Abitare Dt 26,1-15 Introduzione Abitare: compimento di una promessa entrare



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Transcript:

Abitare Dt 26,1-15 Introduzione Siamo di fronte ad uno dei testi del codice deuteronomico, uno dei testi legislativi dell antico Israele. Il brano che abbiamo letto per la precisione è composto da due testi il primo (vv. 1-11) riguardante la legislazione sulle primizie; il secondo (vv. 12-15) riguardanti la decima triennale che l israelita doveva donare. La legge dell offerta delle primizie, sulla quale ci soffermeremo in particolare, si pone come un consistente ampliamento rispetto alla norma analoga che si trova in Es 23,19, dove si affermava concisamente: il meglio delle primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore tuo Dio. Evidentemente questo ampliamento significa una particolare rilettura e interpretazione di questa legge, la quale viene ad acquisire un valore e un significato particolare. Non si tratta semplicemente di portare i primi frutti del suolo al santuario, alla casa del Signore ; c è in gioco qualcosa di più, c è in gioco una modalità specifica di abitare nella terra della promessa, uno stile di abitare potremmo dire il quale si gioca in una rete di relazioni con la stessa terra, con il Signore, e con i fratelli. Il fatto che si tratti di una normativa decisiva per Israele può risultare anche dalla posizione del testo: si tratta infatti dell ultima legge di tutta la Torah, dell ultima legge della Legge, che in quanto conclusiva ha evidentemente un valore peculiare. Abitare: compimento di una promessa La questione dell abitare nella terra è messa subito a tema dal v.1: Quando sarai entrato nella terra che il Signore tuo Dio ti dà in eredità e lo possiederai e là abiterai. Abitare è l ultima tappa di un processo, il quale si colloca sullo sfondo di una promessa. Israele, infatti, non è ancora entrato nella terra promessa, ma si trova al limite di essa, sulla sponda orientale del Giordano. Il compimento della promessa è vicino, ma non ancora realizzato; ancora Israele non abita. Per abitare bisogna innanzi tutto entrare nella terra; entrare è un azione che implica un uscita. Israele potrà entrare nella terra perché è uscito da un altra terra quella dell Egitto. L Egitto è un luogo strano per Israele, un luogo ambiguo, pericoloso e affascinante allo stesso tempo; in Es 20,2 il Signore lo definisce come la casa di schiavitù ; certamente l Egitto è la casa di schiavitù (Es 20,2), ma è pur sempre una casa, un abitazione verso cui Israele è sempre, inesorabilmente attratto: fossimo morti.. nella terra d Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne (Es 16,3), così si lamenta il popolo subito dopo il passaggio del Mar Rosso; il desiderio di tornare nella casa di schiavitù si trasforma per il popolo in una tentazione che marcherà in maniera costante il cammino di Israele nel deserto. Per entrare nella terra della promessa e abitarla è necessario uscire definitivamente dall Egitto, dalla casa di schiavitù, ma ancora di più è necessario rinunciare a tornare in Egitto, una terra dove si era seduti presso la pentola della carne, si mangiavano gratuitamente pesci, cipolle, cocomeri (Nm 11,5); lungo il cammino nel deserto che conduce alla terra promessa si ricorda l Egitto come luogo dell abbondanza. Ma non solo: l Egitto è anche il luogo della forza, della potenza militare (nell antichità era una delle potenze del VOA). Nella legge del re in Dt 17,16 leggiamo che una delle tentazioni del re sarà proprio quella di andare in Egitto per procurarsi cavalli, che servivano per fare la guerra. Israele dovrà rinunciare a questa forza militare come segno che porrà la sua fiducia solo in Dio. 1

Per entrare nella terra e abitarla bisogna rinunciare a questo Egitto, abbandonare l idea di essere potenti da soli per fidarsi della potenza di Dio, fidarsi della vita che viene da lui; si abita nella debolezza, si abita nella fiducia. Entrare nella terra da abitare in debolezza Penso al mio entrare nella terra come entro in essa? Vedo in questa terra, in qualunque terra in cui entro il compimento di una promessa di Dio per me? Per abitare la terra bisogna poi possederla; il possesso della terra è caratterizzato come dono di Dio che il popolo riceve in eredità ( terra che il Signore tuo Dio ti dà in eredità ). La precisazione è fondamentale. Il termine ebr. che qui significa eredità (hl'x]n:) fa riferimento alla proprietà fondiaria in Israele, si riferisce concretamente al pezzo di terra ricevuto in dono da ciascuna famiglia. Il libro di Giosuè racconterà di come dopo l entrata nella terra, essa sarà spartita in maniera equa tra le tribù e le famiglie di Israele. L eredità è conseguentemente il dono di Dio per Israele, dono assegnato con la sorte, come a dire che l assegnazione di questa o quella terra è espressione del desiderio e del dono di Dio per ciascuno. L eredità non si guadagna, non si prende, ma si riceve: ecco che abitare l eredità significa dire che abitare è un dono ricevuto. Ma l eredità è anche un possesso che non si può gestire a proprio piacimento: fin dal momento della divisione, la terra è innanzi tutto distribuita, condivisa tra tutte le famiglie di Israele, in modo tale che ciascuno abbia il necessario per poter abitare dignitosamente e liberamente. (cf. Mt 5,5 beati i miti erediteranno/condivideranno la terra ). Questo significa che si abita in comunione, nella condivisione di un dono con altri fratelli. Non a caso il concetto di eredità implica una figliolanza (sono i figli che ricevono l eredità); quindi abitare l eredità significa abitare come figli e se l eredità è condivisa tra molti figli, significa in una parola abitare come fratelli. Ancora: questa eredità donata da Dio non poteva essere ceduta. La legislazione sacerdotale in Lv 25,23 afferma: le terre non si possono vendere per sempre, perché la terra è mia ; la norma ci dà la misura del possesso dell eredità. Il fatto di non poter vendere ci dice che non si possiede totalmente (segno del possesso pieno è la possibilità di vendere il possedimento), perché la terra è del Signore. Allora come si possiede? Si possiede nella consapevolezza che voi siete presso di me forestieri e inquilini (v. 23b). Abitare l eredità significa dunque abitare nella consapevolezza che abito una terra ricevuta in dono, ma significa soprattutto abitare nella consapevolezza del proprio essere straniero su quella terra. Questo modo di abitare diventa come un antidoto ad una tentazione che fu di Israele nella terra, ma è dell uomo di ogni tempo: quella di impossessarsi di ciò che si è ricevuto dimenticando il donatore, pensando di poter disporre di un dono a proprio piacimento. Abitare: percepisco nel mio abitare la terra questa tensione tra possesso e dono abito perché possiedo qualcosa, ma ricordo che questo possesso è dono? 2

Abito nella consapevolezza di essere straniero? Cioè nella consapevolezza di dipendere in qualche modo dai fratelli nella consapevolezza di chi ha bisogno della relazione con gli altri di chi chiede di essere accolto? Abitare come figli e come fratelli cioè abitare consapevoli di essere strutturalmente uomini e donne in relazione Abitare nel dono Vi sono due modi concreti in cui l israelita dovrà esprimere questa modalità di abitare la terra: l offerta delle primizie e la condivisione della decima. L offerta delle primizie è composta da due parti intrecciate e inseparabili: la prima costituita dal gesto che l israelita dovrà compiere (vv. 2-3a.4.10), la seconda costituita dalle parole che accompagnano il gesto (cf. il discorso contenuto nei vv. 5-10), una parola che rivela il significato contenuto nell offerta. Cosa dovrà fare l israelita che abita la terra? Prenderai dalle primizie ogni frutto del suolo che tu raccoglierai (lett. avrai fatto venire) dalla tua terra (v. 2). Le primizie sono i primi frutti della terra, ciò che rappresenta la totalità del raccolto; donando la primizia, di fatto si donano tutti i frutti della terra al Signore. È un dono contraddistinto dalla riconoscenza, un dono che mette in evidenza una reciprocità come mostra bene la lingua ebr. che indica il gesto del Signore e quello dell israelita come speculari: il Signore ci condusse (lett. ci fece venire) in questo luogo (v. 9) e ecco io presento (lett. faccio venire) le primizie dei frutti del suolo (v. 10). Come il Signore ci fece venire, così io faccio venire i frutti della terra: si esprime così la reciprocità delle azioni, secondo la quale l offerta dell israelita è una risposta adeguata e conforme alla sua esperienza di Dio, alla sua storia con lui. La cesta con i frutti viene portata dal sacerdote, che in qualche modo si fa carico del gesto dell israelita, lo mima per così dire. Egli rappresenta di fatto l israelita riconoscente; il levita è colui che non possiede la terra. Ecco che attraverso il levita l israelita afferma di non possedere la terra su cui abita, affermazione che si concretizza nell offerta dei frutti al Signore. Come si abita allora? Si abita entrando in questa riconoscenza, entrando in questa reciprocità nei confronti di Dio, un Dio del quale si è fatto esperienza; si abita offrendo i frutti della terra, offerta che indica la rinuncia al possesso della terra, al suo sfruttamento per se stessi. Ma non solo: il gesto è accompagnato da alcune parole. La prima: dichiaro oggi al Signore che sono entrato nella terra (v. 3). La generazione che di fatto entra nella terra è una sola, quella successiva alla generazione nel deserto, quella che entrerà nella terra sotto la guida di Giosuè. Ma non si entra una volta sola nella terra. Siamo davanti ad una norma, ad una legislazione che regola l offerta annuale delle primizie, mostrando ciò che ogni israelita dovrà fare e dire. Ogni israelita deve entrare ogni anno nuovamente nella terra e può entrare nella terra proprio nel momento in cui ne offre i frutti. Entrare nella terra per Israele significa passare dalla schiavitù alla libertà, significa passare dalla condizione di bambino (condotto per mano nel deserto cf. Os 11,1-11) a quella di adulto (che riceve l eredità): ecco che nel momento in cui si donano i frutti della propria terra, i frutti di ciò che si possiede, si entra nella terra, si sperimenta cioè questo passaggio dalla schiavitù alla libertà, un passaggio che comporta una crescita verso l adultità. 3

È il dono che consente di sperimentare questo passaggio, è il dono che consente di liberare dalla tentazione dell accaparramento, cui è inevitabilmente soggetto chi abita nella terra, tentazione che porta con sé la dimenticanza del volto di Dio (Dt 8,17 la mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze ), ma anche di quello dei fratelli che condividono con te questa eredità. Se abiti pensando che tutto è tuo possesso inevitabilmente finisci non solo per dimenticare Dio, ma anche per desiderare ciò che il fratello possiede e se hai la possibilità di sottrarglielo con la forza quasi inevitabilmente finisci col prenderlo. È ciò che si verificherà nella storia di Israele e ciò che condanneranno i profeti (cf. ad es. Mi 2,1-2 voi siete quelli che progettano l iniquità e operano il male sui loro giacigli e alla luce del giorno lo eseguono perché ne hanno il potere; bramano campi e li rapiscono, vogliono case e se le prendono,ed espropriano un uomo e la sua casa, una persona e la sua eredità ). Per sfuggire a questo meccanismo perverso è necessario donare. Ecco che il dono offerto diventa una caratteristica dell abitare, anzi si giunge ad abitare da figlio libero e adulto nella terra assieme ad altri figli proprio nel momento in cui si dona. Abitare nella riconoscenza, abitare nella relazione di reciprocità con colui dal quale si riceve abitare memori del volto di Dio Abitare donando Un abitare memore di sé Ma c è ancora un altra parola che l israelita dovrà pronunciare davanti al Signore: mio padre era un Arameo errante (v. 5). Con queste parole inizia un lungo discorso con il quale l israelita fa memoria; ricordando suo padre di fatto l israelita ricorda se stesso. Non si tratta tanto di una memoria dei padri, ma di una memoria di sé, della propria storia e della propria identità. Questo è evidenziato, in maniera significativa, nel passaggio dai nostri padri al noi : gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono noi gridammo al Signore. Qual è l identità della quale è necessario fare memoria per abitare? Mio padre era un Arameo errante : è la memoria di una migranza originaria, una migranza costitutiva per tutto il popolo. Questo essere migrante caratterizza le origini di Israele, a partire da Abramo, l uomo che lascia la propria terra per andare verso la terra della promessa; la promessa si compirà per Abramo nel momento in cui abiterà nella terra di Canaan come straniero: egli infatti abiterà nella terra non possedendola. Di fatto è Dio che ordina ad Abramo di essere straniero, invitandolo a lasciare la propria terra, la propria parentela, la casa del padre (Gen 12,1), per andare in una terra non sua (la terra di Canaan); essere straniero è la vocazione di Abramo, la vocazione dell eletto, dell uomo che il Signore si è scelto. Inevitabilmente questa migranza caratterizzerà i figli di Abramo, Giacobbe (suo nipote) in particolare: egli lascia la terra di Canaan per andare a vivere trent anni in una terra straniera, presso lo zio Labano; torna poi in Canaan e infine finirà i suoi giorni in Egitto, dove ritroverà Giuseppe, il figlio che credeva perduto. È proprio questo essere continuamente forestiero, questo migrare che consentirà a Giacobbe di mantenere la vita, prima per il pericolo di essere ucciso dal fratello Esaù, poi per la carestia che lo porterà a cercare cibo in Egitto. Israele il popolo eletto deve ricordare di essere straniero: la terra è mia e voi siete presso di me stranieri e inquilini (Lv 25,23). Essere migranti anche abitando nella terra, questa è la sfida, 4

questa è la richiesta. La consapevolezza di essere forestieri significa ricordare che la terra dove si abita è ricevuta in dono, e non solo, anche le relazioni con i fratelli sulla terra sono ricevute in dono; il forestiero nella Scrittura è colui che dipende dal dono di Dio (Dt 10,18 Jhwh è colui che ama il forestiero e gli dà pane e vestito ) e dei fratelli (il forestiero riceve le decime, vengono lasciati per lui nei campi parti del raccolto, parte dei frutti della vigna ). Così Lv 19,34: Come un nativo del paese sarà per voi il forestiero che viene ad abitare con voi; lo amerai come te stesso, perché voi siete stati stranieri nella terra d Egitto. Non a caso l esperienza che l israelita presentando le primizie deve ricordare è quella della sua migrazione in Egitto; è la storia di un popolo che entra in Egitto come straniero, ma poi per l ignoranza e la paura degli egiziani che possedevano la terra diventa schiavo: si dice infatti in Es 1,8ss che il nuovo faraone non conosceva Giuseppe (ignoranza) ed ebbe paura del numero crescente degli Israeliti che in caso di guerra di sarebbero potuti alleare con i nemici. Abitare nella terra che si possiede dunque chiede un ricordo costante la propria migranza, la propria condizione strutturale di straniero, per sfuggire alla tentazione costante di appropriarsi di ciò che è donato, di perdere di vista l orizzonte della fraternità. Questo è lo statuto che Cristo ha assunto per se sulla terra, sperimentato e vissuto fin dall inizio della sua vita attraverso gli anni in Egitto, ma non solo: le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell uomo non ha dove appoggiare il capo (Mt 8,20//Lc 9,58). Seguire Cristo, essere coloro che portano il suo nome, significa inevitabilmente fare propria questa condizione. Non è un caso che la risposta di Gesù che confronta il figlio dell uomo con gli uccelli del cielo e le volpi che hanno una casa, sia data ad un uomo uno scriba secondo Mt che mentre camminavano per la strada gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada» (Mt 8,19//Lc 9,57). Se segui Cristo devi assumere la condizione del forestiero, di colui che cammina su una terra ricevuta in dono; Noi non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo cercando quella che sta per venire (Eb 13,14). È necessario abitare memori di sé, memori e consapevoli della propria migranza, del proprio essere forestiero; questo è lo statuto dell eletto, di Abramo, di Cristo e di chi lo segue. Questo modo di abitare consente di allacciare relazioni con i fratelli, a cui sei legato dal dono, con Dio, cui sei legato dall amore riconoscente. A volte si abita senza memoria, la memoria di sé, la memoria della propria storia, del proprio essere, del dono ricevuto Abitare senza memoria di sé porta ad appropriarsi del dono ricevuto, con tutte le conseguenze che ne vengono La gioia del dono condiviso Questo modo di abitare, segnato dall azione dell offerta delle primizie e dalla memoria di sé e della propria storia, conduce alla gioia: Allora gioirai di tutto il bene che il Signore tuo Dio ha dato a te e alla tua famiglia. Nel momento dell offerta delle primizie, nel momento in cui si ricorda che tutto è dono, nel momento in cui si abita nella terra in questo modo, atteggiamento indicato dal posare la cesta davanti al Signore, si fa l esperienza della gioia. 5

Nel nostro testo la gioia viene quando lasci stare la cesta con le primizie, quando te ne separi e la metti davanti al Signore; evidentemente è collegata ad un esperienza di separazione da qualcosa che è tuo (At 20,35 c è più gioia nel dare che nel ricevere ); ma questa esperienza evidentemente non è ovvia e non è automatica, altrimenti la gioia non sarebbe comandata, non sarebbe oggetto di un precetto. C.S. Lewis definisce così la gioia: è un desiderio insoddisfatto che è di per se stesso più desiderabile di ogni altra soddisfazione (Surprised by Joy, 17-18). La gioia ha in qualche modo a che fare con una mancanza: quando mi impossesso di qualcosa e in qualche modo la prendo, la gioia si esaurisce. Ecco che essa nasce nel momento in cui lascio la cesta con le primizie, nel momento in cui offrendo qualcosa ricordo il mio essere straniero, il mio non avere possesso su una terra. In questa prospettiva, l esperienza della gioia non è un affare privato, ma apre alla relazione: gioirai tu, il levita e il forestiero che è in mezzo a te. Gioisci tu, per primo, ma con te gioisce il levita e chi è forestiero; sono due senza terra, nessuno dei due possiede la terra dove abita: uno perché straniero, l altro (il levita) non la possiede perché il Signore è la sua eredità (Dt 18,2). Essi però gioiscono insieme a colui che pur possedendo la terra, sceglie di abitare in essa facendo del dono il suo stile di vita. Ma questa gioia non viene solo dall offerta a Dio della primizia. Il testo prosegue così nel v. 12: Quando avrai finito di prelevare tutte le decime. ; in ebraico quella che qui è tradotta come una congiunzione temporale ( quando ) può essere interpretata anche con un valore causale: perché. Letto in questo modo il testo ci dice la ragione della gioia del levita e del forestiero, ( gioirai tu, il levita e il forestiero che è in mezzo a te perché avrai finito di prelevare le decime ); a questi vengono uniti l orfano e la vedova, categorie socialmente deboli in Israele; vengono unite così in maniera stretta e consequenziale la legge delle primizie (il dono fatto a Dio) e quella della decima (il dono ai fratelli). L israelita deve accompagnare l offerta delle primizie a Dio con l offerta delle decime al fratello povero; lo stretto legame tra i due testi ci fa considerare come non è possibile l offerta di un dono a Dio, senza la condivisione con il debole. Questa condivisione dona compimento e significato a tutti i gesti e le parole precedenti, un compimento che si vive nella gioia, una gioia che investe tutti, senza distinzioni, una gioia che non posso che vivere con i fratelli. Il cibo destinato a questi fratelli è posto nelle porte (Dt 14,28) ed essi si saziano nelle porte. Se consideriamo che la porta era il luogo dove si amministrava la giustizia, ecco che il dono nelle porte significa dire che questa condivisione con il fratello è una vera e propria questione di giustizia; la sazietà del fratello è adempimento della giustizia Ma allo stesso tempo l immagine di chi si sazia nelle porte evoca l immagine di chi chiede di essere saziato di giustizia (non a caso i soggetti che vengono saziati alle porte con la decima sono soggetti giuridicamente svantaggiati): a costoro Gesù promette un compimento delle attese (Mt 5,6 beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: saranno saziati ), compimento che non va confinato semplicemente all opera di Dio in futuro più o meno preciso! Questo compimento della fame di giustizia è lasciato all azione dei fratelli, alla relazione con loro. Abitare in questa prospettiva porta con sé l esigenza di rispondere ad un appello che viene dal volto del fratello debole, affamato di giustizia, affamato di una relazione che lo promuova. Abitare nella terra implica anche la risposta a questa fame. 6

Abitare così porta la benedizione: Benedici il tuo popolo e il suolo che hai dato a noi : in virtù di questo atteggiamento la terra, luogo assegnato per l abitazione sarà benedetta, sarà la terra feconda, dove scorrono latte e miele, la terra il cui frutto sarà abbondante (Dt 28,11-12). È il contrario di quanto accade a seguito del peccato di Caino, a causa del quale la terra diventò per lui sterile: quando lavorerai il suolo esso non ti darà più i suoi prodotti (Gen 4,12). La Scrittura ci presenta in qualche modo un legame tra fecondità della terra e fraternità Questa prospettiva non è scontata; è possibile anche abitare con una logica diversa, è possibile anche abitare senza tenere di fronte il volto del fratello, è possibile anche abitare creando solitudine, invece di comunione. Così Is 5,8: Ohimè, (voi siete) quelli che accostano casa a casa e avvicinano campo a campo, finché non ci sia più posto e restiate voi soli ad abitare nel mezzo del paese. Si tratta di chi abita impossessandosi progressivamente dei terreni altrui, atteggiamento che produce la solitudine ( restate soli ad abitare nel paese ), e assieme alla solitudine la sterilità della terra. L oracolo infatti si conclude così in Is 5,10 dieci iugeri di vigna produrranno un bat, e un homer di seme produrrà un efa. Chi abita non nella logica del dono, ma in quella del possesso e dell accaparramento produce in qualche modo la sterilità della terra, contrario della benedizione. Conclusioni La Scrittura attraverso un gesto significativo come quello dell offerta delle primizie e del dono della decima, ci mostra un vero e proprio stile con cui abitare la terra. Un abitare che costruisce relazioni, un abitare che ricorda, memore di sé e della propria storia, che produce una gioia condivisa e condivisibile, un abitare che è risposta al desiderio di giustizia del fratello. Abitare da straniero, che significa in ultima istanza non soltanto abitare una terra, ma piuttosto costruire relazioni abitando, forse addirittura in questa terra abitare le relazioni a somiglianza della Parola che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Abitando così la terra sarà luogo di benedizione. Come scrive A. Wénin, in questa logica: l essenziale non è di essere qui o là, ma risiede nel tipo di umanità che si costruisce intorno a sé, in qualsiasi luogo (Wénin, L uomo biblico, 130). 7