LA CONCILIAZIONE NEL PROCESSO DEL LAVORO. a cura di Vera Bizzoni



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LA CONCILIAZIONE NEL PROCESSO DEL LAVORO a cura di Vera Bizzoni Il legislatore italiano ha sempre mostrato uno spiccato favore per la soluzione conciliativa delle controversie di lavoro, mutando unicamente nel tempo la configurazione del corrispondente tentativo in relazione alla domanda giudiziale. Il primo esempio di attività conciliativa risale al collegio dei probiviri, istituito dalla legge 15 giugno 1893 n. 295. Questa prima fattispecie di conciliazione venne cancellata con il regio decreto 26 febbraio 1928 n. 471. Nel codice del 42, emanato nella vigenza dell ordinamento corporativo, nel quale le associazioni sindacali avevano la rappresentanza legale di tutte le categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori, la denuncia delle lite a quelle associazioni ed il tentativo di conciliazione in sede sindacale costituivano presupposti per l esercizio dell azione relativa alle controversie di lavoro (art. 430 c.p.c.). A seguito della soppressione dell ordinamento corporativo, la norma in questione è stata travolta e sostituita da un interpretazione giurisprudenziale e dottrinale che ha ridotto il tentativo di conciliazione, previsto da numerosi contratti e accordi collettivi come obbligatorio, ad adempimento meramente facoltativo. Con lo Statuto dei Lavoratori vengono poi attribuite funzioni di conciliazione agli uffici provinciali e regionali del lavoro con riferimento alle controversie in materia di licenziamento individuale e a quelle derivanti dall'irrogazione di una sanzione disciplinare (art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300). L istituto della conciliazione subisce una nuova e importante modificazione ad opera della legge di riforma del processo del lavoro, n. 533 dell 11 agosto 1973. In questo contesto viene definito compiutamente come tentativo stragiudiziale di conciliazione, a carattere facoltativo, che può svolgersi tanto in sede amministrativa quanto in sede sindacale. L art. 7 della Legge n. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali ha previsto, accanto alle procedure sindacali, la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione dinanzi all Ufficio provinciale del lavoro. Il nuovo art. 410 c.p.c., introdotto a seguito della riforma del processo del lavoro, ha esteso questa ipotesi alla generalità delle controversie di lavoro, fermo restando il carattere facoltativo della procedura.

Gli interventi legislativi di riforma del 1998 introducono una profonda modifica: l istituto della conciliazione in materia di lavoro diventa obbligatorio e dotato di una specifica rilevanza sul piano processuale. Le parti non possono adire il giudice se prima non tentano di risolvere la controversia in questa sede (condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Obiettivo del legislatore: creare un efficace meccanismo alternativo al processo per decongestionare il traffico giudiziario. Nel 2001 questo meccanismo viene esteso anche alle controversie di lavoro nel settore pubblico con alcune differenze di tipo procedurale Attualmente, dopo l entrata in vigore della Legge 183/2010 (cd. Collegato lavoro ) il tentativo di conciliazione è tornato ad essere facoltativo, con la sola eccezione dei contratti certificati per cui permane l obbligatorietà presso la sede che ha effettuato la certificazione prima dell azione in giudizio. L art. 31 del Collegato Lavoro ha quindi rimesso alla facoltà delle parti la conciliazione: comma 8 : L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente: «Art. 412- quater. - (Altre modalità di conciliazione e arbitrato). - Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità' giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti. Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione. La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori

della materia, anche derivanti da obblighi comunitari. Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove cio' non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva. Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima. All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo. Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l'assunzione delle stesse e la discussione orale. La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell'articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per

iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto. Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92. I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte». Nel comma 8 ritroviamo l equiparazione della procedura conciliativa sia per i rapporti di lavoro tra privati che per i rapporti del Pubblico Impiego, con abrogazione degli artt. 66 e 65 del DLGS 165\2001, con la relativa eliminazione del Collegio di Conciliazione istituito presso le DPL per la materia del Pubblico Impiego. CAMPO DI APPLICAZIONE L art. 409 c.p.c., ai sensi dell art. 1 della L. 533\1973, delimita il campo di applicazione della conciliazione. sottostanno al regime della conciliazione: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa; 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato; 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;

5) rapporti di lavori dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. Rimangono escluse dal campo di applicazione le materie dell assunzione di lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali (c.d. spoil system) e le indennità di fine rapporto. COMPETENZA TERRITORIALE L art. 413, c.2, c.p.c. identifica 3 criteri da seguire, in alternative ed in concorrenza fra di loro, a scelta del proponente il tentativo: 1) Foro dell azienda, in base all ubicazione della sede legale della stessa 2) Foro della dipendenza dell azienda, ovvero il foro del complesso di beni decentrati, dotata di propria individualità tecnica-economica, collegata in maniera diretta e strutturale con l azienda e funzionalmente orientata al perseguimento degli scopi aziendali 3) Foro del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro, ovvero il luogo di stipula del contratto od in cui ha avuto inizio l attività lavorativa. Per le controversie previste dal terzo punto dell art.409 codice di procedura civile, e cioè i rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, è territorialmente competente il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell agente, del rappresentante di commercio. L ultimo comma dell art.413 codice di procedura civile, sancisce la nullità delle clausole derogative della competenza territoriale. L'incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva ovvero rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Per quanto riguarda il secondo grado di giudizio, la cognizione è della Corte d Appello territorialmente competente sul Tribunale che ha deciso. COMPOSIZIONE DELLE COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE

Le commissioni sono composte dal direttore della DPL o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente; a questo si aggiungono quattro rappresentanti effettivi e quattro supplenti dei datori di lavoro e dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale. La Commissione non ha un termine di scadenza naturale del suo mandato. Spetta al dirigente della Direzione Provinciale del Lavoro modificarne la composizione, qualora verifichi che si è modificata la rappresentatività dei sindacati sul territorio. Altra importante indicazione fornita è che, come per il passato, i componenti della Commissione non vengono retribuiti. PROCEDURA La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe ti termini di prescrizione e sospende, per tutta la durata dello stesso e per i successivi venti giorni dalla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. La richiesta deve contenere: 1) Le generalità dell istante e del convenuto 2) Il luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro od il luogo ove l azienda ha sede o dove è ubicata l unità produttiva del lavoratore 3) Il domicilio dell istante e del convenuto per l invio delle comunicazioni 4) L esposizione dei fatti a fondamento della pretesa Se la controparte intende accettare la proposta, questa deve depositare entro venti giorni dal ricevimento della copia di richiesta di inizio procedura, una memoria contenente le difese e le eccezioni di fatto e di diritto, nonché le domande in via riconvenzionale. Il termine di venti giorni è un termine ordinatorio. In caso di non accettazione, la quale non richiede particolari formalismi, ciascuna delle parti è libera di adire l autorità giudiziaria. Entro i successivi trenta giorni dal deposito della domanda di conciliazione, la Commissione fissa la comparizione delle parti. Il tempo totale previsto per l espletamento dell intera procedura di conciliazione, è di circa sessanta giorni.

L ACCORDO L accordo può essere raggiunto dalle parti e dalla Commissione di conciliazione durante le riunioni dell organo conciliativo, ovvero stilato al di fuori della Commissione e portato in sede conciliativa per la ratifica. Nel primo caso l accordo può maturare durante gli incontri previsti dalla Commissione di conciliazione che può prevedere, per questo motivo, anche uno o più rinvii, sempreché, ad avviso del presidente, ciò non sia voluto da una delle parti al solo fine di perdere del tempo e senza alcuna volontà di definire la vertenza con un intesa. Nel secondo caso, spetta alla Commissione verificare la congruità dell'accordo e la volontà delle parti di conciliare sull oggetto della controversia. Se la conciliazione, esperita ai sensi dell art.410 del codice di procedura civile, riesce, anche limitatamente ad una sola parte della domanda, viene redatto un verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione di conciliazione. In forza dell art. 411 c.p.c. (così coem modificato dall art. 31, c. 3 del Collegato Lavoro) il giudice, su istanza delle parti, dichiara tramite decreto l esecutività del verbale di conciliazione. Per i procedimenti conciliativi relativi al Pubblico Impiego, l accordo stipulato tra le parti non potrà dar luogo ad una responsabilità amministrativa se non per dolo o colpa grave del rappresentante stesso. Nel caso di mancato accordo, la Commissione di conciliazione è obbligata a formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia; delle risultanza della proposta formulata dalla Commissione e non accettata, senza adeguata modificazione, il giudice tiene conto in sede di giudizio. Al ricorso, depositato presso la cancelleria del tribunale territorialmente competente, devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscita. Per i tentati di conciliazione espletati nelle sede sindacali, non si applica la procedura dell art. 410 c.p.c.: il verbale di accordo redatto nella sede sindacale, verrà poi depositato presso la DPL competente, che provvederà a depositarlo presso la cancelleria del tribunale della circoscrizione in cui è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte, ne accerta la regolarità formale e lo dichiara esecutivo con decreto. Consideriamo la problematica inerente i requisiti formali e sostanziali che deve avere un accordo tra datore di lavoro e lavoratore per poter essere considerato definitivo e non impugnabile.

Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, una conciliazione, per essere qualificata come "sindacale", ai sensi degli artt. 411, c. 3 c.p.c., nonché 2113, c. 4 c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore. Il carattere dell'inimpugnabilità e della definitività della conciliazione stessa sussiste quindi solo qualora abbia partecipato attivamente alla conciliazione e sottoscritto la transazione stessa il sindacalista appartenente all'organizzazione sindacale alla quale risulti iscritto il lavoratore; deve essere quindi presente il sindacalista che possa considerarsi rappresentante "di fiducia" del lavoratore. In considerazione di ciò, e trascurando il caso della conciliazione intervenuta in sede giudiziale, possiamo evidenziare due ipotesi: 1. nel procedimento di mediazione il lavoratore è assistito dal rappresentante sindacale dell organizzazione a cui è iscritto 2. nel procedimento di mediazione il lavoratore è solo e comunque non è assistito da un rappresentante sindacale. Nel primo caso l accordo raggiunto con l assistenza del mediatore nel rispetto delle procedure definite dal Decreto Legislativo 28/2010 può essere equiparato a tutti gli effetti a un accordo sottoscritto in sede sindacale, in quanto con la presenza attiva e la contestuale sottoscrizione del rappresentante sindacale, è pertanto già perfettamente conforme al disposto dell art. 2113 c.c. Nella seconda ipotesi, invece, l eventuale accordo raggiunto tra le parti con l ausilio del mediatore per essere reso definitivo e non impugnabile dovrà essere nuovamente sottoscritto, a istanza congiunta delle medesime parti, avanti la Commissione Provinciale di conciliazione competente territorialmente al fine di ottenere la ratifica del medesimo. Si tratterà comunque di un passaggio puramente formale dal momento che più volte la Cassazione si è espressa nel senso che l organo collegiale non possa esimersi dal ratificare la volontà delle parti espressa nel verbale di accordo di cui si chiede la ratifica. IL TENTATIVO IN SEDE GIUDIZIARIA L art. 420, c. 1, c.p.c. pone in capo al giudice del lavoro il tentativo di conciliazione della lite, con formulazione di proposta transattiva. Il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza una valida motivazione, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.

CONCILIAZIONE MONOCRATICA La conciliazione monocratica è strumento di risoluzione extragiudiziale delle controversie, in materia di diritti patrimoniali del lavoratore di origine contrattuale e legale. È una conciliazione PREVENTIVA presentata dal lavoratore o dal suo rappresentante legale o dall associazione sindacale, cui ha dato mandato per rappresentarlo. Tale conciliazione può anche essere promossa dall Ispettore del Lavoro durante l accesso in azienda (conciliazione contestuale); elementi essenziali della conciliazione contestuale sono: 1) Elementi per una soluzione conciliativa 2) Mancanza di qualsiasi accertamento di violazione amministrativa 3) Mancanza di elementi di natura penale 4) Volontà del lavoratore Il tentativo avviene da parte del solo funzionario monocratico e le parti possono assistere o delegare altri soggetti. L inizio della procedura interrompe i termini di cui all art. 14 della L. 689\1981, fino alla conclusione del procedimento. Tale procedura no può essere adottata nei casi di: 1) Rapporti certificati 2) Pubblico Impiego 3) Violazioni penali 4) Accertamento da parte di altro organo ispettivo 5) Irregolarità per più di un lavoratore L accordo è manifestazione di volontà comune e consensuale riguardo la natura, la durata, le caratteristiche e le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro intercorso o intercorrente tra datore e lavoratore. Per l archiviazione della pratica di conciliazione, il funzionario avrà bisogno di ricevere la documentazione relativa alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, sia da un punto di vista retributivo che contributivo: l estinzione del procedimento si ha quindi con il pagamento del debito e la regolarizzazione contributiva del lavoratore, da effettuarsi entro il sedicesimo giorno del mese successivo al termine apposto sul verbale.

In base all art. 38 del Collegato Lavoro, il verbale di accordo acquisisce efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice. IL TENTATIVO DI CONCILIAZINE OBBLIGATORIO PRESSO LE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE - La certificazione dei contratti di lavoro La certificazione è un procedura volontaria ex artt. 75 e ss. del decreto legislativo 276\2003. il collegato Lavoro ha rivalutato la funzione della certificazione, la quale ha attenuato la funzione interpretativa delle clausole contrattuali da parte del giudice del lavoro (art. 30, c.4, L. 183\2010): il giudice è così quindi vincolato al contenuto delle clausole contrattuali certificate. Le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotto, direttamente od indirettamente, una prestazione di lavoro: per certificazione si intende, quindi, la valutazione di corrispondenza (QUALIFICAZIONE), fatta da un organo competente, tra il nomen iuris dato dalle parti al contratto prescelto ed il suo contenuto sostanziale, previsto dalla norma che lo disciplina. L art. 18, D.Lgs. 251\2001, ha sostituito l art. 75 D.Lgs. 276\2003, estendendo al portata applicativa della certificazione: sono soggetti a certificazione tutti i tipi di contratto di lavoro, per volontà delle parti, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione degli stessi. Sono, altresì soggette a certificazione, le rinunzie e le transazioni, i regolamenti interni delle cooperative relativamente ai contratti di appalto ex art. 1655 c.c. (distinzione tra appalto e somministrazione di lavoro) SOGGETTI ABILITATI Abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro sono le Commissioni di certificazione istituite presso: 1) Enti Bilaterali, organismi costituiti da una o più associazioni di datori di lavoro e lavoratori comparativamente più rappresentative 2) DPL e Provincie, sono chiamati a far parte di tali Commissioni anche rappresentanti dell INPS

3) Università, le quali dovranno essere iscritte in apposito albo. Ogni sei mesi dovranno inviare la Min. Lav. Apposita relazione sull attività svolta od ogni eventuale modifica alla struttura organizzativa 4) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale della Tutela del Lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due provincie di regioni diverse od abbia predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificate dalla Commissione del Ministero 5) Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro, con competenza in ambito territoriale Le Commissioni possono inoltre svolgere funzioni di consulenza ed assistenza effettiva delle parti contrattuali, nella redazione del contratto di lavoro, del programma negoziale o di ogni modifica apportata a questi ultimi. Le Commissioni possono poi istituire Camere Arbitrali per la procedura di arbitrato irrituale ex art. 808 c.p.c. (così come modificato dall art. 31, c. 12 e 13, L. 183\2010). PROCEDURA La procedura di certificazione viene determinata da ogni singola commissione tramite proprio regolamento. Nella redazione del regolamento, la Commissione deve rispettare i seguenti principi: 1) Territorialità ed Appartenenza per categoria, la Commissione dovrà operare nella circoscrizione di appartenenza dell azienda o nella dipendenza nella quale sarà addetto il lavoratore 2) Comunicazione, l inizio del provvedimento è comunicato alla DPL che provvede ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche, nei confronti delle quali il provvedimento produrrà effetti 3) Celerità, la procedura deve terminare entro 30 giorni dalla presentazione della domanda 4) Motivazione, nel documento di certificazione dovranno essere indicati i motivi della decisione e l autorità competente per il ricorso 5) Trasparenza, nel documento deve essere fatta specifica menzione degli effetti civili, amministrativi, fiscali e previdenziali in relazione ai quali le parti richiedano la certificazione Il D.M. del 21 luglio 2004 e la Circolare Min. Lav. 48\2004 contengono la disciplina attuativa ed i chiarimenti del procedimento di certificazione

Nel corso dell attività istruttoria è prevista l audizione delle parti per assumere informazioni sui fatti e sugli elementi caratterizzanti il contratto di cui si chiede la certificazione, e le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni sindacali o dai professionisti abilitati. L atto di certificazione ha natura di atto amministrativo, deve essere motivato, deve dare conto del procedimento seguito e deve contenere esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali. Tutti gli atti devono essere conservati per almeno cinque anni dalla data di rilascio presso la DPL. EFFICACIA GIURIDICA DELL ACCERTAMENTO ED INCIDENZA SUL PROCESSO GIURIDICO Gli effetti della certificazione permangono anche verso i terzi fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell art. 413 c.p.c.: 1) Erronea qualificazione del contratto 2) Difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione 3) Vizi del consenso Nel caso di contrati in corso di esecuzione, gli effetti dell accertamento si producono dal momento dell inizio del contratto (ex tunc), nel caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti della certificazione si producono soltanto se e nel momento in cui queste ultime provvedono alla sottoscrizione con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla Commissione Certificatrice (ex nunc). Il comportamento delle parti, tenuto durante la procedura di certificazione, potrà essere valutato dal giudice ai sensi degli artt. 9, 92 e 96 c.p.c. In caso di violazione del procedimento o di eccesso di potere potrà essere presentato ricorso al TAR territorialmente competente. Nella qualificazione del contratto, il giudice non potrà discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione, salvo il caso di erronea qualificazione, vizi del contratto difformità (art. 30, c. 2, Coll. Lav.). Le ipotesi di giustificato motivo o giusta causa tipizzate nel CCNL come clausole generali, o ipotizzate nei contratti individuali stipulati con l assistenza delle Commissioni di Certificazione, costituiscono elementi di riferimenti di cui il giudice deve tener conto nella valutazione della

sussistenza dei presupposti di giusta causa o giustificato motivo, in fatti o comportamenti che possono dar luogo al licenziamento. Le clausole compromissorie per il rinvio all arbitrato, anche irrituale, sono ammesse purché previste dai CCNL o accordi interconfederali, a condizione che siano state certificate, a pena di nullità, dagli organi autorizzati alla certificazione. Tali clausole non possono essere pattuite prima della fi ne del periodo di prova o prima che siano trascorsi trenta giorni dalla data di stipula del contratto, e non possono riguardare la risoluzione del contratto (art. 31, c. 10, Coll. Lav.). Per i soli contratti certificati, la conciliazione è obbligatoria e deve essere esperita presso le commissioni certificatrici che hanno redatto l atto di certificazione (art. 31, c. 2, L 183\2010): il proponente il ricorso dovrà adire preventivamente la Commissione certificatrice, la quale si riunirà in funzione conciliativa secondo l art. 410 c.p.c.