Buddismo delle origini CAPITOLO 1



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Buddismo delle origini CAPITOLO 1 Il Clan dei Sakiya - Il fondatore del Buddismo nacque all incirca nel 560 a.c. a Kapilavastu, la città principale del territorio del clan dei Sakiya, situata circa 100 miglia a nord di Benares. A quel tempo i coloni ariani 1, lungo le basse pendici della catena dell'himalaya, e giù per la valle del Gange, avevano raggiunto un evoluzione politica e sociale molto simile a quella raggiunta, più o meno contemporaneamente, in Grecia. Il paese era politicamente suddiviso in piccole comunità, governate da istituzioni repubblicane, alcune di carattere più aristocratico, altre più democratico. Quattro o cinque di questi tiranni repubblicani erano riusciti a far valere il loro potere sui conterranei e una tendenza inarrestabile stava conducendo tutte le piccole repubbliche verso l assorbimento nei più grandi regni vicini. Anche il clan dei Sakiya si ritrovò sotto la sovranità del vicino regno di Kosala. Kosala - I confini esatti di Kosala, a quel tempo, non sono noti, ma devono avere incluso quasi tutte le attuali Province Unite 2, insieme ad una vasta parte del Nepal. La capitale del Kosala, Savatthi, si trovava in montagna, in quello che è oggi il Nepal. Anche Benares, precedentemente stato indipendente, fu incorporata sotto il nascente potere di questo importante regno, che deve aver misurato 300 miglia di lunghezza, da nord a sud, e più o meno lo stesso in ampiezza, da ovest a est, quasi il doppio della grandezza dell Inghilterra. La supremazia di questo bellicoso clan di uomini di montagna, e la pace conservata attraverso tutta la vasta estensione del loro dominio, furono i principali fattori politici del tempo. La questione della lotta, allora già in corso, tra Kosala e Magadha, suo vicino a sud-est, stava per decidere il destino del grande continente indiano per i secoli a venire. Linguaggio di Kosala - Due punti sono particolarmente degni di nota, a questo proposito. In primo luogo, il linguaggio di Kosala, dovuto all'influenza della corte, dell'esercito, e degli ufficiali, di stanza in tutto il suo territorio, tendeva a soppiantare i dialetti locali. Questi stanno nella stessa relazione, con la lingua vedica, che l italiano ha con il latino e saranno stati diversi tra loro più o meno quanto i diversi dialetti delle diverse regioni d Inghilterra. Erano senza dubbio intelligibili da entrambi. Ma la particolare varietà di linguaggio in uso nella corte e nel circolo degli ufficiali divenne sempre di più di uso quotidiano tra persone di cultura, o di ricchezza o di buona nascita, di tutto il Kosala, una sorta di lingua franca, 1 Appartenenti all'antico popolo stanziato in India. N.d.A. 2 Le Province unite di Agra e Oudh più comunemente Province Unite, furono una provincia dell'india britannica, che è esistita dal 1856 al 1947. Corrisponde approssimativamente agli attuali stati dell'uttar Pradesh e dell'uttarakhand. N.d.A. 1

l'hindustani del VI secolo a. C. Il Buddha, come nativo di Kosala, parlava il linguaggio di Kosala. Possiamo dedurre la prova della condizione che il linguaggio aveva allora raggiunto nella sua forma ufficiale dagli editti di Asoka e altre antiche iscrizioni, e, nella sua forma letteraria dal Pali, che è il Canone, dei libri sacri 3. I Brahmini - In secondo luogo, il clan dominante di Kosala era sistemato ad est e a nord della parte dell'india più soggetta all influenza dei bramini. I bramini non avevano ancora, nei distretti dove nacque il buddismo, acquisito quella suprema autorità, nelle questioni sociali e religiose, che hanno attualmente nell India moderna e che essi, secondo Manu e l epica, hanno acquisita quando quei libri furono composti. Il clan degli Kshatriya, senza dubbio, stimava molto i bramini, ma essi stimavano se stessi ancora di più. Menzionavano se stessi per primi e designavano i bramini come di bassa nascita rispetto agli Kshatriya. La posizione non era proprio la stessa, ma può essere meglio compresa da un confronto con lo stato delle cose in Europa durante un lungo periodo della sua storia, e anche ora. Il clero riconosciuto era, ed è, molto rispettato. Ma nella stima sociale esso si classifica non sopra, ma sotto i nobili. In materia di astrologia, interpretazione dei sogni e dei presagi, il compimento di alcune cerimonie beneauguranti, la conoscenza del rituale, la gente ricorreva ai bramini. In materia di etica, religione e filosofia preferivano piuttosto far ricorso agli Erranti. Gli erranti - Questi erano maestri nomadi, celibi ma non necessariamente asceti, che ricordano, per molti aspetti, i Sofisti greci. Come loro, differivano molto in intelligenza, serietà e onestà. Alcuni sono descritti come cavillosi. E questo non senza ragione, come si può giudicare correttamente da alcuni esempi delle loro discussioni, riportate dai loro avversari. Ma ce ne devono essere stati alcuni di un carattere assai diverso perché, altrimenti, difficilmente sarebbe stata mantenuta l alta reputazione di cui godevano presso tutte le classi di persone. Non tenevano alcun incontro formale e non facevano discorsi, ma erano soliti chiamare a raccolta le persone colte nei luoghi che visitavano e accoglievano con favore, nei luoghi dove alloggiavano, chiunque fosse desideroso di parlare di argomenti elevati. Così grande era il numero di queste persone che le comunità cittadine, i clan e i rajas gareggiavano gli uni con gli altri per fornire gli Erranti di padiglioni, sale riunioni e luoghi di riposo dove tali conversazioni potessero avere luogo. Alcuni di questi Erranti erano donne, alcuni erano bramini per nascita (non, ovviamente, per professione), ma la maggior parte erano membri dei clan 4. Per i tre mesi della stagione delle piogge, essi rimanevano nello stesso luogo. Il resto dell anno vagavano per i paesi, vivendo di elemosine, tenendo i loro incontri ovunque 3 Questa questione del linguaggio è ampiamente discussa dallo scrittore presente in Buddhist India e in Pali und Sanskrit del professor Otto Franke. 4 Il clan era la struttura portante della società indiana. N.d.A. 2

andassero. E proprio come gli Studenti Camminanti dei tempi della pre Riforma, in tutta l'europa centrale, furono un segno del cambiamento a venire, così le condizioni che resero possibile, per gli Erranti, nell India del nord, il loro stile di vita, furono i segni di un generale movimento nel pensiero religioso e filosofico, la prefigurazione di quella grande insurrezione che noi oggi chiamiamo buddismo. Gli eremiti - Meno numerosi rispetto agli Erranti ma pur sempre un segno importante dei tempi, erano gli eremiti. Molto più antico, il costume di adottare questo stile di vita ha radici profonde nella natura umana. È già menzionato nell ultimo dei poemi vedici e ha mantenuto il suo potere da quel momento ad oggi. In uno dei primi documenti buddisti abbiamo una descrizione completa del livello che la vita eremitica aveva raggiunto ai tempi di Buddha, come esposto da un asceta nudo in uno dei Dialoghi 5. Dimorando per la maggior parte nelle foreste, ma anche nelle grotte sulle montagne, gli Eremiti si dedicavano alla rinuncia e all automortificazione, vivendo di radici e frutti. Il professore di auto-tortura di cui sopra elenca ventidue metodi di mortificare il corpo attraverso il cibo, tredici attraverso gli abiti, e cinque rispetto alla postura. Come è noto, tali idee non sono confinate all India. Tennyson 6, nel suo monologo di S. Simeone Stilita 7, ci ha dato una potente analisi dei sentimenti che stanno alla radice di simili pratiche tra i cristiani. Ma il modo indiano di trattare l'intera concezione è più simile al modo in cui Diogene pensava quando visse, come un animale, nella sua botte. Non vi è alcuna questione di penitenza per il peccato o di un appello alla misericordia di una qualche divinità offesa. E' il vanto della superiorità avanzata da un uomo in grado, con la forza di volontà, di dominare il suo corpo, e non solo di disprezzare ogni conforto, ma di accogliere il dolore. Sia in Occidente che in Oriente tali crediti erano spesso volentieri ammessi. Sentiamo in India della venerazione tributata all'uomo che (per citare le parole di un poeta buddista) Accaldato, congelato, solo in boschi paurosi Nudo, senza fuoco, fiamme all'interno, Lotta, nel terribile silenzio, verso la meta 8 Simeone, con il plauso del popolo, divenne un santo, anche prima di morire. Diogene, e il omologo indiano, Mahavira 9, fondò scuole importanti che lasciarono il 5 Riferimento ai Sutra contenuti nel Canone Pali, la più antica collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente 6 Alfred Tennyson, (1809 1892), fu uno dei più famosi poeti inglesi. N.d.A. 7 Simeone Stilita (390 459) N.d.A. 8 Majjhima, i. 79 ; citato in Jataka, 1. 390. 9 Mahavira (599 a.c. 527 a.c) N.d.A. 3

segno nella storia. Ma l'esperienza dimostrò ben presto l'altra faccia della questione. In Grecia erano stati i sofisti e i filosofi, piuttosto che gli asceti, ad essere riconosciuti quale intellighenzia intellettuale. In India, fu il più nuovo sistema degli Erranti che ricevette, e principalmente, come vedremo, attraverso l'influenza dell insegnamento buddista, il riconoscimento più alto. Libertà di Pensiero - Una notevole circostanza fu che la libertà più perfetta, sia di pensiero che di espressione, fu consentita non solo agli Eremiti e agli Erranti, ma ad ognuno. Non c era, probabilmente, mai stato prima, c è stato, certamente, raramente da allora, un qualsiasi momento e luogo in cui tale libertà assoluta di pensiero abbia prevalso. Questo dimostra un notevole grado di cultura, l'abitudine alla cortesia e alla gentilezza, tra le persone, una tolleranza tanto più degna di nota se si consideri lo zelo e la serietà di una così grande parte della comunità per quanto riguarda la religione. È, infatti, un grandissimo errore concludere, sulla base delle prove dei libri di diritto sacerdotali (che vengono secoli più tardi), che in questo periodo anche gli indiani fossero più superstiziosi di altri popoli, più sottomessi al sacerdozio sacrificale. Ogni evidenza indica il contrario. C'era, viceversa, a dispetto di molte ingenue speculazioni e vani sofismi, una vera e propria indipendenza da qualsiasi catena autoritaria, un ben marcato sentimento laico e un amore per l umorismo e l ironia che erano una potente difesa. Condizioni economiche Una ragione della grande attenzione dedicata alle questioni etiche e filosofiche fu senza dubbio lo stato delle condizioni economiche del periodo. Nessuna delle difficoltà sorte nei tempi moderni era allora molto sentita. La popolazione che doveva essere sostenuta era probabilmente appena un decimo del numero che ora occupa lo stesso territorio. La stragrande maggioranza delle persone erano contadini proprietari, che vivevano in comunità di villaggio sulla propria terra, sotto la supervisione di funzionari del villaggio eletti da loro stessi, con potere limitato da consuetudini immemorabili. C'era una decima pagabile in natura al governo, sia che questo fosse una repubblica locale, o un lontano re. I re talvolta facevano ciò che era chiamata la concessione di un villaggio a qualche nobile, o funzionario, o sacerdote. Ma questa era una concessione soltanto delle quote di governo, e la terra continuava ad appartenere ai contadini, o alla comunità contadina. Ci furono un paio di casi isolati di proprietari tra i quali un uomo ricco aveva, con lavoranti salariati, fatto una radura nel bosco. Ma il numero dei lavoranti salariati era piccolo. Era considerata una vergogna, per un uomo libero, lavorare come salariato e anche se era difficile per un lavoratore indipendente inserirsi in un esistente comunità di villaggio, c'era molta terra che non faceva parte di alcun insediamento esistente ed era quindi disponibile per gli eventuali occupanti abusivi. L assai esteso commercio tra stati permetteva ulteriori aperture, e le corporazioni di artigiani, organizzate sotto i propri Anziani, fornivano occupazione per coloro che 4

avessero potuto essere ammessi tra le loro fila. Nonostante, dunque, ci fosse assai poca vera miseria, il numero di coloro che potrebbero essere considerati ricchi, dal punto di vista di quei giorni (e ancor più dei nostri) era tuttavia molto limitato. Abbiamo notizia di circa una ventina di rajas o maharaja, i cui proventi consistevano, principalmente, nell'imposta fondiaria integrata da alcune quote e diritti accessori, di un considerevole numero di ricchi nobili, di alcuni abbienti sacerdoti e di circa una ventina di commercianti milionari nelle poche grandi città. Non c'erano grandi produttori né potenti proprietari. I bisogni della gente erano pochi. La grande massa erano contadini o artigiani benestanti, per lo più con proprio terreno, e non turbati né da povertà né da ricchezza. Caste - Non c'erano caste in India, in quei giorni, nel senso in cui questa parola è ora utilizzata. C'erano classi sociali, tecnicamente chiamate Colori, le linee di confine delle quali non erano sempre rigorosamente osservate. C erano restrizioni per i matrimoni misti, così come per il fatto di mangiare insieme, esattamente come c erano ovunque in tutto il mondo tra i popoli, in un simile stadio di cultura. Certi mestieri, soprattutto tra le occupazioni più disprezzate (come spazzini, lavoratori di pelle e macellai), tendevano a diventare, alcune di esse lo erano già diventate, ereditarie. C era un forte sentimento, da parte degli Ariani, della superiorità della loro razza. Ma questo sentimento non aveva impedito, e non lo impedì da allora, un assai considerevole numero di matrimoni misti. Tanto, infatti, fu questo il caso, che sebbene vi fosse un numero considerevole di membri maschili di clan, soprattutto degli Kshatriyas e dei Bramini, che reclamavano una pura discendenza ariana da entrambi i rami della famiglia, da sette generazioni, il numero di coloro i cui vanti erano giustificati era probabilmente non molto grande. Mescolata con questa questione della razza c'era una buona dose di orgoglio di nascita, non meno di quanto si osservi oggi in Occidente. Tutti questi fattori erano presenti nello stesso periodo tra gli Ariani in Europa. Erano i fattori sui quali l'attuale sistema delle caste indiane fu innalzato molto tempo dopo, dopo il decadimento del Buddismo. Ma allora non era ancora stato costruito. Abbiamo numerosi casi nei libri che mostrano che le linee non erano allora del tutto rigorosamente disegnate. Gli elementi, le fondamenta del sistema delle caste erano lì, ma il sistema in sé ancora non esisteva- CAPITOLO II CONDIZIONI DELLA RELIGIONE IN INDIA AL MOMENTO DELLA NASCITA DEL BUDDISMO Sarà necessario, per spiegare le idee proposte dal Buddha, dare una sintesi dei pensieri precedentemente correnti tra le comunità nei cui territori egli ha insegnato. 5

Credenze Vediche - E in primo luogo, i punti di vista allora correnti non erano quelli che troviamo enunciati o sottintesi nei mille e più inni Vedici 10. Poiché, attraverso i secoli, gli ariani si erano spinti all interno del paese, il loro linguaggio, attraverso le leggi inevitabili della crescita, e della decadenza, di una lingua viva, si era così alterato che essi stessi non comprendevano più gli Inni. Gli inni erano ancora conosciuti solo nelle scuole dei sacerdoti sacrificali, e furono lì suddivisi in testi per essere utilizzati come formule (mantra) nel sacrificio. Al di là dei circoli delle scuole, essi erano ignorati e sconosciuti. Quando furono originariamente composti, nel Panjab, gli inni avevano incluso solo una parte delle credenze del popolo, e con ogni generazione, con ogni cambio di domicilio, il divario tra le credenze attuali e quelle registrate negli inni cresceva sempre più ampio. Morte degli Dei - Tale processo è altrettanto inevitabile quanto il cambiamento in una lingua viva, o in una struttura vivente. Non dovremmo mai dimenticare in quale grado tutti questi loro dei fossero reali. Essi non avevano un'esistenza oggettiva, ma erano reali abbastanza, come idee nelle menti degli uomini. In qualsiasi momento gli dèi di una nazione sembrano allo spettatore eterni, immutabili. Come dato di fatto essi sono sempre il lento, inarrestabile cambiamento. Non esistono due uomini, anche se cresciuti nello stesso ambiente, che pensino nello stesso giorno allo stesso dio, che ne abbiano la stessa immagine mentale. Né può l'importanza proporzionale dell'immagine essere la stessa per ciascuno di essi, perché questo potrebbe essere il caso soltanto se anche tutte le loro altre idee fossero esattamente le stesse, il che, naturalmente, non avviene mai. Proprio come la forma visibile di un uomo, anche se nessun cambiamento è in alcun momento percepibile, non è mai realmente la stessa per due momenti consecutivi, ma è, invece, il risultato di continue, minime variazioni, che diventano visibili solo dopo un certo lasso di tempo, così le idee, riassunte dal nome di Dio, vengono modificate dal progressivo accrescimento di minime variazioni. Questa modifica, dopo un intervallo di tempo (può essere generazioni, può essere secoli), diventa così chiara che un nuovo nome di Dio si impone, e gradualmente, molto gradualmente, spodesta il più vecchio. Allora, il dio più vecchio è morto. Come dice il poeta buddista: I fiori delle ghirlande che indossava sono appassiti, le sue vesti maestose sono divenute vecchie e sbiadite, cade dalla sua elevata dimora, ed è rinato a nuova vita. Vive di nuovo, come si potrebbe dire, proprio nel risultato della sua vita precedente, nel nuovo dio, cioè, che, sotto il nuovo nome, regna nel cuore degli uomini. Gli dei al tempo di Buddha - Siamo in grado di valutare quanto questo fosse vero, nel tempo di Buddha, per gli dèi vedici dalle dichiarazioni in due poemi molto 10 I Veda sono un'antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli ariani, opere di primaria importanza presso quel differenziato insieme di dottrine e credenze religiose che va sotto il nome di Induismo. N.d.A. 6

interessanti, inclusi da un fortunato caso nel canone buddista 11. Questi danno elenchi di dei supposti essere amichevoli verso il nuovo insegnamento. Notevoli come opere d'arte, queste liste sono di grande valore come prova di ciò che erano gli dei di quell epoca i cui adoratori desideravano si conciliassero con il nuovo insegnamento. E' molto improbabile che gli sconosciuti poeti abbiano omesso qualsiasi divinità che avesse un seguito importante o influente. Prima vengono gli spiriti della Madre Terra e delle Grandi Montagne. Poi i Quattro Grandi Re, i signori di spiriti che si presume dimorino in tutti i quattro quarti del mondo, nord e sud, est e ovest. Questi sono, nell est, i Gandharva, musicisti celesti, ritenuti presidiare il parto, e essere utili in molti modi ai mortali. Nel sud vi sono i fantasmi affamati, che si suppone siano pieni di terribili influenze, ma pronti a essere placati attraverso i corretti mezzi. L'ovest è la speciale dimora dei Naga, le sirene-serpenti, il cui culto ha giocato tanta parte del folklore del popolo, e che sono così spesso rappresentati sui monumenti. I cobra, nella forma ordinaria, erano ritenuti vivere, come tritoni e sirene, sotto la superficie dell acqua, in gran lusso, con gran sfarzo di gemme, o di tormentare gli alberi giganti della foresta. Potevano a volontà, e spesso lo fecero, adottare forma umana; e sebbene terribili, se fatti arrabbiare, erano dolci e gentili di natura. Il nord, nelle misteriose altezze dell'himalaya, era assegnato agli Yaksha, sotto il loro re, Kuvera Vessavana, il dio della ricchezza e prosperità. Dopo questi viene, in entrambe le liste, una compagnia miscellanea - le anime o spiriti ritenuti animare la luna e il sole (la luna è sempre menzionata per prima), i venti, le nubi, la calura estiva; poi segue poi un curioso assortimento di personificazioni di varie qualità mentali e, infine, gli dèi che abitano nel più alto dei cieli (che sono, cioè, il risultato della più alta speculazione), come Brahma stesso, e Paramatta, e Sanang Kumara. Senza entrare in un'analisi dettagliata, è sufficiente affermare che ci troviamo qui, in questa descrizione della religione dei popoli tra i quali il buddismo è sorto, faccia a faccia con una concezione del tutto diversa da quella registrata nei Veda, e neppure derivata da essa. Del centinaio e più di divinità enumerate, appena una mezza dozzina sono vediche. Animismo.-Quelli sopra sono gli dèi superiori venerati dal popolo al momento che stiamo considerando. Le forme inferiori dell illusione animistica, popolari tra esso, sono elencate in un altro documento molto antico intitolato Sulla condotta 12. E un elenco di pratiche disapprovate dai primi Buddisti. Nel mezzo di questo trattato si afferma che alcune persone sono imbroglione, recitatori di parole sante per denaro, indovini, esorcisti, o che si guadagnano da vivere con arti basse, e lì segue poi un elenco di tali arti basse. Ci viene detto di divinazione chiromantica di vario genere, 11 Sono nel Digha Nikaya, e sono stati tradotti da Gogerly. Una nuova edizione delle opere di Gogerly è ora in corso di pubblicazione a Ceylon. 12 In Pali, I Silas, un trattato tradotto nel mio Dialoghi del Buddha, vol. i. pp 3-25. 7

presagi ricavati dalle eclissi, pronostici a base ai sogni, predizioni tratte da segni sulla stoffa rosicchiata dai topi, sacrifici al dio del fuoco, oblazioni di vario genere agli dèi, per determinare i luoghi fortunati, scacciare i fantasmi, effettuare incantesimi su serpenti o bestie o uccelli, astrologia, segni di interpretazione sui corpi dei bambini, il consultare gli dèi per mezzo di uno specchio o attraverso una ragazza posseduta, e così via. Alcune di queste indubbiamente si riferiscono a pratiche imposte nei libri sacerdotali. Altre non possono essere rintracciate lì. E l intera lista è la prova, se ve ne fosse bisogno, che poi, nella valle del Gange, come altrove, tutti i tipi di animismo che avevano preceduto il libro della religione erano anche sopravvissuti in grado sufficiente per continuare a permettere, a coloro che si fossero abbassati a trarre vantaggio da ciò, opportunità di guadagno. La teoria dell anima Oltre a ciò la prova, io credo, non ci convince. È una questione di livello. C'era, si sarebbe inclinati a pensare, una quasi universale e indiscussa credenza nell'esistenza, tutto intorno, di un numero infinito di esseri non umani. Questi venivano considerati dalle persone come una cosa naturale, proprio come consideravano naturale l'esistenza delle anime dentro i loro propri corpi. Fu da queste anime, all interno e al di fuori di loro stessi, che essi si spiegavano i misteri della morte, della trance, dei sogni, del movimento e della vita. Tramandata da un immemorabile antichità, quest ipotesi, o teoria delle anime, era corrente a quel tempo in India, così come è stata corrente prima, e da allora, tra popolazioni civilizzate o non civilizzate di tutto il mondo. Senza fine erano le applicazioni di questa teoria, i metodi di spiegazione per cui era utilizzata. Enumerarle e spiegarle tutte riempirebbe volumi. Un uomo sviene poi si riprende. E' chiaro che è la sua anima che se n è andata via per un po per poi ritornare da lui. Il maestoso sole che percorre il suo quotidiano sentiero, attraverso il firmamento, così splendente, centro di vita e calore e movimento, deve essere vivo. È animato, come lo sono gli uomini, di un'anima, solo che la sua anima è più gloriosa, più potente della loro. Il monarca gigante della foresta, che estende le sue strane braccia al tramonto, contiene un'anima, un Naga, un albero-fata, il cui pensiero e azione spiega tutti i misteri dell'albero. E così via, attraverso il lungo elenco di quegli oggetti che sembravano, ai sensi dell'uomo, temibili, generosi, misteriosi, e che incutevano timore. Le forme di adorazione -Tutte queste anime si credeva avessero passioni umane, natura umana e anche forma umana. Erano suscettibili, come gli esseri umani, alle lusinghe e ai regali, e potevano essere spinte, dalle formule magiche, a fare, o astenersi dal fare, quello che, chi recitava la formula, desiderava. I sacrifici vedici, come interpretati dai bramini in questo periodo, erano quasi esclusivamente di carattere magico. Per questi non c'erano templi. Una delle principali fonti di emolumento dei sacerdoti era la costruzione, accompagnata dall'uso di molte 8

formule magiche, di un nuovo altare per ciascun sacrificio. L'altare veniva innalzato su terreno privato, e il sacrificio era una cerimonia, anch essa privata, progettata per garantire vantaggi personali alla persona a spese della quale il sacrificio era effettuato. Non c'erano immagini degli dèi. Questi sacrifici, essendo lunghi e molto costosi, erano quindi anche rari, e potevano essere effettuati solo dai ricchi. Questo fu, forse, un ulteriore motivo per cui la massa del popolo, nel periodo e nei luoghi che stiamo considerando, seguiva altri dèi. Dei loro culti, purtroppo, sappiamo molto poco, e quel poco solo da accidentali riferimenti nei libri buddisti. Ci è tramandato di chetiyas, o santuari, e sono noti i loro nomi a alcune vaghe circostanze. Alcuni si suppone siano stati tumuli, ed altri alberi sacri. Ma non sappiamo ancora quasi nulla di ciò che veniva fatto lì. Nessun santuario pre-buddhista in India è finora stato scavato, e il riferimento incidentale ad essi nei libri non è ancora stato raccolto e studiato. Così sappiamo dei Samajjas, un clan che si riunisce su alture sacre, con balli sacri e profani, e altri accompagnamenti di ciò che nei tempi moderni ci si potrebbe aspettare di trovare in una fiera. Ma i riferimenti a questi incontri presuppongono nei lettori una conoscenza di tutto quello che ne seguiva e di ciò che davvero significava. E questo è precisamente ciò che ci piacerebbe conoscere. Speculazione - D'altra parte abbiamo resoconti abbastanza dettagliati e comprensibili di ciò che, rispetto ai culti locali, può essere chiamata la più alta speculazione. Nei documenti più antichi di quelli buddisti vediamo il misticismo monistico, che ha raggiunto la sua massima espressione nella poesia teosofica delle Upanishad, prendendo a poco a poco forma. E nei primi libri buddisti non solo abbiamo i nomi delle varie sette, o gruppi, sia di Erranti che di Eremiti, ma classificazioni elaborate di un gran numero di teorie in loro possesso. I nomi sono suggestivi: i Liberati, i seguaci dei Chierici, gli Uomini dai capelli intrecciati (questi sono bramini eremiti), i Portatori del tridente, gli Amici, gli Adoratori del dio (non ci è detto quale) gli Uomini di pura sussistenza e così via. Le teorie sono indicate, nel primo dei Dialoghi, in una lista che è troppo lunga per riprodurla qui. Ci sono trentasei vedute differenti riguardo allo stato dell anima, dopo la morte del corpo che essa abitava, e una teoria che l'anima muore quando il corpo muore. Abbastanza curiosamente la teoria della trasmigrazione delle anime non è riportata e la teoria dell'assorbimento dell anima individuale nell'anima suprema non è menzionata. Ci sono un certo numero di vedute divergenti sul fatto se tutti gli dèi, o solo alcuni, o solo uno dovessero essere considerati eterni, e fino a che punto le anime del mondo e individuali siano eterne. E ci sono discussioni per quanto riguarda l'etica, e per i vari mezzi di salvezza in questa vita. Riepilogo delle credenze - Abbiamo, poi, in India, nella valle del Gange, nel momento in cui sorse il Buddismo, una moltitudine di idee interconnesse che 9

possono essere divise, per chiarezza di esposizione, sotto i seguenti punti. In primo luogo, il gruppo, molto ampio e vario, di idee riguardanti le anime che si suppone abitino nei corpi di uomini e animali, e animino oggetti che si muovono, in natura (alberi e piante, fiumi, pianeti e così via). Queste possono essere riassunte sotto il comodo termine moderno di animismo. In secondo luogo, abbiamo idee, più tarde e avanzate, circa le anime che, si suppone, animino la maggior parte dei fenomeni della natura. Queste possono essere riassunte sotto il comodo termine moderno di politeismo. In terzo luogo, abbiamo l'idea, ancora più tarda, di una unità retrostante tutti questi fenomeni, sia della prima che della seconda classe, l'ipotesi di una prima causa da cui tutto l'universo, nelle sue varie forme, dipende, in cui esso vive e si muove, e che è l'unica realtà. Questa può essere riassunta nel comodo termine moderno di monismo. In quarto luogo, abbiamo la tesi opposta. In questa la prima causa o non è stata raggiunta nel pensiero, o è stata considerata e deliberatamente respinta: ma per il resto l intera teoria sull anima è stata mantenuta e amplificata, e l'ipotesi dell'eternità della materia vi è, allo stesso tempo, contenuta. Questa può essere riassunta sotto il conveniente nome moderno di dualismo. Questi termini occidentali moderni, anche se utili per la classificazione, non restituiscono mai esattamente l'antico pensiero orientale. E non dobbiamo mai dimenticare che le distinzioni nette, che noi ora usiamo, erano allora percepibili solo ad una piccola minoranza di pensatori più acuti. La maggior parte delle persone aveva uno strano miscuglio di molte delle nozioni correnti intorno a loro. La suddivisione qui fatta è solo tesa a dimostrare che, quando il Buddismo sorse, il paese ribolliva, in maniera molto simile al mondo occidentale, a com era il mondo occidentale nello stesso periodo, con una moltitudine di teorie più o meno opposte su tutti i tipi di questioni, etiche, filosofiche e religiose C'era molta superstizione, senza dubbio, e non pochi sofismi. Ma a causa, in parte, delle facili condizioni economiche di quei tempi, in parte anche della reciproca cortesia e spigliatezza intellettuale del popolo, c'era una gran parte di persone che erano seriamente occupate in tentativi, più o meno riusciti, di risolvere i problemi più alti del pensiero e dell esistenza. CAPITOLO III VITA DEL BUDDHA Poesia Edificante - Se un dotto orientalista desiderasse accertare i fatti riguardanti la vita di Cristo, non farebbe ricorso a opere quali Il Messia di Klopstock o Il Paradiso riconquistato di Milton. Queste opere, tuttavia, non pretendono di essere storiche. Il valore che esse hanno è dovuto all abilità letteraria con cui esse rifondono una storia derivata da documenti precedenti, e forse anche alla parte che esse giocano come Tendenzschriften, sostenendo una qual certa opinione. Il vero ricercatore storico si dirigerebbe verso i documenti originali, ignorando la più tarda poesia. E' 10

purtroppo proprio questi ultimi libri di poesia edificante che sono stati la fonte delle moderne conoscenze popolari sulla vita del Buddha. Il noto poema di Sir Edwin Arnold, The Light of Asia, La Luce dell Asia, è un'espressione eloquente in versi inglesi (basato sul Lalita Vistara) di credo buddista del tempo in cui, secoli dopo il Buddha, il poema sanscrito venne composto. Chiunque desideri conoscere la verità, per quanto essa possa ora essere accertata, sugli eventi reali della vita del Buddha, ignorerà, ovviamente, queste opere, comunque edificanti, di immaginazione letteraria. Egli si rivolgerà direttamente ai documenti più antichi. Nessun Vangelo buddista - La prima scoperta che egli farebbe è che non vi è alcun libro nel Canone Buddista esattamente corrispondente ad un Vangelo. L'approccio più vicino ad esso è il Mahâparinibbâna-Suttanta, il Libro del Grande Decesso, che descrive l'ultimo viaggio del Buddha, e la sua morte 13. Oltre a questo abbiamo due notevoli episodi: uno che descrive il tempo prima della sua illuminazione, sotto l Albero della Sapienza, del Nirvana, e l'altro che descrive gli eventi che seguirono immediatamente 14. Oltre a queste narrazioni consecutive, ci sono racconti, più o meno circostanziati, in molti dei Dialoghi, di diversi episodi della vita del Buddha. Alcuni dei poemi antichi riferiscono anch essi tali episodi, e ci sono altri riferimenti incidentali altrove in letteratura. Il Buddha non è figlio di Re - Da queste notizie, scarse quali esse sono, è del tutto possibile formarsi un idea molto chiara dei principali eventi della vita del fondatore del Buddismo. Suo padre è, in un passaggio 15, chiamato râja. Ma raja è un titolo di cortesia usato per qualsiasi membro del clan riconosciuto; ed i testi, sempre puntigliosi nell uso dei titoli, non usano mai questa parola per un re, che è sempre invariabilmente definito mahārāja. La famiglia è lodata, in una mezza dozzina di passaggi, come ben collegata, e di grande reputazione, ma non una volta come reale. Possiamo essere certi, dal contesto, che se il futuro padre del Buddha fosse stato davvero un re, il fatto sarebbe stato, in tale contesto, chiaramente riportato. Riferito ai membri maschili di un clan, il titolo râja, anche se in realtà di non molta più importanza del nostro termine moderno Egregio era più gentile, poiché la parola connotava una posizione di importanza ereditaria nel clan, e forse anche una carica ufficiale temporanea, di carattere onorario, come ad esempio console o magistrato. In ogni caso questa fu la semplice base sulla quale furono costruite le posteriori leggende della regalità. La famiglia e il Clan Il nome del padre di Buddha, Suddhodana, Riso Puro, è indicativo riguardo all'occupazione svolta dal clan. Esso occupava un piccolo 13 Tradotto nei miei dialoghi del Buddha, vol. ii. 14 Majjhima, i. 163-175, e Vinaya, i. 1-44. 15 Digha, ii. 7. Confronta Buddhavangsa, xxvi. 13 11

territorio, non superiore a circa 900 miglia quadrate, situato in parte sulle più basse pendici della catena dell'himalaya, in parte sulle pianure sottostanti. Lì, i membri maschili del clan avevano i loro campi di riso irrigati dagli inesauribili ruscelli alimentati dalle montagne retrostanti. Per tutto l'anno potevano vedere le gloriose cime innevate delle grandi montagne, e le brezze da nord portavano nella pianura il respiro dei ghiacciai. Quando mi sono trovato nella parte più bassa del territorio dei Sakiya, appena oltre la frontiera del Nepal, nel gennaio del 1900, il clima era fresco e piacevole. Non c'è dubbio che in estate fosse desiderabile fuggire verso le colline. E ci viene detto 16 che, in gioventù, il futuro Buddha aveva tre case, una per l inverno, una per l estate e una per la stagione delle piogge, e che era vestito, non in panno ruvido, ma in fine mussola di Benares. Il Giardino di Lumbini - Il ragazzo fu chiamato Siddhartha, che significa desiderio compiuto e il significato del nome può aver dato luogo alla storia, che si trova solo nelle leggende posteriori, che egli era nato dopo che la speranza di un figlio era quasi svanita. Il nome di famiglia era Gotama. Con quello egli venne di solito chiamato, in seguito, dai non buddisti, ed è il nome che useremo in questo breve ritratto. La casa di suo padre era a Kapilavastu, nelle pianure, la città capitale del clan. Ma lui era nato, come ci racconta una ballata molto antica, a Lumbini. Questa era comodamente a metà strada tra Kapilavastu e il capoluogo dei Koliyans, vicini di casa e parenti dei Sàkiya. La spiegazione più tarda, che sua madre si trovava per strada, poiché su stava dirigendo, per partorire, verso la sua casa materna, sembra molto probabile. Il punto esatto assegnato dalla tradizione per la nascita di Buddha è stato ultimamente riscoperto. Una colonna, eretta sul luogo da Asoka, a metà del III secolo a.c, afferma che Qui il Sublime è nato. La ballata a cui ci si riferisce, il Nalaka Sutta 17 è assai interessante. Il poema descrive come un vecchio uomo saggio, di nome Asita, vedendo gli angeli gioire, chiede loro perché sono contenti. Loro dicono: Il Bambino Sapiente, quel gioiello così prezioso, Che non può essere eguagliato, È nato a Lumbini, nella terra dei Sakiya, Per il bene e per la gioia nel mondo degli uomini. Così il vecchio saggio va e vede il bambino, e profetizza: L'altezza più elevata di comprensione raggiungerà, questo bambino, egli vedrà ciò che è sommamente puro, e stabilirà la messa in moto della ruota del carro della giustizia, egli che è pieno di compassione per la moltitudine. Lontano si diffonderà la sua religione. 16 Anguttara, i. 45. Confronta Digha, ii. 21 17 Tradotta dal professor Fausboll in Sacred Books of the East, vol. X. p. 124. 12

L uscita da casa - Gotama era sposato: e aveva un figlio il cui nome era Rahula. Quando egli fu di 29 anni di età, lasciò la sua casa e divenne un religioso in cerca di ciò che era giusto 18. Ritroviamo sottolineata così presto, nella carriera del futuro insegnante, la tendenza etica e di azione della sua mente. Molti scrittori in Oriente e in Occidente hanno suggerito le ragioni di questo passaggio epocale, e alcune cose plausibili, alcune belle, sono state dette. I nostri testi autorevoli non hanno che due brevi espressioni su questo punto, entrambe pronunciate da Buddha stesso. La prima è come segue 19 : Un normale, illetterato uomo, anche se lui stesso soggetto alla vecchiaia, non sfuggito al di là del suo potere, quando vede un altro uomo vecchio, è ferito, prova disagio, ne è disgustato, riguardando, nel contempo, la sua propria condizione. Pensando che sarebbe stata inadatta a me l'infatuazione di un giovane nella sua gioventù me ne partì assolutamente da me. Parole identiche vengono usate riguardo alla salute e alla vita. L altro testo dice: Prima dei giorni della mia illuminazione, quando ero ancora soltanto un Bodhisatva, sebbene io stesso soggetto alla rinascita, alla vecchiaia, alla malattia e alla morte, al dolore e al male, ho ricercato cose soggette anch esse a loro. Poi ho pensato: Perché dovrei agire così? Lasciami, quando sono soggetto a queste cose, vedere il pericolo in esse, cercando piuttosto ciò che non è soggetto a ciò, anche la beatitudine suprema e la sicurezza del Nirvana 20. L'essenza di tutta la poesia più tarda si trova in queste semplici ma pregnanti parole, e il più antico poema che abbiamo si mantiene molto vicino allo spirito di questi altrettanto antichi testi. È il seguente poema che, poiché è breve, può essere qui citato. Anche in una scarna versione in prosa darà un saggio dello spirito di quei giorni lontani. L USCITA DA CASA 1. Io loderò, uscendo da casa come fece il Lungimirante, la vita dell Errante, come quando aveva riflettuto bene sulla questione che deliberatamente scelse 2. Piena di ostacoli è questa vita di famiglia, covo di passione. Libero come l'aria è lo stato errante. Così egli considerò, e uscì da casa. 3. Quando fu uscito da casa abbandonò il compiere azioni sbagliate e si lasciò dietro il parlare cattivo; puro egli rese il suo modo di vivere. 18 Digha, ii. 151 19 Anguttara, i. 140. 20 Majjhima, i. 163. 13

4. Alla città del re il Buddha 21 giunse, a Giribbaja, nel Magadha. Pieno di segni esteriori di valore, egli raccoglieva elemosine per cibo. 5. Lo vide Bimbisara, in piedi sul terrazzo superiore del suo palazzo. Vedendo che aveva quei segni, così egli parlò: 6. Prestate attenzione a quest'uomo, Signori, bello è lui, grande e puro, accorto nella condotta, egli non guarda oltre la lunghezza di un braccio davanti a sé 7. Con gli occhi bassi e padrone di sé è lui, sicuramente di nessun significato la nascita. Lasciate che i messaggeri del re si affrettino a scoprire: Dove sta andando il mendicante? 8. Così inviati, i messaggeri affrettarono alla sua ricerca, e si chiedevano: 'Dove sta andando il monaco, dove intende stare? 9. Compiendo il suo giro per le elemosine regolarmente da casa in casa, circospetto della porta (dei suoi sensi), riservato, rapidamente ha riempito la sua ciotola, egli calmo e padrone di sé. 10. Il suo giro per le elemosine compiuto, il Saggio è uscito dalla città. Ha raggiunto la montagna Pandava. E lì che intende stare. 11. Non appena lo avevano visto fermarsi, i messaggeri avevano interrotto la loro ricerca. Un messaggero ritornò da solo e al re fece discorso: 12. Sul versante orientale del Monte Pandava, quel monaco, o re, ha preso il suo posto, come una tigre-re, come un leone nella sua caverna di montagna. 13. Quando sentì la parola del suo servo il guerriero, in tutta fretta, uscì fuori sul suo carro regale diretto alla montagna Pandava. 14. Dove finiva la strada, lì scendendo dal suo carro, a piedi, il principe continuò finché giunse vicino, e poi prese posto. 15. Nel sedersi, il Re, con cortesi parole, scambiò con lui i saluti di un amico. Poi parlò così: 16. Giovane sei tu e in tenera età, un ragazzo nella sua prima giovinezza, raffinato è il tuo colorito, come uno di nobili natali. 17. Come la gloria dell'avanguardia dell'esercito, a capo di una banda di eroi, vorrei darti ricchezza. Accetta, ti prego, ciò e dimmi la tua discendenza, ora che te la chiedo. 18. Vicino alle pendici dell'himalaya, o Re, vi è una terra di ricchezza e potere, gli abitanti di quel luogo sono i Kosalas 19. Discendenti del Sole per razza, Sàkiya essi sono per nascita. Da quel clan sono uscito, non desiderando più piaceri sensuali. 20. Vedendo il pericolo in loro, cercando di uscire di casa quale beatitudine, andrò avanti nella lotta, poiché in ciò la mia mente trova delizia 21 Questa espressione è suggestiva. Nel nostro senso della parola, Gotama, non era ancora un Buddha. Per la mente del poeta Buddha significò semplicemente risvegliato (il suo significato letterale). La corrispondente parola, nell uso tecnico cristiano sarebbe convertito. E la mente di un uomo convertito è risvegliata ma a differenti concezioni. E molto dubbio se nei vecchi testi la parola Buddha abbia mai significato qualcosa di più di risvegliato. 14

I suoi maestri - Gotama era ormai diventato un Errante. Non sappiamo se prima o dopo il suo incontro con il re di Magadha, egli si unì come discepolo prima a Alara Kalama, e poi a Uddaka figlio di Rama. Secoli dopo alcuni scrittori pretendono di conoscere le loro dottrine. Nei vecchi testi ci viene solo raccontato che ognuno di questi insegnanti teneva stretto, come un ideale, una particolare fase di estasi mistica (se solo mentale, o il risultato di un ipnotismo auto-indotto o in parte una, in parte l'altra cosa, non è indicato) 22. E due espressioni mistiche di Uddaka sono anche state conservate 23. Oltre a questo non sappiamo nulla di ciò, o anche quando, essi insegnassero. Qualunque cosa fosse, Gotama divenne così rapidamente padrone di esso che ciascuno di loro gli chiese di diventare co-maestro del suo gruppo di discepoli. Ma egli rifiutò queste offerte, così come aveva fatto con quella di Bimbisara, e se ne andò nella foresta intorno a Gaya per lottare da solo verso la luce. La lotta Possediamo diversi racconti di questa lotta resi con parole identiche 24. Nessun tentativo è fatto per dare un rapporto consecutivo o cronologico di quanto accaduto nei sei anni durante i quali è durata. Le varie gravi penitenze che Gotama inflisse a se stesso sono descritte a lungo, e vengono elencati i vari pensieri che gli sorsero, gli argomenti che egli discusse con se stesso. Alla fine delle penitenze, quando era ridotto a uno scheletro, e davvero sul punto di morire, egli decide che questa non è la strada giusta verso l'illuminazione, e ricomincia di nuovo a nutrirsi. Subito dopo ci viene detto 25 : Allora quei cinque mendicanti [di cui non era stata fatta alcuna precedente menzione] lo abbandonarono, e se ne andarono via, poiché egli aveva rinunciato alla lotta, e tornato ad una vita di abbondanza. Qui dobbiamo probabilmente riferire della ballata 26, in cui Mara, il Maligno, è rappresentato mentre lo tenta affinché egli interrompa la sua ricerca. Il Nirvana.-Poi arriva la reazione, la vittoria. Questa è uniformemente descritta come uno stato mentale di esaltazione, gioia, comprensione, altruismo. I diversi Sutta sottolineano diverse fasi, diversi aspetti, per così dire, di questa condizione. Ma la considerano come uno stesso sconvolgimento di tutta la natura mentale e morale, volontà, emozione e l'intelletto essendovi ugualmente interessati. Così un Sutta (il Maha-saccaka) pone l'accento sulle Quattro Beatitudini e le tre forme di Conoscenza; un altro (il Dvedha-vitakka) sulla certezza, l'assenza di dubbio, un altro (il Bhayabherava) sulla conquista sulla paura e agitazione, un altro (il Ariyapariyesana) sulla felicità e la sicurezza del Nirvana che egli poi ha raggiunto. Nel primo di questi Sutta il testo conclude: 22 Majjhima, i. 163-166 23 Samyutta, iv. 83, e il Pasudika Suttanta in Digha. 24 Majjhima, i. 17-24; 114-118; 167; 240-250. 25 Majjhima, i. 247. 26 Tradotta da Fausboll in Sacred Books of the East, Voi. x. pp 69-71. 15

Quando questa conoscenza, questa comprensione, fu sorta dentro di me, il mio cuore fu liberato dall intossicazione delle passioni, liberato dall intossicazione del divenire, liberato dall intossicazione dell ignoranza. In me, così emancipato, sorse la certezza di tale emancipazione. E giunsi a sapere: Questa è la mia ultima rinascita. La vita superiore è stata soddisfatta. Quello che doveva essere fatto è stato fatto. Dopo questa vita presente non ce ne sarà un altra. Quest'ultima intuizione ho raggiungo nell ultima veglia della notte. L'ignoranza è stata sconfitta, la comprensione è sorta, l'oscurità è stata distrutta, la luce è venuta, poiché ero lì faticoso, ardente, padrone di me stesso. Non c'è nulla di miracoloso in tutto questo, nulla di soprannaturale. Indubbiamente tutto ciò è sopranormale. Ma recenti ricerche di psicologia, così come vengono riassunte, per esempio, in Varietà dell Esperienza Religiosa di James, dimostrano che fenomeni di tipo analogo, anche se non proprio identici, sono ben convalidati nella vita di uomini di profonda esperienza religiosa. E nessuna delle esperienze descritte in questi racconti è, nei libri canonici, confinata al solo Buddha. Ciascuna di esse è riferita, in altri passaggi, di uno o dell'altro degli uomini e delle donne che successivamente adottarono il nuovo insegnamento e caddero sotto la sua influenza. Queste condizioni sono parti costitutive dello stato mentale chiamato Arahatship. Tutte si ripetono, nella descrizione standard, ripetuta in così tanti Dialoghi, della maniera in cui lo stato di Arahat è stato raggiunto 27. E la somma di esse è, a questo proposito, chiamata Nirvana 28 uno dei molti nomi dello stato di Arahat 29. A giudizio dei primi buddisti il loro Buddha era un Arahat; ma nel suo caso non c'era limite alla profondità e all'intensità della sua intuizione, o alla grazia e alla perfezione di quei poteri e di quelle caratteristiche che egli divideva con altri Arahats. La distinzione tra Arahat e Buddha divenne il principale fattore nella successiva storia della comunità 30. Nei primi passaggi qui riportati come descrittivi di questa crisi, non si fa menzione né di Buddha né di buddità. Dopo che Gotama ebbe così raggiunto il Nirvana (se si usa l'espressione del testo), o raggiunto la buddità (se usiamo l'espressione che ben presto divenne di uso corrente nella comunità), egli rimase per quattro volte sette giorni a godersi la beatitudine dell emancipazione 31. I testi riportano vari episodi che rivelano i pensieri che passarono attraverso la sua mente in quel tempo. Egli ripete i dodici Nidàna, i collegamenti nella catena dell'origine dipendente, e poi dà espressione a tre strofe, nel senso che quando un Arahat, nei momenti di intensa intuizione, vede nella vera natura delle cose, come tutte esse abbiano una causa e come le cause tendano a 27 Tradotto per esteso nei miei Dialoghi del Buddha, vol. i. pp 79-93. 28 Majjhima, i. 167. 29 Ibid. 173. 30 Si veda Tardo Buddismo, pubblicato in questa serie di piccoli manuali, e la mia nota sulla Sambodhi nei Dialoghi del Buddha, vol. i. p. 190. 31 Vinaya, i. 1-4. 16

passare, allora i suoi dubbi svaniscono, e lui rimane fermo, mettendosi a sbaragliare gli eserciti del Maligno, così come il sole riempie gli spazi scuri del cielo con la luce 32. La frase in questo ultimo versetto è probabilmente l'origine della leggenda in un'altra autorità 33 che il Maligno allora andò da lui e lo tentò, ora che aveva ottenuto la vittoria, di passare oltre immediatamente. Ma egli si rifiuta di farlo fino a che la mirabile verità sia stata diffusa lontano e ben proclamata fra gli uomini. Allora un bramino altezzoso, che contava, per la salvezza, sull espressione della mistica sillaba Om, arriva e chiede a Gotama che cosa renda un uomo bramino. Gli è risposto che è l abbandono del male, il vivere una vita di purezza, la conquista della superbia e dell avidità. Il prossimo episodio ci dà una strofa che spiega le basi della beatitudine che egli dice di avere sentito: - Felice la solitudine di chi è pieno di gioia, di chi ha imparato la Verità, di chi ha visto la Verità. Felice colui che in questo mondo non ha ostilità, contenuto verso tutti gli esseri che hanno vita. Felice è la libertà dai desideri, la fuga da essi, La beatitudine più alta è la libertà dalla fierezza del pensiero "lo sono L esitazione - Al termine di questo periodo di beatitudine segue un periodo di esitazione, in cui Gotama dubita se, dopo tutto, sarà di alcuna utilità annunciare ad un mondo sprofondato nelle tenebre una dottrina non solo così difficile da capire, ma così detestabile per una mente ordinaria. Possiamo stimare l'importanza attribuita dalla prima Chiesa a questa materia dal fatto che Brahmâ stesso, il più alto degli dèi, viene introdotto mentre entra nella scena per sollecitare che ci sarà ancora qualcuno che avrà occhi per vedere. Allora il Buddha, per compassione verso gli esseri senzienti si decide a predicare la parola. Un'esperienza simile è riportata in termini identici 34 da altri primi maestri indiani, i Buddha precedenti. E questo senso opprimente di separatezza assoluta, distacco, è un'esperienza che accade prima o poi alla maggioranza di tutti i grandi maestri del pensiero. Il primo discorso - Quando questa volontà di predicare la parola fu divenuta chiara nella mente di Buddha, si dice si sia recato a Benares, a circa 100 miglia a nordovest, per raccontare ai suoi ex compagni, che si trovavano in un bosco nei pressi di quella città, della scoperta che aveva fatto. Lo fece in un discorso dal titolo, la Fondazione del Regno di giustizia, in cui le sue nuove visioni di vita furono 32 Vinaya, i. 2, tradotto da Oldenberg in Vinaya Texts, i. 78. 33 Digha, 'ii. 112, tradotto da chi scrive in Dialoghi del Buddha, vol. ii. 34 Digha, ii. 37. 17

riassunte in un modo che essi avrebbero capito. Questa sintesi ci è stata conservata in due posti nel Canone, e verrà tradotta e spiegata nel prossimo capitolo. I poeti buddisti sono stati ispirati dalle descrizioni della scena, descrizioni notevoli per la loro sottile bellezza. I sovrani buddisti hanno riccamente decorato con architettura e scultura il luogo memorabile per quello che essi consideravano un evento così straordinario. Fosse passato un Greco in quel momento, si sarebbe appena chinato a notare i pochi barbari seduti sotto gli alberi, mentre parlavano tranquillamente con tono giudizioso, e non avrebbe forse capito che uno di essi stava dando espressione a idee che avrebbero mosso il mondo. Il Buddha non ha avuto compito facile nel cercare di convincere i cinque a rinunciare al loro credo nella penitenza. Solo uno di loro, un Kondanna di nascita, fu in un primo momento convinto per essere conosciuto per il resto della sua vita come 'il Kondanna che ha capito'. Ma nel giro di pochi giorni tutti cedettero e divennero discepoli. Gotama poi fece un ulteriore passo avanti, e fece loro un discorso sull'assenza di qualsiasi segno di anima negli elementi costitutivi di un essere umano. Uno schema di questo discorso è stato anche conservato in varie parti delle Scritture 35 : e quando furono convinti di ciò, il documento dichiara 'Allora ci furono sei Arahats nel mondo. Dall'essere semplicemente discepoli, seguaci, essi erano diventati Arahats. L invio dei discepoli Allora seguì ciò che ha molti punti di analogia con una rinascita moderna, ma deve essere stato di un tipo stranamente dignitoso e intellettuale. I residenti delle città vicine vennero ad ascoltare il nuovo maestro. Il numero di aderenti, laici e laiche, Bhikshu e Arahats, aumentarono fino a che il testo riporta 'allora ci furono sessantuno Arahats nel mondo '. A quel tempo, Gotama disse loro che lui e loro 'Erano liberi da lacci, sia umani che divini. Lasciateli, quindi, mettersi in viaggio come Erranti per il bene di molti, per compassione del mondo, per il bene e il guadagno degli dèi e degli uomini. Non vi dovevano essere due Erranti che dovevano andare insieme. Dovevano fare conoscere l'insegnamento, bello nella sua origine, incantevole nel suo progresso, adorabile nel suo compimento, sia nello spirito che nella lettera, per spiegare la vita più alta in tutta la sua pienezza e in tutta la sua purezza 36. Lui stesso stava tornando a Uruvela con tale scopo in testa. Secondo le nostre autorità, il successo di questa prima missione fu molto grande. E' naturale supporre che esso si stagliava un po più grande agli occhi dei primi buddisti di quanto i fatti effettivamente giustifichino. Ma è stato dimostrato sopra quanto assai favorevoli fossero le condizioni per un nuovo movimento di questo genere e, né allora né subito dopo, sappiamo che il nuovo insegnamento divenne di grande importanza nel paese. Da questo momento in poi 35 Samyutta, iii. 66, e iv. 34 ; Majjhima, i. 135 e 300 ; Vinaya, i. 14. 36 Samyutta, i. 105, riprodotto in Vinaya, i. 21. 18

Gotama, che dall'essere un Errante era diventato un eremita, ridivenne di nuovo un Errante. Quelli dei suoi seguaci che 'uscirono' divennero membri dell'ordine da lui fondato, e furono anch essi Erranti, cioè, rifiutarono ogni penitenza e automortificazione (a meno che il loro voto di celibato non sia considerato tale). Sia lui che essi trascorrevano nove mesi di ogni anno a vagare di villaggio in villaggio, facendo conoscere la nuova dottrina, mentre andavano, a tutti coloro che desideravano ascoltarla. Essi non tenevano incontri pubblici, non facevano discorsi impostati: la propaganda era solo a titolo di conversazione. La vita quotidiana di Gotama La maniera in cui Gotama trascorreva ogni giorno è più o meno la seguente. Si alzava molto presto, intorno alle 5. Se doveva rimanere nel posto in cui aveva dormito, rimaneva da solo fino all'ora di andare a fare il suo giro di elemosine nel villaggio vicino. Se doveva muoversi da un luogo ad un altro, una passeggiata dalle otto alle dieci miglia avrebbe occupato quel tempo. Era spesso invitato per il pasto del mattino, il pasto principale della giornata, in qualche casa. Altrimenti, prendeva la sua ciotola, e se ne andava di casa in casa, raccogliendo abbastanza per il pasto, che era sempre prima di mezzogiorno. Quando era invitato da qualcuno, egli avrebbe, dopo il pasto, reso grazie, come veniva detto, sotto forma di un discorso sui punti fondamentali della religione. Quando portava il suo pasto di nuovo al suo alloggio, questo ringraziamento avrebbe assunto la forma di un esortazione o di dialogo con i discepoli su qualcuna delle questioni più profonde della fede. La calura del giorno veniva superata con il riposo o la meditazione. Come il pomeriggio avanzava, sia il viaggio verso la tappa successiva fosse stato ripreso, sia che il soggiorno nello stesso luogo dovesse essere prolungato, si svolgeva un ricevimento informale sotto gli alberi. Sarebbe venuta gente dai villaggi vicini, portando regali di fiori, e uno dei visitatori, fosse un laico o un eremita di qualche altro Ordine, avrebbe fatto domande o iniziato una discussione, il resto in ascolto mentre erano seduti in circolo sull'erba sotto gli alberi. Con il tramonto l assemblea si sarebbe sciolta. Poi Gotama, se se ne fosse sentito incline, era solito prendere il bagno dopo di che avrebbe parlato con i discepoli, forse fino a tarda notte. Gli attuali metodi di pubblicazione - In un clima così regolare e caldo, la vita all'aria aperta non solo era possibile, ma gradevole, e in assenza di libri, biblioteche, o giornali, un tale metodo di istruzione e di propaganda era probabilmente il migliore. Chiunque avesse qualcosa da dire, non poteva sedersi nel suo studio, scrivere un libro, e pubblicarlo. Doveva raccogliere intorno a sé un numero di aderenti, seguaci, discepoli (chiamateli come desiderate), convincerli a capire, e imparare di cuore, le sue dottrine, e quindi inviarli nel mondo. Essi erano i suoi libri. La sua influenza personale su di loro, la loro adattabilità, serietà e intelligenza furono fattori altrettanto importante per il suo successo dell intrinseco valore e idoneità, per quei tempi, del suo stesso insegnamento. Era un metodo di pubblicazione che era stato 19

usato prima, e fu utilizzato, al tempo di Gotama, da altri oltre a lui. La necessità di adottare questo metodo fu anche una delle principali ragioni pratiche per l'istituzione di un Ordine. Senza l'ordine il nuovo insegnamento non avrebbe potuto né essere propagato tra la gente, né essere stato conservato per le generazioni future. Per 45 anni dopo il conseguimento del Nirvana, Gotama andò su e giù attraverso le pianure dell'india settentrionale e dei vicini altopiani del Nepal. Durante questo periodo ebbe tutto il tempo sia di elaborare il suo sistema in maniera completa, sia di istruire i discepoli nei dettagli. Essi sono davvero molto pochi e semplici. Alcune difficoltà che vi ritrovano gli studiosi europei sono collegate con la traduzione, in una lingua occidentale, di alcuni dei termini tecnici che venivano utilizzati. Non c'è niente dell elaborata minuzia caratteristica dei libri sacerdotali dell'esegesi rituale. La maggior parte dei primi termini tecnici buddhisti devono essere stati scelti e definiti durante la vita del maestro, ed è molto probabile che le parole reali dei brevi paragrafi in cui la maggior parte dei punti essenziali i Tre Segni, le Quattro Verità, i cinque impedimenti, l'ottuplice Sentiero, i costituenti dello stato di Arahat, e così via, siano anche stati fissati da lui. Gotama morì assai anziano e tenuto in grande stima da parte dei membri del clan, quando aveva ottanta anni, a Kusinara, un luogo non ancora identificato, ma probabilmente in Nepal. Dopo la cremazione, effettuata dal clan dei Malias, nel cui territorio si trova la città, si dice che le ceneri siano state suddivise in otto porzioni. Di queste, sei furono date ai sei clan dei dintorni, dei quali uno era il clan dei Sakiya, una fu data al re di Magadha, e una a un bramino vicino a Yethadipa. Si dice Stupa o tumuli siano stati messi su tutti e otto, ma solo uno di questi è stato ritrovato. Questo è quello costruito dai Sàkiya nella nuova Kapilavastu, ricostruita dopo la distruzione della città vecchia qualche anno prima della morte del Buddha, da Vidudubha, re di Kosala. Capitolo IV IL SENTIERO ARYA Le caratteristiche principali di questo sistema di credenze che si dice Gotama abbia in precedenza trasmesso, stando alle fonti più recenti, ai suoi cinque compagni a Benares, ci rivelano ciò che tali fonti ritengono più importante nel suo insegnamento. Potremmo anzi spingerci un po oltre. Non è molto probabile, dopo la lunga e minuziosa formazione che costoro ricevettero da lui, che i primi discepoli lo abbiano frainteso su una questione così essenziale. Vi sono chiare tracce, nei nostri recenti documenti, che attestano uno sviluppo delle concezioni dei discepoli per quanto riguarda la personalità del maestro, all interno della loro buddhologia. Tracce simili non sono finora riscontrabili in ciò che concerne lo sviluppo della dottrina originaria. La bilancia delle probabilità pende quindi a favore della 20