19 AL SINAI: ALLEANZA E SANTUARIO - I

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Esodo / 2 19 AL SINAI: ALLEANZA E SANTUARIO - I preliminari dell'alleanza P 1 Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dalla terra d'egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. 2 Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. P continua il suo itinerario (cf. 16,1; 17,l) e qui ci informa che gli israeliti sono arrivati al Sinai; ritroveremo la fonte P solo in 24,15b, perché essa non possiede una tradizione della stipulazione dell'alleanza al Sinai paragonabile a quella J ed E. Per P c è solo un'alleanza, quella fatta con Abramo e che è tuttora in vigore (Gn17,13). Ciononostante il Sinai diventerà, per P. il luogo ideale per collocarvi molte tradizioni cultuali di Israele. La localizzazione precisa del Sinai non è conosciuta. Coloro che seguono l'itinerario meridionale della tradizione dell'esodo-fuga spesso identificano la montagna in questione col Jebel Musa (il monte di Mose). Si pensa infatti che le dimensioni della montagna (m. 2245) siano degne delle tradizioni collegate al racconto biblico. Attualmente ai piedi della montagna si trova il monastero greco-ortodosso di Santa Caterina. Rd 3 Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4 «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. 5 Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! 6 Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa». Queste parole dirai agli Israeliti». 7Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. 8 Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Nei vv. 3b-8 è conservata una tradizione indipendente di origine liturgica, che è attualmente introdotta dal v. 3a. Il suo scopo è quello di promuovere la disposizione fondamentale che dovrà orientare il cammino del popolo di Dio. Si tratta chiaramente di una proclamazione, ma essa non offre delle norme precise di condotta. Al centro sta invece l'accentuazione del valore della parola (v. 5: «se vorrete ascoltare la mia voce»): a Israele è comandato di ascoltare e agire sulla parola del Signore (l'uso dei pronomi personali "io" e "voi" aggiunge solennità e forza). Israele deve infatti imparare dalle potenti azioni di Dio contro gli egiziani a conoscere la natura del Signore (v. 4) e la grave responsabilità di prestare attenzione alla sua parola. Ci sono pure altri aspetti. Innanzitutto viene posta in evidenza l'intimità: il Signore conduce il popolo non a una qualsiasi destinazione nel deserto, ma da lui stesso (v 4). L'Alleanza è specificatamente del Signore (v. 5: «la mia alleanza») e il popolo è esclusivamente il suo, infatti la parola tradotta "proprietà", in ebraico veicola l'idea della proprietà privata e personale di un re (Dt 7,6; 14,2; 26,18). Inoltre si pone l'accento sulla santità di Israele (v. 6), una caratteristica per cui esso è separato dall'ambito profano. L'espressione "regno di sacerdoti" non significa che ogni israelita sia un sacerdote. Essa fa riferimento piuttosto alla totalità di Israele: una regalità di sacerdoti e una nazione santa. Infine è posta in risalto anche la libertà: Israele non è costretto ad accettare questo rapporto (v. 5: «ora, se vorrete ascoltare la mia voce»). In Israele, Yhwh non è mai un burattinaio che a caso tira le fila per dirigere il comportamento umano; l'unica risposta adatta è una risposta libera. Questa tradizione liturgica sembra rifletta un'interpretazione in cui Yhwh può essere considerato il grande sovrano e Israele il suo vassallo. Qui troviamo solo delle allusioni a questa concezione che saranno sviluppate nel libro del Deuteronomio, dove il modello dell'alleanza è quello di un trattato in cui Yhwh è il gran sovrano e Israele il suo vassallo. Israele usa così, in modo proficuo, dei modelli politici. 9Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te».

Mosè riferì al Signore le parole del popolo. J 10 Il Signore disse a Mosè: «Va' dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti 11 e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. 12 Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: «Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. 13 Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo, non dovrà sopravvivere». Solo quando suonerà il corno, essi potranno salire sul monte». 14 Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. 15 Poi disse al popolo: «Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna». 16Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte E e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell'accampamento fu scosso da tremore. 17 Allora Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. J 18 Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. E 19 Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce. J 20 Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Questa sezione contiene tradizioni J ed E sulla teofania (= manifestazione di Dio) del Sinai (il v. 9 è una glossa che collega a J ed E la precedente tradizione). Per J (vv. 10-1la. 12-13a. 14-16a.18.20) la teofania si manifesta come un'eruzione vulcanica, ma è solo una descrizione letteraria, per cui non è necessario ricercare in Arabia qualche vulcano ora spento. Per E invece (w. 1 lb.13b.16b- 17.19) la teofania si manifesta come un uragano che incute terrore. Nel racconto jahwista è il Signore che sceglie Mose perché ascolti la rivelazione e poi ne faccia partecipe il popolo (v. 10). Mose deve preparare il popolo per una cerimonia che si svolgerà al terzo giorno (w. 1 la.l5a; cf. anche Os 6,1-3 e 1 Cor 15,4 per l'uso del terzo giorno in un contesto di alleanza); tale cerimonia richiede che ci si lavi i vestiti e si rimanga continenti (w. 14b.l5b). Anche se l'invito a tenersi pronti (w. Ila.l5a) è tipico dei preparativi della guerra santa, l'accento qui è più sulla santità che sulla guerra (7,14; 38,7); dal popolo ci si aspetta che rispetti i limiti della montagna (v. 12) perché sarà occupata dal Signore (v. 20). Il potere e la maestà di questo Dio sono evidenti nel fuoco, nel fumo e nello scuotimento del monte: è la presenza di questo Dio che provoca l'alleanza (le clausole di questa relazione si trovano attualmente nel c. 34). Nel racconto E è il popolo che sceglie Mose come proprio portavoce (20,19). E il timore causato dall'uragano (v. 16b) che provoca questa loro decisione, ed è sempre questo timore che li dispone ad accettare la volontà del dio dell'uragano. A differenza della narrazione J, la tradizione E fa organizzare a Mose una processione liturgica che condurrà il popolo ai piedi della montagna (w. 13b.l7b). Questa tradizione allude anche a una situazione di guerra santa nell'incontro con questo Dio: l'accampamento (v. 17) non è solo un accampamento di nomadi, ma è anche un accampamento militare; anche se la tromba è uno strumento liturgico (Sai 47,6), essa è anche uno strumento militare usato nelle guerre (Gdc 7,20; anche in Gs il corno di ariete menzionato qui al v. 13b ha una funzione sia liturgica che militare). Infine, il verbo ebraico tradotto con «stettero in piedi» (v. 17) significa anche lo schierarsi per la battaglia (cf. Gdc 20,2). Israele al Sinai è quindi l'esercito di Dio, pronto per aderire alla volontà del suo comandante, la ini presenza è anche indicata dalla nube sopra la montagna. 21Il Signore disse a Mosè: «Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! 22 Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santifichino, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!». 23 Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: «Delimita il monte e dichiaralo sacro»». 24 Il Signore gli disse: «Va', scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il

Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro!». 25 Mosè scese verso il popolo e parlò loro. In questo brano di J continua il tema della santità della montagna, menzionata per la prima volta nei w. 12-13a. Rendendoci conto che il popolo sarà messo alla prova dal Signore, J fa esortare da Mose il popolo ad osservare una rispettosa distanza. Non deve santificarsi solo il popolo (v. 10), ma anche i sacerdoti (v. 22); anche se Aronne può accompagnare Mose nella sua salita verso il Signore, al popolo e ai sacerdoti è proibito (v. 24): il lembo di terra su cui sta il Signore dev'essere rispettato. 20 Impegno e condizione dell'alleanza: la legge E 1 Dio pronunciò tutte queste parole: 2«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'egitto, dalla condizione servile: 3Non avrai altri dèi di fronte a me. 4Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6 ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. 7Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. 8Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. 9 Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11 Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. 12Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. 13Non ucciderai. 14Non commetterai adulterio. 15Non ruberai. 16Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. 17Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Mentre la struttura del racconto esigerebbe che la promulgazione della volontà divina venga dopo l'incontro con Yhwh, il testo biblico presenta una disposizione non del tutto coerente. In 19,25 (J) Mose scende dalla montagna per parlare al popolo, ma subito dopo in 20,1 Dio bruscamente comunica il Decalogo; questo è, a sua volta, seguito dall'osservazione del popolo che, se Dio parlasse loro direttamente, essi morirebbero (20,19: E); infine in 20,22 Yhwh parla direttamente a Mose. Sia il Decalogo che il "Codice dell'alleanza" (20,22 23,19) sono stati collegati alla tradizione E, ma è probabile che non si tratti dell'opera di questo autore, ma di una tradizione indipendente inserita da E a questo punto. In un primo stadio della tradizione la paura del popolo (cf. 20,18: E) era il diretto risultato della teofania nell'uragano (c. 19), per cui Mose fu delegato ad ascoltare

l'intera rivelazione. In un secondo stadio, a causa dell'importanza del Decalogo, il popolo ascoltò questa legge fondamentale, ma questo ascolto causò la loro paura, facendo sì che fosse Mose a ricevere il resto della legislazione (il Codice dell'alleanza). Questo secondo stadio mette in risalto l'importanza del Decalogo, dal momento che, a differenza del Codice dell'alleanza, Dio lo comunica direttamente al popolo. La forma letteraria del Decalogo è significativa. Si tratta infatti di una serie di leggi apodittiche, cioè leggi che impongono un ordine direttamente a una persona, obbligandola ad eseguire un'azione ritenuta dal legislatore desiderabile o proibendogliela in caso contrario. Una legge apodittica può avere due formulazioni: o in terza persona (Dt 17,6: «non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimonio»), oppure in seconda persona (Lv 18,8: «non scoprirai la nudità della tua matrigna»). Queste leggi apodittiche si trovano raramente nel Vicino Oriente antico, mentre sono una caratteristica di Israele; anzi, le formulazioni in seconda persona, in quanto esprimono l'orientamento religioso fondamentale di un intero popolo, sono esclusive di Israele. Ce infatti una dimensione di intimità, particolarmente in queste formule in seconda persona singolare, perché il Signore parla direttamente al singolo israelita: queste leggi si basano su una persona, non su un sistema legislativo impersonale (Gn 2,17). Anche se l'omicidio e l'adulterio erano già proibiti nel Vicino Oriente antico, tuttavia il quinto e il sesto comandamento sono leggi nuove. A parte i primi tre comandamenti, i dieci comandamenti erano originariamente una forma di sapienza tribale. Prima di essere riuniti nella loro forma attuale, i comandamenti circolavano in diverse serie di norme che i giovani di una tribù dovevano imparare dagli anziani (cf. Lv 18; Tb 4; Ger 35). Questi anziani avevano di mira il bene comune e con la loro posizione sociale davano autorevolezza a questi detti Dal v. 1 è chiaro che è Yhwh colui che sta dietro a questa legislazione. Ma egli è più che un anziano della tribù: egli si qualifica come uno che ha agito a favore della comunità. Usando la formula liturgica introduttiva ("Io sono"), il testo insiste sulla centralità del ruolo svolto da Yhwh nell'esodo. Israele è legato a questi comandamenti non solo perché hanno di mira il bene comune, ma anche perché questo Dio è intervenuto in modo decisivo nella sua vita (a questo proposito va notato come Dt 5,15 usi la tradizione dell'esodo come motivazione per l'osservanza del sabato, invece della tradizione della creazione usata qui nei vv. 9-11). 18Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. 19 Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!». 20 Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». 21 Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio. Il timore in origine attribuito alla teofania (19,16b) ora viene riferito alla proclamazione divina del Decalogo (il monte fumante nel v. 18 armonizza le due tradizioni J ed E). In questo passo di E, Mose ^iene delegato ad ascoltare il seguito della rivelazione (v. 19). Naturalmente E sottolinea nel v. 20 il timore del Signore, che sarà un aiuto per evitare il peccato; infine, nel v. 21, E conclude menzionando la salita di Mose che poi svilupperà in 24,12-15a. B 22 Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israeliti: «Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! 23 Non farete dèi d'argento e dèi d'oro accanto a me: non ne farete per voi! 24 Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. 25 Se tu farai per me un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché, usando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. 26 Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità».

Es. 20 Dt. 5 2 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'egitto, dalla condizione servile: - 3 Non avrai altri dèi di fronte a me. 4 Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6 ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. - 7 Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. - 8 Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. 9 Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11 Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. - 12 Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. - 13 Non ucciderai. - 14 Non commetterai adulterio. - 15 Non ruberai. - 16 Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. - 17 Non desidererai la casa del tuo prossimo. - Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». 6 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'egitto, dalla condizione servile. - 7 Non avrai altri dèi di fronte a me. 8 Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. 9 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 10 ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. - 11 Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. - 12 Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. 13 Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 14 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. 15 Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato. - 16 Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. - 17 Non ucciderai. - 18 Non commetterai adulterio. - 19 Non ruberai. - 20 Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo. - 21 Non desidererai la moglie del tuo prossimo. - Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».