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ttl 7 66 I 14 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano La Corte suprema di cassazione oggetto Prima sezione civile composta dagli Ill.mi Signori Magistrati: canoni concessori di specchio d'acqua da dr. Giuseppe Salmé Presidente usare come darsena. dr. Aldo Ceccherini Consigliere R.G. n. 22346/08 dr. Fabrizio Forte Consigliere rel. dr. Luigi Macioce Consigliere Cron. Ctldr. Stefano Benini Consigliere Rep. 9 63 ha pronunciato la seguente: Ud. 08.01.2014 SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 22346 del Ruolo Generale degli affari civili dell'anno 2008, proposto: DA ASSOCIAZIONE PESCA DARSENA SAN CARLO, con sede in Gaeta, in persona del presidente legale rappresentante p.t. Pasquale Nardone, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Cola di Rienzo n. 163, scala C, presso l'avv. Giuseppe Frataccia con l'avv. Alfredo Zaza d'aulisio, che la rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso notificato a mezzo posta il 19 settembre 2008. CONTRO RICORRENTE

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri in carica, per legge domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, presso l'avvocatura Generale dello Stato. CONTRORI CORRENTE avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, I sez. civ., n. 3253/07 del 4-23 luglio 2007. Udita la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte e sentito l'avv. Zaza D'Aulisio, per la ricorrente, e il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dr. Lucio Capasso, che conclude per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 6 marzo 2000, l'associazione Pesca Darsena San Carlo del porto di Gaeta, titolare di concessione della Capitaneria per l'uso di uno specchio d'acqua nel porto, di mq. 13.000, adibito a darsena per l'ormeggio di natanti da pesca e da diporto dei propri associati, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell'economia e delle Finanze, perché fosse accertato e dichiarato il suo diritto all'applicazione di un canone meramente ricognitorio della natura demaniale del bene in 2

quello ordinario ai sensi dell'art. 3, l comma, lett. i del D.L. 5 ottobre 1993 n. 400, convertito nella legge 4 dicembre 1993 n. 494, in luogo di quest'ultimo. La stessa Associazione, dedotto di non svolgere attività commerciale e/o di impresa e di non perseguire fini di lucro, sostenendosi solo con le quote versate dai soci e non ritraendo dalla concessione alcuna utilità economica, domandava, con il rinnovo della concessione per il quadriennio 1998-2001, l'applicazione del canone nella misura ridotta già indicata, perseguendo solo fini di pubblico interesse ai sensi dell'art. 39, coma 2, cod. nav. e dell'art. 37 Reg. cod. nav. mar. D.P.R. 15 febbraio 1952 n. 328, norma quest'ultima che qualifica concessioni con detti fini pubblici quelle nelle quali il concessionario non ricava dai beni demaniali alcun lucro o provento. L'Associazione afferma che la Capitaneria aveva preteso invece i normali canoni concessori per attività turistiche commerciali, ridotti del 50% invece che a 1/10 degli stessi, e chiedeva al Tribunale di Roma di accertare il suo diritto a detta riduzione. Il Tribunale adito rigettava la domanda e condannava l'attrice alle spese, con sentenza n. 31349 del 2002, pur riconoscendo che l'associazione non svolgeva attività con 3

finalità di lucro, ma escludendo contestualmente che essa agisse per fini di pubblico interesse. La odierna ricorrente proponeva appello contro la sentenza del Tribunale che, qualificando "proventi" le quote dei singoli associati di 100.000 annue, aveva escluso le finalità di pubblico interesse dell'associazione e condannava questa pure alle spese di causa. Con il gravame l'associazione insisteva per raccoglimento della sua domanda di riduzione del canone rigettata in primo grado, sussistendo a suo avviso i presupposti per la stessa; la Corte rigettava il gravame e la domanda. Infatti, con sentenza del 23 luglio 2007, la Corte di merito ha rilevato anzitutto che, ai sensi della legge 4 dicembre 1993 n. 400 la riduzione del 90% dei canoni concessori è prevista per le sole concessioni, di cui al secondo coma dell'art. 39 del codice della navigazione, avendo tale pagamento il solo fine di riconoscere la natura demaniale del bene in concessione così come per quelle di cui all'art. 37 del Regolamento per l'esecuzione del codice sopra citato. Anche la Corte d'appello negava che non vi fossero proventi per l'associazione, data la quota annuale di. 100.000 annue di ciascun associato richiesta per la utilizzazione privata per ormeggio della darsena in concessione e ha rigettto la 4

domanda di riduzione del canone, condannando l'appellante alle spese del grado di appello. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma che precede, del 23 luglio 2007, l'associazione Pesca Darsena San Carlo di Gaeta ha proposto ricorso con tre motivi notificato il 19 settembre 2008, contrastato dai Ministeri dei Trasporti e delle Finanze, con controricorso notificato il 23 ottobre 2008. Motivi della decisione 1.1.11 primo motivo di ricorso dell'associazione Pesca Darsena San Carlo di Gaeta, denuncia la violazione degli artt. 343 e 436 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c. dalla sentenza della Corte d'appello di Roma oggetto di ricorso, per avere negato il diritto dell'associazione ai sensi dell'art. 3 della legge 4 dicembre 1993 n. 494 alla riduzione del canone ad 1/10 di quello di regola dovuto per la concessione dello specchio d'acqua attiguo alla Darsena San Carlo di Gaeta, da adibire ad ormeggio dei natanti da pesca e da diporto degli associati. Deduce la ricorrente che ai sensi dell'art. 39, comma 2, cod. nav. "nelle concessioni ad enti pubblici o privati per fini di beneficenza, o per altri fini di pubblico interesse sono fissati canoni di mero riconoscimento del carattere demaniale 5

del bene"; l'art. 37 del regolamento per l'esecuzione del codice, chiarisce che, per l'applicazione del canone di cui sopra, nelle concessioni che perseguono fini di pubblico interesse devono comprendersi "quelle nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun lucro o provento". Il Tribunale di Roma, pur riconoscendo che l'associazione dalla concessione non traeva alcun lucro o provento, ha ritenuto che la stessa non sarebbe di pubblico interesse, mentre la Corte di merito ha rilevato che l'associazione, percependo dai suoi associati una quota associativa di. 100.000, ricaverebbe con tale somma un "provento" incompatibile con il fine di pubblico interesse che afferma di voler realizzare. Ad avviso dell'associazione ricorrente, la Corte d'appello non poteva estendere l'esame al provento di cui sopra, non avendo i Ministeri impugnato la sentenza del Tribunale di Roma per la parte era stato riconosciuto che l'associazione non traeva lucro o proventi dalla concessione, dovendosi ritenere passata in giudicato la statuizione del primo giudice sul punto non specificamente impugnata dalle Amministrazioni. Il quesito conclusivo del motivo di ricorso, chiede se, ai 6

sensi delle norme di cui sopra che si assumono violate, il giudice di appello poteva risolvere in maniera diversa da quella adottata dal Tribunale, la questione dell'esistenza di lucri o proventi per l'associazione, in mancanza di appello incidentale su tali statuizioni da parte dei Ministeri. 1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 2697, 2 comma, c.c. dell'art. 39, 2 comma, cod. nav., dell'art. 37 del regolamento di esecuzione dello stesso codice e dell'art. 3, 1 0 comma, lett. i del D.L. 5 ottobre 1993 n. 400, per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto "proventi" dell'associazione le quote versate dai singoli associati, senza accertare se tale quota costituisse mero corrispettivo dell'uso del bene in concessione dagli associati, percepito dall'associazione. L'applicazione del canone nella misura di 1/10 di quello ordinario, cioè meramente ricognitorio del carattere demaniale del bene in concessione, è condizionata alla sola circostanza che il concessionario non tragga proventi dall'uso del bene in concessione, e non è applicabile quando l'associazione stessa fruisca di altre entrate, come nel caso accadeva, secondo i giudici di appello, tenendo conto delle quote degli associati per partecipare alla vita associativa. Nel caso è mancata la prova di proventi da uso del bene 7

demaniale per l'associazione, affermandosi l'esistenza di corrispettivi in favore di questa, costituiti dall'incasso delle quote associative, che non è provato fossero versate in pagamento dell'uso della darsena dagli associati. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione delle stesse norme indicate nel secondo motivo di ricorso e degli artt. 36 e 37 cod.civ., perché, anche a ritenere che le quote associative fossero versate per l'uso del bene demaniale, comunque esse non potevano essere comprese tra i proventi incompatibili con l'applicazione di canoni con funzione meramente ricognitiva della natura demaniale del bene in concessione. Ai sensi dell'art. 39, 2 comma, cod. nav. e dell'art. 37 reg.cod.nav, si intendono per concessioni per fini di pubblico interesse "quelle nelle quali il concessionario non ritragga dai beni demaniali alcun lucro o provento". Le stesse quote degli associati tendono all'attuazione dello scopo sociale e costituiscono un apporto degli associati al funzionamento dell'organizzazione associativa, per cui, secondo la ricorrente, deve negarsi che siano proventi dell'associazione in quanto, mancando la personalità giuridica di questa, i soci non possono qualificarsi terzi. Il quesito conclusivo chiede se nel caso di associazione non 8

riconosciuta e priva di personalità di cui agli artt. 36 e 37 c.c., tra i proventi che escludono il pagamento del canone demaniale ordinario e consentano quello di un canone meramente ricognitivo del carattere demaniale del bene in concessione, possano annoverarsi le quote associative versate per l'organizzazione dell'associazione stessa e per il raggiungimento delle sue finalità. Il ricorso è chiuso con la richiesta di condanna dell'amministrazione a restituire le somme ricevute in eccesso rispetto al decimo del canone ordinario, con interessi e rivalutazione. 2. Il ricorso è infondato, perché la Corte d'appello ha esattamente ritenuto inapplicabile la riduzione al 10% del canone ordinario di quello dovuto dall'associazione ricorrente, sul presupposto che quest'ultima, quale concessionaria, percepisse corrispettivi per l'utilizzazione del bene in concessione. La Corte di merito ha rilevato, alla pag. 3 della sentenza, che sussisteva per l'associazione "un provento annuo di lire 100.000 per associato in relazione all'utilizzazione privata, per ormeggio, delle imbarcazioni dei medesimi e per finalità proprie degli stessi". Nel merito si è rilevato quindi che la somma versata dai 9

singoli associati costituiva per la concessionaria un corrispettivo per l'utilizzazione del bene in concessione, per l'ormeggio delle imbarcazione dei singoli associati, costituente per l'associazione concessionaria provento per l'utilizzazione per ormeggio delle imbarcazioni di tali associati, terzi rispetto alla concessionaria, che utilizzavano la darsena ricevuta da questa in concessione. Solo dall'uso della darsena in concessione per gli ormeggi derivava la ricezione del provento della quota di E. 100.000 ad associato, che, anche se poteva versarsi senza utilizzare l'approdo con l'adiacente acqua in concessione, di regola era da ritenersi corrisposto al fine di ormeggiare le barche degli associati cioè per finalità proprie di essi e non dell'associazione, che quale concessionaria autorizzava l'uso del bene demaniale come ormeggio, in cambio della somma versata dagli associati per realizzare il loro specifico interesse di ormeggiare e non un fine associativo. L'Associazione nessuna prova ha dato del suo diritto a versare un canone ridotto, avendo anzi dimostrato di ricavare utili da bene in concessione, consentendone l'utilizzo per ormeggio di natanti ai suoi associati che pagavano la propria quota in corrispettivo dell'utilità da essi conseguita (Cass. 25 giugno 2009 n. 14905). 10

Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto l'associazione non ha dato prova che il suo diritto a ricevere la quota associativa non costituiva il corrispettivo di quanto dovuto dai singoli associati per l'eventuale ormeggio di natanti nello specchio d'acqua in concessione, non potendo la concessionaria pagare un canone limitato ad un decimo di quello ordinariosul presupposto indimostrato che le quote associative non erano proventi della concessione dell'acqua nella quale i suoi associati ormeggiavano le loro barche corrispondendo a tal fine le quote associative. In realtà il versamento di tali quote dagli associati poteva giustificarsi prevalentemente in ragione della utilizzazione da costoro della darsena per ormeggio e su tale punto che non costituiva una statuizione negativa per le Amministrazioni, non occorreva da parte di queste una specifica impugnazione, trattandosi di una mera riproposizione della questione già risolta in primo grado a favore dell'amministrazione, essendosi comunque negato dal primo giudice che l'associazione agisse per fini di pubblico interesse, anche se non aveva finalità di lucro. 2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Anche a non voler riconoscere la esistenza di una piena soggettività dell'associazione concessionaria, perché priva 1 1

di personalità giuridica e dovendosi quindi considerare utenti del bene in concessione i soli associati, resta evidente che il pagamento da questi delle quote associative non può che giustificarsi, tra l'altro, per l'utilizzazione loro consentita del bene demaniale in concessione non a loro ma alla Associazione stessa. In realtà come ha rilevato la Corte d'appello la quota annuale di. 100.000 per ciascun associato era giustificata per l'utilizzazione privata per ormeggio del bene in concessione per le imbarcazioni degli associati, per il quale costoro pagavano tale quota associativa, che costituiva pure corrispettivo dell'utilizzazione per l'ormeggio del bene e dell'acqua marina in concessione, e quindi aveva natura di provento per l'associazione, derivante dalla fruizione di tali beni demaniali e incompatibile con un canone ridotto e meramente ricognitivo del carattere demaniale delle aree e delle acque concesse. 2.3. Non può quindi non rilevarsi che anche se costituente associazione non riconosciuta, la concessionaria aveva una propria soggettività e ricavava dai beni in concessione proventi tali, che le consentivano di ricevere la quota associativa dai suoi associati, per consentire loro l'uso dell'acqua di mare e della darsena in concessione, con 12

proventi o corrispettivi dell'uso della darsena oggetto della concessione. 3. Il ricorso deve quindi essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico dell' Associazione soccombente che dovrà pagarle in solido ai due Ministeri controricorrenti, nella misura che si liquida in dispositivo ai sensi del D.M. 12 luglio 2012 n. 140, da applicare anche per le prestazioni professionali eseguite nel vigore delle già vigenti tariffe non più applicabili, come chiarito da S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405. Non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art., commi 17 e 18 della legge 24 dicembre 2012 n. 228, essendo il ricorso anteriore all'entrata in vigore di questa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare ai controricorrenti in solido le spese del giudizio di cassazione che liquida in C 4000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito. Così deciso 1'8 gennaio 2014 nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassaz ne. Il nsigliere ejsnsore 13 Depositato in Cancelleria e 27 FEB 2014 C N Ef±IERE Allo rvyadatferi