardia di esso, della sua attitudine alla produzione e delle installazioni che vi insistono, da cause straordinarie di aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali e marine o di altri fattori meteorici". La Commissione poneva l'accento su un concetto che veniva definito di rilevanza basilare, e cioè che le attività intese alla difesa idraulica del suolo devono inquadrarsi nell'ambito di bacini idrografici aventi caratteristiche di unità fisiche riconoscibili e di unità amministrative inscindibili, bacini da configurare secondo concezioni tecniche uniformi 13

per l'intero territorio nazionale. La Commissione intuiva infatti già in quei tempi che i problemi della difesa idrogeologica non avrebbero potuto essere separati, soprattutto con riguardo a quanto era prevedibile per un prossimo futuro, dai problemi creati dal "crescente sempre più esteso inquinamento delle acque naturali"; cosicché proponeva di attribuire all'istituto del Magistrato alle acque, creato nel 1907 (con legge 5 maggio 1907, n. 257) per le provincie venete e di Mantova, poi divenuto il Magistrato alle Acque di Venezia, e del Magistrato per il Po, istituito con legge 22 luglio 1956, n. 735, una competenza idonea ad affrontare anche il problema della lotta contro l'inquinamento delle acque, prevedendo l estensione dell'istituto medesimo all'intero territorio nazionale. Parte integrante di ogni Magistrato avrebbe dovuto essere un "ufficio dei piani" con il compito di redigere e di tenere di continuo aggiornato, per ogni unità idrografica, il piano di bacino, destinato a costituire la base delle attività di intervento amministrativo. Il disegno della Commissione prevedeva inoltre che, a loro volta, i piani di bacino dovessero essere "coordinati con gli strumenti generali di pianificazione territoriale, attraverso procedimenti che (assicurassero) l'armonizzazione dei primi con i secondi, ferma restando la necessaria subordinazione di ogni interesse pubblico a quelli prioritari, di esclusiva competenza statale, connessi con la sicurezza idrogeologica e i più generali aspetti della sicurezza e della difesa del suolo". I lavori della Commissione terminarono nel 1970 e furono pubblicati in quello stesso anno. Tuttavia, per oltre vent anni come si osserva nella citata relazione del Ministero dei lavori pubblici le proposizioni della Commissione De Marchi, sebbene generalmente condivise e apprezzate, non riuscirono a trovare un concreto sbocco legislativo. La relazione della Commissione fu oggetto di studi, convegni, dibattiti, ma tardò a trasformarsi in provvedimenti normativi. Sulla base delle conclusioni, infatti, cui era prevenuta la Commissione, nei primi anni 70 furono presentati in Parlamento alcuni disegni di legge, che però non giunsero all approvazione. Dette proposte di legge ridisegnavano la materia della difesa idraulica e del suolo, sostituendo al concetto della ripartizione delle opere idrauliche in cinque classi, quale era quella prevista dal vecchio T.U. del 1904, a seconda della loro maggiore incidenza sui territori abitati, quello dei bacini idrografici; il concetto di bacino si rintraccia infatti già nell art. 2, lett. c), della legge 10 maggio 1976, n. 319 ( Norme per la tutela delle acque dall inquinamento ). Tale concetto peraltro è pervenuto successivamente a una più precisa individuazione teorica, e soprattutto a un rilievo non più settoriale, bensì generale. Tuttavia, prima del 1989, il rilievo del bacino idrografico rimaneva limitato alle opere 14

idrauliche e finalizzato solo alla fissazione di un riparto di competenze tra Stato e regioni; infatti solo nel 1989, come si vedrà, con la legge n. 183, si è arrivati a dare un assetto normativo ben delineato alla delicata materia. Nel frattempo, tuttavia, nonostante le suddette precisazioni e puntualizzazioni, che avrebbero dovuto rappresentare la base normativa, oltre che il quadro ideologico, di interventi legislativi conseguenziali, il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, di attuazione della delega, di cui all art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, forse tentando di mediare, in materia, con i principi affermati dalla Commissione De Marchi la forte regionalizzazione, che intendeva attuare con ampi trasferimenti per settori amministrativi, che superassero la compartimentazione per ministeri, dispose, sotto il titolo unitario dell assetto e utilizzazione del territorio (Titolo V del decreto), una disciplina, quasi anticipatrice in tale settore dei criteri, se non proprio della formula dispositiva, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che riservava allo Stato solo le funzioni interregionali, trasferendo o delegando alle regioni le funzioni di interesse regionale, che però, in materia di acque e difesa del suolo, restavano disciplinate per settori e secondo testi normativi precedenti, disattendendo quindi il disegno unitario delineato dalla Commissione De Marchi. Infatti il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, relativamente alle opere idrauliche all art. 89 prevede la ripartizione del territorio in bacini idrografici interregionali, la cui disciplina viene affidata allo Stato, che vi avrebbe dovuto provvedere in sede di legge di riforma dell'amministrazione dei lavori pubblici; in mancanza di tale legge le funzioni erano delegate alle regioni, che le avrebbero esercitate sulla base di programmi fissati e coordinati dai competenti organi statali. Inoltre, in base a quanto disposto dall art. 91: "Sono riservate allo Stato... le funzioni concernenti : 5) la individuazione dei bacini idrografici a carattere interregionale, sentite le regioni interessate;...". Invece vengono trasferite alle regioni tutte le opere idrauliche relative ai bacini idrografici non interregionali. Per quanto concerne le acque l art. 90 delega alle regioni le funzioni relative alla tutela, disciplina e utilizzazione della risorsa idrica, la cui titolarità rimane allo Stato. L art. 101, infine, trasferisce alle regioni, in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti, "le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in ordine all'igiene del suolo e all inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico, compresi gli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri. Quindi, con d.p.c.m. del 22 dicembre 1977, si provvide alla delimitazione dei bacini idrografici a carattere interregionale in attuazione degli articoli 89 e 91 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, individuandone 27, che vennero elencati nel decreto stesso. 15

LA LEGGE N. 183 DEL 1989. La legge 18 maggio 1989, n. 183, recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, ha per scopo, come si legge nell art. 1, "di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi". Si tratta di una legge, come riconosce la Corte costituzionale (sentenza n. 85 del 20-26 febbraio 1990) che fissa un obiettivo, la difesa del suolo, da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori materiali coinvolti. In altre parole, la legge pone molteplici obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, per il perseguimento dei quali si prevede un'articolata pianificazione degli interventi (piani di bacino), una programmazione dei finanziamenti (programmi triennali d'intervento), la creazione di nuove istituzioni (centrali e periferiche) di supporto per i predetti interventi (Comitato di ministri; Comitato nazionale per la difesa del suolo e autorità di bacino), la previsione di forme di collaborazione e di atti di indirizzo e coordinamento, la predisposizione di controlli e di atti sostitutivi in ordine agli adempimenti connessi alle attività di pianificazione e di programmazione e, infine, 1'accollamento allo Stato di tutti i conseguenti oneri finanziari. Come si rileva, la legge 183 ha recepito sostanzialmente il concetto fondamentale messo a punto dalla Commissione De Marchi, centrato su una concezione unitaria, sia dal punto di vista idro-geo-morfologico, sia dal punto di vista gestionale-amministrativo, del territorio da tutelare; ha affrontato approfonditamente la tematica, come si evince dalla puntualizzazione analitica delle attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione contenute nell art. 3 della legge stessa; tuttavia, quanto ai profili amministrativi della gestione, rispetto alle indicazioni della Commissione è andata oltre nella linea regionalistica, quale era già realizzata nel d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 relativamente alle opere idrauliche e alla tutela, disciplina e utilizzazione delle risorse idriche, stabilendo in via generale all art. 10 che le regioni, ove occorre d intesa tra loro, esercitano le funzioni ad esse trasferite e delegate ai sensi della presente legge, e in particolare quelle di gestione delle risorse d acqua e di terra. Pur ribadendo quindi la rilevanza nazionale dell obiettivo prefissatosi, cioè la difesa del suolo nel senso più ampio, totalitario e omnicomprensivo del termine, che ne determina la gestione in un ottica centralistico-unitaria con conseguente accollo a totale 16

carico dello Stato (art. 25, 1 comma) degli interventi, la legge, in relazione alla perifericità del territorio ( bacino ) interessato, ha previsto un organo gestorio installato e operante sul territorio per affrontarne in loco i problemi di difesa e curarne la tutela, organo che la Corte costituzionale ha definito organo misto Stato-regioni, il quale costituisce una novità dell ordinamento amministrativo italiano, in considerazione del coinvolgimento di interessi, competenze e funzioni sia dello Stato che delle regioni. La legge 183/89 è stata successivamente integrata e modificata dalla - legge 7 agosto 1990, n. 253, recante Disposizioni integrative della legge 183/1989, con la quale sono state introdotte alcune misure organizzative per agevolare l'operatività delle autorità di bacino, dotandole di una più adeguata strumentazione logistica e funzionale; - dalla legge 12 gennaio 1991, n.13 ( Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica ); - dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, con la quale sono rafforzati i poteri di controllo, di intervento, anche a carattere preventivo e inibitorio, e di direttiva delle autorità di bacino, specie nella fase che precede l'approvazione dei piani di bacino, per assicurare una più tempestiva realizzazione dei programmi di difesa, sono stati disciplinati i piani stralcio (più recentemente disciplinati dal decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, convertito nella legge 11 dicembre 2000, n. 365) e prevista l adozione di misure di salvaguardia; - dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36 ( Disposizioni in materia di risorse idriche ); - dalla legge 5 gennaio 1994, n. 37 ( Norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche ); - dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61 ( Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell Agenzia nazionale per la protezione dell ambiente ); - dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97; - dai decreti legislativi 28 agosto 1997, n. 281, e 31 marzo 1998, n. 112, e dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, di conversione del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180 (finanziamento triennale). Per quanto riguarda i compiti delle autorità hanno provveduto le leggi 4 agosto 1989, n. 283, e 2 maggio 1990, n. 102, il d.lgs. 12 luglio 1993, n. 275 ( Riordino in materia di concessione di acque pubbliche ), e la citata legge 5 gennaio 1994, n. 36. 17

I BACINI IDROGRAFICI. Per realizzare il proprio obiettivo la legge introduce il concetto di bacino idrografico, che si individua come "il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d'acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d'acqua, ivi compresi i suoi rami terminali con le foci in mare e il litorale marittimo prospiciente". Il bacino idrografico è dunque, per la legge 183/89, l ambito fisico di riferimento per gli interventi di pianificazione territoriale e quindi per la tutela delle acque e la difesa del suolo. Nel bacino, con riferimento al suo territorio, si individuano tutti gli elementi, la cui compresenza, spesso contrastante, costituisce l ecosistema da tutelare: si va dalle componenti fisico-ambientali (disponibilità delle risorse idriche e loro qualità, situazioni di dissesto idrogeologico, subsidenza, attività e rischio sismico, dinamica degli alvei, erosione costiera, valori ambientali, paesaggistici o storico-culturali, aree archeologiche, vegetazione, eccetera) a quelle antropiche ed economico-sociali (domanda di acqua a fini potabili, produttivi, irrigui, energetici, uso del suolo a fini abitativi, turistici, agricoli, industriali, o infrastrutture per trasporti, industrie, eccetera). Né vanno trascurati gli aspetti istituzionali, normativi, amministrativi, vincolistici. Tutto ciò comporta un loro studio coordinato per consentire la predisposizione di piani di tutela e salvaguardia, che mirino precipuamente alla difesa fisico-ambientale del territorio e della natura, ma anche del complessivo ambiente umano, che dagli interventi sul territorio deve trarre benefici, sotto l aspetto della sicurezza ambientale, in omnicomprensivi termini di qualità della vita. LA DELIMITAZIONE DEI BACINI. L intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è stato ripartito in bacini idrografici (art. 13, 1 comma, della legge 183/89), che la stessa legge ha classificato in bacini di rilievo nazionale, interregionale e regionale. L insieme dei bacini copre quindi tutto il territorio nazionale senza soluzione di continuità. I bacini idrografici di rilevo nazionale non erano previsti dalla precedente normativa in materia; quelli di rilievo interregionale e regionale invece erano già indicati nel d.p.r. 18

24 luglio 1977, n. 616, che all art. 89 prevedeva, ancorché con riguardo alle opere idrauliche, la delimitazione dei bacini idrografici interregionali ad opera di disciplina statale, mentre si trasferivano alle regioni tutte le opere idrauliche relative ai bacini idrografici non interregionali. Pertanto la legge 183 ha provveduto alla delimitazione provvisoria dei bacini di rilievo nazionale e interregionale mediante rinvio alla cartografia allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 1977, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 354 del 29 dicembre 1977, adottato ai sensi degli articoli 89 e 91 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; per i bacini di rilievo regionale ha invece previsto l intervento di apposito provvedimento istitutivo da parte delle regioni interessate entro un anno dall entrata in vigore della legge. Peraltro il 1 comma dell art. 4 della legge 183, che prevedeva l approvazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della delimitazione dei bacini di rilevo nazionale e interregionale, è stato modificato ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, il quale dispone che tutti gli atti, per i quali è intervenuta la deliberazione del Consiglio dei ministri, sono emanati dal Presidente della Repubblica, e degli articoli 1 e 3 decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1994, per cui ora la delimitazione dei bacini di rilievo nazionale e interregionale, il cui progetto è preliminarmente adottato dalle rispettive Autorità, è approvata con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Ministro dei lavori pubblici, su parere del Comitato nazionale per la difesa del suolo (ora soppresso dall art. 7 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) espresso previa istruttoria tecnica svolta mediante avvalimento dei Servizi tecnici nazionali (soppressi dall art. 38 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300; le relative attribuzioni sono state trasferite all Agenzia per la protezione dell ambiente e per i servizi tecnici, istituita dallo stesso art. 38 in sostituzione dell Agenzia nazionale per la protezione dell ambiente); il parere viene ora espresso dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano ai sensi dell art. 88, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Successivamente alla ricordata delimitazione provvisoria dei bacini di rilievo nazionale e interregionale, disposta direttamente dalla legge 183 (con il comma 2 dell art. 13), si è provveduto nel tempo a ridefinire la perimetrazione dei bacini medesimi, seguendo la nuova procedura nel frattempo stabilita a modificazione della precedente normativa. 19

La delimitazione del bacino del Tevere è stata approvata con decreto del Presidente della Repubblica in data 1 giugno 1998, mentre la delimitazione dei bacini di rilievo nazionale dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione e Arno, nonché dei bacini di rilievo interregionale dei fiumi Lemene, Tronto e Magra, è stata approvata con decreti del Presidente della Repubblica in data 21 dicembre 1999, pubblicati nel Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 195 del 22 agosto 2000. La delimitazione del bacino di rilievo interregionale del fiume Sele è stata approvata con decreto del Presidente della Repubblica del 13 aprile 2000, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 161 del 12 luglio 2000. Il territorio dei bacini idrografici comprende anche i tratti di costa corrispondenti alle foci. Per esempio, nel citato decreto di approvazione della delimitazione del bacino del fiume Arno è testualmente disposto, all art. 3, che: Gli interventi riguardanti la fascia costiera, compresa tra la foce dello Scolmatore d Arno a sud e la foce del torrente Cinquale a nord, sono sviluppati tenendo conto dell unità fisiografica e della preponderante influenza del fiume Arno sulla dinamica del litorale. La ripartizione del territorio nazionale effettuata dalla legge determina aree idrografiche di dimensioni tra loro non comparabili. Il Nord e la dorsale appenninica sono interessati in prevalenza da bacini di rilievo nazionale. Sotto tale profilo la Regione del Veneto aveva avuto da osservare che in conseguenza della ripartizione operata dalla legge gran parte del proprio territorio risultava ricompreso in bacini di rilievo nazionale, che per di più erano gestiti da un unica autorità di bacino, per cui lamentava che, dal punto di vista territoriale, soltanto residualmente e marginalmente restava spazio per i bacini regionali, e che, sotto l aspetto della competenza, gran parte del territorio veneto ricadeva sotto la competenza di un autorità di bacino nazionale. Presentava pertanto alla Camera e al Senato nell ottobre 1996 una proposta di legge, ai sensi dell art. 121, secondo comma, della Costituzione, d iniziativa del Consiglio regionale del Veneto, di modifica agli articoli 14 e 15 della legge 183, esponendo che la classificazione di "rilievo nazionale" dei bacini di Tagliamento, Livenza, Piave e Brenta-Bacchiglione appare del tutto immotivata, sia in relazione ai territori interessati, sia in confronto ai restanti bacini idrografici classificati di rilievo regionale e interregionale. Il rilievo regionale del bacino idrografico del fiume Piave è di per sé evidente: infatti, il bacino ricade per intero nel territorio veneto. Altrettanto evidente appare il carattere interregionale dei bacini del Tagliamento, del Livenza e del Brenta-Bacchiglione". 20

In proposito non si può non rilevare però che la territorialità è assunta dalla Regione del Veneto per farne oggetto soprattutto di una questione di competenza, laddove nell ottica della legge, che, come s è detto, sul punto ha recepito sostanzialmente l orientamento espresso dalla Commissione De Marchi, la territorialità è il fondamento dell unitarietà del bacino. Il rilievo nazionale consegue all importanza nell ambito territoriale nazionale di tale unità. L INDIVIDUAZIONE DEI BACINI. La stessa legge n. 183/1989 dunque ha ripartito il territorio nazionale in 11 bacini idrografici di rilievo nazionale, di cui 7 per il versante adriatico e 4 per il versante tirrenico, e 18 bacini di rilievo interregionale, di cui 11 per il versante adriatico, 2 per il versante ionico e 5 per il versante tirrenico. Ovviamente sono regionali tutti i bacini non ricompresi tra quelli nazionali e interregionali. I bacini di rilievo nazionale sono stati così individuati (art. 14, 1 comma, della legge 183): a) Per il versante adriatico: 1 ) ISONZO (Friuli-Venezia Giulia); 2) TAGLIAMENTO (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 3) LIVENZA (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 4) PIAVE (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 5) BRENTA-BACCHIGLIONE (Veneto, Trentino Alto-Adige); 6) ADIGE (Veneto, Trentino Alto-Adige); 7) PO (Piemonte, Valle d'aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna). b) Per il versante tirrenico: 1) ARNO (Toscana, Umbria); 2) TEVERE (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo); 3) LIRI-GARIGLIANO (Lazio, Campania, Abruzzo); 4) VOLTURNO (Abruzzo, Lazio, Campania). I bacini di rilievo interregionale sono (art. 15, primo comma, della legge 183 e d.p.c.m. 22 dicembre 1977): a) per il versante adriatico: 21

1) Lemene (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 2) Fissero-Tartaro-Canal Bianco (Lombardia, Veneto); 3) Reno (Toscana, Emilia-Romagna); 4) Marecchia (Toscana, Emilia-Romagna); 5) Conca (Marche, Emilia-Romagna); 6) Tronto (Marche, Lazio, Abruzzo); 7) Sangro (Abruzzo, Molise); 8) Trigno (Abruzzo, Molise) 9) Saccione (Molise, Puglia); 10) Fortore (Campania, Molise, Puglia); 11) Ofanto (Campania, Basilicata, Puglia); b) per il versante ionico: 1) Bradano (Puglia, Basilicata); 2) Sinni (Basilicata, Calabria); c) per il versante tirrenico: 1) Magra (Liguria, Toscana); 2) Fiora (Toscana, Lazio); 3) Sele (Campania, Basilicata); 4) Noce (Basilicata, Calabria); 5) Lao (Basilicata, Calabria). LE AUTORITÁ DI BACINO. CONFIGURAZIONE GIURIDICA. La legge 183 prevede tra i soggetti (di cui al Titolo I, Capo II e III) chiamati a dare attuazione alle finalità indicate dalla legge stessa, l istituzione, nei bacini idrografici e per il loro governo, di apposito organo, l autorità di bacino, che opera in conformità agli obiettivi della legge considerando i bacini medesimi come ecosistemi unitari (art. 12, comma 1 ). L'autorità di bacino è un organo misto Stato regioni, come è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale, la quale ha così argomentato (sentenza n. 85 del 1990): la legge n. 183 del 1989 è essenzialmente una legge di obiettivi, poiché la difesa del suolo è una finalità, il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale. Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle regioni, la difesa del suolo può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti. Naturalmente le forme della cooperazione possono essere svariate. Nel caso di specie il governo dei bacini idrografici di rilievo 22

nazionale é affidato ad autorità appositamente costituite, alla cui composizione concorrono sia rappresentanti statali che regionali. Di per sé, pertanto, l'istituzione di tali organi misti non può considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilità che il legislatore ha di conformare la cooperazione fra Stato e regioni in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. L introduzione nel nostro ordinamento di tali nuove amministrazioni corrisponde al disegno di un diverso modello organizzativo dell'intervento pubblico a livello territoriale. Infatti, poiché il bacino idrografico è l ambito (naturale ancor prima che amministrativo) di riferimento delle politiche pubbliche in materia di acque e di difesa del suolo, l individuazione nel suo seno di tali nuovi organismi pubblici, le Autorità di bacino, ha lo scopo di perseguire, sotto l aspetto organizzativo e operativo, le articolate finalità della legge in maniera unitaria, in particolare mediante atti di tipo pianificatorio, i cosidetti piani di bacino, commessi alle autorità medesime. Da un punto di vista soggettivo, invece, le Autorità operano secondo un modello di governo di tipo partecipativo, attraverso il quale vengono rafforzate le funzioni di cooperazione e coordinamento tra le Amministrazioni e potenziate le funzioni tecnico - consultiva e tecnico-operativa nelle materie di comune interesse dell'intero bacino idrografico. Si ricorderà, peraltro come più avanti richiamato, che invece la Commissione De Marchi, sulla base di una più ampia visione dei problemi, nella sua relazione conclusiva aveva affermato la necessità che il settore della difesa del suolo e quello della tutela delle acque non solo rimanessero di competenza statale, ma aveva espressamente auspicato l estensione a tutto il territorio nazionale di un autorità statale, come il Magistrato alle Acque di Venezia, con competenza idonea ad affrontare anche il problema della lotta contro l inquinamento delle acque. INDIVIDUAZIONE DELLE AUTORITÁ DI BACINO. Per gli 11 bacini di rilievo nazionale sono state previste 6 autorità, in quanto per i fiumi, di cui alla lettera a) numeri 1, 2, 3, 4 e 5 del 1 comma dell art. 14, come pure per i fiumi, di cui alla lett. b) n. 3 e 4), la legge prevede (art. 14, comma 2) che ai rispettivi bacini sia preposta un'unica autorità di bacino, che opera anche per il coordinamento dei singoli piani di bacino, avendo particolare riguardo alla valutazione degli effetti sulle aree costiere. 23

Le sei autorità di bacino di rilievo nazionale sono state costituite con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 10 agosto 1989. Esse pertanto sono operanti a tutti gli effetti dal 1990. Esse sono : Alto Adriatico regioni : Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Provincia Autonoma di Trento fiumi: Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione Adige regioni: Veneto, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento fiumi: Adige Po regioni: Valle d'aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana fiumi: Po Arno regioni: Toscana, Umbria fiumi: Arno Tevere regioni: Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo fiumi: Tevere Liri-Garigliano e Volturno regioni: Abruzzo, Campania, Lazio, Molise fiumi: Liri, Garigliano, Volturno Per quanto concerne i bacini di rilievo interregionale e regionale la situazione è parzialmente diversa: non si rintracciano infatti nella legge n. 183/ 89 né disposizioni che prevedano l'istituzione di autorità di bacino (al pari di quanto sancito nell'art. 12, comma 1), né tanto meno norme che chiariscano esplicitamente quali potrebbero essere gli organi di tali autorità e le loro relative competenze. Delle Autorità di bacino interregionali se ne sono costituite 13. Esse sono: 24

Lemene regioni: Veneto, Friuli-Venezia Giulia fiumi: Lemene Fissero, Tartaro, Canalbianco, Po di Levante regioni: Veneto, Lombardia fiumi: Fissero, Tartaro, Canalbianco, Po di Levante Reno regioni: Emilia-Romagna, Toscana fiumi: Reno Conca e Marecchia regioni: Emilia-Romagna, Marche, Toscana fiumi: Conca, Marecchia Tronto regioni: Lazio, Abruzzo, Marche fiumi: Tronto Sangro regioni: Abruzzo, Molise fiumi: Sangro Saccione, Trigno, Fortore, Biferno e Minori regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia fiumi: Saccione, Trigno, Fortore, Biferno e Minori Ofanto regioni: Campania, Puglia, Basilicata fiumi: Ofanto Bradano regioni: Puglia, Basilicata fiumi: Bradano 25

Magra regioni: Liguria, Toscana fiumi: Magra Fiora regioni: Toscana, Lazio fiumi: Fiora Sele regioni: Campania, Basilicata fiumi: Sele Noce e Sinni regioni: Basilicata, Calabria fiumi: Noce e Sinni Lao Autorità di bacino non costituita Per le Autorità di bacino regionali sono stati individuati i bacini, ma non tutte le regioni hanno costituito i Comitati Istituzionali e i Comitati Tecnici. Per ora risultano le seguenti: Laguna di Venezia; Sile; Pianura tra Piave e Livenza; Friuli-Venezia Giulia - Autorità di bacino non costituita; Liguria; Bacini Romagnoli; Toscana Nord; Toscana Centro; Ombrone; Marche; Lazio; Abruzzo; Molise - Autorità di bacino non costituita; Campania Nord Occidentale; 26

Sarno; Destra Sele; Sinistra Sele; Puglia; Basilicata; Calabria; Sardegna - Autorità di bacino non costituita; Sicilia - Autorità di bacino non costituita. Va segnalata comunque l istituzione dell Autorità di bacino sperimentale del fiume Serchio, che è stato individuato, ai sensi dell art. 30 della legge 183, quale bacino regionale pilota. L Autorità ha sede a Lucca, (la provincia di Lucca è quella maggiormente interessata dal bacino: per l 81,5%). Il bacino del fiume Serchio comprende il bacino imbrifero e, nella parte terminale, anche il bacino del lago di Massaciuccoli, fino al Fosso di Camaiore a nord e al fiume Morto a sud. GLI ORGANI DELLE AUTORITÀ DI BACINO. Gli organi delle autorità di bacino, come espressamente previsto dall articolo 12 della legge 183/1989 ed esplicitato nei d.p.c.m. di costituzione, sono: a) il Comitato Istituzionale; b) il Comitato Tecnico; c) il Segretario Generale e la segreteria tecnico-operativa. Il Comitato istituzionale, organo politico dell'autorità, è presieduto dal Ministro dei lavori pubblici, ovvero dal Ministro dell'ambiente per quanto attiene al risanamento della acque, la tutela dei suoli dall inquinamento e la salvaguardia dell ecosistema fluviale, ed è composto anche dal Ministro delle politiche agricole e forestali e dal Ministro per i beni e le attività culturali (o dai sottosegretari delegati); è inoltre composto dai Presidenti delle Regioni, il cui territorio è maggiormente interessato, e dal Segretario generale, che partecipa con voto consultivo. In relazione al Comitato istituzionale è da segnalare che, a seguito di quanto previsto dall art. 2 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 1998, n. 267, la composizione originaria é stata integrata con il Ministro delegato per il coordinamento della protezione civile. 27

Quanto al Ministero del lavori pubblici occorre osservare che, mentre la legge 183 ha disposto il trasferimento alle regioni di tutte le funzioni operative nel settore idraulico, di programmazione e pianificazione riferite ai corsi d'acqua compresi nei bacini regionali e interregionali, e quindi in tali materie il Ministero ha perso ogni competenza, salvo il potere di direttiva peraltro esercitato dal Comitato dei Ministri previsto dall'art. 4 della L. 183/89 (e mentre è rimasta in capo al Ministero la competenza relativa al rilascio delle concessioni di grande derivazione di acqua pubblica), invece nei bacini di rilievo nazionale il Ministero mantiene tutte le precedenti attribuzioni, che vengono esercitate dagli specifici uffici del Magistrato alle Acque di Venezia, del Magistrato per il Po di Parma e dei Provveditorati di Roma, Napoli, Firenze, Campobasso e Perugia, nonché le competenze anche in ordine alla protezione degli abitati dal mare (mentre alle regioni resta attribuita in via generale la difesa delle coste). I compiti del Comitato istituzionale sono, essenzialmente, quelli di adottare i criteri e il metodo per l elaborazione del piano di bacino e di individuare i tempi e le modalità per la sua adozione. Inoltre spetta al Comitato predetto assicurare il coordinamento dei piani di risanamento e tutela delle acque, nonché controllare l'attuazione dei programmi di intervento. Il Comitato tecnico è l'organo di consulenza del Comitato istituzionale e provvede alla elaborazione del piano di bacino avvalendosi della segreteria tecnico-operativa. Il Segretario generale, che é preposto alla Segreteria tecnico-operativa, provvede agli adempimenti necessari al funzionamento dell'autorità di bacino, ne cura gli adempimenti necessari, riferendo al Comitato istituzionale sullo stato di attuazione del piano dì bacino. Inoltre raccoglie i dati relativi agli interventi programmati e attuati, nonché alle risorse stanziate per le finalità del piano di bacino da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Quanto agli organi delle autorità di bacino interregionali e regionali, nel silenzio della legge, che disciplina soltanto le autorità nazionali, prevale l orientamento a ritenere che le regioni hanno la possibilità di delineare modalità organizzative differenziate, basandosi in proposito su alcuni indici normativi, da cui si possono trarre delle implicazioni interpretative. Tra i menzionati indici si cita l'art. 10, comma 1, lett. h), in cui si legge che le regioni "attivano la costituzione di Comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale". Per i bacini di rilievo interregionale, l'art. 15, comma 3, lett. a) prevede che le regioni territorialmente interessate definiscano, previa intesa, "la formazione del Comitato istituzionale di bacino e del Comitato tecnico"; il comma 4 dello stesso articolo prevede che in caso di mancato conseguimento dell'intesa di cui 28

sopra, "entro un anno dall'entrata in vigore della legge, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa diffida ad adempiere entro trenta giorni, istituisce, su proposta del Ministro dei lavori pubblici", il Comitato istituzionale e il Comitato tecnico. Infine, l'art. 10, comma 2, sancisce che nei Comitati tecnici di bacino di rilievo regionale ed interregionale debba "essere assicurata la presenza a livello tecnico di funzionari dello Stato", in numero minimo di tre. In considerazione degli indici normativi appena citati, in dottrina due sono state le interpretazioni proposte: da un lato c'è stato chi ha dedotto da siffatte norme la necessità della costituzione di un'autorità di bacino interregionale o regionale, in parallelo a quanto accade a livello nazionale; dall'altro c'è chi ha ipotizzato, nel rispetto della loro autonomia, la possibilità di adozione da parte delle regioni di ulteriori modelli, in alternativa a quello dell'autorità di bacino. In tale prospettiva i comitati istituzionali e tecnici, necessari per espressa previsione normativa, potrebbero essere organi regionali, interregionali o, in alternativa, organi delle autorità di bacino. Quale che sia la scelta interpretativa adottata resta ferma la possibilità, per le regioni, di scegliere come strutturare le eventuali autorità di bacino e secondo quali moduli decisionali e procedimentali far funzionare i comitati e gli altri organi eventualmente istituiti. In questo senso deporrebbe anche l'art. 13, comma 5, della legge n. 253 del 1990, in cui si prevede che la legge regionale "può uniformare la disciplina delle autorità di bacino di rilievo regionale e interregionale" alle disposizioni in materia di segretario generale, di cui al medesimo articolo. LE FUNZIONI DELLE AUTORITA DI BACINO. I PIANI DI BACINO. I compiti delle autorità sono essenzialmente riconducibili alle attività di pianificazione e di programmazione nell'intero bacino idrografico di competenza. Lo strumento infatti delle attività, nelle quali si estrinsecano le funzioni delle autorità di bacino, è, ai sensi dell art. 17, primo comma, della legge 183/89, il piano di bacino idrografico, ove sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato". Il piano di bacino si configura dunque come un piano di "utilizzazione" del territorio, secondo la sua vocazione naturale, al quale è associato un programma di interventi per il risanamento ambientale e per la riduzione dei rischi. Esso rappresenta lo strumento di programmazione sintetico, aperto, in continuo aggiornamento, 29

finalizzato alla difesa del suolo e alla difesa della qualità delle acque. Nello stesso tempo il piano detta anche gli orientamenti per l'avanzamento conoscitivo connesso ai principali problemi del bacino, indicando quali sono le conoscenze indispensabili per la migliore definizione degli obiettivi del piano stesso. Il piano infatti rappresenta uno strumento di natura conoscitiva, un quadro di conoscenze organizzate in continuo ampliamento e approfondimento, da cui emergono le criticità ambientali, lo stato quali-quantitativo delle risorse, le situazioni di emergenza territoriale e settoriale e i problemi sociali. Tale quadro conoscitivo prende in considerazione anche le strutture dedicate all'acquisizione e alla gestione delle conoscenze (sistemi di monitoraggio, sistemi informativi, strutture di controllo e loro gestione, sistema amministrativo). Questa funzione conoscitiva del piano (che ha un carattere di natura strutturale-permanente) riguarda, infine, la messa a punto del quadro mutevole dei bisogni e dei problemi del bacino e la elaborazione delle linee strategiche di intervento. Il piano ha infatti una duplice valenza, conoscitiva e programmatica. L attività conoscitiva si pone alla base della redazione del piano di bacino: rappresentando l'organizzazione di un quadro conoscitivo omogeneo ed aggiornato del sistema fisico-ambientale, dei vincoli, degli strumenti urbanistici esistenti, e simili, fornisce una visione dell'intero territorio, consentendo, così, l'individuazione di azioni (studi ed interventi) necessari all attività di pianificazione e programmazione. L'attività conoscitiva deve essere svolta secondo metodi e standard che garantiscano l'omogeneità di elaborazione e di analisi, nonché la costituzione di un unico sistema informativo, come disposto nell art. 2 della legge 183/89; essa comprende infatti tutte le azioni ivi ricordate ( raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati; accertamento, sperimentazione, ricerca e studio degli elementi dell ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio; formazione e aggiornamento delle carte tematiche del territorio; valutazione e studio degli effetti conseguenti alla esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti di opere previsti dalla presente legge; attuazione di ogni iniziativa a carattere conoscitivo ritenuta necessaria per il conseguimento delle finalità di cui all art. 1 ). L attività conoscitiva è dunque fondamentale per delineare la difesa del suolo, costituendo la base di intervento e una priorità operativa delle autorità soprattutto nella fase della realizzazione degli interventi di piano. La valenza conoscitiva del piano infatti costituisce la base di riferimento per lo svolgimento della seconda funzione dello stesso, che lo rende uno strumento programmatico, cui compete l'elaborazione di programmi di intervento a termine sulla base delle priorità, delle risorse disponibili, della capacità 30