CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 novembre 2014, n. 24313



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CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 novembre 2014, n. 24313 Ritenuto in fatto 1. P.A. aveva impugnato innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta l'avviso di accertamento con il quale l'agenzia delle entrate (aderendo alle risultanze del verbale di accesso mirato con il quale i funzionari dell'ufficio avevano calcolato un ricarico del 34,08% contro quello del 10,36% risultante dalla contabilità) aveva elevato da 179.050 a 208,777 i ricavi del contribuente nell'anno d'imposta 2002 ed a 34.408 il reddito di impresa dichiarato in 4.682. 2. La sentenza del primo giudice, che aveva parzialmente accolto il ricorso era impugnata sia dal Fisco che dal contribuente. La Commissione tributaria regionale di Napoli, accoglieva il gravame erariale e rigettava quello della parte privata. Motivava la decisione ritenendo che: a) l'ufficio aveva proceduto ad accertamento induttivo a seguito del riscontro di anomalie emerse nel corso di accesso mirato; b) le operazioni di verifica erano state effettuate in contraddittorio con la parte contribuente; c) il costo del venduto era stato determinato dall'esame delle fatture d'acquisto e di vendita; d) il ricarico era stato stimato in maniera maggiormente rispondente alla realtà aziendale rispetto alla percentuale esigua dichiarata dal contribuente; e) altra decisione della Commissione tributaria provinciale di Caserta (56[12 2006) aveva già convalidato l'operato dell'agenzia; f) il contribuente si era limitato a riproporre in appello le stesse difese svolte in primo grado senza nulla aggiungere. 3. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi illustrati con memoria, il P.A. l'agenzia delle entrate resiste con controricorso. Considerato in diritto 1. Il P.A. eccepisce l'inammissibilità del controricorso, atteso che esso risulta, a suo dire, avanzato dall'ufficio locale di Napoli dell'agenzia delle entrate, non evocato nel giudizio di legittimità e neppure coinvolto nella vertenza, atteso che l'atto impositivo era stato emesso dall'ufficio locale di Santa Maria Capua Vetere, che poi era stato parte dei giudizi di primo e secondo grado. L'eccezione non è fondata. Com'è noto gli uffici periferici dell Agenzia delle entrate hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente e alternativa

al direttore della sede centrale, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 cod. civ., configurandosi detti uffici quali organi dell'agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza. (Cass. 8703/2009). A mente dell'art. 72 d.lgs. 300/1999 e dell'art. 45 r.d. 1611/1933, l'avvocatura dello Stato, nel costituirsi per l'agenzia delle entrate, non è tenuta munirsi di procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi, la disposizione dell art. 1, secondo comma, r.d. cit., per il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (Sez. Un. 23020/2005; Cass. 11227/2007). Nel controricorso contestato non vi è indicazione alcuna di specifico mandato difensivo all'avvocatura erariale e la relata di notifica reca la dicitura "Ad istanza dell'agenzia delle entrate e dell'avvocatura generale dello Stato". Dunque, la difesa erariale è stata spiegata mediante notifica del controricorso "Ad istanza dell'agenzia delle entrate", ossia per l'ente- organo nelle sua interezza. Ne deriva che la dicitura "ufficio di Napoli" riportato nell'epigrafe del controricorso è giuridicamente irrilevante, quale mero errore materiale, stante il carattere unitario dell'agenzia delle entrate rimarcata in sede di notificazione. 2. Passando all'esame del ricorso, con il primo motivo, il P.A. lamenta violazione dell'art. 39, co. 1 - lett. d), d.p.r. 600/1973, nonché degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.. Adduce che nessun riscontro circa l inattendibilità delle scritture contabili è stata offerta dalla sentenza d'appello, trascurandosi che nessuna anomalia era stata riscontrata dal controllo di cassa e che talune pretese discrasie (indice di rotazione del magazzino; indice di produttività per addetto; etc.) non potevano giustificare un accertamento basato solamente su medie di settore, non costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti di ricavi maggiori rispetto a quelli dichiarati. 2.1. Aggiunge, con il secondo motivo di ricorso, che il giudice d'appello è incorso nella palese violazione dell'art. 2909 cod. civ. richiamando l'autorità di altra sentenza di merito pronunziata inter partes, ma non passata in giudicato e addirittura poi riformata dalla Commissione tributaria regionale di Napoli (29152108). 2.2. Inoltre, con il terzo motivo, denuncia la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. avendo il giudice d'appello omesso di considerare le critiche svolte nel gravame del contribuente solo perché contenente "le stesse considerazioni svolte in primo grado", così eludendo l'obbligo per il collegio giudicante di pronunziare effettivamente sulle questioni proposte dalla parte impugnante. 2.3. Infine, con il quarto motivo, denuncia il globale deficit motivazionale della sentenza di secondo grado.

3. Il motivo di ricorso per vizi motivazionali, cioè il quarto, è inammissibile per la mancata formulazione nel ricorso stesso dei momento di sintesi, detto anche quesito di fatto, ai sensi dell articolo 366-bis cod. proc. civ.. Infatti, costituisce jus receptum che, nei vigore del capoverso dell'articolo 366-bis cod. proc. civ., il ricorrente che denunci vizio motivazionale della sentenza d'appello deve, nel confezionamento del relativo motivo, formulare in riferimento all'anzidetta censura un quesito di fatto, e cioè indicare, in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione fa renda inidonea a giustificare la decisione. La relativa censura deve tradursi, dunque, in un momento di sintesi che costituisca un quid pluris rispetto all illustrazione del mezzo e ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione immediata della sua ammissibilità (Sez. Un. 12339/2010 e 20603/2007; conf. Cass. 8897/2008 e 4309/2008). A tal fine è necessaria un'enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del mezzo nei quale tutto ciò risalti in modo non equivoco, mentre tale requisito non può dirsi rispettato se (come nella specie) solo la completa lettura dell'illustrazione del motivo, all'esito di un'interpretazione svolta dalla Corte, consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure (Cass. 22591/2013). E' proprio l'indicazione riassuntiva e sintetica dei fatti controversi e trascurati (o malamente valutati), e cioè il quesito di fatto, che marca la differenza rispetto a! sistema processuale previgente che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione specifica della censura denunciata. Nulla di quanto necessario è leggibile nel caso di specie mancando, finanche graficamente, qualsivoglia quesito di fatto a conclusione e sintesi del quarto motivo di ricorso. 4. II motivo di ricorso per vizio processuale, cioè il terzo, non è fondato atteso che, contrariamente all'assunto del ricorrente, il giudice regionale non ha affatto dichiarato inammissibile l'appello del contribuente avendo rilevato la riproposizione della argomentazioni già esposte nel ricorso introduttivo e puntualmente riassunte nella prima parte dello svolgimento del processo. Perciò, sia pure con espressione non del tutto felice, il giudice d'appello non ha fatto altro che rilevare l'incompatibilità logico-giuridica tra il contenuto del gravame del contribuente e le argomentazioni appena svolte per confermare, sull'impugnazione dell'ufficio, l'atto impositivo. 5. Il motivo di ricorso riguardo all'efficacia espansiva del giudicato esterno, cioè il secondo, va disatteso. Il ricorrente non coglie nel segno nel denunciare la violazione dell'art. 2909 cod. proc. civ., atteso che la sentenza d'appello non si rifà affatto ad altra decisione della Commissione tributaria provinciale di Caserta (56 12 2006), ancora sub judice, quale

regula juris del caso concreto mutuata da giudicato esterno inter partes. Il giudice regionale, dopo la disamina degli elementi di convincimento per la conferma dell'atto impositivo, si limita ad aggiungere una considerazione ad abundantiam, com'è rivelato dall'esordio "D'altra parte...", che non rientra tra le rationes decidendo ma si limita a riferire un dato storico di sfondo senza valore strettamente decisorio. 6. Resta da esaminare il primo motivo: anche tale mezzo va disatteso. La circostanza che un imprenditore dichiari nel 2002 un reddito di appena 4.682 (v. ricorso pag.2), cioè inferiore alla soglia ISTAT di povertà assoluta, denota una situazione commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell erario una rettifica della dichiarazione fiscale, ai sensi dell'art. 39 cit,, a meno che il contribuente non dimostri concretamente l effettiva sussistenza di un operare quasi in perdita (Cass. 21536/2007). In casi di tal genere è consentito all ufficio dubitare della veridicità di quanto dichiarato e desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente (Cass. 6337/2002, 1711/2007, 26130/2007). Infatti, ricorre l'ipotesi di "contabilità inattendibile per comportamenti economicamente ingiustificati" ogniqualvolta si rilevino esiti antieconomici (Cass. 26635/2008), non ragionevoli (Cass. 23635/2008) e contrari ai canoni imprenditoriali (Cass. 18875/2007). In particolare, costituiscono anomalie peculiari (Cass. 11645/2001) quelle relative all'indice di rotazione del magazzino e all'indice di produttività per addetto (v. ricorso pag.4); inoltre, l'art. 39, lett. d) cit. non impedisce che scritture regolarmente tenute siano contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di dati merceologici di categoria, collegabili a gravi incongruenze tra ricavi dichiarati, dimensioni dell'azienda, di modo che, in base a un processo logico-induttivo, si possa dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass. 26919/2006). 7. Tanto premesso, il percorso logico-giuridico tenuto dal giudice regionale, ancorché molto sintetico, non pare discostarsi dai principi di diritto sopra enunciati e consolidatamente affermatisi nella giurisprudenza di legittimità (conf. Cass. 21811/2012). Pertanto, la sentenza d'appello non è caduta nella violazione di legge denunciata in ricorso. Invero, con insindacabile accertamento di fatto, il giudice di merito ha rilevato l'esistenza di "anomalie nella contabilità", ossia le "discrasie" cui accenna il contribuente in ricorso: rotazione del magazzino, produttività per addetto, percentuale di ricarico incoerente; dati tutti che, uniti all irrisorietà assoluta dei redditi dichiarati e all'obiettività del costo del venduto (rilevato in contraddittorio

dalla fatture d'acquisto), paiono logicamente rivelatori di maggiore capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla documentazione contabile e fiscale. Sicché spettava al contribuente l'onere di offrire elementi di prova contraria. Né è possibile in sede di legittimità procedere a una rivisitazione probatoria della vertenza, né generale né limitata alla sola stima della percentuale di ricarico, trattandosi di compito precipuo del giudice di merito, il cui giudizio è contestabile in cassazione solo per vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), nella specie denunciato nel quarto motivo ma in maniera inammissibile. 8. In conclusione, il ricorso deve essere interamente rigettato con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate a favore dell'agenzia delle entrate in 5250 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.