Presentazione. Ogni giorno ha il suo male. Nota dell autore. La storia che leggerete è totalmente immaginaria.



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Transcript:

Antonio Fusco

Ogni giorno ha il suo male Nota dell autore La storia che leggerete è totalmente immaginaria. I fatti narrati e i personaggi non sono mai esistiti. Nulla di ciò che è scritto in questo libro corrisponde a verità. Fotografia in copertina: Concept Photo/Shutterstock http://narrativa.giunti.it 2014 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 50139 Firenze Italia Via Borgogna 5 20122 Milano Italia ISBN 9788809801486 Prima edizione digitale: giugno 2014 Presentazione

Il libro Ogni giorno ha il suo male La sonnacchiosa provincia toscana di Valdenza è improvvisamente scossa dall omicidio di una donna che viene ritrovata in casa, in una posizione innaturale e con una fascetta stringicavo attorno al collo. Si pensa subito al movente passionale, ma all occhio esperto di Casabona, il commissario incaricato del caso, qualcosa fin da subito non quadra: troppi elementi diversi sulla scena del crimine, troppi particolari contrastanti. Schivo, ma con una forte carica umana, reso cinico da troppi anni di mestiere alle spalle, Casabona capisce ben presto che l omicidio è solo l inizio di un vortice di morte: un gioco molto pericoloso in cui le regole sono quelle stringenti e folli di un serial killer. E Casabona non può che accettare la sfida. «Chiediti perché e troverai il movente e se troverai il movente sarai vicino all assassino»: seguendo questa frase come un mantra e con l aiuto dell affascinante collega Cristina Belisario, Casabona cercherà di venirne a capo e per farlo sarà obbligato anche a una profonda riflessione sull impotenza dell essere umano rispetto alle conseguenze delle proprie azioni. Un romanzo da non perdere. Un commissario che non si dimentica. L'autore Antonio Fusco Antonio Fusco è nato nel 1964 a Napoli. Laureato in Giurisprudenza e Scienze delle Pubbliche amministrazioni, è Funzionario nella Polizia di Stato e Criminologo forense. Ha lavorato a Roma e a Napoli. Dal 2000 vive e lavora in Toscana, dove si occupa di indagini di polizia giudiziaria. Per altre notizie sull'autore: http://www.giunti.it/autori/antonio-fusco/ Dicono del libro: http://www.giunti.it/libri/narrativa/ogni-giorno-ha-il-suo-male/

Altri titoli in collana: http://www.giunti.it/editori/giunti/m/ A mia figlia Maria Chiara che mi ha accompagnato e sostenuto in questa avventura. KARMA Secondo la legge del Karma, tutto il bene e il male che facciamo avrà conseguenze buone o cattive su questa o sulle prossime vite. Perciò bisogna cercare di essere padroni delle proprie azioni, pur sapendo che non riusciremo mai a controllarne fino in fondo gli esiti. Ciò che facciamo si allontana da noi e finisce per non appartenerci più, però sopravvive negli effetti che ha generato. Ogni nostro comportamento è come una palla lanciata su un tavolo da biliardo, che scontrandosi con le altre, ne modifica inevitabilmente la traiettoria. Così, a volte, restiamo sorpresi e smarriti quando ci capita di constatare quello che è accaduto solo perché abbiamo fatto una cosa piuttosto che un altra. PROLOGO Il primo colpo arrivò alla nuca, violento e inaspettato. Lo lasciò stordito. Fu assestato con un pesante sgabello dalle gambe di ferro e la seduta di legno. Era lì perché lo usavano i detenuti per sedersi quando volevano lavarsi i piedi. Il ragazzo cadde in avanti sbattendo il naso e i denti dell arcata superiore sul bordo del grande lavabo. Poi scivolò per terra in ginocchio. Era appena uscito dalla doccia. Tirarono via l asciugamano bianco che si stava inzuppando di sangue. Glielo arrotolarono intorno alla faccia affinché non vedesse e le sue grida di dolore non arrivassero sino al gabbiotto delle guardie. Ripresero a colpirlo. Con lo stesso sgabello, con calci e con pugni.

Lo picchiavano in silenzio, per non farsi sentire, e gli sputavano addosso. Si dibatteva per terra inutilmente, con sempre meno forza. Finché le sue urla, attenuate dall asciugamano, diventarono un debole lamento. Piangeva come un bambino. Uno di loro prese una scopa dal carrello delle pulizie. Gli altri capirono. In due gli tennero aperte le gambe finché il manico entrò nell ano, scomparendo per almeno mezzo metro. Lo mossero avanti e indietro un paio di volte. Poi andarono tutti via. In silenzio come erano arrivati. Il suo corpo, ormai inerme, giaceva in mezzo allo stanzone. Coperto alla vista solo dal vapore delle docce, lasciate volutamente aperte. Quando lo trovarono lo portarono subito in ospedale. Fu inutile. Morì una settimana dopo senza mai riprendere conoscenza. Ecco come andarono le cose. Dimenticare? Perché? Il ricordo deve restare vivo, come la mia maledizione. PRIMO PICCOLO TORTO Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo. Non dare all acqua un uscita né libertà di parlare a una donna malvagia. 1 (La Bibbia, Siracide, 25, vv. 24 e 25)

L uomo era seduto sul bordo del letto, calmo e indifferente. Con pazienza aspettava solo che la donna morisse. Non gli procurava particolare piacere assistere a quella scena, né disagio. Era una cosa che doveva essere fatta. Tutto qui. L ambiente intorno appariva asettico. Ordinato ed essenziale, come le foto delle case allestite per i cataloghi di arredamento. Del resto era un luogo d appoggio, poco più di una camera d albergo. L assoluta mancanza di un vissuto lo rendeva incapace di suscitare emozioni e ne aumentava la freddezza. Così il corpo di quella povera donna concentrava su di sé tutta la dimensione tragica della morte. L orrore diventava ancora più evidente, come una macchia di colore in una foto in bianco e nero. Quando ebbe la certezza del trapasso, tirò fuori dalla tasca della giacca una piccola macchina fotografica, si alzò e le scattò alcune foto. Mentre sistemava il corpo così come doveva stare, strappò un lembo di stoffa dall interno degli slip e se lo mise nella tasca dei pantaloni. Poi prese una bottiglietta di plastica dal comodino e ne versò il contenuto sul volto e sulle mani della ragazza. Il braccio sinistro di lei ebbe un sussulto. Per un attimo si irrigidì. Poi, dopo due, tre fremiti sempre più lievi, si acquietò. Mentre nell aria si diffondeva l odore di carne bruciata, l uomo raccolse in un sacchetto di plastica gli abiti, le scarpe e la borsa della donna e ritornò in cucina senza nemmeno voltarsi a guardare. Indossò il cappotto che aveva lasciato sul divano e alzò il bavero, aumentò il volume della radio al massimo, uscì dall appartamento e chiuse a doppia mandata la porta dietro di sé. Fuori pioveva. Il vento piegava le punte dei cipressi ai lati della strada e la pioggia sbatteva sulle finestre delle case. A ogni folata di vento, una piccola campana appesa davanti al portone batteva un tocco greve. L uomo si avvicinò a un vaso di gerani, lo sollevò e ripose sotto la chiave.

Prima di incamminarsi sputò nel terriccio con disgusto. Come a liberarsi dell anima che aveva appena masticato. Poi si perse nel buio, interrotto di tanto in tanto dai fari delle poche macchine che passavano. Finché non scomparve del tutto, inghiottito dalla notte e dall acqua che veniva giù. Il decesso era avvenuto poche ore prima, eppure il puzzo di morte aveva già impregnato la piccola casa. Un odore sottile, acre, determinato dall essenza di ammoniaca nell urina e dal rilascio degli altri liquidi organici durante le fasi del trapasso. Un odore che non ti si stacca di dosso una volta che ne vieni a contatto. 2 All inizio, quando torni a casa, ti illudi di poterlo mandare via con un bucato e una lunga doccia. Ma non è così. È un odore che ti entra nelle narici, risale nella testa e ci rimane. Non c è lavaggio che tenga, deve andarsene da solo. Nel giusto tempo. Deve essere dimenticato. È l odore della morte fresca, che ancora vibra nell aria. Non c entra niente con quello di un cadavere in decomposizione: l odore della carcassa di un animale morto, di un cane, per esempio. Che è disgustoso, intenso, ma non ti si appiccica addosso. Un buon investigatore, uno di esperienza, coglie subito la differenza. Intuisce i tempi del decesso prima ancora di trovarsi davanti alla vittima. Il commissario Casabona di mestiere alle spalle ne aveva tanto. Quando entrò nella casa, dall odore aveva già capito che qualsiasi cosa fosse successa, era successa da poco. Calzava i copriscarpe bianchi che gli avevano dato all ingresso e si muoveva lentamente, facendo attenzione a dove metteva i piedi. In alcuni tratti, per evitare le zone segnate dai cartellini numerati della Scientifica, procedeva spostandosi di lato e poi in avanti, come stesse ripetendo i passi di un liscio. Era ancora infagottato nel giaccone grigio fumo, che nel breve tragitto dalla macchina all appartamento si era inzuppato di pioggia e ora sapeva di umido.

Osservava con cura l ambiente intorno a sé. Dal generale al particolare, da destra verso sinistra e dal basso verso l alto, secondo tecniche di sopralluogo vecchie di cent anni. La prima pattuglia della polizia arrivata sul posto aveva trovato porta e finestre chiuse, che non mostravano segni di effrazione. Ne dedusse che chi era entrato, o si era fatto aprire dalla vittima, oppure aveva la chiave. L appartamento era al piano terra, all interno di una palazzina a due piani. Aveva una porta marrone, con lo spioncino e una solida serratura di sicurezza. Di quelle con le sbarre che entrano nei muri e nel pavimento. Dall ingresso, si accedeva a una sala con l angolo cottura, come si usa nei bilocali. Sulla destra, nel poco spazio che rimaneva, c era il divano a due posti, di stoffa blu con tre cuscini verdi, due ai lati e uno al centro. In mezzo alla stanza un tavolo rotondo di legno massiccio con quattro sedie impagliate. Su un lato del tavolo spiccava un vassoio per la frutta, in ceramica colorata. Vuoto. Una delle quattro sedie era stata spostata. Ne aveva approfittato il medico della Croce Rossa, un giovane con l aria smarrita e pochi capelli che aveva inforcato gli occhiali e stava riempiendo dei moduli appoggiandosi al tavolo. Probabilmente era stato lui a spostare il vassoio, per avere più spazio. Come se si trovasse a casa propria o in ambulatorio e non nel mezzo della scena di un crimine, dove ogni cosa deve essere lasciata così com è. Distrattamente farfugliò un «buonasera» al commissario, senza nemmeno alzare la testa. Era a disagio in quella situazione e aveva fretta di andarsene. Casabona, indispettito per tanta superficialità, non gli rispose. Il lavello era vuoto. Nessun piatto, né pulito né sporco, nessun bicchiere, niente che suggerisse gesti o fatti avvenuti; che testimoniasse la presenza di persone. Sul frigorifero c era la radio, grande e nera. Adesso era spenta ma era stata lei a richiamare l attenzione della signora del piano di sopra. Furiosa e stanca della musica assordante, aveva chiamato la polizia. I mobili erano pochi ed essenziali, tipici delle cucine, a parte due piccole credenze, chiuse anche quelle. Il commissario imboccò un corridoio: a sinistra c era il bagno, in fondo la camera da letto.

Nel corridoio, poco prima della camera da letto, sul lato destro, sotto un piccolo attaccapanni di legno avvitato al muro, c era un paio di scarpe da donna. Erano di vernice nera, aperte davanti e con il tacco a spillo. Le scarpe non erano state sistemate con cura. Non erano allineate o orientate in una particolare direzione. Non erano nemmeno state buttate lì a casaccio. Era evidente che chi le calzava se le era tolte proprio dove voleva togliersele ma non le aveva sistemate in modo preciso. Forse perché non voleva perdere tempo, visto che sapeva che di lì a poco se le sarebbe rimesse. Rifletté su un fatto: era piovuto molto in quei giorni e le strade erano sporche di fango. Sparse sul pavimento di sicuro c erano anche le impronte delle scarpe dell assassino. Che andavano inevitabilmente a confondersi con le impronte di chi ora si aggirava per casa. Tante impronte, nessuna impronta, pensò Casabona scuotendo la testa. Il cadavere della donna si trovava in camera da letto. Disteso supino tra il letto e l armadio. La si poteva vedere anche dal corridoio. Era nuda, tranne le mutandine a triangolo e un paio di calze nere autoreggenti. Aveva le gambe aperte rivolte verso la porta con le ginocchia alzate. Nella più classica delle posizioni in cui una donna si offre al suo amante per poterlo attrarre a sé. Il volto era corroso e a tratti si potevano vedere le ossa del cranio e del viso. Le labbra non c erano più e i denti erano scoperti. Brillavano al flash del fotografo della Scientifica. A ogni scatto si accendeva un sorriso beffardo. Anche le mani aperte, distese lungo i fianchi, erano erose, specialmente la punta delle dita. Una fascetta stringicavo nera, di quelle usate dagli elettricisti, le serrava il collo. Gonfio e violaceo. L appartamento era in ordine. Non vi erano segni di colluttazione e anche il letto non era disfatto, solo un piccolo avvallamento faceva intuire che una persona probabilmente si era seduta in quel punto. Casabona si affacciò nella stanza, senza entrare, per non essere d intralcio agli uomini della Scientifica che stavano ultimando i rilievi. Tutti parlavano sottovoce e solo se era necessario.

Il dottor Samuele Pagnini, il medico legale che stava operando un primo esame esterno del cadavere, appena si accorse della sua presenza si alzò e gli andò incontro. «Ciao Tommaso, benarrivato. Vieni che ti aggiorno.» Era un omone con un paio di baffi neri appiccicati in mezzo al viso tondo e paffuto. Ricordava quei nobili spagnoli che avevano colonizzato l America latina. Per via della pancia prominente aveva fatto una certa fatica a tirarsi su. Riprese fiato e continuò: «La morte è recente, risale a non più di dodici ore fa. Morte da strangolamento, come testimonia la presenza della fascetta stringicavo intorno al collo della vittima, ma di questo potrò essere certo soltanto dopo l autopsia. Qualcuno si è seduto sul letto, forse a osservare questa povera ragazza mentre si dibatteva e lentamente moriva. Poi gli è stato gettato dell acido sul volto e sui polpastrelli.» «Ma è morta in questa posizione? Così? Con le gambe aperte?» chiese il commissario. «Non credo proprio. La posizione del corpo non è naturale. È evidente che è stata sistemata in questo modo dopo il decesso e prima di essere cosparsa con l acido. Anzi, vedi? Perché le ginocchia rimanessero alzate le ha legato le caviglie con questo laccio che poi ha assicurato al piede del letto. Non mi chiedere per quale motivo l assassino l abbia fatto, perché non ne ho la minima idea. Forse voleva farcela trovare in bella mostra appena entrati. Questo è quello che ti posso dire ora, Tommaso.» «Almeno le ha lasciato le mutandine addosso. Nonostante tutto ha avuto un minimo di decenza» aggiunse Casabona mentre si abbassava per vedere meglio la sottile corda che stringeva le caviglie della donna. Poi ringraziò il suo vecchio amico Samuele e si rivolse all ispettore Trimboli, il responsabile della Scientifica. «Avete visto se è stato portato via qualcosa dalla casa? I cassetti sono stati rovistati?» «No dottore. È tutto in ordine. I cassetti, l armadio e gli altri mobili non sono stati nemmeno aperti. Però non abbiamo trovato gli oggetti personali della vittima. Mancano la borsa, i documenti, il denaro, il telefonino. Insomma, non c è nulla di quello che normalmente una donna porta con sé.»

Questo complicava la situazione. In assenza del telefonino non si poteva partire subito con la ricostruzione dei rapporti personali della vittima. Ma non era questa la cosa peggiore, perché il numero del telefono cellulare si sarebbe potuto facilmente recuperare dai familiari o dalla padrona di casa. La mancanza della borsa che conteneva gli oggetti personali introduceva, tra i possibili moventi, anche quello della rapina. Il movente è fondamentale. Se c è una cosa che collega la vittima all assassino è il movente. È come un sentiero sconnesso che conduce l investigatore verso la soluzione del caso. Se percorso nella direzione giusta. Chiediti perché e troverai il movente. E se troverai il movente sarai vicino all assassino. Questo, Casabona lo sapeva bene. Il problema è che non sempre è facile trovare la risposta. A volte si nasconde dietro verità solo apparenti. Proprio come in questo caso, forse. La donna nuda in camera da letto, in quella posizione e con il viso deturpato faceva subito pensare a un movente passionale. Ma la borsa, se portata via da chi aveva commesso l omicidio, introduceva anche il movente economico. E che dire dell acido sulle dita e sul volto, che non c entrava nulla con nessuno dei due moventi? C erano abbastanza elementi per far intuire a Casabona che la faccenda era rognosa e che i giorni a seguire non sarebbero stati facili. Nella casa c era anche il suo collega Stefano Bignardi, il dirigente del commissariato distaccato di pubblica sicurezza di Vettolini. Vettolini era una cittadina molto conosciuta anche fuori dalla provincia di Valdenza, che viveva di turismo e di accoglienza. Negli ultimi tempi la vitalità del suo territorio aveva attratto anche qualche fenomeno criminale, legato al mondo della prostituzione e della droga, che mal si conciliava con la bellezza e la signorilità dei palazzi, delle strade, dei parchi. Ogni tanto si verificavano fatti che stonavano con la classe dell ambiente e i fasti del passato. Per lo più conseguenza di attività illecite gestite da malviventi stranieri che si erano insediati nella città, fino a diventare un cancro difficile da estirpare. Come era avvenuto quella sera. Bignardi aveva la stessa età di Casabona, ma era un tipo completamente diverso. Sempre elegante, abbronzato anche in inverno, viveva nel culto della propria

immagine. Si considerava bello e forse lo era davvero. Attento nel gestire le pubbliche relazioni e ambizioso nella misura in cui deve esserlo un funzionario di polizia che vuole fare carriera. I due non si amavano, anzi qualche volta avevano anche litigato pesantemente. Ma non per cose personali. Il loro rapporto era la naturale conseguenza del gioco delle parti che interpretavano. Il dirigente di un commissariato soffre perché, quando avviene qualcosa di veramente importante nel suo territorio, qualcosa che potrebbe dargli soddisfazione e visibilità, è costretto a far intervenire la Mobile che finisce per rubargli la scena. Al massimo ci scappa qualche ringraziamento per la fattiva collaborazione. Il capo della Mobile, invece, si irrita perché il dirigente del commissariato, proprio per avere la possibilità di portare a casa un risultato prestigioso in proprio, finché può tende a nascondergli informazioni importanti. «Allora Stefano? Che mi dici di questa storia?» chiese Casabona mentre continuava a guardarsi intorno. «Verso la mezzanotte abbiamo ricevuto una chiamata al 113 dalla proprietaria dell appartamento, la signora Scardigli, una professoressa d inglese in pensione che abita al piano di sopra. Si lamentava della musica ad alto volume che proveniva dall appartamento di sotto e che non la faceva dormire. È arrivata la volante e ha provato a bussare. Dato che gli agenti non ottenevano risposta e la porta e le finestre erano chiuse, hanno chiamato i Vigili del fuoco per fare aprire una delle finestre. Quando sono entrati hanno visto una donna seminuda a terra in camera da letto e hanno chiamato anche il 118 che, in seguito, ha constatato il decesso.» «Perfetto. Quindi, se va bene, sono già entrate almeno una decina di persone qui dentro. La Scientifica potevamo anche fare a meno di chiamarla.» «Be, ti stupisci? Non è mica una novità, lo sai che alla fine è sempre così, altro che quelle cazzate che si vedono nei telefilm americani» aggiunse Bignardi. «La signora Scardigli era sola?» «Sì vive sola, è vedova e si mantiene con la pensione e qualche ripetizione d inglese, oltre che con l affitto dei locali dove è stato rinvenuto il cadavere.»

«E chi è la vittima?» tagliò corto Casabona. «Dovrebbe essere l inquilina dell appartamento. Un insegnante delle elementari, Giuseppina Pagani di ventotto anni. Proveniente dalla provincia di Avellino, aveva ottenuto una supplenza annuale alla scuola elementare di Vettolini e aveva preso in affitto la casa dall inizio dell anno scolastico. Da settembre di quest anno.» «Ma questa signora Scardigli ti ha detto qualche altra cosa?» domandò guardandolo dritto negli occhi. «Questo mi ha detto. Che altro mi doveva dire, Casabona?» «Qualcosa su questa signorina. Se aveva un fidanzato, se frequentava qualcuno, che tipo di vita faceva. Cose di questo tipo qui. Non è che poi vien fuori che te l aveva detto e ti sei dimenticato di riferirmelo? Lo sai che il magistrato la prende male e il questore si incazza come una bestia.» «Tommaso, tu lo sai che sono una persona corretta. Io ti ho dato tutte le notizie che avevo. Se vuoi, mandaci anche qualcuno dei tuoi a parlare con la signora Scardigli.» «Certo che ce lo mando, quanto alla correttezza, lasciamo perdere che è meglio.» Uscì dalla casa. Sul pianerottolo lo attendeva l ispettore Lucchese, il suo vice alla squadra mobile. Gli disse di andare a parlare con la signora del piano di sopra per farsi dare il numero di telefono della sua inquilina. Così si poteva subito avviare la richiesta dei tabulati. Diede anche disposizione di far controllare i cassonetti della spazzatura nei pressi della casa, per vedere se vi fossero gli effetti personali della donna oppure il contenitore vuoto dell acido, e di mandare qualcuno a sentire gli altri vicini. Poi andò incontro al questore e al magistrato che erano appena arrivati e stavano scendendo dall auto. L ispettore Lucchese aveva già provveduto a chiamare tutto il personale disponibile. 3

Lo schema ormai era collaudato. Come quello di una squadra di calcio che gioca insieme da tanti anni: ogni calciatore conosce il suo ruolo e il tipo di gioco che deve fare. Quando ci si deve occupare di un omicidio servono più persone possibili. Perché ci sono tante cose da fare e si devono fare in fretta. Il tempo è fondamentale. Il tempo gioca a favore dell assassino. Più ne ha a disposizione e meglio può far sparire le tracce, crearsi un alibi o, semplicemente, scappare lontano. Il tempo offusca i ricordi dei testimoni o li fa ragionare e aver paura. Il tempo è anche un insidia per l investigatore, che quando lo sente sfuggire diventa nervoso, affretta le cose, le fa in un modo più superficiale e finisce per compromettere e inquinare le prove. Insieme al questore e al magistrato erano arrivati anche i giornalisti, con fotografi al seguito e qualche telecamera. Ebbe inizio quella fase che Casabona considerava tempo perso. Bisognava raccontare più volte ciò che era successo e ascoltare con finto interesse le varie tesi investigative che emergevano via via che i superiori arrivavano sul posto. Tutto intorno iniziavano ad accalcarsi anche i curiosi. I curiosi: una vera e propria categoria sociale, una corporazione, che aveva suoi rappresentanti ovunque. Dimenticando di esserlo stato anche lui in passato, Casabona li odiava. Gente pronta a uscire di casa in una nottata fredda e piovosa come quella solo per vedere che succede. E disposta a rimanerci fino all alba. È quella curiosità morbosa che da sempre accompagna la morte. Il mistero dei misteri. Anche lui da ragazzino andava a spiare di nascosto la sala mortuaria del piccolo ospedale della sua città. Insieme agli amici si affacciava a una finestrella che dava sul cortile interno, al livello del piano stradale. Una volta avevano intravisto la sagoma di una persona adagiata su un tavolo di marmo. Era immobile. Coperta da un lenzuolo bianco, sporco di sangue all altezza di quella che doveva essere la testa. Ne rimasero sconvolti. Per giorni divenne l argomento principale delle loro conversazioni. La causa di paure nuove e di incubi notturni.

Ma quelle persone che guardavano da sotto gli ombrelli nella notte non erano ragazzini. Ne avevano sicuramente già visti di cadaveri. E allora, si chiedeva Casabona, perché continuano a stare lì? Vogliono vedere bene che effetto fa per essere preparati quando arriverà il loro momento? Domande alle quali non sapeva darsi una risposta. Lui aveva deciso già da un bel po di averne visti abbastanza. Se non gli toccava per lavoro, faceva di tutto per evitarli. Qualche volta gli era capitato di procedere in auto a passo d uomo, incolonnato a causa di un incidente stradale. Quando arrivava nei pressi, si faceva il segno della croce e si voltava dall altro lato, recitando a mente l eterno riposo che gli avevano insegnato al catechismo ai tempi della prima comunione. Verso le quattro del mattino erano andati via tutti. Tra gli ultimi a lasciare la palazzina era stata, come sempre, la vittima. Impacchettata e portata all obitorio dalla polizia mortuaria. Erano andati via il questore e il magistrato, non senza fare pressioni affinché il caso fosse risolto nel più breve tempo possibile. Era andato via il medico legale, riservandosi di comunicare il referto dell autopsia. Era andata via la Scientifica, riservandosi di trasmettere l esito dei rilievi, e così i vigili del fuoco e l ambulanza. Anche il dirigente del commissariato di Vettolini era andato via, salutando Casabona con un sarcastico «buonanotte Tommaso» a cui era seguito un «vaffanculo» di risposta. Alla fine, anche i curiosi si erano ritirati nelle loro abitazioni, avendo acquisito abbastanza informazioni da poter tener banco nei giorni a seguire, nei bar, nei circolini, dal parrucchiere. L appartamento doveva essere sequestrato con l apposizione dei sigilli. Casabona disse ai suoi di aspettare ancora un po. Entrò di nuovo e chiese di rimanere da solo. Chiuse la porta dietro di sé. Si avvicinò alla camera da letto e si piegò sulle gambe con le braccia appoggiate sulle ginocchia. 4

Restò per qualche minuto in quella posizione. Sullo stipite della porta, fermo e con gli occhi chiusi. Senza pensare a nulla di particolare, solo per assorbire la dimensione tragica di ciò che era avvenuto tra quelle mura. Qualche anno prima aveva visto un programma in tv che spiegava come in molte culture e religioni si ritiene che l essenza di un essere umano continui a esistere dopo la morte. In alcune case erano stati registrati strani accadimenti che erano associati proprio agli eventi violenti o tragici avvenuti al loro interno, come omicidi, morti accidentali o suicidi. Casabona era rimasto affascinato da quelle idee e in cuor suo credeva avessero un fondamento di verità. Certo, non sono teorie scientifiche. Ma quante cose la razionalità non riesce a spiegare eppure esistono? pensava. Tutto ciò che ha a che fare con la morte è di per sé misterioso. Sono argomenti difficili. Non se ne parla volentieri. Si tende a sorvolare per esorcizzare la paura dell ignoto, ma alcuni aspetti rimangono inspiegabili. Che si voglia chiamare anima, spirito, essenza o con qualsiasi altro nome, quando la vita se ne va porta con sé qualcosa senza cui l uomo diventa solo un ammasso di carne e ossa. Una salma, appunto. Casabona aveva approfondito l argomento: un medico americano era arrivato alla conclusione che l anima pesasse ventuno grammi mentre uno scienziato russo era convinto di poterla fotografare con una macchina speciale. Diceva di poter impressionare su una pellicola l aura, l energia che emanano e assorbono gli esseri umani. Quella che lo aveva affascinato di più era la teoria di un altro scienziato russo, Konstantin Korotkov, che sosteneva che la parte spirituale dell uomo, al momento della morte, rimane ancora qualche tempo intorno al corpo. Utilizzando un computer e un rilevatore di flussi luminosi, Korotkov aveva fotografato le oscillazioni fosforescenti del campo elettromagnetico intorno al corpo di un morto, che permangono per un periodo fra le otto e le quarantott ore, a seconda del tipo di decesso. Le misurazioni sui cadaveri avrebbero dimostrato che il campo aurico cambia tra chi muore serenamente e chi per violenza. Perciò lo

scienziato si era convinto che il corpo di un defunto trasmettesse informazioni che rimandavano agli ultimi istanti della vita. Se Casabona avesse detto ai suoi uomini che voleva restare qualche minuto da solo all interno dell appartamento perché il cadavere della donna gli doveva dire qualcosa, probabilmente avrebbero richiamato l ambulanza. Lui aveva solo bisogno di assimilare l essenza del dramma che pervadeva quella stanza. Cogliere le sensazioni che ancora erano nell aria. Immaginare come poteva essere andata. I movimenti, le urla d implorazione della vittima, il dolore. L orrore. Lasciarsi suggestionare da quell atmosfera di morte. Diventarne parte per provare a ricostruire la scena come uno spettatore in colpevole ritardo. L appartamento fu chiuso e sigillato. Casabona entrò in auto insieme all ispettore Lucchese per far ritorno in ufficio. 5 «Massimo, andiamo. Ora che è finita la passerella tocca a noi sbrogliare la matassa e temo che non sarà facile.» L Alfa 156 nera partì per far ritorno in questura. Un agente della volante, inzuppato d acqua nonostante il berretto e la mantellina impermeabile, sollevò il nastro bianco e rosso che era stato apposto per delimitare la scena del crimine. L auto vi passò sotto e si allontanò. «Ogni volta che vedo il nastro mi viene in mente il motivo per il quale ho voluto fare questo lavoro. Te l ho mai detto Massimo perché ho deciso di entrare in polizia?» chiese Casabona. Senza attendere la risposta, continuò: «Ero ancora un ragazzo, avevo quattordici o quindici anni. Vivevo in un piccolo paese vicino Napoli, a quell epoca già martoriato da una delle tante guerre di camorra che si sono succedute nel tempo. Giocavo a pallone con gli amici, in un parcheggio che era diventato il nostro campo di calcio, quando venimmo a sapere che in una strada limitrofa era successo qualcosa di grave. Presi dalla curiosità, interrompemmo la partita e raggiungemmo la strada dove davanti a delle transenne si era accalcata tanta gente.

«La strada era stata chiusa da polizia e carabinieri che vigilavano affinché nessuno si avvicinasse al negozio di parrucchiere che si trovava circa cento metri più avanti. Ci volle poco per farci raccontare cosa era accaduto. Nella vicina stazione dei carabinieri era alloggiato in gran segreto un pentito di camorra, per sua protezione. Nella mattinata gli avevano ucciso il padre per una vendetta trasversale. Preso dalla rabbia, il pentito si era impossessato della pistola di un carabiniere ed era fuggito, con il proposito di andarlo a vendicare. «Non aveva fatto che qualche centinaio di metri quando era stato intercettato dalle pattuglie che lo stavano inseguendo. Allora aveva trovato riparo nel negozio di parrucchiere, prendendo in ostaggio il personale e alcune clienti. «Da lì era iniziata un estenuante trattativa con un maresciallo dei carabinieri che comunicava con lui attraverso la vetrata. «Ricordo il sottufficiale appoggiato al muro che parlava da solo in direzione dell ingresso del negozio. C erano anche due tiratori scelti appostati sul tetto del palazzo di fronte. Mentre osservavo questa scena, vidi sbucare alle mie spalle due uomini in borghese davanti ai quali le transenne si spalancarono. «Avevano i distintivi bene in vista e si notava il calcio delle pistole che spuntava da sotto le giacche. «Prego dottore, venga, l accompagno disse uno dei poliziotti che fino a un attimo prima reggeva le transenne sotto la spinta dei curiosi. I due, senza particolare agitazione o entusiasmo, passarono oltre e raggiunsero il resto della squadra che li stava aspettando. «Rimasi folgorato da quella scena. Provai un sentimento di stima e ammirazione misto a invidia nei confronti di quegli uomini, che ai miei occhi erano come le star del cinema, i protagonisti principali del film che stava andando in onda. «Fu quello il momento in cui dissi a me stesso che da grande sarei diventato come loro. «Oggi sotto quel nastro ci passo anch io, perché ci devo passare. Senza particolare entusiasmo. Ormai conosco troppo bene quello che c è dall altra parte, e non mi piace per niente. Non ci trovo più nulla di emozionante nell andare incontro al male. «Sai che ti dico Massimo? Noi possiamo anche dividere l umanità in quelli che passano la striscia bianca e rossa e quelli a cui non è consentito farlo. Stanotte io

invidio tutte le persone che non sono state fatte passare e che sono potute tornare a casa a dormire. Senza portarsi addosso questo puzzo di morte. «Tutto quello che viviamo, noi che passiamo al di là del nastro, ce lo portiamo dietro: ombre che si muovono con gambe proprie. Incubi pronti a riemergere a ogni occasione propizia. «Questa è la peggiore condanna per chi passa quella linea, Massimo. Di questo lavoro che ci siamo scelti: vedere il mondo attraverso la lente deformante del male che buttiamo giù, senza mai riuscire a digerirlo veramente. «Poi una sera tua moglie o tua figlia rientrano a casa più tardi del solito, e i ricordi delle donne uccise per rapina, o per vendetta o di quelle stuprate e lasciate sul ciglio di una strada, viste nel corso degli anni, riprendono a sfilarti davanti. Per niente sfocati o ingialliti. «E con loro si accompagna la paura. Che non ci abbandona mai». Si fermò per qualche secondo. Come a riflettere ancora su quello che aveva detto. Poi riprese, cambiando tono. «Comunque, è inutile stare qui a rimuginarci sopra. Andiamo oltre. Facciamo il punto della situazione. Sei riuscito a parlare con la professoressa Scardigli, la padrona di casa?» «Dottore, per la verità il problema non è stato farla parlare ma farla smettere una volta che aveva iniziato. Cosa vuole sapere? Come è morto il marito? Dove lavora il suo unico figlio e perché ha divorziato dalla moglie?» «Beato te che in una nottata come questa hai ancora voglia di fare dello spirito» tagliò corto Casabona. «Voglio sapere solo se avete trovato il numero di cellulare della vittima e qualche altra notizia utile sulle sue frequentazioni. Il resto non mi interessa.» «Il numero ce l abbiamo ed è già partita la richiesta dei tabulati. Per quanto riguarda le frequentazioni della vittima, la signora Scardigli mi ha detto che lei è una che non s impiccia e si fa gli affari suoi però, qualche volta in modo del tutto casuale, le è capitato di vedere attraverso le persiane un uomo che entrava nel portoncino per andare dalla signorina Pagani. A volte senza neanche suonare il campanello, come se la porta fosse aperta o avesse la chiave.» «Ti ha detto come era fatto quest uomo? Età, altezza ecc.?»

«Di più! Mi ha detto nome e cognome. Si dovrebbe trattare di un certo professor Lorenzo Foschi, il direttore della scuola elementare dove insegnava la Pagani. Solo che, siccome questo Foschi è sposato e ha circa cinquant anni, la signora Scardigli non si capacita che possa essere veramente lui. Anche se l auto che parcheggiava dall altro lato della strada era proprio la sua.» «Va bene! Ho capito, andiamo a prendere questo professor Foschi.» «Già fatto dottore, ho mandato una pattuglia a prenderlo a casa con la scusa che era scattato l allarme della scuola e doveva venire a fare un sopralluogo insieme a noi. Ora dovrebbe già stare in questura.» «Benissimo. E gli altri vicini, i cassonetti?» «Tutto negativo. I pochi vicini che ci hanno aperto non hanno sentito né visto nulla di strano. Poi domani, di giorno, rifacciamo il giro. I cassonetti li abbiamo sequestrati, ma a prima vista non c è nulla di sospetto.» Non aveva smesso un secondo di piovere. Stavano percorrendo il pezzo di strada tra le colline che collega Vettolini a Valdenza, dove ha sede la questura, quando all improvviso gli si parò davanti un capriolo che rimase immobile al centro della strada, come ipnotizzato dai fari dell auto. Lucchese riuscì a evitarlo per un pelo, avendo anche l accortezza di non frenare. Con l asfalto reso viscido dalla pioggia sarebbero di certo finiti fuori strada. Forse a causa della stanchezza e dei riflessi appannati, il commissario non si era scomposto più di tanto. Però era rimasto colpito dagli occhi impauriti dell animale piantato in mezzo alla strada. Occhi che si erano accesi del riflesso dei fari. Erano quelli di una preda in completa balìa del suo predatore, che sa di non avere scampo perché il proprio destino non è più nelle sue mani. Era lo stesso sguardo che di lì a poco avrebbe rivisto, stampato sul volto di Lorenzo Foschi. Casabona non provava nemmeno a negarlo a se stesso. Questa cosa gli piaceva. Avere davanti a sé un probabile assassino che cerca di sfuggire alla condanna gli faceva scattare l istinto del predatore. Doveva fiaccarne ogni resistenza, inseguirlo nel tentativo di fuga dalle sue responsabilità, piantargli i fari della verità negli occhi per stordirlo e costringerlo alla più esaltante delle rese: la confessione.

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