Alberto Capitta Alberi erranti e naufraghi Il Maestrale, Nuoro, 2013 Pagine 208 ISBN 978 88 6429 123 9 Alberi erranti e naufraghi 2013 Il Maestrale Assaggio di lettura: pagg. 9-12 Diritti stranieri: Giancarlo Porcu info@edizionimaestrale.com
I Quel ventre spalancato offriva la visione di mondi lontani dove si perdevano gli occhi del ragazzo assorto nella contemplazione delle tante gradazioni del sangue. Giuliano tratteneva il fiato mentre seguiva le dita di suo padre muoversi sicure dentro la maialetta. Piero Arca aveva eseguito decine di operazioni come quella, su diversi animali, ma era la prima volta che consentiva al ragazzo di guardare. La bella addormentata era distesa su un alcova di paglia e nonostante le viscere aperte dormiva beata. La stalla era poco più che una casupola. L unica luce proveniva da una lampadina sospesa a mezz aria, l unico suono era il rimestare di dita nel ventre della bestia. Nella notte profonda non si udiva niente altro. Nessuno fiatava e anche le galline erano rimaste sveglie per assistere all evento. Al sorgere dell alba padre e figlio erano ancora lì, seduti accanto alla giovane paziente appena ricucita. Piero Arca adorava ogni sua bestia. Ogni animale era per lui un essere divino. Di esseri divini era popolato il cortile. L uomo aveva un gesto di cura per tutti. Il suo credo vegetariano si esprimeva fin nel suo passo e Giuliano ne coglieva la grandezza tutte le volte che lo osservava muoversi pastore errante fra le bestie. Un pomeriggio lo vide circondato di creature, erano tante, tutte le compagne del cortile gli erano corse intorno e lui vi camminava dentro come fendesse delle onde. Quel giorno il ragazzo notò una luce azzurrina irradiarsi dalla persona del padre, gli animali erano divenuti silenziosi, Giuliano non capì bene cosa stesse accadendo, pareva il passaggio di un dio silvestre. Ma non era proprio il caso, pensò, di avere a che fare con un dio in
famiglia. Preferiva certe scenette in cui gli capitava di imbattersi al rientro a casa, quando, messo piede in cortile, trovava Piero Arca impegnato in una dura lotta con uno dei suoi porcelli. Uomo e bestia sguazzavano nel fango dandosele di santa ragione, l uomo cercava di immobilizzare l animale che sgusciava via con urla d orrore. Piero lo rincorreva e di nuovo lo rovesciava nella melma e mentre ancora tentava di immobilizzarlo, col fango che gli incollava una palpebra, con voce da orco gli mormorava: Vieni qui bestiaccia, adesso ti mangio. La bestiaccia correva via sventolando il codino a manovella, ma Piero Arca non era tipo da rassegnarsi tanto facilmente e lo atterrava con un terzo attacco. Solo la presenza di Giuliano metteva fine alla contesa: Ma cosa fate? Guarda come ti sei conciato, gli diceva ogni volta. Ah, sei tu, rispondeva allora l uomo lisciandosi i capelli e dandosi una sistematina come se nulla fosse, indossan do una maschera di fango su cui brillava un solo occhio azzurro. Piero Arca non aveva mai studiato da veterinario, ma si era appassionato a quella scienza quando, molto giovane, aveva dato una mano a uno zio materno, veterinario comunale. Seguendolo per stalle e cortili aveva potuto vedere e curare di tutto. Le bestie ferite gli facevano una pena sconosciuta. Prima di allora per lui gli animali erano stati un corredo del mondo e nient altro. Ora, invece, i loro lamenti e le loro sofferenze gli congelavano le ossa e lui poteva uscire da quell inverno solo quando coglieva sulle labbra della bestia il primo alito del disgelo che annunciava la guarigione. Piero osservava con morbosa attenzione tutto quanto lo zio facesse. Il medico gli mostrò e gli spiegò, gli guidò le mani. Ma un giorno lo condusse dove lui non s aspettava. Non un accenno tra loro, neppure una mezza sillaba il giorno in cui col pick-up del medico varcarono la soglia del mattatoio. Solo, a un tratto, l uomo voltandosi e vedendolo bianco in volto gli domandò: Cos hai?
Niente, rispose Piero ferito dallo sguardo delle mucche. Niente, non era niente, disse, e intanto si guardava intorno, o meglio cercava di guardare un vuoto intorno, osservando altissime finestre dove il cielo si offriva come l unica visione possibile a tutti i condannati. Ma presto fu richiamato dal rumore della rivoltella; nessuna detonazione, piuttosto colpi secchi e silenziati, sbuffi d aria uscivano dalla canna della pistola che a vederla si sarebbe detta un arma giocattolo. Ma intanto le bestie cadevano accanto a Piero, crollavano di schianto le cavalline con gemiti da signorine. Poi toccava ai vitelli, ed erano bambini appena. Certi altri invece dovevano essere vecchi ergastolani, alcuni forse coppie di coniugi, mariti e mogli che si salutavano con un ultima occhiata da lontano. A un tratto toccò a una povera mucca, aveva atteso in fila il suo turno senza uno scalpiccio di protesta. Come piombò al suolo le furono subito addosso. Un uomo armato di coltelli la squartò in un amen, come in un numero da circo. La aprì da nord a sud e la spalancò da est ad ovest, e spalancando mentre accoltellava di qua e di là finì per ritrovarsi all interno della carcassa. Senza la vista di quei coltelli si sarebbe detto un vitellino spuntato sul più bello. L uomo tagliava con tocchi di raffinata macelleria. Devastò senza un rimpianto le vecchie latterie, affettò bistecche al sangue e intanto dalla bestia si levava il profumo della mandria, del passato, e dal suo stomaco spuntavano ancora freschi gli ultimi papaveri della vita. CONTINUA A PAG.13