Recenti novità tassonomiche riguardanti i pesci d acqua dolce e descrizione di una nuova specie di luccio

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Gabriele de Filippo Editor Researches on Wildlife Conservation volume 2 (suppl.) IGF Publishing

Reference de Filippo G. (ed.) 2011. Res.Wildl.Conserv. 2 (suppl.). IGF Publ., USA. Published by Lulu.com 2011 Istituto di Gestione della Fauna onlus ISBN 978-1-4477-8022-9 info@gestionefauna.com www.gestionefauna.com

Contents Recenti novità tassonomiche riguardanti i pesci d acqua dolce autoctoni in Italia e descrizione di una nuova specie di luccio. Pier Giorgio Bianco e Giovanni Battista Delmastro Pag. 1

Researches on Wildlife Conservation, vol. 2 (suppl.), 2011, IGF publ. Recenti novità tassonomiche riguardanti i pesci d acqua dolce autoctoni in Italia e descrizione di una nuova specie di luccio. Pier Giorgio Bianco 1 e Giovanni Battista Delmastro 2 1Istituto di Gestione della Fauna e Dipartimento delle Scienze Biologiche, Università Federico II, Napoli 2Museo Civico di Storia Naturale, via S. Francesco di Sales 188, Carmagnola (To) Riassunto Rispetto alla letteratura ufficiale corrente usata dagli ittiologi italiani, 15 specie preventivamente considerate di origini transalpine, specialmente quelle d acqua dolce primarie, si sono rivelate endemismi italiani. Tra le specie riabilitate figurano, tra i ciprinidi, due del genere Scardinius, 2 del genere Telestes, con la riabilitazione di T. savigny dell Italia settentrionale e T. comes della meridionale; tre del genere Squalius, tra cui S. ruffoi endemica dell Italia meridionale mentre S. albus del Trasimeno rappresenta un sinonimo più recente di S. squalus. Il gobione italiano, ascritto al genere Romanogobio, viene riassegnato al genere Gobio (G. benacensis). Phoxinus lumaireul rappresenta sinonimo più recente di P.phoxinus. Salmo cenerinus è sinonimo più recente di S. marmoratus mentre S. farioides potrebbe rappresentare la specie di trota della linea adriatica. I lucci italiani rappresentano una nuova specie: Esox cisalpinus n.sp. Alcune specie recentemente descritte come nuove, come Cottus scaturigo del bacino del Timavo, o riabilitate per l Italia vengono obbiettivamente criticate e la loro eventuale validità deve essere ulteriormente comprovata soprattutto con verifiche molecolari. Abstract About 15 native species, before considered by the official Italian ichthylogical literature, as conspecific with transalpinian species, are in fact endemics. Especially the failure of taxonomic updates bring in Italy several alien species either introduced as official stockings or mixed as impurity. Among the rehabilitated species there are, among cyprinids, Scardinius hesperidicus and S. scardafa, Telestes savigny from northern and T. comes from southern Italy, Squalius ruffoi from southern Italy. Squalius albus is a junior synonym of S. squalus. The endemic gudgeon, assigned at genus Romanogobio is placed again into the genus Gobio (G. benacensis). Phoxinus lumaireul is a junior synonym of P.phoxinus. Among Salmonidae, Salmo cenerinus is junior synonym of S. marmoratus while Salmo farioides represents the trout species of the Adriatic lineage. The esocid Esox cisalpinius n.sp. is regarded as an endemic species of pike in Italy. Among sculpins, Cottus scaturigo and C. ferrugineus are regarded as junior synonyms of C. gobio. Actually in Italy there are 51 native established freshwater fish species 2 of which extinguished (Acipenser sturio and Huso huso). Introduzione Dalle monografie di Gandolfi et al. (1991) e Zerunian (2004), sui pesci d acqua dolce italiani, tuttora in uso dalla maggior parte degli ittiologi e con l avvento, a partire soprattutto dagli anni novanta, delle moderne indagini biomolecolari, e delle ipotesi biogeografiche sulla origini degli endemismi perimediterranei, molti aspetti tassonomici riguardanti le specie europee e italiane sono cambiati. In Italia, la preesistente confusione della nomenclatura e il mancato aggiornamento tassonomico di specie endemiche italiane, ancora oggi ritenute di origini danubiane o transalpine, hanno consentito l introduzione legale di stock ittici di provenienza centro-europea, soprattutto sotto il nome barbi e cavedani, oltre a carpe e carassi di vario genere, con tutte le conseguenze derivate dall introduzione di impurità di altre specie riducendo il bacino del Po ad un ramo del Danubio e quello delle regioni toscolaziali, a un complesso dominante di specie padane e danubiane. L aggiornamento delle specie è reso necessario per evidenziare anche lo stato di conservazione delle specie autoctone, specialmente la dove le analisi genetiche hanno rilevato unicità di aplotipi. In questo lavoro riportiamo una sintesi tassonomica di queste novità in gran parte riportate nella recente manualistica europea ( Kottelat & Freyhof, 2007). Tuttavia in questo lavoro gli autori danno sicuramente una sovra estimazione delle specie, per la maggior parte allopatiche e fra loro difficilmente

identificabili senza conoscere l esatta località di provenienza. Non forniscono spiegazione biogeografia e filogenetica tale da giustificarle. Inoltre, salvo rari casi, non tengono conto dei lavori di genetica, filogenesi e filogeografia molecolare. La riabilitazione di certe specie, non rappresenta un esercizio di tassonomia, ma, come nel caso dei vaironi, hanno lo scopo di attirare l attenzione su quel poco del patrimonio ittico naturale del nostro paese evidenziato soprattutto dalle analisi molecolari, sperando che stimoli interventi appropriati atti alla loro conservazione. In Italia Kottelat & Freyhof (2007) elencano circa 108 specie di cui 51 autoctone, 43 introdotte e 14 di origini marine o occasionali. Alcune novità tassonomiche proposte sono però da rivedere. Metodi Vengono analizzate tutte le specie descritte per l Italia da Kottelat & Frehyof (2007), confrontate con quelle riportate dagli attuali referenti degli ittiologi italiani ( Gandolfi et al., 1991; Zerunian, 2004). Delle specie oggetto di modifiche tassonomiche, viene qui riportato un commento sulle ragioni di tali modifiche, basandosi soprattutto sui recenti lavori di genetica molecolare. In complesso, mentre per la maggior parte delle specie concordiamo con questi autori, altre presentano dubbi sulla loro validità ed altre ne vengono aggiunte. Le sinonimie riportate nel testo, sono quelle relative a specie descritte da Kottelat & Frehyof (2007). I brevi caratteri di diagnosi forniti per alcune specie, si basano sull analisi di materiali conservati nelle collezioni della Sezione di Zoologia del dipartimento di Biologia dell Università Federico II di Napoli. Petromyzontidae Lampetra zanandreai Vladikov, 1955. Kottelat & Frehyof (2009), assegnano la specie di lampreda di ruscello padana, Lethenteron zanandreai, al genere Lampetra, senza però prendere in considerazione il fatto che questo cambio di genere era già stato fatto sia da Zerunian (2004), che su basi molecolari da Caputo et al., (2009). Secondo la lista rossa dell IUCN (2010), la categoria di rischio sarebbe Least Concern, (LC), ma a causa della progressiva rarefazione, la specie andrebbe passata almeno a Nearly Threatened (NT). Per quanto riguarda le altre specie, la lampreda di mare e quella di fiume, date per estinte da Bianco & Ketmaier (2001), in realtà formano ancora comunità riproduttive almeno nel fiume Magra (Ciuffardi et al., 2007; Ciuffardi et al., 2010). Lampetra planeri risulta ancora diffusa in molti fiumi. Recenti analisi molecolari hanno evidenziato caratteri genetici unici delle lamprede di ruscello dei fiumi Bussento e Mingardo (Bianco & Ketamaier, 2010). Clupeidae Alosa agone (Scopoli, 1786). Descritta per il lago di Lugano, rappresenta il nome corretto delle alose endemiche dei laghi subalpini. Per quanto riguarda l entità tassonomica è comunque sinonimo prioritario di Alosa fallax (La Cepède, 1803) descritta per il Fiume Senna in Francia, come già evidenziato da Kottelat (1997). Secondo Kottelat & Frehyof (2007), la cheppia dovrebbe rappresentare una specie distinta, Alosa fallax. Questi stessi autori, però, citano A. algeriensis Regan, 1816, per i laghi della Sardegna ignorando che si tratta di popolazioni migratrici di A. fallax relegate nelle acque interne a seguito di sbarramenti artificiali. Secondo Bianco (2002), considerandone la grande variabilità, l agone e la cheppia sono ecotipi dell unica specie A. agone. Le recenti analisi molecolari condotte da Chiesa et al., (2010), dimostrano una sostanziale distanza genetica tra gli agoni e le cheppie. Gli agoni dei laghi lombardi rappresentano quindi una buona specie, ben differenziata anche per caratteri biologici e morfologici, dalla cheppia, Alosa fallax, migratrice. Salmonidae Salmo cettii Rafinesque Schmaltz, 1810, è sinonimo prioritario di S. macrostigma Dumeril 1858 e quindi la specie corretta da citare. S. macrostigma viene data come probabile endemismo dell area magrebina (Kottelat & Freyhof, 2007). 2

Researches on Wildlife Conservation, vol. 2 (suppl.), 2011, IGF publ. Secondo Kottelat & Freyof (2007), le trote fario del distretto padano-veneto non sono ascrivibili a Salmo trutta. Propongono quindi la specie Salmo cenerinus Chiereghini, 1847. (l autore corretto è però Chiereghin) descritta per il chioggiano. Secondo il Gridelli (1935), nel Friuli esisteva solo la trota marmorata, Salmo marmoratus Cuvier, 1829, che frequentava soprattutto la parte bassa dei fiumi. La monumentale opera dell Abate Chiereghin (1745-1820), venne pubblicata solo nel 2001 (Chiereghin, 2001), mentre alcune specie, tra cui S. cenerinus, sono state brevemente ridescritte e quindi rese valide da Nardo (1847), la descrizione del S. cenerinus fornita dal Chiereghin (2001), è molto dettagliata e la figura riportata (Fig. 1), la illustra chiaramente. In sintesi, si tratta di specie rinvenibile nelle acque salmastre del Chioggiano, e che risale i fiumi per riprodursi. La colorazione è uniformemente grigia con macchiette rossastre laterali. Questa descrizione si adatta esattamente a quella data da Tortonese (1970) per la marmorata in ambiente salmastro o marino. Risulta quindi chiaro che il nome S. cenerinus Chiereghin, 1847 rappresenta un sinonimo più recente di S. marmoratus. Sempre secondo Kottelat & Frehyof (2007), non esistono altri taxa descritti per l Italia rappresentativi della linea adriatica. Tuttavia esistono diversi taxa descritti per il versante orientale del medio e alto adriatico appartenenti al distretto padano-veneto. Figura 1 - Salmo cenerinus Chiereghin, 1847, descritta per le lagune del chioggiano. Gia il Gridelli, (1935), considerava per l Italia l esistenza di tre distinte specie di trote fario sotto il nome di Salmo trutta L. 1758.. Una era rappresentata dalla trota del Sagittario, molto differente da Salmo trutta danubiana soprattutto per numero e conformazione delle vertebre (Henking & Altoeder, 1931), successivamente descritta come specie a se stante, Salmo ghigii, da Pomini (1941). Lo stesso Gridelli (1935) rilevava affinità tra le trote del Sagittario e le trote della Dalmazia. In questi fiumi, appartenenti al distretto padano-veneto, sono state descritte tre specie: Salmo fariodes Karaman 1938, del fiume Krka, descritta però prima di S. zrmanjensis Karaman, 1938, del fiume Zrmanje, e Salmo visovacensis Taler, 1850 per il fiume Visovacic, affluente della Krka. Questi bacini contano numerosi rappresentanti primari o primari simili (Bianco & Nordlie, 2008) del distretto padano-veneto: Padogobius bonellii, Alburnus arborella Squalius squalus, Pomatoschistus canestrini, Barbus plebejus, e si possono quindi ritenere conspecifiche anche con le trote dell area padano-veneta. Dall immagine a colori fornita da Mrakovčić et al. (2006) e da Kottelat & Frehyof (2007), ma anche da materiali depositata nel Settore Zoologico, S. farioides e S. zrmanjensis presentano un habitus tipico delle nostre trote di torrente, con bande verticali poche accennate, punti rossi sparsi lungo i fianchi del corpo e una macchia opercolare abbastanza estesa, caratteri che la avvicinano al Salmo ghigii. Tra queste quattro specie, la prima a essere stata descritta è S. farioides e potrebbe caratterizzare i popolamenti autoctoni italiani della linea adriatica. Cyprinidae Il genere Squalius Bonaparte 1832, adottato da diversi autori del passato ma poi considerato un sottogenere di Leuciscus, è stato nuovamente riabilitato. Non entro nel merito, anche se non ritengo molto ben definibile questo genere rispetto a Leuciscus. Squalius lucumonis (Bianco, 1983): Oltre per i caratteri morfologici, ben individuabili rispetto al congenere S. squalus, per chi ha pratica di questa specie, le analisi genetiche condotte su Squalius lucumonis, al 3

contrario di quanto avviene per alcune specie di trote, hanno sempre evidenziato la sua piena validità (Ketmaier et al., 1998; Durand et al., 1999; 2000). I litigi poco produttivi scatenati da certi ittiologi, non hanno certo favorito la sopravvivenza di questa specie, già inclusa nella Direttiva Habitat, del 1982, e ora in forte riduzione e inclusa tra l elenco mondiale delle specie minacciate di estinzione (Bianco & Ketmaier, 2003). Si tratta di una specie reofila obbligata che convive con il congenere S. squalus (Bonaparte, 1837). Un raro caso di convivenza simpatrica tra rappresentanti di uno stesso genere. Il cavedano comune, vien indicato come specie endemica da Kottelat & Frehyof (2007). Già Bianco (1995a), aveva distinto i cavedani italiani come Leuciscus cephalus squalus per un carattere che, se pur labile, differenziava i nostri cavedani da quelli transalpini. Ovvero possedere mediamente 9 raggi divisi nella pinna anale, contro 8 nelle popolazioni transalpine (Bianco, 1983; Bianco, 1988a; Bianco & Recchia, 1983; Bianco & Knezevic, 1987), Successive ricerche genetiche su questa specie hanno dimostrato la sua appartenenza ad una distinta linea adriatica (Ketmaier, et al., 1998; Durand et al., 1999; 2000). Squalius albus (Bonaparte, 1838) del Lago Trasimeno, riabilitato in base a materiali di introduzione, è chiaramente un sinonimo di S. squalus (Bonaparte, 1837) in quanto l ittiofauna di questo lago deriva dalle ripetute connessioni con il bacino del Tevere (con i torrenti Caina e Nestore), località tipica di S. squalus e non vi è mai stata alcuna evidenza della contemporanea esistenza delle due specie. Squalius ruffoi (Bianco & Recchia, 1983). Non più considerata dall epoca della sua descrizione e tacitamente considerata come sinonimo di Squalius cephalus. Tuttavia questo taxon si differenzia dai cavedani comuni per avere mediamente un raggio divisi in più nella pinna dorsale (modalmente 9 invece di 8), uno in meno nella pinna pelvica (7 invece di 8) e normalmente 16 squame circumpeduncolari invece di 14 (Bianco & Recchia, 1983). Secondo l Evolutionary Species Concept adottato da Kottelat & Frehyof (2007), rappresenta quindi una buona specie. Squalius lapacinus (Stefani, Serra, Loffredo e Fossa, 1987), rappresenta l ibrido Squalius squalus x Alburnus arborella (vedi Bianco, 1988b). La recente individuazione di un distretto dell Italia meridionale, in base sia a studi molecolari sui vaironi che alla presenza di endemismi come Cobitis zanandreai e Alburnus albidus (Ketmaier et al., 2004) e anche l unicità degli aplotipi meridionali riscontrati nelle lamprede di ruscello (Soto & Bianco, 2011), permettono di riabilitare questo taxon endemico del fiume Savuto di un distretto meridionale che qui definiremo Apulo-Campano, in quanto questi taxa endemici si riscontrano maggiormente nei fiumi di Puglia e Campania, la cui estensione ricalca la distribuzione di Alburnus albidus. Genere Telestes. Per quanto riguarda il vairone, sia la sua appartenenza al genere Telestes e la sua identità specifica, sono stati trattati in numerosi lavori (Ketmaier et al. 1998; Stefani et al., 2004; Gilles et al., 2010). Nel corso di analisi molecolari, è stata riscontrata una forte divergenza genetica nei riguardi dei popolamenti padano-veneti, tosco-laziali, e apulo-campani sia in base al citocromo b (Ketmaier et al., 2004. ) (Fig 2 ), che ai marcatori microsatellitari (Marchetto et al., 2010). Questi ultimi individuano un ulteriore gruppo di popolazioni indipendenti nei fiumi delle Marche. In definitiva, la notevole divergenza genetica riscontrata tra i popolamenti di vaironi dei vari distretti italiani e in particolare quelli del complesso del Volturno-Calore Irpino, suggeriscono l esistenza di tre distinte specie. Già il Bonaparte (1832-1841), distingueva una forma settentrionale da una dell Italia centrale. Il Costa (1829-1851) descriveva anche un vairone, dell Italia meridionale. Quindi: Telestes savigny Bonaparte, 1840: Questo taxon descritto per i laghi del Piemonte e il lago Lugano rappresenta la specie endemica del distretto padano-veneto. Nome comune: vairone. Telestes muticellus (Bonaparte, 1837): Rappresenta la specie endemica del distretto Tosco-Laziale e della Liguria. Nome comune, mozzella Telestes comes (Costa, 1838): Rappresenta la specie endemica del distretto apulo-campano (bacini del Volturno e del Sele). La categoria da inserire in IUCN è Vulnerable (VU). La specie, infatti, è assai localizzata e presenta una distribuzione a macchia di leopardo, e solo raramente forma popolazioni ben strutturate. Nome comune: compagno La specie padana si distingue da quella tosco-laziale soprattutto per il numero di squame della linea laterale, ovvero mediamente 45-50 contro 40-46, mentre quella meridionale ne presenta 38-43. T. comes si differenzia da T. muticellus anche per avere occhio proporzionalmente più grande, il margine distale del preopercolo più arrotondato e la fascia scura longitudinale meno marcata. Telestes souffia (Risso, 1826), introdotta nel Friuli come risultato di introduzioni avvenute in Slovenia, nei riguardi delle nostre specie, presenta un capo più lungo e muso acuto invece che ottuso, e presentano un numero maggiore di squame della linea laterale: 50-55. 4

Researches on Wildlife Conservation, vol. 2 (suppl.), 2011, IGF publ. Protochondrostoma genei (Bonaparte, 1839): Il genere Chondrostoma è stato scomposto in 5 generi da Robalo et. Al. (2007). La lasca è stata assegnata al genere Protochondrostoma che sarebbe endemico dell area padano-veneta con l unica specie P. genei. Scardinius hesperidicus (Bonaparte, 1845): ricerche genetiche e morfologiche (Bianco et al. 2001; Ketmaier et al., 2004), hanno evidenziato differenze morfologiche e una notevole divergenza genetica tra le scardole, S. erythrophthalmus, dell Europa centrale, e quelle italiane. Il nome corretto per la specie endemica italiana dell area Padano-Veneta risulta essere la scardola padana, S. hesperidicus, descritta per i laghi del Piemonte. Scardinius scardafa (Bonaparte, 1837), rappresentava, al pari di Squalius lucumonis, la specie endemica del distretto tosco-laziale. Le analisi molecolari hanno evidenziato una distanza genetica tra S. esperidicus e S. scardafa, equivalente a quella tra S. squalus e S. lucumonis, a testimoniare analoghi tempi di dispersione e vicarianza. Inoltre, i popolamenti analizzati dell Italia centrale appartengono tutti a S. hesperidicus (Ketmaier et al., 2004) e testimoniano un estinzione di S. scardafa dovuta all introduzione della scardola padana. S. scardafa sopravvive nel Lago di Scanno, dove a sua volta è stata introdotta da materiali del Lago del Fucino, prima della bonifica, e forse anche nel lago di Piediluco (Bianco osserv. pers.). S. scardafa è inclusa nella lista rossa dell IUCN alla categoria Critical Endangered (Crivelli, 2006a) e tra le specie mondiali minacciate di estinzione (Bianco, 2004). Un semplice metodo di diagnosi delle tre specie è il computo del numero di raggi divisi della pinna anale: modalmente 9 in S. scardafa, 10-11 in S. hesperidicus, 12-14 o più in S. erythrophthalmus. Gobio benacensis Pollini, 1816: Synonimo: Romanogobio benacensis (Pollini, 1816). E specie endemica italiana ora relegata a pochi ambienti ed in gran parte estinta nell areale padano-veneto. La causa della sua estinzione è in gran parte dovuta all introduzione del gobione europeo, Gobio gobio (L. 1858). Le due specie si differenziano per caratteri bio/ecologici e genetici. Il gobione europeo, oltre a raggiungere dimensioni maggiori (14-15 cm di lunghezza standard di fronte a 8-11 cm in G. benacensis), è gregaria, formando comunità assai numerose in ambienti torrentizi, mentre G. benacensis è specie meno invasiva e discreta. A livello genetico risulta ben differenziata dai gobioni europei. Kottelat & Frehyof (2007), includono la specie nel genere Romanogobio. Le analisi molecolari però (Bianco & Ketmaier, 2006) non concordano con questa attribuzione. I caratteri morfologici che distinguerebbero questo genere, ovvero le squame epiteliali sul dorso crestate non sono sempre presenti nei materiali italiani. Inoltre le specie confinanti sono Gobio gobio e Gobio obtusirostris Valenciennes, 1842, mentre il genere Romanogobio è centro europeo. L attribuzione al genere Romanogobio è quindi anche un assurdo biogeografico. La specie viene quindi riassegnata al genere Gobio. Un carattere pratico e inequivocabile, per il riconoscimento delle due specie in Italia, è il numero di squame in serie tra l origine della pinna anale e l apertura cloacale: 2-3 squame in G. benacensis e 4-7 in G. gobio. (Bianco & Taraborelli, 1986). I litigi poco produttivi scatenati da certi ittiologi sulla validità di questo endemismo, non hanno certo favorito la sua sopravvivenza. G. benacensis è incluso nella lista rossa dell IUCN alla categoria Endangered (Crivelli, 2006b) ed inclusa tra le specie mondiali minacciate di estinzione (Bianco, 2009). Phoxinus phoxinus (L., 1758): Synonimo: Phoxinus lumaierul Schinz, 1840. Kottelat (2007), in base ad una analisi sommaria di Phoxinus phoxinus, sanguinerole italiane, le attribuisce alla specie P. lumaierul Schinz, 1840. Invero i caratteri che differenzierebbero questa specie dalle sette riportate da questi autori sono estremamente labili. Apparentemente non sono note ricerche molecolari estensive su questo complesso di specie. Le sanguinerole sono specie frigofile in grado, di sfruttare le captazioni fluviali montane e non dovrebbero distanziarsi a livello molecolare, dai popolamenti del versante settentrionale delle alpi come avvenuto per gli scazzoni (Slechtova et al., 2004). I caratteri di distinzione non sembrano nemmeno applicabili a livello sottospecifico e, in attesa di studi più estensivi su questa specie, la manteniamo come P. phoxinus. L identità specifica di Barbus caninus è stata dimostrata da diverso tempo (Berrebi, 1995) cosi come quella di B. tyberinus (Bianco, 2003), facilmente distinguibile da B. plebejus nelle zone dove quest ultima è stata introdotta. Molto dettagliato il contributo di Lorenzoni et al., (2006), dove vengono descritte le 4 in Italia e nel Tevere. Alburnus arborella (Bonaparte, 1841). L alborella settentrionale è specie endemica italiana che si discosta per caratteri genetici e morfologici dalle alborelle centro europee (Ketmaier et al., 2009). La corretta nomenclatura della specie è Alburnus arborella (Bonaparte, 1841)(Kottelat & Bianco, 2005). Per quanto riguarda il pigo, Rutilus pigus, si tratta di specie endemica italiana ben differenziata sia a livello genetico (Ketmaier et al., 2008) che a livello morfologico (Kottelat & Freyhof, 2007) dal congenere 5

Rutilus virgo. Questa specie risulta fortemente minacciata dall interazione soprattutto con Rutilus rutilus con cui tende anche ad ibridare. L attuale categoria IUCN, LC (low concern) attribuita da Kottelat e Freyof (compilatore di questa specie per la IUCN red list), andrebbe rivista e attribuita a EN (endangered). Cobitidae Sia Cobitis bilineata Canestrini, 1866 e Cobitis zanandreai Cavicchioli, 1965, sono state riconosciute come specie endemiche rispettivamente dell area padano-veneta e del distretto apulo-campano (Bohlen & Rab, 2001; Buj et al., 2008; Perdices & Dodrio, 2001). Facili elementi di riconoscimento sono il numero di macchie alla base della pinna caudale: due in C. bilineata; una in C. taenia (L. 1758), e nessuna in C. zanandreai. Quest ultima presenta anche un peduncolo caudale piuttosto elevato, carattere che la avvicina al genere Sabanejewia, e per tali motivi è stata ipotizzata una sua origine ibrida (C. bilineata x S. larvata). Gobiidae Padogobius bonelli (Bonaparte, 1846) è sinonimo prioritario di P. martensii (Gunther, 1861) (Kottelat, 1997). Sono stati recentemente dimostrati i meccanismi etologici di competizione ed eliminazione ai danni di P. nigricans (Canestrini, 1867) da parte di P. bonelli nei luoghi di introduzione (Mecatti et al, 2010). La specie P. nigricans, proprio per l introduzione di P. bonelli, sta diventando oltremodo rara. L attuale categoria IUCN 2010, LC, dovrebbe passare a EN. Lotidae Lota lota (L. 1758) rappresenta l unica specie presente in Europa. Si tratta di specie primario-simile, limnofila obbligata, termofila. Per quanto riguarda le popolazioni italiane, quindi, potrebbe trattarsi di specie distinta da quella europea, oppure introdotta. In America si distinguono due sottospecie (Elmer et al., 2008), mentre in Europa sono stati evidenziate due linee filogeografiche: una Atlantica ed una danubiana (Barluenga et al., 2006). Importante sarebbe quindi un analisi molecolare per evidenziare una possibile linea adriatica o le origini alloctone delle nostre popolazioni. Gasterosteidae Gastrosteus gymnurus Cuvier, 1829: Mäkinen et al. (2006), in base a studi molecolari, distinguono le popolazioni migratrici dell area Europea da quelle d acqua dolce dell area Mediterranea, e datano a circa il Pleistocene la loro separazione. Tuttavia riscontrano significative divergenze genetiche fra le varie popolazioni d acqua dolce dovute agli effetti di dispersione e vicarianza dovuti a processi di ricolonizzazione post glaciale. Esistono quindi buone ragioni per differenziare i popolamenti migratori del nord-europa, Gasterosteus aculeatus L. 1758, da quelli relegati nelle acque dolci Mediterranee, G. gymnurus. Già con questa nomenclatura citavano la specie alcuni ittiologi del passato come Ninni (1907) per gli spinarelli delle acque del Veneto. Cottidae Le analisi genetiche condotte sugli scazzoni dei due versanti alpini, italiano e centro europeo, hanno dimostrato una notevole uniformità genetica a sostegno dell esistenza di una unica specie (Slechtova et al., 2004): Cottus gobio L., 1758. La supposta specie endemica italiana, C. ferrugineus Heckel & Kner, 1858 descritta per il Lago di Garda, risulta quindi sinonimo di Cottus gobio. La conspecificità di popolazioni dei due versanti alpini testimonia recenti episodi di dispersione e ciò avvalla la teoria secondo la quale le specie frigofile come lo scazzone si possono servire della captazioni fluviali delle valli in quota per migrare da un versante all altro (Bianco, 1995b). La specie C. scaturigio Frehyof, Kottelat, Nolte, 2005, descritta per il Fiume Timavo, nei pressi di Monfalcone, (Frehyof et al., 2005), si differenzierebbe da C. gobio soprattutto per la pigmentazione. Questi autori considerano erroneamente come nuova la segnalazione dello scazzone per questo fiume già segnalato da Brunelli & Chiappi (1931: p. 483 Tav. I) i quali segnalano la presenza della specie in quasi tutti i bacini della 6

Researches on Wildlife Conservation, vol. 2 (suppl.), 2011, IGF publ. Giurisdizione del Regio Stabilimento Ittiogenico di Brescia, e dal Pomini (1935: Timavo presso Duino, citato da Stammer, Zool. Jahrbucher, 1912, p. 651), il quale accennava alla notevole variabilità della pigmentazione degli scazzoni del Friuli. Questo bacino appartiene al distretto padano veneto e resta anche difficile pensare ad un isolamento di lunga data o un adattamento alle riemersioni carsiche (essendo specie frequente nelle risorgive) ripensando alle recenti connessioni del Timavo con il bacino del Po nel corso dell ultima glaciazione wurmiana, avvenuta fino a circa 5-6.000 anni fa (Bianco, 1990). Anche il Tellini (1895), cita la specie come ampiamente diffusa nelle acque del tratto alpino, pedemontano e di pianura, sopratutto nelle risorgive carsiche, di 49 comuni del Friuli. Infine nel Timavo vivono tutte componenti del distretto padano-veneto (Brunelli & Chiappi, 1931). Difficile quindi ammettere la validità di C. scaturigo poiché, se effettivamente le popolazioni venete e friulane rappresentano una specie distinta, questa dovrebbe essere rappresentata da C. ferrugineus. Kottelat (1997) indica C. ferrugineus come specie endemica italiana, ma questa non viene successivamente inclusa nel manuale di Kottelat e Freyhof (2007) Esocidae Il luccio è specie autoctona italiana dei distretti padano-veneto e tosco-laziale. Trattandosi di forma primaria, moderatamente frigofila, preferenzialmente limnofila (Bianco, 1995b), è ipotizzabile una sua distinzione dai lucci transalpini. Infatti, tutte le forme italiane primarie e primario-simili (Bianco & Nordlie, 2008), si sono dimostrate endemismi propri dell area cisalpina. Nonostante la notevole variabilità geografica riscontrata in Esox lucius L. 1758, tale da ritenerla un unica specie (Nilsson et al., 2008). Le analisi molecolari pan-europee (Nicod et al., (2004), hanno permesso di individuare caratteri unici per i popolamenti di luccio del Lago Maggiore e del Lago Trasimeno ipotizzando un isolamento almeno pleistocenico delle nostre popolazioni da quelle transalpine. Successivamente Lucentini et al. (2010), hanno messo in relazione le divergenze molecolari con i caratteri della livrea. Ovvero, i lucci italiani presentano una livrea a bande laterali oblique nel confronto delle popolazioni transalpine che invece presentano pigmentazione a prevalenza di macchie ovalari sui fianchi (vedi ad esempio le due illustrazioni di Kottelat & Frehyof, 2007: pag. 343 e quella riportata da Scott & Crossman (1973). Questa livrea bandeggiata rappresenta una caratteristica propria dei popolamenti autoctoni cisalpini che in definitiva, anche per altri caratteri discussi successivamente, possono essere considerati come appartenenti a una specie distinta da E. lucius. La descrizione si basa su 19 esemplari, tra questi è stato selezionato un olotipo. Le lunghezze indicate sono quelle standard (LS), ovvero esclusa la pinna caudale. Gli esemplari sono conservati nella collezione del Dipartimento delle Scienze Biologiche, Settore Zoologico (IZA). Per le misurazioni e le conte meristiche ci si è attenuti a Kottelat & Freyhof (2007). Gli elementi di diagnosi addizionali riguardano il numero di pori sub-mentali e i raggi branchiostegi utilizzati per le chiavi dicotomiche delle 6 specie di lucci riportate da Crossman (1978). Le comparazioni con la specie europea si basano soprattutto sulle descrizioni fornite da Kottelat & Frehyof (2007), Crossman (1978), Scott & Crossman (1973), e immagini della specie rinvenibili sul WEB. Esox cisalpinus nuova specie (Fig. 2 A) Olotipo. IZA 111, 208 mm LS; Italia: Piemonte, Cercenasco (To), Bealera Bassa (bac. del Po), 31 maggio 2011, G. B. Delmastro legit. Altitudine, 253 m. Paratipi: 18 esemplari: IZA 0034, 1 esemplare (es), 200 mm LS, Piemonte, Carmagnola, Canale Moneta (bac. del Po), 1 Giugno 1979, G.B. Delmastro legit; IZA 0041, 1 es, 140 mm LS, Piemonte, Casalgrosso, Rio delle Oche (bac. del Po), 5 maggio 1981, G.B. Delmastro legit; IZA 0042, 1 es, 170 mm LS, Piemonte, Carmagnola, Canale Moneta (bac. del Po), 20 ottobre 1981, G.B. Delmastro legit; IZA 02142, 2 es, 310 e 350 mm LS, Friuli, Fiume Natisone, 15 aprile 1997, P.G. Bianco legit; IZA 0465, 5 es, 120-170 mm LS, Piemonte, Torrente Maira (bac. del Po), 1 novembre 1998, P.G. Bianco leg.; IZA 112, 2 es, 234 e 278 mm LS, Piemonte, Carmagnola (To), Bealera Riana (bac. Po), 25 maggio 2011, G.B. Delmastro legit; IZA 113, 1 es, 560 mm LS (solo capo), Piemonte, Faule (Cn), Cava Fontane (bac. del Po), 12 marzo 2010, G.B. Delmastro et al., legit; IZA 114, 1 es, 202 mm LS, Piemonte, Sommariva del Bosco (Cn), Agostinassi, Rio 7

Carmagnotta (bac. Del Po), 24 maggio 2010, G.B. Delmastro legit; IZA 115, 4 es., 170-290 mm LS, Campania, Lago Matese (Cs), 14 giugno 2008. Diagnosi. Rispetto a Esox lucius, riguarda aspetti biomolecolari, della pigmentazione e conte meristiche. Nel confronto della specie europea, il cisalpino si differenzia per la pigmentazione dei fianchi, e delle pinne. La specie europea, presenta macchie ovalari o tondeggianti distribuite più o meno uniformemente sia sui fianchi che sugli opercoli, di grandezza inferiore al diametro dell occhio; le pinne, impari, dorsale, anale e caudale presentano un evidente e marcata vermicolatura scura, mentre nel cisalpino, i fianchi sono ornati da bande trasversali oblique, molto ben marcate nei giovani, che tendono ad anastomizzarsi negli adulti dando un aspetto vermicolato o marmoreggiato negli adulti. Le pinne impari non presentano vermicolazioni ma rari ocelli scuri (Fig. 4 A e C). Questo tipo di livrea del cisalpino è evidenziata anche nell illustrazione fornita da Salviani (1554)(Fig. 4 D) a testimoniare che questi caratteri sono propri della specie autoctona. Abbiamo a che fare, infatti, con una forma ampiamente manipolata dall uomo fin dai tempi storici. Per quanto riguarda le conte meristiche, E. cisalpinus presenta 92-107 squame totali in serie laterale contro le 105-148 della specie europea. Normalmente, 4-4 pori submandibolari, contro 5-5 di E. lucius. Descrizione. Basata su 18 esemplari 120-350 mm LS. Intervallo dei rapporti morfometrici espressi in % della LS, arrotondati all unità. In parentesi i valori relativi all olotipo: lunghezza dello squarcio boccale, 14-16 (14); distanza preorbitale, 12-14 (13); diametro dell occhio, 4-6 (6); distanza interorbitale, 7-8 (8); altezza del capo, 13-16 (15); lunghezza del capo, 31-36 (32); altezza massima del corpo, 16-18 (17); altezza minima, 7-8 (8); lunghezza del peduncolo caudale, 11-13 (13); distanza predorsale, 71-82 (76); distanza preventrale, 51-59 (54); altezza della pinna dorsale 18-21 (19); altezza della pinna anale, 17-21 (20); lunghezza delle pinne pettorali, 12-14 (14); lunghezza delle pinne pelviche, 12-14 (14); distanza tra pinne pettorali e pelviche, 25-31 (27); distanza tra pinne pelviche e origini della pinna anale, 22-24 (22). Intervallo delle conte meristiche: squame in serie laterale, 92-107 (98), squame canicolate della linea laterale, 41-54 (46); raggi indivisi della pinna dorsale, 5-6 (6), raggi ramificati della dorsale, 13-15 (13); raggi indivisi della pinna anale 4 (4); raggi divisi della pinna anale, 11-13 (13). Raggi branchiostegi, 13-14 (13); pori sub-mandibolari 4-4, 3-5, 5-5, più frequentemente 4-4 (4-4); pori dell estremità distale dell opercolo, 7 (7). Squame piccole, cicloidi, pori della linea laterale interrotti. Opercolo e preopercolo in gran parte coperti di squame. Squarcio boccale ampio, il bordo posteriore si estende fino all incirca alla metà della verticale passante per l occhio. Denti acuti e retrattili, disposti in file o in placche. Branchiospine incipienti, denticolate, addensate e disposte in più file irregolari lungo il margine interno delle arcate branchiali. Pinne pari e impari convesse, pinna caudale debolmente forcata. Colorazione. Negli individui conservati, (Fig 4 A), i lati del corpo presentano evidenti bande oblique scure in numero di 16-18. Molto evidenti nei giovani, negli adulti tendono a unirsi e a confondersi lungo la linea mediana del corpo dando un effetto di marmorizzazione che interessa anche il capo. Strie sotto oculare a antero oculare molto ben marcate. Il ventre e tutta la parte inferiore del corpo appare di un bianco candido. Le pinne pettorali appaiono biancastre appena macchiate da strie e macchiette allungate. Pinne anale biancastra con rade macchie scure allungate. Dorsale e caudale, con macchie ovalari ben sviluppate che a volte raggiungono il diametro oculare, specialmente la dorsale. Peritoneo, bianco candido. In vivo, Fig. 4 B, il colore delle bande appare di un grigio intenso. Lo sfondo dei fianchi appare giallo-chiaro. Le pinne pari appaiono giallastre mentre le impari sono grigiastre con sfumature giallastre. Distribuzione. Specie autoctona sia del distretto padano-veneto che tosco-laziale. Sono noti reperti paleolitici (circa 30.000 fa) per il Veneto (Cappato et al., 2006), e almeno durante l impero Romano per l Italia-centrale come risulta da testi di Archeozoologia Medioevale. Il Salviani (1554), lo segnalava per il Tevere e i laghi subalpini. La specie ha subito numerose transfaunazioni e in diverse località convive con Esox lucius introdotto con cui può ibridare. Derivazione del nome. Da cisalpino, ovvero che si trova al di qua delle Alpi. 8

Researches on Wildlife Conservation, vol. 2 (suppl.), 2011, IGF publ. A B C D Figura 2 A) Olotipo di Esox cisalpinus, 218 mm SL, IZA 111, Cercenasco (To), Bealera Bassa (bac. del Po). B) E. cisalpinus, paratipo 240 mm LS, IZA 115, Lago del Matese. C) Esox lucius, Europa centrale da www.naturfoto.cz. D) Esox cisalpinus, raffigurato da Ippolito Salviani. Conclusioni In Italia complessivamente esistono 51 specie autoctone di cui due estinte (A. sturio e H. huso). Gli aggiornamenti, rispetto alle specie citate da Gandolfi et al.,(1991) e Zerunian (2004), interessano 22 specie mentre, per quanto riguarda il l aggiornamento rispetto a Kottelat & Frehyof (2007), interessano 11 specie. Da notare che, salvo rari casi, la maggior parte delle specie autoctone hanno subito transfaunazioni. 9

Per quanto riguarda la vecchia nomenclatura ufficiale, e lo stato di conservazione, sette specie considerate di origini danubiane o padane da Gandolfi et al. (1991) e Zerunian (2004) inserite nella categoria Low Concern dell IUCN (2010), in realtà si sono dimostrate, alcune da almeno 15-20 anni, specie endemiche italiane. La lista rossa dell IUCN (2010), classificano Scardinius scardafa come Critically Endangered, Gobio benacensis, come Endangered, Squalius lucumonis come Vulnerable (alla stessa categoria deve essere assegnata la specie Telestes comes, divenuto molto raro nei bacini tirrenici meridionali), Barbus tyberinus e Squalius ruffoi com Nearly Threatened. Se non si procede a un riconoscimento nazionale di questi endemismi e ad una loro tutela, è chiaro che la loro sorte è destinata a peggiorare ulteriormente. Bibliografia Barluenga M., Sanetra M. & Meyer A., 2006. Genetic admixture of burbot (Teleostei: Lota lota) in lake Constance from two European glades. Mol. Ecol., 15: 3583-3600 Berrebi, P. 1995. Speciation of the genus Barbus in the north Mediterranean basin Recent advances from biochemical genetics. Biol. Conserv. 72: 237 249. Bohlen J., Rab,P., 2001. Species and hybrid richness in spined loaches of the genus Cobitis L. (Teleostei: Cobitidae), with a checklist of European forms and suggestions for their conservation. J. Fish Biol. 59A, 75 89. Bonaparte C., 1832-1841. Fauna d Italia. Pesci, Vol. III, Tipografia del Senato, Roma. Bianco P.G., 1983. Leuciscus lucumonis n.sp. from Italy (Pisces, Cyprinidae). Senck. Biol., 64: 81-87. Bianco P.G.,1988a. Leuciscus cephalus (L.), with record of fingerling adult males, Leuciscus pleurobipunctatus (Stephanidis) and their hybrids from western Greece. J. Fish Biol., 32: 1-16 Bianco P.G., 1988b. I pesci d acqua dolce d Italia: note su un recente contributo. Atti Soc. ital. Sci. Nat., 129: 146-158. Bianco P.G., 1990. Potential role of the palaeohistory of the Mediterranean and Paratethys basin on the early dispersal of Europe-Mediterranean freshwater fishes. Ichthyol. Explor. Freshwater, 1: 167-184. Bianco P.G.,1995a. Mediterranean endemic freshwater fishes of Italy. Biological Conservation, 72: 159-170. Bianco P.G., 1995b. Factors affecting the distribution of freshwater fishes especially in Italy. Cybium, 19: 241-259 Bianco P.G., 2002. The status of the twaite shad, Alosa agone, in Italy and the western Balkans. PSZN Marine Ecology, 23 (suppl.): 51-64. Bianco P.G., 2003. Barbus tyberinus Bonaparte, 1839: In: "The freshwater fishes of Europe". P.Banarescu and N. Bogutskaya eds., Cyprinidae Vol 5/II, Cyprinidae 2, part II: Barbus. AULA-Verlag, Wiebelsheim, pp 421-449. Bianco, P.G., 2004. Threatened fishes of the world: Scardinius scardafa (Bonaparte, 1837). Environ Biol Fish 71: 246. Bianco PG. 2009. Threatened fished of the world: Gobio benacensis. Environ Biol Fish, 84: 39-40. Bianco P.G. & Ketmaier V., 2001. Anthropogenic changes in the freshwater fish fauna in Italy with reference to the central region and Barbus graellsii, a newly established alien species of Iberian origin. J. Fish Biol., 59 Suppl A: 190-208. Bianco P.G. & Ketmaier V., 2003. Threatened fishes of the world: Leuciscus lucumonis Bianco, 1983. Environ. Biol. Fish. 68: 370. Bianco P.G. & Ketmaier V., 2006. Will the Italian endemic gudgeon, Gobio benacensis, survive the interaction with the invasive introduced Gobio gobio? Fol. Zool., 54: 42-49. Bianco P.G. & Ketmaier V., 2010. Progetto di ricerca sul recupero degli agnati e del gambero nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. PNCVD & Istituto Gestione della Fauna, 53 p. Bianco P.G., Ketmaier V. & Busatto T., 2001. Approccio multidisciplinare all'analisi tassonomica del genere Scardinius (Cyprinidae) in Europa. Quaderni ETP, 30: 115-120 Bianco P.G. & Knezevic B., 1987. The Leuciscus cephalus complex (Pisces, Cyprinidae)in the western Balkanic area. Proc. V Congr. europ. Ichthyol., Stockholm 1985, pp 49-55. Bianco PG, Nordlie F., 2008. The salinity tolerance of Pseudophoxinus stymphalicus (Cyprinidae) and Valencia letourneuxi (Valenciidae) from western Greece suggests a revision of the ecological categories of freshwater fishes. It. J. Zool., 75: 285-293. Bianco P.G. & Recchia F., 1983. The leuciscinae of the squalius species complex in Italy (Pisces, Cyprinidae). Boll. Zool., 50: 15-19. 10

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