ISTITUTO STATALE D ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE I.P.S.S.S. M. LENTINI - LICEO SC. A. EINSTEIN Via Giusti, Mottola (TA)

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ISTITUTO STATALE D ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE I.P.S.S.S. M. LENTINI - LICEO SC. A. EINSTEIN Via Giusti, 1 74017 Mottola (TA) Progetto diritti a scuola A.S. 2011-2012 TIPOLOGIA: A - ITALIANO ELABORATO FINALE AD OPERA DEGLI ALUNNI DELLE PRIME CLASSI COINVOLTI NEL PROGETTO Il mito di Ulisse e la dimensione del viaggio, metafora della vita INSEGNANTE: Notaristefano Angela

PREMESSA Il progetto Diritti a scuola, tipologia A, destinato alle prime classi dell Istituto Superiore I.P.S.S.S. M. Lentini - Liceo A. Einstein, per l anno scolastico 2011-2012, è iniziato il 15/12/2011 e si concluderà l 08/06/2012. Sono stati affrontati vari argomenti divisi in cinque unità didattiche. L elaborato svolto a fine progetto, rientra nella prima unità, dedicata al testo narrativo. La scelta della figura di Ulisse, nasce dal profondo interesse verso il suo viaggio, le sue avventure e peregrinazioni sul mare, durate ben dieci anni. Il mito di Ulisse è sempre attuale, proprio per la dimensione del viaggio, che diventa esperienza dell altro, formazione interiore, divertimento e divagazione. Nella società contemporanea, in ognuno di noi c è qualcosa dell Ulisse omerico, infatti, siamo spinti proprio da quel desiderio di conoscere mondi lontani, popolazioni con abitudini e costumi diversi da quelli occidentali. Il viaggio, soprattutto per i giovani, è fonte di felicità, infatti, basti pensare alle gite d istruzione o a quelle programmate in estate con gli amici, sfruttando anche le numerose offerte delle compagnie di viaggio. Quello che conta è stare insieme e condividere dei momenti indimenticabili! In passato, invece, il viaggio aveva un significato diverso, infatti, molti giovani, specialmente del Sud, erano costretti a lasciare il proprio paese, sperando di trovare un lavoro, come operai nelle fabbriche, nel Nord Italia o persino in America o in Germania. Sicuramente erano tormentati, proprio come Ulisse, dalla nostalgia della casa e della famiglia e non vedevano l ora di ritornare, ciascuno nella propria Itaca, dalla propria Penelope, ma il viaggio, al tempo stesso, costava molto ed i soldi erano pochi. Ogni viaggiatore, quindi, porta con sé una memoria di quello che ha lasciato ed appresso. Porta con sé gli affetti, porta con sé tutto: la memoria della propria infanzia e la memoria dei propri genitori. Certamente è difficile lasciare dietro di sé tutto, abbandonare le proprie radici. Partire - che è un po "come morire" - significa anche essere capaci di mettere in disparte e non considerare le proprie radici. L abbandono delle proprie radici, sfidando il viaggio, può volere anche significare una rinascita. Se l uomo non si staccasse mai dalle proprie radici, non compirebbe un cammino di crescita. Alla luce di tali considerazioni, si può affermare che Ulisse è il prototipo del viaggiatore, colui che attraversa un infinità di pericoli e di tentazioni, volendo fondamentalmente fare ritorno alla natia Itaca. 2

Il mito di Ulisse e la dimensione del viaggio, metafora della vita L Odissea si configura, fin dai primi versi, come il racconto delle peripezie, delle sofferenze, delle avventure di cui è protagonista un uomo nel suo viaggio di ritorno in patria; egli è però, al tempo stesso, un eroe, infatti, aveva preso parte all impresa di Troia. Il viaggio di Odisseo, durato ben dieci anni, sarà il più lungo tra tutti quelli intrapresi dai principi Achei reduci dalla guerra troiana. Il tema del viaggio rappresenta il nucleo fondamentale dell opera, nella quale un eroe, sospinto in contrade straniere, è costretto ad affrontare molti travagli e peripezie, come si evince dalla lettura dei versi 1-10 del proemio dell Odissea: Narrami,o Musa, dell' eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia: di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri, molti dolori patì sul mare nell'animo suo, per acquistare a sé la vita e il ritorno dei compagni. Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo: con la loro empietà si perdettero, stolti, che mangiarono i buoi del Sole Iperione: ad essi egli tolse il dì del ritorno. Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus. Ulisse e le sirene L eroe, partito dalla dimora di Calipso, arriva fino all isola dei Feaci, viaggiando nel Mediterraneo. Dallo stato di smarrimento e di inerzia in cui era caduto per sette anni, egli, nella sua sosta a Scheria (terra dei Feaci), recupera il senso di se stesso prima del suo arrivo ad Itaca. La ricostruzione delle peripezie narrate in prima persona nei libri IX- XII, serve quasi a restituire ad Odisseo la coscienza della propria identità. Gode della protezione di Atena, la stessa dea, che nell Iliade frena Achille nell ira e, al tempo stesso, gli dà vigore nel duello contro Ettore. Di Odisseo, Atena apprezza virtù come: l intelligenza, l astuzia, la capacità di adattamento alle circostanze, da cui non va disgiunto quel desiderio di conoscenza, di dominio di sé, di profondo attaccamento agli affetti familiari. La sua mente, dai mille colori e da mille forme, si volge in ogni direzione, spinta dalla curiosità per tutti gli aspetti della vita. 3

La forza che lo governa è l accortezza, l astuzia, la capacità di connettere e costruire, con l intelligenza e con le mani, inganni, racconti falsi e veritieri e manufatti di ogni genere. Eppure ha un nemico, il dio del mare, Posidone. Odisseo, giunto nella terra dei Ciclopi, esseri giganteschi con un solo occhio nella fronte, si imbatte nel Ciclope Polifemo. Entra nella grotta e cerca di instaurare rapporti civili con il gigante, il quale, ostentando disprezzo per gli dei e per le leggi dell ospitalità, divora quattro dei suoi compagni. A questo punto Odisseo ricorre all astuzia: al Ciclope che gli ha chiesto il suo nome, dice di chiamarsi Nessuno, poi gli offre del vino e lo fa ubriacare. Quando il mostro si addormenta, Ulisse, aiutato dai compagni, prende un tronco, lo scalda nella brace fino a farlo arroventare e lo conficca nell unico occhio del Ciclope. Polifemo Polifemo accetta il vino da Ulisse Polifemo si sveglia urlando per il dolore, ma quando gli altri Ciclopi gli chiedono chi gli abbia fatto del male, egli risponde che Nessuno l ha colpito. I Ciclopi perciò si allontanano rassicurati. L indomani Odisseo escogita un altro inganno per uscire dalla grotta, infatti, lega i suoi compagni sotto il ventre dei montoni, mentre lui si aggrappa al vello del montone più grande, proprio quello a cui Polifemo rivolge accorate parole. Così in otto tornano salvi alle navi e, solo in quel momento, Odisseo rivela al Ciclope il suo vero nome. Il gigante, che è figlio di Posidone, sentendosi beffato, si rivolge al potente genitore per ottenere vendetta e da quel momento il dio si trasforma in persecutore di Ulisse. Il dio, infatti, si rivolge al dio dei venti Eolo, che scatena una violenta tempesta; la nave colpita da un fulmine affonda, ma Ulisse riesce a salvarsi. Nel duello a distanza fra Atena e Posidone, quindi, la prima ha la meglio e, senza offendere la suscettibilità del potente dio del mare, riesce a ricondurre in patria il suo prediletto. In questo episodio, Omero, non solo sottolinea l ingegno di Ulisse, ma mette a confronto una concezione di vita, legata alla civiltà del popolo greco, con quella di esistenze primitive e selvagge, in una sapiente contrapposizione di intelligenza bestialità, civiltà e barbarie, rispetto di norme religiose, etiche, civili e disprezzo per ogni legge umana e divina. I Ciclopi vivono, infatti, allo stato selvaggio: si riparano insieme ai loro animali in grandi caverne naturali, limitandosi a costruire per essi solo recinti formati da massi rozzamente squadrati ed, infine, ignorano ogni forma di coltivazione della terra, dato che essa produce ogni cosa spontaneamente ed in abbondanza. 4

Odisseo, invece, nel corso del poema, appare scisso tra due forze, che sono entrambe umane: il desiderio di conoscenza, che lo porta sempre più lontano e la nostalgia della casa e della famiglia che lo attira verso il suo centro del mondo, rappresentato da un isola e da una donna. Quando egli piange, le sue lacrime silenziose non scaturiscono dalla rabbia per l onore offeso o da una profonda lacerazione interiore, ma dal desiderio di rivedere la patria, la casa e le persone care. Il faticoso reinserimento del protagonista nella sua casa, dalla quale è rimasto lontano per tanto tempo da essere creduto morto, avviene solo attraverso la vittoria sui rivali che, oltre ad averlo spogliato di tutti i suoi beni, hanno insidiato anche sua moglie, Penelope, che possiede una mente accorta molto simile a quella del marito. Nell ultima sua impresa epica, l uccisione dei malvagi pretendenti, Odisseo, stanco del lungo cammino da lui percorso, sia materiale, ma soprattutto spirituale, appare come un uomo saggio ed avveduto, a riprova della sua conquista di una più ricca umanità. Odisseo, infatti, compiuta la vendetta, si accinge a guidare la sua famiglia ed il suo regno non più secondo i principi dell etica guerriera, ma in nome di nuovi ideali, quali la concordia e la pace. La figura di Ulisse, ritorna nella Divina Commedia di Dante e precisamente nel XXVI canto dell Inferno. Dante colloca l eroe omerico nell ottavo cerchio, tra i consiglieri fraudolenti. Quest ultimi, dato che in vita suscitarono, con i loro consigli e le loro astuzie, disgrazie, liti e sventure, ora, per la pena del contrappasso 1, sono avvolti in una fiamma appuntita a forma di lingua, proprio perché le loro lingue, in vita, furono molto pericolose. L attenzione di Dante ricade su una fiamma che, a differenza di tutte le altre, appare divisa in due punte in quanto accoglie l anima di Ulisse e del suo compagno d avventure, Diomede. Sono uniti nella medesima fiamma, così come in vita furono uniti nel compiere imprese in cui congiunsero la violenza alla frode. Essi espiano in questa bolgia, la colpa delle seguenti imprese, che testimoniano che l ingegno fu usato in modo distorto: 1. l insidia del cavallo di Troia, per mezzo del quale i Greci entrarono nella città, 2. l astuzia con cui convinsero Achille a partecipare alla guerra di Troia, 3. il rapimento della statua di Pallade Atena, dalla quale, si diceva, dipendeva la salvezza dei Troiani. Il cavallo di Troia 1 PENA DEL CONTRAPPASSO si intende la corrispondenza, la relazione fra la colpa e la pena attribuita ai vari peccatori. Il primo esempio si incontra nel canto III, dove gli ignavi, che non presero mai una posizione, non inseguirono mai un ideale, sono condannati a correre senza sosta dietro una banderuola senza alcun significato e sono punzecchiati da vespe e mosconi, che rappresentano gli stimoli che non hanno mai avuto in vita. In questo caso la relazione è chiaramente di opposizione, in altri di somiglianza, come per esempio nel canto V, i lussuriosi, che in vita erano stati trasportati dal venticello della passione, nell'inferno, vengono travolti da una bufera infernale che non si ferma mai. 5

Omero aveva raffigurato Ulisse, come l eroe del ritorno che, dopo essere incorso in molti e gravi pericoli, riusciva a rivedere la sua Itaca ed a riabbracciare i suoi cari. Dante, invece, lo trasforma in eroe della ragione umana che, trascinato dalla sua ansia di conoscere, rinunzia alla patria ed alla famiglia e, con pochi uomini, dei quali provocherà la morte, intraprende un audace navigazione per i mari d Occidente, senza essere sorretto dalla Grazia divina. Dopo aver toccato le isole e le coste del Mediterraneo, giunge fino allo stretto segnato dalle Colonne d Ercole, oltre il quale, secondo le teorie del tempo, c erano paesi sconosciuti, desertici e probabilmente abitati da esseri mostruosi, dai quali, comunque, non si tornava vivi. Ulisse, ormai vecchio e stanco, come i suoi compagni, con una breve orazione, riaccende in loro il desiderio insaziabile di conoscenza e varca il confine vietato. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Li miei compagni fec io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti. (Canto XXVI, 118-123) Dopo cinque mesi di navigazione un alta montagna bruna ed alta appare lontana al loro sguardo. Non fanno in tempo a rallegrarsi che un turbine di vento solleva la barca e, dopo averla fatta girare tre volte su se stessa, la inabissa nel mare. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com altrui piacque, infin che l mar fu sovra noi richiuso. (Canto XXVI, 136-142) L eroe, alla fine del canto, muore, in quanto egli, con il suo folle volo, ha trasgredito i comandi divini, perchè ogni cosa, nel mondo dantesco, deve essere subordinata a Dio; quello che avviene al di 6

fuori della fede e della grazia è folle, senza misura, proprio come il viaggio di Ulisse, che ha riposto elusivamente la sua fiducia nella potenza dell ingegno umano. Ulisse, nonostante il valore eroico, fallisce; Dante, invece, rassicurato dal suo maestro Virgilio che la grazia divina è con lui, a sostegno del suo fine morale, vince. Il mito di Ulisse, ricompare nel sonetto A Zacinto di Ugo Foscolo, il quale confronta il suo destino con quello dell eroe. Ulisse infatti, è reinterpretato da Foscolo come l eroe dell esilio che ha concluso la sua parabola nel momento in cui è riuscito a tornare ad Itaca. Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. baciò la sua petrosa Itaca Ulisse Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura Il poeta, a differenza di Ulisse, si duole di non poter più rivedere l isola nativa, Zacinto, dove visse la fanciullezza. Il ricordo della patria lontana, richiama alla mente del poeta, la bellezza del suo mare ed il mito di Venere, nata dalla spuma del mare. Secondo la mitologia, Venere rese fertili quelle terre, per cui la poesia di Omero non poté fare a meno di celebrare la serenità del clima e lo splendore della vegetazione che caratterizzano l isola di Zante. Omero è qui indicato come autore dell Odissea e, quindi, come il poeta che ha cantato il lungo viaggio, contrastato dagli dei, di Ulisse verso la sua patria, l isola di Itaca. 7

A Zacinto toccherà una sorte diversa da quella di Itaca, che ha visto il ritorno del figlio Ulisse, in quanto il fato ha destinato, per il poeta, una sepoltura in terra d esilio, non confortata dalle lacrime dei superstiti. Al Foscolo resta solo il conforto della poesia, unica possibilità di contatto con la terra madre. Assieme al rapporto Foscolo/Ulisse, infine, se ne può intuire uno implicito Foscolo/ Omero, per opposizione: Omero è stato il cantore del ritorno di Ulisse, dell errare che si conclude col bacio della petrosa Itaca ; Foscolo, invece, è il cantore del non ritorno, del mancato ricongiungimento con la materna terra. L interesse verso la figura di Ulisse, nasce dalla consapevolezza che il viaggio, la voglia di evadere, di conoscere, di sfidare quell' ignoto, quel qualcosa vicino o lontano che attrae verso la propria ITACA, caratterizzano la vita di ogni uomo. Si tratta di un cammino, che porta all'esperienza della realtà, ma soprattutto alla conoscenza di se stessi. A volte sembra che ciò che si vive è un sogno, o forse si sogna di fare qualcosa, si dubita e si resta delusi dalla stessa realtà, che ognuno fugge col proprio viaggio, perché forse il viaggio serve a creare un mondo, dove è possibile essere felici. Nell animo di ogni uomo e, soprattutto nella fase adolescenziale, c è quell impulso, che porta a non approdare mai, che pone sempre davanti ad una sfida, ad una voglia di ribellione, spesso nei confronti degli adulti, di proseguire e di andare lontano anche se con forte nostalgia di quelle poche sicurezze che si lasciano. Inutile è spiegare chi sia Odisseo o cosa rappresenti l'odissea; è troppo spiegare a se stessi quale scopo abbia la propria vita, perché la strada ha quella e non un'altra direzione, non serve nemmeno farsele certe domande, non serve! Le risposte si troveranno solo alla fine del viaggio, quando ciascuno tornerà alla propria ITACA, proprio come affermava il cantante Lucio Dalla, nel ritornello e negli ultimi due versi di ogni strofa, della sua canzone Itaca del 1971. Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino capitano che hai trovato principesse in ogni porto pensi mai al rematore 8

che sua moglie crede morto la mia casa ce l'ho solo là ed a casa io voglio tornare dal mare, dal mare, dal mare Capitano le tue colpe pago anch'io coi giorni miei mentre il mio più gran peccato fa sorridere gli dei e se muori e' un re che muore la tua casa avrà un erede quando io non torno a casa entran dentro fame e sete la mia casa ce l'ho solo là ed a casa io voglio tornare dal mare, dal mare, dal mare capitano che risolvi con l'astuzia ogni avventura ti ricordi di un soldato che ogni volta ha più paura ma anche la paura in fondo mi dà sempre un gusto strano se ci fosse ancora mondo sono pronto dove andiamo 9

la mia casa ce l'ho solo là ed a casa io voglio tornare dal mare, dal mare, dal mare la mia casa ce l'ho solo là ed a casa io voglio tornare 10