Filosofia e scienza. 12/12/2014 v2_s2_c05_scheda.html



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Filosofia e scienza Il crollo del firmamento Nel tardo Rinascimento si è assistito a una mutazione concettuale e culturale di eccezionale rilievo: il crollo del firmamento celeste. Il cielo è sceso sulla terra e ha mostrato di non essere fatto di una sostanza diversa da quella degli oggetti terreni e, ciò che è più importante, di obbedire alle stesse leggi. Per secoli c è stato da una parte il nostro mondo, con le sue montagne, i suoi mari, i suoi prati, i suoi boschi e tutta la confraternita degli esseri viventi, dall altra gli astri immobili e incastonati nel loro firmamentum, la sfera celeste delle cosiddette stelle fisse. Per la verità c erano anche i pianeti, le stelle vaganti, ma il loro vagare era così regolare e prevedibile che sembrava non avere niente di terreno. Il quaggiù e il lassù erano molto di più di due indicazioni di posizione, erano due forme di esistenza, due realtà parallele e irriducibili. Cadere si poteva, ma cadere qua, non là. E di mutare poteva capitare alle cose terrene, non alle celesti; che erano eterne e immutabili. La rappresentazione dell universo secondo la concezione geocentrica (o tolemaica) in una tavola della Cronaca di Norimberga. La Cronaca, un imponente storia del mondo scritta in latino, alla fine del XV secolo, da Hartmann Schedel, è uno dei più antichi libri editi a stampa, con grandi illustrazioni a corredo del testo. Nell immagine è ben visibile la Terra, posta al centro del sistema e circondata dalle sfere dell acqua, dell aria e del fuoco. Seguono i cieli della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove e di Saturno. Nella zona più esterna si trovano la fascia dello Zodiaco e di altre stelle, fino al Primo Mobile. Al di sopra di tutto siede Dio, attorniato dale schiere degli angeli, mentre negli angoli sono rappresentati i quattro venti. Liberato dalle secche intellettuali del Medioevo, l uomo cominciò a speculare con sempre maggior insistenza sulla realtà del cielo e sul concetto di infinito e di infinità. I progressi della tecnica misero nello stesso tempo a disposizione dell uomo strumenti nuovi capaci di cogliere tratti inconsueti e più sottili della realtà, e consentirono di migliorare i risultati di alcune misure astronomiche che erano ferme da secoli. Da queste nuove misure il genio di Copernico desunse un modello eminentemente nuovo di meccanica celeste. Era la Terra adesso che, insieme agli altri pianeti, girava intorno al Sole e non viceversa. L ipotesi non era del tutto nuova. Già Aristarco di Samo aveva proposto secoli addietro un ipotesi eliocentrica. Era nuovo lo spirito della proposta e il clima culturale e sociale nel quale questa ipotesi si affacciò e si impose. Non si trattò più di un episodio isolato, di una teoria speculativa tra le tante. I tempi erano maturi per un fiorire di file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 1/6

riconsiderazioni e di ipotesi, intorno alle quali si accese quasi inevitabilmente una discussione. Fino a tutta l epoca di Galileo almeno, i fautori della teoria geocentrica tolemaica e di quella eliocentrica copernicana si affrontarono con fior di argomentazioni e con grande passione intellettuale. La questione era però di natura abbastanza accademica; non toccava l essenza delle cose e molti calcoli sulla dinamica dei corpi celesti si potevano fare, seppure più faticosamente, utilizzando l ormai ben consolidata ipotesi tolemaica. Furono le arditissime ipotesi sulla natura del cosmo avanzate dal nostro Giordano Bruno ad aprire la strada alla possibilità di pensare concretamente alla natura e al destino del mondo di lassù. Non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna afferma ad esempio in un passo de La cena de le Ceneri il grande, immaginifico Bruno. La rappresentazione dell universo secondo la concezione eliocentrica, esposta da Nicolò Copernico nel De revolutionibus orbium coelestium (1543), in una stampa cinquecentesca. Al centro del sistema non si trova più la Terra, ma il Sole, attorno a cui ruotano tutti i pianeti: Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove e Saturno. Toccò comunque a Galileo fare il primo vero passo verso la mondanizzazione del cielo, quando concepì l idea di puntare il cannocchiale verso i corpi celesti: la superficie della Luna, i cerchi di Saturno e i satelliti maggiori di Giove. Il cannocchiale era già stato inventato e migliorato a più riprese; ciò che Galileo ci mise di suo fu l idea, invero molto ardita, di puntarlo verso gli astri invece che verso montagne, coste o velieri lontani. file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 2/6

Galileo Galilei punta il suo cannocchiale verso il cielo in una stampa ottocentesca. Occorre avere molto coraggio e una notevole dose di fiducia nel proprio discernimento per cercare di osservare cose così remote e nell osare di vederci qualche cosa. Occorrono tanto coraggio e tanta fiducia che non tutti lo vogliono fare, neppure quando è oramai chiaro che c è qualcosa da vedere. È il coraggio poi ripreso nel kantiano invito sapere aude, abbi il coraggio di sapere, unito alla capacità di saper vedere, tipica dei grandi spiriti. Spingendo il discorso fino a un livello quasi paradossale, potremmo affermare che le montagne e i crateri della Luna non c erano prima che qualcuno li vedesse; non c erano ovviamente nel nostro universo mentale, nel nostro orizzonte degli eventi, e ancor meno nell immaginario collettivo. Vederci qualcosa di preciso, perfetto o imperfetto che sia, significa ammettere che quel mondo c è; è là, come realtà materiale e come realizzazione di una tra le tante possibili alterative. Insomma qualcosa di simile a quello che avviene da queste parti. Le differenti fasi della Luna, osservata attraverso il cannocchiale, in un disegno di Galileo Galilei conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 3/6

Il pianeta Saturno, di cui Galileo, con il suo cannocchiale, riuscì ad osservare gli anelli, in una immagine ripresa da un satellite. Da notare che non era certo la fantasia a mancare agli uomini dell antichità: sono stati capaci di vedere le figurazioni più fantasmagoriche nelle costellazioni, che sono formate, oggi sappiamo, da stelle che non hanno tra di loro nessun grado di parentela o di contiguità. Anche sulla superficie bianca della Luna la fantasia degli antichi aveva intravisto immagini e scenette. Non era questa la fantasia che serviva, bensì quella, ben più difficile da mettere in campo e mantenere a fuoco, di vedere le cose come stanno, senza schemi pregressi a fare da canovaccio, ma anche da velo. Le costellazioni e i segni zodiacali dipinti da Lorenzo Costa il Giovane, nel 1576, sulla volta della Sala dello Zodiaco del Palazzo Ducale di Mantova. In decorazioni come questa, molto frequenti nei palazzi signorili di età moderna, si mescolano nozioni scientifiche, elementi della raffinata cultura delle corti e gusto per la decorazione e la preziosità dei materiali. file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 4/6

Un immagine della Luna osservata attraverso i più moderni strumenti scientifici: sono ben visibili, sulla superficie del pianeta, i crateri e i rialzi, che arrivano a formare vere e proprie cime. Per quanto fine sperimentatore e appassionato filosofo naturale possa essere stato, è per queste sue ardite osservazioni e conseguenti perorazioni che la fama di Galileo si spande per il mondo di allora. Era l uomo che aveva osato guardare in faccia il cielo, e quasi il Cielo, in un empito di divina follia. Il Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e una cometa dipinti da Donato Creti nel 1711. La serie delle Osservazioni astronomiche venne commissionata al pittore bolognese dal conte Luigi Marsili, che ne fece dono al papa Clemente XI per spronarlo a sostenere la costruzione avvenuta di lì a pochi anni dell osservatorio astronomico di Bologna (il primo osservatorio astronomico pubblico d Italia). Il pittore si servì di telescopi e di tutti gli strumenti ottici disponibili al tempo, oltre che di precise indicazioni scientifiche, per osservare e riprodurre i pianeti in veri e propri ritratti fedeli al vero; manca, nella serie, il pianeta Urano, che venne scoperto solo nel 1781. Nel 1604 accadde un altra cosa che non passò inosservata. Nel firmamento comparve una nuova stella brillantissima, che dopo qualche tempo si smorzò e si spense. Oggi sappiamo che fu l esplosione di una Supernova, un fenomeno abbastanza ordinario nelle profondità cosmiche, ma che colpì profondamente. Il cielo notturno non era più eterno e immutabile: anche il panorama delle stelle poteva cambiare. Toccò a Keplero scrivere le leggi matematiche che descrivevano con precisione il moto degli astri e toccò infine a Newton proporre una teoria del movimento dei corpi, celesti o terreni che fossero. La caduta di una mela dal ramo, il moto della Luna intorno alla Terra o il moto di una cometa obbediscono adesso alle stesse leggi; leggi si badi bene che hanno una chiara veste razionale, ma che non offrono una spiegazione nel vero senso della parola. Si tratta in sostanza di un altro esempio di quella che abbiamo chiamato divina follia. Poi verrà Einstein, il Big Bang e tutto il resto. file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 5/6

Le orbite dei pianeti descritte in un illustrazione del Misterium cosmographicum di Keplero (1596). Secondo Keplero il cosmo era costituito da elementi legati tra loro da rapporti di tipo matematico: egli descrisse la struttura del sistema solare utilizzando i cinque solidi platonici. Per molte cose e per molto tempo, la differenza fra il modello geocentrico e quello eliocentrico fu trascurabile. Il modella tolemaico divenne con gli anni quasi perfetto e in grado di spiegare e prevedere quasi tutto. Alcuni filosofi della scienza giunsero a suggerire che in fondo questo poteva anche bastare, almeno come spiegazione. Si disse che i due modelli erano entrambi veri, due modi diversi di vedere e rappresentare la stessa cosa. Perché allora preferire quello copernicano, integrato poi in quello newtoniano? Per una ragione teorica e decine di ragioni pratiche. La ragione teorica è che il modello copernicano richiede l utilizzazione di molte meno ipotesi ad hoc e di molti meno parametri numerici da inserirvi dal di fuori. E questo è generalmente considerato un titolo di merito per una teoria scientifica. Come avremmo fatto poi a inviare razzi o shuttle e piazzare satelliti nello spazio con l ausilio della meccanica tolemaica? E come potremmo affermare, come facciamo, che gli elementi chimici relativamente pesanti, come il carbonio del quale siamo essenzialmente fatti noi, autentici figli delle stelle, si sono originati all interno di particolari stelle che hanno poi eruttato il loro contenuto in uno spazio cosmico che di suo conterrebbe quasi esclusivamente idrogeno ed elio? La lezione imperitura che se ne può trarre è che una teoria meglio costruita e più intellettualmente soddisfacente è anche in grado di prevedere un maggior numero di cose, anche quelle che per il momento non si intravedono neppure all orizzonte. file:///var/folders/n8/7v4ndrgs5658dcfmphrng8c40000gn/t/flashtmp.vpu588/v2_s2_c05_scheda.html 6/6