LA DIVINA COMMEDIA. Gli antecedenti culturali del poema



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Gli antecedenti culturali del poema LA DIVINA COMMEDIA Dante iniziò a scrivere la Commedia probabilmente dopo il 1307; dalle testimonianze di cui disponiamo si può dedurre che nel 1319 l Inferno e il Purgatorio erano già pubblicati mentre il Paradiso comparve postumo. Dante mise a frutto tutti gli strumenti che gli forniva la cultura del suo tempo: adottò la visione dei regni oltremondani, delle pene dell inferno e delle gioie del paradiso, di cui la tradizione medievale era ricca di esempi; si ricollegò al genere del poema allegorico; ebbe come esempio la letteratura didattico-enciclopedica di Brunetto Latini; trae ispirazione dai libri profetici della Bibbia e dell Apocalisse di Giovanni; infine ha come modello anche l Eneide di Virgilio, da cui sono ripresi nomi e immagini di luoghi. Visione del mondo di Dante La visione del mondo di Dante è caratterizzata da un incrollabile fede nel possesso della verità. Egli ritiene che nella conoscenza risieda la perfezione della natura umana; ma la conoscenza per lui non è avventura di ricerca personale, esplorazione dell ignoto, capace di sfidare ogni limite. Gli uomini per Dante devono accontentarsi di ciò che è stato loro rivelato, senza spingersi oltre, perché, se avessero potuto conoscere tutto, non sarebbe stata necessaria, per la loro salvezza, l incarnazione di Cristo. L universo a Dante appare quindi retto da un ordine mirabile, regolato perfettamente dalla volontà divina, in cui ogni elemento trova una giustificazione e un fine. Allegoria nella Commedia Alla cultura medievale appartiene anche l impianto allegorico del poema. Nel Convivio Dante distingue l allegoria dei poeti dall allegoria dei teologi: nel primo caso il piano letterale è una bella menzogna, un invenzione fittizia, sotto cui si nasconde una verità; nel secondo caso il piano letterale è vero, è un evento reale e storico, che rimanda a significati ulteriori. Così infatti si leggeva abitualmente nel Medio Evo la Sacra Scrittura: essa racconta fatti realmente verificatisi a persone reali, ma nel disegno di Dio questi fatti assumono altri significati. Dante ritiene che l allegoria della Commedia sia quella dei teologi; il suo poema va letto come si leggono le Sacre Scritture: ciò che narra la lettera non è finzione, ma verità storica. Nel poema infatti agisce Dante, a cui fanno da guida un Virgilio storico, una Beatrice storica e un Bernardo storico. Ad esempio Virgilio, Beatrice e Catone hanno anche un significato ulteriore, allegorico: Virgilio rappresenta la ragione, Beatrice la teologia, Catone la libertà; inoltre ciascuno di essi conserva pienamente la sua fisionomia individuale di persona realmente esistita. Dante vuole quindi che il suo poema si legga come un esperienza realmente verificatasi. Gianluigi Caruso 1

Il plurilinguismo dantesco La lingua e lo stile nel poema si innalzano progressivamente nelle cantiche in corrispondenza con l innalzarsi della materia; per esempio Caronte nell Inferno è definito vecchio, Catone nel Purgatorio è definito veglio, San Bernardo nel Paradiso è definito sene : si passa quindi da un termine più usuale come vecchio ad un termine più eletto e letterario di origine francese come veglio, per giungere al puro latinismo dotto e solenne come sene. Nell Inferno non mancano però passi di linguaggio letterario elevato. In tale cantica spicca l intensità espressiva dello stile aspro, fatto di termini rari e dialettali e di vocaboli plebei e scurrili. Il titolo delle Commedia e la concezione dantesca degli stili Nell Epistola a Cangrande Dante spiega perché la sua opera appartenga al livello comico: innanzitutto perché ha un inizio doloroso, l Inferno, ed una lieta fine, il Paradiso, mentre la tragedia ha un inizio lieto e un finale doloroso; in secondo luogo per lo stile che è dimesso e umile. Sarebbe errato però pensare che Dante definisca umile il suo stile perché il poema è scritto in volgare; quindi per Dante lo stile della Commedia è umile indipendentemente dal fatto che la lingua usata sia quella volgare. Anche questo può apparire sorprendente perché l argomento del poema è dei più sublimi; la realtà è che Dante propone un nuovo tipo di sublime: non più quello della classicità, che si limitava a rappresentare solo ciò che fosse nobile ed elevato con esclusione di tutto ciò che fosse umile e quotidiano, ma un sublime ispirato alla visione cristiana della vita, che non teme di accogliere in sé anche gli aspetti più concreti e dimessi del reale, sino a quelli più bassi e turpi, senza per questo veder sminuita la sua sublimità. Alla base di questa nuova idea di sublime sta, come si è già detto in precedenza, la fede in un perfetto ordine divino del mondo, in cui tutta la realtà trova un senso, un fine e quindi anche una dignità. Fondamentalmente la Commedia è un opera narrativa ed è su questa base che si innestano i vari generi, trovando in essa l unità. La Divina Commedia La Divina Commedia, originariamente Commedia, è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare toscana. Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche, Inferno, Purgatorio, Paradiso, ognuna delle quali è composta da 33 canti (tranne l Inferno, che contiene all inizio un ulteriore canto, considerato una sorta di preludio all intero poema). Attraverso questi tre regni ultraterreni, Dante immagina di compiere un viaggio che lo porterà alla redenzione dei suoi peccati. Il titolo originale dell opera fu Commedia; l aggettivo Divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio in una sua biografia dantesca dal titolo Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il periodo in cui, si pensa, sia stato scritto il poema. Gianluigi Caruso 2

Il Paradiso Struttura della cantica Canti: 33; Metro: terzine; versi: endecasillabi. Il Paradiso è formato da nove cieli concentrici che girano intorno alla terra. Essi prendono il nome dai pianeti e si susseguono nel seguente ordine: Cielo della Luna; di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle Fisse, del Primo Mobile (o Cielo Cristallino). Al di là dei cieli c è l Empireo, che vuol dire cielo di fiamma, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Dante attraversa i singoli cieli, in ciascuno dei quali gli vanno incontro le anime dei beati. Così Dante incontra nel cielo della Luna gli spiriti che in vita mancarono ai voti per violenza altrui, nel cielo di Mercurio gli spiriti che operarono il bene per conseguire fama e gloria, nel cielo di Venere gli spiriti amanti, nel cielo del Sole gli spiriti sapienti, nel cielo di Marte gli spiriti che combatterono per la fede, nel cielo di Giove gli spiriti giusti, nel cielo di Saturno gli spiriti contemplanti, nel cielo delle Stelle Fisse Dante assiste al trionfo di Cristo e di Maria, nel Primo Mobile ha la prima visione di Dio e dei cori angelici. Al di fuori delle sfere ruotanti c è l Empireo, sede di Dio e dei Beati, che comprende tutto l universo e, pur essendo immobile, comunica direttamente il moto al Primo Mobile e, attraverso questo, a tutti gli altri cieli. Dante nel cammino attraverso i cieli ha come guida Beatrice, simbolo della teologia, la quale poi è sostituita da S. Bernardo, simbolo della contemplazione mistica. La ragione della sostituzione sta nel fatto che, per elevare l anima a Dio, non basta la teologia, ma occorre la contemplazione mistica. La beatitudine del Paradiso In cielo i beati vivono in uno stretto vincolo di amore con Dio. L essenza della carità consiste nell adeguamento della volontà dell amante a quella dell amato e, quindi, in Paradiso non può accadere che ci sia discordanza tra il volere dei beati che vi risiedono e quello del Signore, il quale li ha posti in posizioni diverse corrispondenti ai propri meriti. Pertanto le anime del Paradiso non desiderano una condizione migliore di quella che hanno poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha. I beati si trovano nell impossibilità di concepire desideri che non siano conformi a quelli dell Onnipotente. Dio ha donato ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Gianluigi Caruso 3

Canto I Il canto ha una funzione di introduzione all intera cantica; in esso vi è la presentazione dell ambiente esteriore del Paradiso caratterizzato dalla luce e dall armonia, i due termini concreti della beatitudine. Il poeta espone nel proemio il disegno della terza cantica: riferire quanto vedrà nel volo attraverso i nove cieli e l Empireo, fino al suo incontro con Dio (versi 1-12). Conoscendo le difficoltà del tema, invoca Apollo, il dio della poesia, e gli chiede l ispirazione necessaria per conquistare l ambita corona poetica e per portare a termine la parte più difficile della sua Commedia (vv. 13-36). Dante si trova ancora sulla vetta del Purgatorio, nel Paradiso Terrestre: è notte nell emisfero boreale, è giorno in quello australe; il Sole invia influssi benefici sulla terra e Beatrice, voltandosi a sinistra verso l oriente, fissa con l intensità dell aquila il sole nascente: dall occhio della sua guida i raggi riflessi del sole colpiscono gli occhi di Dante che si sente trasumanare (= trapasso dall umano al divino) e inizia l ascesa verso le stelle, giungendo in un attimo nella zona in cui la luce del giorno sembra raddoppiata, mentre un armonia inspiegabile gli colpisce l udito. Dante a questo punto non sa se è giunto qui in anima e corpo o soltanto con lo spirito e si rivolge a Beatrice per avere una spiegazione (vv. 37-84). Beatrice si rivolge a Dante e lo informa che non è più sulla terra; egli è volato in anima e corpo, superando i leggeri strati dell aria e del fuoco. Ciò è contro le leggi fisiche, ma è possibile per le leggi che regolano l ordine universale. Ogni creatura obbedisce ad una tendenza naturale, istintiva, che la dirige verso il creatore. Tutto è, quindi, sollecitato da questo movimento voluto da Dio per il bene del creato. Gli uomini degni hanno come meta l Empireo, l infinito che avvolge i nove cieli e la terra; l Empireo, immobile, è simbolo della felicità eterna raggiunta nella contemplazione del Creatore, e Dante è qui che si va dirigendo, per naturale impulso che può essere ritardato o annullato in chi si lascia attrarre dai falsi piaceri dei beni del mondo. Il poeta non deve, quindi, meravigliarsi se, ormai purificato, vola verso Dio con la stessa facilità con la quale un ruscello, dalla cima della montagna, scorre verso la valle; desterebbe meraviglia, invece, se egli libero dal peccato fosse rimasto immobile sulla terra. Terminato così il suo ragionamento, Beatrice rivolge lo sguardo verso il cielo (vv. 85-142). Canto III Primo cielo: La Luna; Spiriti: mancanti ai voti. I beati del cielo della Luna appaiono come immagini sbiadite attraverso corpi trasparenti, ma Beatrice invita Dante ad intrecciare un dialogo con loro, perché si convinca che si tratta di sostanze reali, capaci di rivelargli le verità apprese da Dio: sono le anime che non portarono a compimento i voti fatti a Dio e, per questo, relegate nel cielo meno degno dei nove, cioè quello della Luna (versi 1-33). Così incoraggiato, Dante si rivolge ad una di esse per sapere chi sia, e per apprendere notizie che riguardano la sua condizione e quella degli altri beati. Risponde Piccarda Donati, Gianluigi Caruso 4

fiorentina, sorella di Corso e di Forese, e da lei Dante vuole sapere se sia contenta del grado di beatitudine conferitole da Dio, o se ne desideri uno più alto. Piccarda Donati afferma che è contenta e non è desiderosa di gioia maggiore, poiché la volontà dei beati coincide perfettamente con quella divina, in base al concetto della carità per cui il desiderio delle anime si identifica sempre con quello del Creatore. Dante desidera conoscere quale sia il voto che Piccarda non condusse a termine (vv 34-96), e la beata risponde, ricordando alcuni particolari della sua vita: l ingresso nel monastero delle Clarisse (l ordine monacale fondato da S. chiara); il forzato ritorno alla vita normale cui fu costretta dalla violenza usatale dal fratello Corso e dal futuro marito Rossellino della Tosa; il nostalgico e vano rimpianto della pace claustrale e un esistenza sgradita che ruppe il suo voto di castità. Piccarda indica, poi, a Dante l anima più gloriosa del primo cielo: Costanza d Altavilla, nuora di Federico Barbarossa, sposa di Arrigo VI, madre di Federico II di Svevia. Anche l imperatrice Costanza, come Piccarda, fu spinta dalla volontà altrui ad abbandonare il ritiro del chiostro. Piccarda, infine, si allontana, al canto dell Ave Maria, e svanisce lentamente, seguita con desiderio dall occhio del poeta affascinato dalla sua grazia. Dante aveva tentato invano di rivolgere la parola a Beatrice all inizio del canto, ma era stato distratto dall apparire delle anime; quindi prova a rivolgersi nuovamente a lei, per manifestare alcuni suoi dubbi, ma la luce abbagliante che si diffonde dall occhio della beata fa ritardare di nuovo la domanda che il poeta voleva rivolgerle (vv. 97-130). Il personaggio di Piccarda costituisce il centro di un quadro a cui fanno da cornice altre anime, le quali hanno ancora qualche cosa di umano, conservano ancora vivo il ricordo della loro vita terrena e sentono ancora l amarezza di non aver compiuto i loro voti. Questa è una della caratteristiche più rilevanti del canto poiché la materia teologica si mescola con il sentimento umano. Canto VI Cielo: Mercurio; Spiriti: Operanti il bene per desiderio di gloria. Attraverso la solennità del canto, Dante esalta l ideale politico della monarchia universale voluta e attuata dalla provvidenza divina attraverso i grandi condottieri, difensori della giustizia che è madre di tutte le virtù. Nel canto Giustiniano diventa il simbolo di questa politica teocratica. Dante rievoca la saggezza amministrativa di Roma e le sue miracolose opere di conquista. La storia sconfina nell epica, fin dall inizio della narrazione: a circa due secoli dal trasferimento della sede imperiale da Roma a Costantinopoli, l aquila, nelle mani di Giustiniano, seguitò a governare il mondo; la prima opera di Giustiniano, ispirata a Dio, è la redazione del codice delle leggi romane per il mantenimento dell ordine civile nel mondo, dopo aver affidato il comando degli eserciti al generale Belisario che, come lui, ebbe l assistenza di Dio nelle sue imprese militari. Sempre avvolto completamente dalla luce, Giustiniano si professa erede del trono di Costantinopoli, a 197 anni da quando Costantino vi trasferì la capitale dell impero; prima di dedicarsi al riordinamento del Codice romano, inizia la gloriosa narrazione delle gesta compiute dall Aquila romana nella conquista del mondo, sotto la manifesta Gianluigi Caruso 5

protezione di Dio, nell esaltazione delle imprese belliche operate dalla Monarchia più potente della storia di ogni età. Affidati gli affari della guerra al generale Belisario, Giustiniano si dedica ad attività pacifiche, ma, ricordando la sua passata qualità di imperatore, vuole che Dante ascolti dalla sua voce la rapida rassegna dei momenti più esaltanti delle conquiste di Roma (vv. 1-33). Tra mito e storia, eccone la narrazione: la morte di Pallante caduto in battaglia, con la quale Dante apre la schiera degli eroi che si sacrificano per attuare i disegni divini; la storia seguita a confondersi con la leggenda, come vuole il costume dell epica, nell impresa degli Orazi e Curiazi, nel ratto delle Sabine, nella fine della monarchia, che conclude il primo ciclo delle conquiste assicurate dall Aquila sulle popolazioni limitrofe. Prosegue ricordando lo scontro con i Galli, con Pirro e le vittorie riportate; qui il tono si innalza per celebrare la vittoria su Cartagine. Poi i trionfi di Pompeo e di Scipione che vennero propiziati dall Aquila che provvide anche a porre fine alle guerre intestine, con la sconfitta di Catilina. In un posto di rilievo riappare Cesare e le sue imprese prodigiose in Gallia, a Farsalo, in Africa e in tutta la valle mediterranea; poi le lotte tra Augusto e Antonio, concluse con la vittoria di Azio e la riunificazione dell impero; l inizio della Pax Augusta (l era della pace che ebbe inizio con l assunzione di ogni potere da parte di Ottaviano); la crocifissione di Cristo; la distruzione di Gerusalemme operata da Tito; continuano a sfilare i fatti della storia anche dopo la morte di Giustiniano nelle imprese di Carlo Magno, difensore della Chiesa contro i Longobardi e fondatore del Sacro Romano Impero. A tante glorie, Giustiniano oppone la tracotanza dei re di Francia che vogliono sostituire la bandiera universale di Roma con quella della loro nazione, e l ingiustizia dei Ghibellini che intendono commettere i loro soprusi, all ombra dell Aquila. Le colpe dei guelfi e dei ghibellini appaiono in tutta la loro mostruosa responsabilità, ma a loro è annunciata la vendetta di Dio (vv.34-111). Giustiniano rivela, poi, a Dante che i beati del cielo di Mercurio, avendo in vita proposto l amore di Dio ai beni terreni, hanno un minor grado di felicità, ma sono ugualmente lieti, perché vedono la perfetta rispondenza tra i loro meriti e la ricompensa avuta da Dio (vv.112-126). A questo punto Giustiniano rende onore al magnanimo Romeo da Villanova, fedele amministratore dei beni di Raimondo Beringhieri che, ingrato, dando credito alle calunnie dei cortigiani, bandì il vecchio e fedele servitore, costringendolo agli stenti di una vita raminga. In Romeo, Dante onora se stesso, perché, come lui, si considera colpito dall ingratitudine di coloro al bene dei quali aveva dedicato le sue migliori energie. In questo episodio che conclude il canto risuona dolente la voce dell innocente condannato all esilio. (vv.127-142). Paradiso Canto XV Quinto cielo: Marte Spiriti: Militanti Tacciono gli spiriti per consentire a Dante di parlare, e uno di essi si rivolge a Dante, con l affetto con cui Anchise accolse Enea nei Campi Elisi, con un saluto in lingua latina. Dante affettuosamente ringrazia lo spirito che lo ha accolto con tanto calore, pregandolo di rivelarglisi. È Cacciaguida, il trisavolo del poeta al quale raccomanda di procurare suffragi per l anima del figlio Alighiero primo, che da più di un secolo espia trai superbi, in Purgatorio, il peccato di superbia; si abbandona poi al nostalgico rimpianto della Firenze dei suoi tempi, allietata dalla pace, chiusa in una modesta Gianluigi Caruso 6

cerchia di mura; loda la pudicizia della donne di quell età, la sana moralità dei concittadini, la sobrietà dei signori, la sottomissione delle figlie alla volontà dei genitori, l affettuosa cura delle mamme e delle nonne per i piccoli, la pace serena nell intimità delle famiglie, quando non si vedevano donne scostumate o disonesti politicanti, ma frequenti erano gli esempi di uomini saggi, di madri virtuose. Cacciaguida benedice, poi, la sua fortunata nascita nella piccola città di Firenze, il battesimo ricevuto nell antico battistero di S. Giovanni; ricorda sua moglie, Aldighiera, venuta dalle valle padana: da lei, il cognome passato, poi, a tutti i discendenti (vv. 1-96). Al seguito dell imperatore Corrado III di Svevia, Cacciaguida partecipò alla seconda crociata; si comportò da eroe, tanto di meritare il titolo di cavaliere, e cadde combattendo contro gli infedeli. Dal volontario martirio, il bene eterno: la pace del Paradiso, dopo una vita spesa nelle opere proficue in tempo di pace e nel lieto olocausto di una morte trionfale (vv. 97-147). La morte è per Cacciaguida una liberazione attesa con spirito cristiano. Canto XVII Quinto cielo: Marte Spiriti: Militanti Dante desidera conoscere, finalmente, i particolari dell esilio annunciatogli già sette volte durante il suo viaggio attraverso l Inferno e il Purgatorio. Cacciaguida glieli rivela: il bando sarà procurato dagli ingrati fiorentini che colpiranno in lui l amministratore onesto, incapace di compromessi, vigile nell assicurare a tutti la giustizia. Dante lascerà la famiglia, gli amici e, nella dolorosa corsa in cerca di ospitalità, dovrà subire tutte le umiliazioni riservate alle anime generose. Egli sarà accolto nella corte degli Scaligeri a Verona. Il dolore più grande sarà costituito dagli stessi compagni di sventura che, insensibili ai saggi consigli di Dante, subiranno sconfitte irreparabili. Cacciaguida esorta il pronipote a non nutrire odio verso i nemici sui quali pende la punizione di Dio, mentre una lunga gloria compenserà gli affanni dell iniquo bando (vv.1-99). Dante, perplesso circa la condotta da tenere durante l esilio, chiede a Cacciaguida come deve comportarsi nella sua funzione di poeta morale e civile. Nel suo viaggio attraverso l Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, fino ad allora visitati, ha appreso particolari spiacevoli nei riguardi di molti potenti. Dovrà nasconderli o rivelarli per assicurarsi con questo atto di coraggio la fama presso i posteri? Cacciaguida risponde: colpisci il vizio, dovunque appaia, e lascia che si vergogni chi tu avrai biasimato per le colpe commesse. Con questa singolare lezione di civile coraggio, Cacciaguida pone fine al XVII canto (vv.100-142). Gianluigi Caruso 7