Capitolo primo (martedì, 11 settembre 2001)



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Transcript:

Capitolo primo (martedì, 11 settembre 2001) Osservò la mosca sulla parete e si meravigliò della sua presenza. Il lampadario, finto Settecento con gocce di finto cristallo di Boemia, gli sembrò la cosa meno finta in quella stanza. Quel vorrei ma non posso, appeso al centro del soffitto, si accompagnava con un armadio moderno e dozzinale. Il letto, con testiera di metallo laccato bianco e materasso in gommapiuma, avrebbe procurato mal di schiena a chiunque si fosse sdraiato per più di tre notti. Michele Forgioni si girò verso destra. Pensò che il corpo nudo, sdraiato accanto, non fosse migliore di quello di sua moglie. Si voltò dalla parte opposta. Controllò il Breguet sul comodino. Le cinque. Lo prese. Le cinque! Si alzò di scatto. In quattro anni non aveva mai ritardato di un minuto. Ogni martedì, dalle due alle cinque del pomeriggio, incontrava Elda in quella camera con vista sulla tangenziale. Alle cinque e cinque salutava l uomo della reception, scortava l amica nella piazzola davanti al motel, la baciava, aspettava che salisse in macchina e chiudeva la parentesi. La prima volta si era impappinato alla richiesta della carta d'identità. La terza, aveva evitato la scocciatura. La quinta, aveva chiamato l impiegato 11

per nome. La settima, Pasquale gli aveva rivolto un «tutto bene dottore» che non necessitava riscontro e la decima gli aveva sollecitato consigli per un investimento mobiliare. Lo aveva invitato a lasciar perdere. Appena entrava nell'ascensore, diretto alla stanza 213, Forgioni spegneva il cellulare. Lo riaccendeva tre ore più tardi, mentre percorreva l itinerario inverso. Tutti però sapevano dove si trovasse, compresa Gaia che lo aveva sposato diciotto anni prima. Alle cinque e un quarto in punto, seduto nella Volvo, chiamava l'ufficio. Un collaboratore - sempre il medesimo - gli snocciolava gli indici delle Borse e le quotazioni di alcuni titoli. Una sequela di numeri e percentuali, un cocktail di anfetamine dagli effetti collaterali sconosciuti. Impassibile, si limitava a qualche «Sì, sì!», «Uhm, Uhm!». Se l interlocutore si innervosiva, aggiungeva: «Tranquillo! Stai tranquillo!» A quell'ora i mercati europei chiudevano e, a New York, Wall Strett aveva aperto da un paio d ore le contrattazioni. Scorrazzava nei territori della finanza con l'abilità di un cow-boy nelle praterie del West. Spaziava dai microprocessori alle utility, dalla new all'old economy, dalle oscillazioni del dollaro a quelle dello yen e del marco, in attesa di quelle dell'euro. Nel rodeo montava cavalli di qualsiasi provenienza, soprattutto i più rischiosi. I junk bond, azioni spazzatura, gli procuravano l ebbrezza di un lancio nel vuoto, con la consapevolezza di ignorare la resistenza della fune. Le vendite allo scoperto, le short selling, gli inducevano un effetto tonificante. La galassia dei derivati, deputata a far salire l'adrenalina a mille e il conto in banca più della vincita alla lotteria, ma anche ad 12

aprire meditazioni sul suicidio, costituiva il suo brodo di coltura. Mago nel leveraged buy-out, comperava aziende con prestiti garantiti dall'attività stessa dell'impresa e dai futuri utili, o con la vendita dell'attivo patrimoniale della proprietà acquisita. Utilizzava con flessibilità il concetto e lo adattava alle sue esigenze, un segreto che non aveva svelato a nessuno. In una occasione soltanto lo aveva accennato a Gaia. Finanziava imprese sul territorio, soprattutto bar, ristoranti, discoteche. Non disdegnava il supermercato delle attività immobiliari legate ai piani regolatori, a quelli di recupero, alle finte ristrutturazioni, agli accordi pubblico-privato. Marginale il lato più oscuro del lavoro: i prestiti agli eredi di casate facoltose. Una volta al mese si recava all'estero e nella sua agenda figuravano gli indirizzi di società sconosciute alla maggioranza dei cittadini. Nella terra di Lombardia, ricca di artigiani, piccole industrie, commercianti e liberi professionisti, intenti a consumare l esistenza per accumulare ricchezze, la liquidità scorreva come un fiume in piena e aspettava qualcuno che la incanalasse. Michele aveva scelto questo compito. Si rivolgevano a lui industriali del settore metalmeccanico ed alimentare, imprenditori edili, grossisti di abbigliamento, medici, negozianti al minuto. Tra i suoi clienti anche pensionati, ma di quelli che passavano l'inverno al mare. Evitava le vedove con figli e gli insegnanti. Prestava i suoi servigi in base alla simpatia e all antipatia, all avidità, all avarizia, alla prodigalità, alla mancanza di scrupoli davanti alla possibilità di incassare, in poco tempo, un sacco di quattrini di dubbia provenienza, nel solco della logica dei tanti, maledetti e subito, anche se per molte di queste persone imbroccare l azzardo non modificava la vita. 13

A questo popolo di privilegiati elargiva interessi superiori di almeno tre punti rispetto alla media e offriva l illusione di giocare a Monopoli con soldi veri. Regalava la sensazione di essere parte di un élite, informata in anticipo sull'andamento degli affari nel mondo. Un popolo scelto con cura, di gente abile nel proprio mestiere, stimata e irreprensibile, in grado di soddisfare i bisogni primari e quelli superflui, pochi questi ultimi, per assenza di tempo e di fantasia. Un popolo di uomini cornuti per l impossibilità di dedicarsi alla moglie e di donne invidiose della vicina di casa. Un popolo che si piccava di vedere oltre il confine, ma - al di fuori della professione - non scorgeva una montagna in fondo alla via dell ufficio. Un popolo che smaniava dalla voglia di evadere, ma non si spostava dalla propria scrivania, o si annoiava a spettegolare, con insofferenza, nei posti reclamizzati nelle riviste patinate o consigliati dagli amici. Un popolo che esibiva l'ultimo acquisto inutile ed eccessivo, ma trendy. Un popolo che discuteva del proprio fisico con il personal trainer e dei radicali liberi con il dietologo. Questo popolo si recava dal barbiere di fiducia, dal sarto di fiducia, dal meccanico di fiducia. Si serviva dal pasticcere di fiducia, dal fruttivendolo di fiducia, dal salumiere di fiducia. Si consigliava con l avvocato di fiducia, con il commercialista di fiducia, con l architetto di fiducia. Frequentava la palestra di fiducia, la piscina di fiducia, il ristorante di fiducia. Per tutta questa fiducia pagava tariffe di fiducia, triplicate rispetto a quelle dei comuni mortali. Forgioni, trapezista di fiducia, accontentava questo popolo. Solo un istante. Quanto bastava per indurlo a credersi Gordon Gekko, per anestetizzare l'etica calvinista che lo impregnava e per persuaderlo a porre la firma in calce a sostanziosi assegni, che 14

sarebbero stati restituiti raddoppiati nel giro di poche settimane. Prese una Coca cola dal frigo-bar e la camicia dall attaccapanni. Lo scroscio dell acqua l avvertì che Elda s attardava sotto la doccia. La invitò a sbrigarsi. «Un momento!» Due minuti dopo lei comparve sulla porta del bagno, il corpo umido, la pelle più scura rispetto alle altre donne con le quali aveva condiviso un letto o i sedili di un auto. Gli piacevano i seni. Tondi e duri, con capezzoli piccoli, marrone pallido. Sul braccio destro, in corrispondenza del deltoide, un neo identico ad una macchia d'inchiostro. Fianchi stretti e sedere sodo. Elda si levò la cuffia di plastica trasparente. Liberò i capelli. Scosse la testa. La chioma scese sulle spalle e ammorbidì un volto troppo spigoloso per essere definito bello. Il ciuffo scuro in basso, contrastava con quello biondo in alto. Le cosce lunghe e muscolose e la figura slanciata, un po mascolina, testimoniavano un passato d atleta di cui ogni tanto si vantava. «Sono stata campionessa regionale di salto in alto». Si infilò mutandine e reggiseno bianchi, costosi, alla moda. In primavera e d autunno portava il reggicalze. D estate girava a gambe nude e d inverno indossava i pantaloni. Michele si soffermò a guardarla. Gaia non aveva mai mostrato tanta disinvoltura nell esporre il proprio corpo. Dopo la doccia ricompariva con un accappatoio verde salvia. Non comprendeva la ritrosia della moglie ad esibire le sue perfette misure e non si spiegava la mania di sfog- 15

giare, in piscina ed in spiaggia, solo costumi interi, ma non aveva mai obiettato. Un metro e settanta di altezza, per sessanta chili di peso, gambe libere da cellulite, seno privo di sostegni esterni, sedere né troppo grande né troppo piccolo, ventre piatto come un asse da stiro, Gaia non passava inosservata e pochi immaginavano di trovarsi di fronte ad una madre di tre figli. A chi le domandava il segreto di tanta forma, rispondeva lusingata: «Massaggi e palestra, ma senza eccessi». A letto non esisteva pericolo d abuso. L amplesso si riduceva a pochi sbrigativi minuti a notte fonda, preceduto dalle proteste per l ora tarda e accompagnato dalla riluttanza a togliersi la camicia da notte. Niente preamboli, vietati i sospiri, l orecchio teso per accertarsi che i figli non si svegliassero e interrompere al minimo scricchiolio del parquet. Assolto il dovere coniugale, Gaia si girava verso l esterno e lui si metteva a pancia in giù, il viso rivolto alla finestra con le imposte socchiuse anche d inverno. «Notte!» «Notte!» Un respiro lento e profondo lo avvertiva che la moglie aveva imboccato l autostrada per la fase Rem. Mentre lei dormiva, lui costruiva e distruggeva l andamento dei mercati mobiliari del giorno successivo. Alcune volte era stato colto dal desiderio di alzarsi e verificare al computer l oscillazione delle Borse di Hong Kong, Tokio e Singapore, in quelle ore in piena attività, ma aveva rinunciato, per non rovinare il gioco. Negli ultimi tempi, due dei suoi cinque collaboratori avevano trovato spazio nelle sue elucubrazioni notturne. Iacopo Ruperti, esperto di informatica, fuori corso 16

all'università, genio nelle analisi tecniche, nel trading on-line e nel trading-system. Passava quattordici ore al giorno davanti ai monitor a fissare stoploss, a rincorrere doppi minimi e doppi massimi. Gli aveva confessato di averne pieni i coglioni di grafici a barre, a candele giapponesi, a punto e croce, Renko, Kagi e tutti gli altri. Non servivano a un cazzo. Bastava che un Ivan Boesky o un Mike Milken qualsiasi, oppure un Saddam Hussein o qualche altro esaltato si svegliasse male o con l ispirazione sbagliata, e tutte le previsioni sarebbero andate a puttane. Gli aveva spiegato che il trading system, basato sulla regola se-allora, tradotta in un sistema operativo sulla base di reti neurali, algoritmi genetici, logica fuzzy, era una grande fregatura perché non teneva conto degli umori di mercato. Di Saddam Hussein appunto, ma anche dei primi cento signori inseriti nella classifica di Fortune. Lui non capiva granché di algoritmi genetici e di tutto il resto, ma conosceva benissimo il principio dell imponderabilità, sul quale campava. Se fossero bastate tre formule e dimestichezza con il computer per diventare miliardari in Borsa, sarebbe stato disoccupato da un pezzo. Ruperti gli aveva confidato di sognare un viaggio, un film, una serata con gli amici. Non gli succedeva da oltre due anni di dedicare un po di spazio a se stesso. La sua vita affettiva tendeva allo schifo, con un attività sessuale vicina allo zero, limitata ad un colpo a qualche hostess rimediata dalle pubbliche relazioni. «In banca ho trecentocinquanta milioni, ma a cosa mi servono, se non ho il tempo per spenderli? Io voglio vivere. Lei non si è mai posto questo problema?» Lo sfogo lo aveva turbato. Renato Bartolotti, bancario in pensione e da quat- 17

tro anni alla sua corte, alter ego, sessantatré anni, edotto su ogni trucco del mestiere, detestava la terminologia inglese. Dava del tu alle persone giuste in città e a Milano. Ex democristiano, ottime entrature in politica e nel clero, amava le passeggiate in bicicletta. Stravedeva per i nipoti, uno per ciascuna delle due figlie: un maschio e una femmina. Gli aveva manifestato l intenzione di ritirarsi. «È l ultimo anno. Voglio fare il nonno e stare maggiormente in compagnia di mia moglie». Le rare volte che Gaia rimaneva sveglia si dilungava sulle carriere degli amici, i soldi, gli impegni mondani, le vacanze. Chiedeva l auto nuova, il vestito da sera, l assegno per una cena benefica. Poi tappeti, quadri e mobili antichi, pietre dure e gioielli. Un universo con ribaltine dell Ottocento, ametiste, zaffiri, icone russe, turchesi, lapislazzuli, acquamarine, brillanti. Due anni prima gli aveva estorto la promessa di fare qualcosa per la squadra di pallavolo in cui giocava Fabrizio, allora tredicenne. Quattro mesi più tardi le aveva regalato la poltrona di presidente del club, carica che ancora manteneva. Alcune notti aveva dubitato che la moglie incassasse il compenso per la prestazione elargita. Aveva respinto l ombra, come avviene per le verità che trapassano il cuore e l anima. Michele non giudicava le donne. Le riteneva una necessità. Piacevole e costosa. Un impegno da rispettare, non al primo posto nella scala delle priorità. Parco nelle moine e nelle promesse, lasciava agli artisti gli aggettivi languidi e il suo cuore non aveva sofferto di extrasistoli per amore. Su sventole mozzafiato aveva investito parecchi quattrini. Cene, gite, vacanze. Anche qualche cro- 18

ciera nel Mediterraneo e, se le circostanze lo richiedevano, nei Caraibi. Liquidava queste spese sotto la voce pubbliche relazioni. Non ingaggiava prostitute, ma intermediarie che cementavano i rapporti con i clienti. Un giorno, con Elda, le aveva definite enzimi di una transazione commerciale. Dei catalizzatori per accelerare la reazione. Lei non aveva gradito. Conosciuta nel '95, due anni dopo l aveva inserita tra i clienti e l anno successivo nel letto. Da allora, nella nota spese, comparivano il diversivo del martedì pomeriggio e gli annessi. Gli occhi di Elda, piccoli e scuri, un po incavati e mobilissimi, restavano spalancati durante il rapporto. Le prime volte aveva temuto che si inventasse l'orgasmo e che mugolii e agitazione fossero una recita, ma il rossore abnorme su collo e guance e il sudore che bagnava le lenzuola l avevano smentito. Al termine dell amore lei rimaneva in silenzio e ascoltava le sue lamentele sull andamento dei mercati azionari. Colpiti da un inusuale eccitazione sessuale e da un improvviso desiderio di novità, un martedì di aprile avevano consumato in un albergo con camera dotata di un enorme vasca per idromassaggio. Sommersi dalla schiuma bianca avevano incontrato difficoltà a trovare la posizione migliore. La settimana successiva erano ritornati alle rassicuranti abitudini. Michele, soddisfatta con una scusa la curiosità di Pasquale sull assenza, si era incazzato con se stesso per non avergli risposto di badare ai cavoli suoi. La sua giornata milanese viveva di due momenti distinti e antitetici: business al mattino, svago al pomeriggio. Il metodo risaliva al bisnonno paterno. Il giorno del mercato dalla campagna si recava in città per trattare vacche e grano. Conclusi gli affari, si fer- 19

mava al casino e chiedeva la stessa ragazza della settimana precedente. Per la doppia sborsava due lire e cinquanta centesimi, esclusi sapone e asciugamano. Per il quarto d ora, tre lire e cinquanta. Sulla strada del rientro, fermava il biroccio davanti ad una storica drogheria e comperava bon bon e cioccolato per moglie e figli. Dal bisnonno aveva ereditato anche i baffi molto curati e il nome, in linea con la tradizione familiare che imponeva di battezzare i nuovi arrivi nel segno dei parenti defunti. Michele gli calzava a pennello. L arcangelo rappresentava il santo protettore dei tributaristi e lui veniva considerato un degno esemplare della categoria, il migliore per risparmiare con il fisco. Conservava la fotografia del bisnonno in una cornice d argento. Il ritratto, color seppia, si distingueva tra decine di istantanee familiari a colori. Le immagini, disposte su un tavolino dell Ottocento, in una stanza con una libreria stracolma di volumi mai letti, riassumevano la storia dei Forgioni, razza padana Doc. Ogni martedì, alle otto di sera, Michele passava sotto l arco di porta Garibaldi, ingresso principale in città per chi proveniva da Milano, confine tra signori e vassalli, linea di demarcazione tra immobili con prezzi degni del centro storico di Roma e quelli più popolari, ma con quotazioni inavvicinabili per l ex classe operaia che aveva mutato nome, ma non lo stipendio. Con sé portava quattro pacchetti acquistati in un centro commerciale. Per Gaia un profumo, o un libro, o un foulard. Per Barbara e Fabrizio due cd. Per Cesare un gioco per la play station. I tre eredi, sfornati a tamburi battente per evadere la pratica della successione, erano stati accuditi sin dalla nascita da baby-sitter 20

e donne di servizio. Avevano frequentato le scuole materne e le elementari dalle suore, le stesse che avevano svezzato lui e la moglie e, più indietro nel tempo, i loro genitori. Crescevano bene. Non provava rimorsi nei confronti di Gaia e non l aveva mai sfiorato il dubbio che anche lei avrebbe potuto incontrare un amante. Spinti dalle famiglie, che ritenevano il matrimonio un contratto da sottoscrivere con i pari grado, si erano sposati giovanissimi, lei ventidue anni, lui ventitré. Il vescovo aveva celebrato il rito. La donazione alla diocesi aveva allungato la lista dei nomi segnati sulle lapidi ricordo. La foto degli sposi e il resoconto della cerimonia avevano occupato mezza pagina del Corriere del Po. Non avevano mai dialogato molto. Le conversazioni vertevano sui figli, soprattutto su Barbara, primogenita di diciassette anni. Bazzicava compagnie troppo di sinistra e da otto mesi aveva il cervello intasato da anti-g8 e altre porcherie, partorite da pidocchiosi morti di fame e scansafatiche di ogni provenienza, missionari dell utopia, predicatori di una società più equa. Una massa di drogati, omosessuali e portatori di Aids che Michele giudicava la feccia più feccia della Terra. Per Barbara il Forum sociale mondiale di Porto Alegre di fine gennaio non nascondeva segreti. Aveva letto quintali di riviste. Nel fisico richiamava la madre. Medesimi occhi profondi e identiche mani lunghe e affusolate. A scuola se la cavava a meraviglia. Educata secondo le regole della buona borghesia di provincia, ogni tanto cancellava dalla memoria gli insegnamenti ricevuti e allora non esitava a definire gli avversari faccia di cazzo, di culo, di merda e di altre raffinatezze riservate ai nemici del popolo, dei 21

proletari e degli sfigati in senso lato. Aveva smesso di frequentare il maneggio e stracciato la tessera del circolo del tennis, ma non si era iscritta al club dello spinello. Sabato 21 luglio la notizia dell uccisione a Genova di Carlo Giuliani capeggiava sulla prima pagina dei quotidiani. Le televisioni, con un insistenza parossistica, riproponevano le immagini della guerriglia urbana che il giorno precedente aveva messo a ferro e a fuoco la capitale ligure. Quello stesso sabato Barbara aveva preferito Genova al fine settimana in Versilia. Verso le due del pomeriggio una telefonata dell amica del cuore aveva avvertito i genitori del cambiamento di programma. Michele aveva reagito con un moto di stizza. Gaia era impallidita. Nei giorni successivi Barbara aveva sollecitato un dialogo con il padre, raccontato la paura e l incubo per i manganelli e i lacrimogeni, descritto la violenza, l inferno, il sangue sull asfalto e sui muri. Aveva mostrato la fotocopia di un quotidiano. Oltre al morto, si contavano 560 feriti e 301 arrestati o fermati. Gli aveva urlato tutta la rabbia in corpo. «Di questo sono capaci i tuoi amici!» Michele, impegnato a trovare un alibi che giustificasse il comportamento della ribelle davanti agli occhi dei conoscenti, non aveva cercato il senso dell accaduto. Con Gaia aveva abbozzato un autocritica per l eccessiva libertà concessa alla bambina e l insufficiente controllo delle sue amicizie. Una telefonata ad un giovanotto, deputato alla verifica del patrimonio immobiliare e delle disponibilità finanziarie dei clienti, aveva colmato la lacuna e archiviato il problema. Nella famiglia Forgioni le teste calde, i bastian contrari, gli originali, non rappresentavano un eccezione. 22

Riccardo, il maggiore dei fratelli, aveva occupato l università. Messa in soffitta la contestazione, acquisita una laurea in legge, si era specializzato in diritto del lavoro e accumulato una consistente fortuna con una società di consulenza aziendale. Uno zio, sostenitore del partito comunista ai tempi dello splendore dello scudocrociato, adesso individuava in Silvio Berlusconi il faro per guidare l Italia tra i potenti della Terra. Una sorella di suo nonno, la zia Virginia, allergica a Mussolini, in età matura aveva impalmato un ricco possidente terriero, ex gerarca fascista, e optato per il giardinaggio. Il glicine, le ortensie, le azalee del suo giardino mandavano in visibilio le signore bene della città e il pergolato di vite canadese, Parthenocissus quinquefolia, le spediva in paradiso. D estate, all ombra delle sue fronde, la tribù si riuniva per la cena, servita su un lungo tavolo di ciliegio. I convenuti narravano vecchie storie, sempre le stesse. Michele le ascoltava e aspettava l intervento del padre. «Buon sangue non mente». Papà Eugenio esaltava l abilità di Michelino a scambiare le figurine dei calciatori. «Dimostra il bernoccolo per il commercio. I cromosomi non sbagliano». La nonna, Barbara Panigali - cognome che incarnava un pezzo di storia della città - soffriva di crisi mistiche. Ricordava ai presenti le ultime partenze della famiglia e per ciascun defunto elencava le caratteristiche da vivo. «Correva dietro alle sottane». «Voleva andare in seminario». «Era bellissimo». Al termine della commemorazione recitava: «I nostri cari scomparsi non sono degli assenti, ma degli invisibili che tengono i loro occhi pieni di 23

luce nei nostri pieni di lacrime», mutuata pari pari da un cartello appeso nella chiesa che i Forgioni frequentavano la domenica. Michele stesso era diventato un originale, quando aveva abbandonato gli studi alla Cattolica di Milano. Il padre lo avrebbe voluto al suo fianco nell ufficio in centro città. La targa «Studio Eugenio e Michele Forgioni commercialisti» era rimasta un sogno. Gli aveva procurato un posto nella banca locale, tempio laico dove, sette volte su dieci, l assunzione avveniva per meriti parentali o di censo. A ventinove anni Michele aveva accettato la carica di direttore di un piccolo istituto bancario, non ancora fagocitato dai giganti. A trentadue aveva pilotato l istituto nelle fauci di un colosso venuto da Milano. Incassato il premio per la mediazione, aveva aperto un ufficio di consulenza finanziaria, trasformato in Sim, unica Società di intermediazione mobiliare del luogo, una delle pochissime in provincia. A trentasei la sua denuncia dei redditi compariva tra le prime quindici della città. Michele infilò i calzini. Non gli era mai accaduto di appisolarsi dopo l amore. Mise i pantaloni. Calzò le scarpe e le allacciò in fretta, pressato dalla necessità di telefonare in ufficio. Perse l equilibrio e s appoggiò sul tavolo. Imprecò. Involontariamente schiacciò il telecomando. S accese il televisore. «È il più grave disastro che abbia colpito gli Stati Uniti dalla loro nascita fino ad oggi». Le torri gemelle erano avvolte dal fumo. Un aereo si era schiantato contro uno dei due grattacieli. «Alle 8,45 di New York, corrispondenti alle 14,45 italiane, un aereo ha colpito una delle due torri del World Trade Center. Venti minuti dopo un altro velivolo ha centrato la seconda torre». 24

Completò il nodo della cravatta. Prese cartella e notebook che non abbandonava mai e li gettò sul letto. Indossò la giacca, capo fisso nel suo look. Controllò che la tasca destra contenesse le chiavi dell'auto e quella interna il portafoglio. Le cinque e un quarto. Cristo! «Sei pronta?» «Un attimo! Mi tiri su la cerniera?» «Ecco il momento dell impatto». «Cos'è successo?» «Non lo so. Pare che un Boeing abbia preso in pieno le torri gemelle. Anzi, gli aerei sono due. Sbrigati, per favore!» «Ci sono dei morti?» «Non so, non so niente. Dai, svelta!» «Come è accaduto?» «Non ho capito! Non abbiamo tempo da perdere!» «Dio santo, hai sentito? Ci sono migliaia di morti!» «Alle 9,05 un altro aereo ha sbattuto contro la seconda delle due torri». «Chi è stato? È un incidente?... È un attentato! Oddio, è terribile!» «Non lo so! Porca puttana, è una strage». Tirò le lenzuola verso i cuscini. Afferrò il telecomando per spegnere il televisore. «La borsa del Nymex ed il New York Mercantile Exchange sono stati evacuati. La Borsa Valori di Wall Street ha rinviato l'apertura e alle 9,35 è stata evacuata». Elda aprì l'armadio, si guardò nello specchio fissato all'interno dell'anta, controllò l effetto del girocollo d oro e brillantini, regalo di Michele per il compleanno. Lo raggiunse davanti al televisore. «Andiamo?» «Aspetta!» Si strinse a lui. «Dio mio!» «Taci!» 25

S irrigidì. «Alle 9,43 un aereo ha colpito l edificio del Pentagono». «Scusami!» «Alle 9,48 Wall Street ha annullato l'apertura. Alle 9,49 il Congresso e il Ministero del Tesoro di Washington sono stati fatti evacuare in seguito a minacce terroristiche». «Merda!» Michele cercò il cellulare nelle tasche della giacca, prima in una e poi nell altra e anche in quella interna. Le labbra strette. Il volto pallido. Compose: 3492 occupato. «Alle 9,53 la Federal Aviation Administration ha deciso la chiusura di tutti gli aeroporti degli Stati Uniti. È la prima volta che accade nella storia degli Usa». Elda si sedette sul letto. Dalla borsetta prese un pacchetto di sigarette. «Alle 10,07 è crollata la prima delle due torri gemelle centrate». Michele schiacciò un tasto del telecomando, poi un altro, poi un altro ancora. Medesimo spettacolo su tutte le reti. Telecronisti con scarsa fantasia: stesse frasi, stessi aggettivi, stesso tono di voce per descrivere orrore, pietà, impotenza e rabbia. Inferno, incubo, apocalisse venivano ripetuti fino alla nausea. Qualche corrispondente da New York utilizzava castigo di Dio, catastrofe biblica, girone dantesco. Le immagini rendevano inutile qualsiasi commento. «Alle 10,20 è stato evacuato il Palazzo di Vetro dell'onu». Elda fumava, ammutolita, gli occhi incollati al televisore. «Alle 10,27 i voli intercontinentali per gli Usa sono stati dirottati sul Canada». «Butta la sigaretta!» Michele tolse dal frigobar un altra Coca cola e la 26

bevve d un fiato. Raccolse notebook e cartella. «Andiamo». S accinse a spegnere il televisore. Rinunciò. «Alle 10,28 è crollata anche la seconda torre». Al ventesimo piano, in uno degli uffici sventrati, lavorava un italoamericano che gli curava gli affari sulla piazza di New York Posò il telecomando. Compose ancora con rabbia il numero. Schiacciò un sei di troppo. Riprovò. Occupato. «Porca puttana!» Gettò il cellulare sul letto. «Sei impazzito?» «Alle 10,30 si diffonde la voce che un autobomba sia esplosa al Dipartimento di Stato di Washington». Ancora occupato. «Spegni la sigaretta, ti ho detto!» Elda la schiacciò nel posacenere sul comodino. «Pronto? Pronto? Pronto?» «Sì? La Cremfin...» La voce di Bartolotti funzionò da sedativo. «L ipotesi di un attacco terroristico è sempre più probabile». Le 17,25. «Ti è successo qualcosa? Hai sentito di New York?» «Dimmi le chiusure!» «Milano viaggia a meno 7,42, Francoforte meno 10,74, Londra meno 5,72, Zurigo meno 7,07, Parigi meno 7,39. Un terremoto. E Wall Street Abbiamo i telefoni bollenti». «Il presidente Bush» Spense il televisore senza esitazioni. «Ruperti dice che siamo sotto di alcuni miliardi, ma non è in grado di precisare la cifra. Gli serve ancora un ora per avere un quadro completo». «Terroristi dei miei coglioni!» Elda non sapeva dove stare, cosa fare, che dire. 27

«Se qualcuno telefona» «Se qualcuno telefona?! Te lo ripeto: le linee sono già bollenti!» «Prendi tempo. Preparami l elenco dei clienti più esposti. Ci vediamo alle nove». Spalancò la porta. «Si va?» «Piantala!...» «Oh! Quanti miliardi hai perso?» L intenzione di Elda di smorzare la tensione sortì l effetto opposto. «Stronza!» La donna fissò Michele. Sul volto un espressione di disgusto. Un quarto alle sei. L ascensore rubò altro tempo. «Porca puttana! Mi aspettavano» «Fottiti tu e i tuoi appuntamenti del cazzo!» Da tempo Elda desiderava rispondergli in questo modo. «Dei morti non ti importa nulla? Tu pensi solo ai soldi. A diventare sempre più ricco... A cosa ti servono? Per portarmi in uno squallido motel, un posto di merda per puttane!» «Dacci un taglio! Che ti succede?» «Ti ho osservato mentre telefonavi e subito dopo davanti all ascensore. Non avevi una bella cera. Non credo tu abbia molti amici, ma non è una novità. Adesso sei in merda». Pasquale non riuscì a trattenersi. «A New York ci sono migliaia di morti. Dottore, è spaventoso!» «Lo so. Lo so». Michele non riuscì a controllare un leggero tremore della palpebra destra. Si avviò al parcheggio di corsa. Scaricò Elda. Non la baciò. Percorsero un tratto di tangenziale insieme, poi lei deviò per via Mecenate e lui per Paullo. La radio non gli diede tregua. 28

«I due Boeing 767 e 757 che hanno abbattuto le torri appartenevano alla American Airlines e trasportavano 156 passeggeri. Il Segretario di Stato americano Colin Powell, in Perù per l assemblea generale dell Osa, ha lasciato quel Paese e sta rientrando negli Stati Uniti». Michele slacciò il primo bottone della camicia. «A picco le Borse europee». «Merda». «La United Airlines annuncia che un suo aereo in rotta da Boston a Los Angeles con 56 passeggeri e 9 membri dell equipaggio a bordo, è precipitato». Passò tutte le frequenze. Dediche, giochi, pettegolezzi su attrici e attori, telefonate in diretta, revival anni Sessanta erano scomparsi, inghiottiti dall etere, annientati anche loro come le torri gemelle. «Si stima che in Europa siano andati in fumo 810 mila miliardi. Salgono invece i prezzi del petrolio e dell oro». Non disponeva né di pozzi in Texas, né di lingotti. L assessore all Urbanistica lo aspettava ed era in ritardo. «L 11 settembre 2001 entrerà nella storia» «Mi auguro non nella mia». Quelli che adesso lo riverivano, nell attimo stesso della sua debolezza l avrebbero azzannato, pronti a lapidarlo come un adultera. Un colpo di pistola alla tempia avrebbe evitato la vergogna e creato qualche disagio nelle alte sfere cittadine. Scacciò le fantasie che precedono un suicidio. «Terroristi bastardi». Cercò nella mente, poi in fondo all anima, un amico. Non trovò nessuno. Scartò anche la moglie. Sfrecciò davanti al centro commerciale, che tacitava i suoi sensi di colpa. Prese il cellulare. Si scusò con l assessore. L incontro venne rimandato. 29

Gaia e i figli non protestarono per lo strappo alla tradizione. Non cenò. Alle nove e dieci entrò nel suo ufficio, al centro direzionale da lui stesso costruito. Bartolotti e Ruperti lo aspettavano nella sala riunioni. «Arrivo subito!» Depose la ventiquattrore e uscì. Bevve un caffè al distributore automatico vicino ai servizi. Ricordò il padre, morto da un anno e mezzo, e i primi clienti in banca che gli chiedevano con ammirazione: «Ah, lei è il figlio di Eugenio Forgioni? Complimenti, gran brava persona suo papà!». Ricordò che in terza media lo aveva chiamato in disparte e gli aveva dato centomila lire per il brillante risultato scolastico. «Chi dice che i soldi non fanno la felicità, oltre che bugiardo è un fesso. Non lo credo solo io, ma anche Totò». Aveva assimilato il concetto. Suo padre sarebbe stato fiero di lui per i risultati conseguiti, ma in quel momento qualche dubbio sull insegnamento lo sfiorò. Possedeva una bella casa, una bella moglie, tre bellissimi figli, una villa a Forte dei Marmi e un appartamento a Cortina. In tasca conservava carte di credito esclusive e tessere delle associazioni cittadine che contavano. Alcuni muratori speciali l avevano invitato ad entrare nel loro club. Il conto in banca gli avrebbe permesso lo sfizio di una Ferrari. Frequentava i salotti buoni e quelli meno buoni, ma più redditizi. Incassava la stima dei preti, dei laici, del sindaco, del centrosinistra e dell opposizione di centrodestra. Manteneva un amante che non chiedeva di sostituire la moglie e che, fino a tre ore prima, non si impelagava in quesiti esistenziali. Aveva, aveva, aveva. Aveva tutto ciò che la gente aspirava conquistare su questa terra. Adesso, aveva anche paura. 30