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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2667 Anno 2019 Presidente: PALLA STEFANO Relatore: GUARDIANO ALFREDO Data Udienza: 02/07/2018 SENTENZA sul ricorso proposto da: ASCOLANI FABIOLA nato a VALLECORSA il 03/08/1957 avverso la sentenza del 16/11/2016 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERLA LORI che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' udito il difensore

FATTO E DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il tribunale di Frosinone aveva condannato Ascolani Fabiola alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in rubrica ascrittolle, in qualità di amministratore unico della "S.IN.PA. s.r.l.", dichiarata fallita in data 1.4.2005, con sentenza del tribunale di Frosinone. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia, l'imputata, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto nel caso di specie difetta il presupposto di fatto della dissipazione e/o distrazione del patrimonio della società fallita, laddove, al contrario, le condotte poste in essere dall'imputata erano finalizzate all'accrescimento di valore dell'unico immobile di proprietà della fallita, l'hotel Neanderthal sito in San Felice Circeo. Rileva, al riguardo, la ricorrente, quanto alla condotta di cui alla lettera a) del punto 1 del capo di imputazione (secondo cui l'imputata, in qualità di amministratore unico della società fallita, "in data 13.11.2001 stipulava previa risoluzione di un contratto di locazione immobiliare un contratto di affitto di azienda a totale vantaggio della PROFILI s.r.l. conduttrice, richiedendo un canone di affitto annuo di euro 27.888,67 con minori ricavi annui per la fallita pari quantomeno a euro 37.187,90"), che la corte territoriale ha omesso di considerare sia che la durata annuale del rapporto originario, veniva sostituita da una durata una durata trentennale, sia che l'albergo, bisognoso di importanti e onerosi lavori di ristrutturazione, aveva beneficiato di un consistente esborso economico da parte della società "PROFILI". Mentre, in ordine alla condotta di cui alla lettera b) del punto 1 del capo di imputazione (secondo cui l'imputata "in data 18.03.2003 concedeva un prestito alla PROFILI s.r.l. di euro 154.937,00 pur non ritraendo la fallita dall'operazione alcun beneficio finanziario, senza valide ragioni

economiche e pur risultando la PROFILI s.r.l. già debitrice della fallita per euro 105.873,66), premesso che si trattava di una mera operazione di prestito, per cui la relativa somma sarebbe potuta essere oggetto di una richiesta di restituzione in qualunque momento con conseguente immediata disponibilità della stessa, alla Corte sarebbe sfuggito che tale somma era destinata, a causa della carenza di liquidità della "PROFILI s.r.l.", proprio alla ristrutturazione dell'hotel Neanderthal. 3. In via preliminare va rilevato che non può essere accolta la richiesta di differimento dello svolgimento dell'udienza destinata alla decisione del ricorso dell'ascolani, per legittimo impedimento del difensore di fiducia, avv. Giampiero Vellucci, determinato da malattia, fatta pervenire da quest'ultimo mediante posta elettronica certificata, inviata alle ore 9.14. del 2.7.2018 all'indirizzo telematico della cancelleria di questa sezione. Ciò in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per essere ritenuto legittimo l'impedimento del difensore deve essere prontamente comunicato, con la conseguenza che la comunicazione pervenuta il giorno stesso dell'udienza, come nel caso in esame, è da ritenere intempestiva (cfr. Cass., sez. I, 11.5.1998, n. 6528, rv. 210711). Appare, inoltre, del tutto generica la dedotta ragione che, nell'ottica difensiva, giustificherebbe il legittimo impedimento a comparire, consistente in una "lombosciatalgia acuta", tale da imporre, secondo la allegata certificazione del medico curante, "tre giorni di assoluto riposo e di cura", salve complicazioni, con "impossibilità" per il difensore di viaggiare. In tale attestazione, infatti, difetta una precisa descrizione dell'intensità dello stato patologico accertato e la sua effettiva attitudine a determinare la dedotta impossibilità a lasciare l'abitazione, trattandosi di elementi essenziali per la valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell'impedimento, non riscontrabili laddove si tratti di una diagnosi e di una prognosi che, secondo nozioni di comune esperienza, denotino l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti 2

evitabile rischio per la propria salute (cfr. Cass., sez. V, 19.11.2014, n. 3558, rv. 262846; Cass., sez. VI, 16.12.1999, n. 716, rv. 215324). 4. Ciò posto il ricorso va dichiarato inammissibile, sotto un duplice profilo. Da un lato, infatti, la ricorrente propone una mera e del tutto generica rivalutazione del compendio probatorio operata dal giudice di secondo grado, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289), nel caso in esame fondata su di un approfondito e coerente percorso motivazionale, con cui il ricorrente, in ultima analisi, non si confronta. Tale ultima circostanza conduce ad un ulteriore motivo di inammissibilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 581, co. 1, lett. c), e 591, co. 1, lett. c), c.p.p., trattandosi di ricorso fondato su motivi, che, riproponendo acriticamente le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, devono considerarsi non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997-13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005-25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n. 3608, rv. 207389). 5. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento ed, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo fissare in euro 2000,00 euro, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultima immune da colpa nella 3

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 2.7.2018.