Fecondazione assistita e diagnosi preimpianto: il testo della Consulta e un primo commento



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Fecondazione assistita e diagnosi preimpianto: il testo della Consulta e un primo commento Corte Costituzionale, 05/06/2015 n. 96 di Gianni Baldini Pubblicato il 08/06/2015 Il deposito delle motivazioni conferma in pieno il dispositivo dello scorso 14 maggio:la Consulta ha fatto una scelta che riconduce a piena coerenza e unitarietà il sistema raccordando L. 40/04 con L. 194/78. La questione del diritto delle coppie fertili ma portatrici di patologia genetica trasmissibile cui era precluso l accesso alla PMA e alla diagnosi genetica di preimpianto viene risolta uniformando i diritti di queste coppie con quelli delle coppie che ricorrono all interruzione volontaria della gravidanza dopo il 3 mese. Dunque viene confermata la gerarchia dei diritti fondamentali della persona che vede al vertice la tutela del diritto alla salute della donna (e della coppia), il diritto di procreare e costituire una famiglia come scelta privata che non ammette ingerenze del legislatore e viene censurata l irragionevolezza e l illogicità della previsione che non consentiva a queste coppie di accedere alla PMA e alla PGD salvo poi riconoscere il diritto, alle medesime condizioni, di ricorrere alle comuni diagnosi pre natali (amniocentesi) e all aborto. Nel dettaglio dunque la sentenza può essere così sintetizzata: 1. Illegittimità del divieto e coerenza e unitarietà nel/del sistema; 2. Chiarezza sulle condizioni oggettive per l'accesso ed estensione dei soggetti legittimati. Coerenza e unitarietà nel/del sistema La Corte rileva la evidente violazione che il divieto generalizzato di accesso alla PMA da parte di coppie fertili portatrici di patologia genetica trasmissibile di rilevanti anomalie o malformazioni al nascituro, delle previsioni costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 cost. Segnatamente all art 3 la Consulta rileva un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell indiscriminato divieto di accesso alla PMA e PGD da parte di tali coppie E ciò in quanto, con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali quale consentita dall art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 ( ) quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi patologici [ ] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. In altri termini

il sistema normativo, cui danno luogo le disposizioni censurate, non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire prima alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere dopo una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute. Segnatamente all art 32 cost. la Corte rileva il mancato rispetto del diritto alla salute della donna, senza peraltro che il vulnus, così arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all aborto. Da quanto sopra consegue: il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell ordinamento ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata. Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo criterio normativo di gravità già stabilito dall art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978. Chiarezza sulle condizioni oggettive per l'accesso ed estensione dei soggetti legittimati Il richiamo all art 6 lett b) della legge 194/78 sull'aborto, a cui le motivazioni fanno riferimento non elenca le patologie genetiche o cromosomiche che danno diritto all'aborto terapeutico, ma rinvia alla valutazione del medico. Principio che resta fermo per le coppie con gravi patologie geneticamente trasmissibili. Dunque non c'è differenza tra l'embrione malato che non deve essere trasferito e il feto malato che può essere abortito". La Consulta, ha dunque agganciato questo diritto a parametri certi: l'art. 6 comma 1 punto b della legge 194 che a sua volta ricollega il diritto all'aborto ai processi patologici, comprese le malformazioni del feto, che possano determinare rischi per la salute fisica e psichica della donna. Viene dunque adottato in maniera in equivoca il criterio normativo di gravità di cui all art 6 L. 194/78. Quindi, come si ha diritto all'aborto terapeutico oltre il 3 mese di gravidanza, dopo aver fatto l'amniocentesi, così per la fecondazione si può fare subito la diagnosi pre-impianto e sussistendo i requisiti si può decidere di non procedere all'impianto dell'embrione. Ne consegue che così come è il medico che ha il potere/dovere di accertare la gravità delle patologie e la loro adeguatezza a consentire il ricorso all IGV analogamente sarà lo stesso a valutare se tale gravità è adeguata a consentire l accesso alla PMA preceduta da PGD. La precisazione, doverosa, che si legge secondo la quale è compito del legislatore introdurre apposite disposizioni al fine della auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base della evoluzione tecnicoscientifica) delle patologie che possano giustificare l accesso alla PMA di coppie fertili e delle correlative procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di una opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate ad effettuarle (anche valorizzando, eventualmente, le discipline già appositamente individuate dalla maggioranza degli ordinamenti giuridici europei in cui tale forma di pratica medica è ammessa) in questo senso, non aggiunge né toglie nulla all adottato criterio normativo di gravità costituendo un utile

richiamo all art 7 e 11 della stessa L. 40/04 che prevede l esigenza di norme tecniche di dettaglio attuative della legge (in termini di autorizzazioni sanitarie e requisiti dei centri), nella forma delle Linee Guida, periodicamente aggiornate dal Ministero della Salute (le nostre sono ferme al 2008!!). In altri termini appare fuor di dubbio che, pur auspicandosi l intervento del legislatore, deve ritenersi che in attuazione delle richiamate disposizioni costituzionali e dell art 6 della legge 194/78 espressione del diritto alla procreazione cosciente e responsabile e della tutela della salute della donna, alla PGD/PMA per coppie con grave rischio di trasmettere patologia genetica legittimante il successivo aborto (come attestato dalla richiamata certificazione medica rilasciata da struttura pubblica autorizzata), debba estendersi la medesima disciplina prevista per l aborto terapeutico. Quanto alla certificazione sulla rilevante malattia genetica della coppia è il centro pubblico analogamente a ciò che avviene per l aborto terapeutico, a doverla rilasciare. Altra cosa è la fecondazione, che può essere fatta, ovviamente, anche nel privato. Quanto infine alla questione se la PGD debba o meno rientrare nei LEA (livelli essenziali di assistenza) con la possibilità di un rimborso per il paziente, deve ritenersi che trattandosi di prestazione accessoria (ma essenziale) rispetto a quella principale di PMA, posto che quest ultima è nei LEA anche la prima dovrebbe considerarsi ricompresa. Dunque si porrebbe una duplice pretesa: nei confronti del Centro pubblico: il diritto alla diagnosi circa la sussistenza della patologia da parte della coppia e il diritto all indagine genetica esteso anche all'embrione. Verrebbe per questa via a completarsi la filiera : dopo la PMA omologa ed eterologa nei LEA potrebbe ipotizzarsi che anche la diagnosi pre impianto sull'embrione (attualmente effettuata a caro prezzo solo in alcuni centri privati), analogamente alle altre metodiche diagnostiche prenatali sul feto (come amniocentesi e villocentesi) che dovrebbe essere garantita dal sistema pubblico. (Altalex, 8 giugno 2015. Articolo di Gianni Baldini e Filomena Gallo) Corte Costituzionale Sentenza 14 maggio - 5 giugno 2015, n. 96 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Alessandro CRISCUOLO Presidente - Paolo Maria NAPOLITANO Giudice - Giuseppe FRIGO - Paolo GROSSI - Giorgio LATTANZI - Aldo CAROSI

- Marta CARTABIA - Mario Rosario MORELLI - Giancarlo CORAGGIO - Silvana SCIARRA - Daria DE PRETIS - Nicolò ZANON ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 15 gennaio e del 28 febbraio 2014, iscritte ai nn. 69 e 86 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 24, prima serie speciale, dell anno 2014. Visti gli atti di costituzione di P.M.C. ed altro, di M.V. ed altro, della Associazione Luca Coscioni, per la libertà di ricerca scientifica ed altri; udito nell udienza pubblica del 14 aprile 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli; uditi gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini per P.M.C. ed altro, per M.V. ed altro e per l Associazione Luca Coscioni, per la libertà di ricerca scientifica ed altri. Ritenuto in fatto 1. Nel corso di due procedimenti civili ante causam ex art. 700 cod. proc. civ. promossi (nei confronti della Azienda USL Roma A e del Centro per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino S. Anna ) da altrettante coppie di coniugi, che chiedevano di essere ammesse a procedure di procreazione medicalmente assistita, con diagnosi preimpianto, al fine di evitare il rischio di trasmettere, ai rispettivi figli, la malattia genetica da cui, in entrambi i casi, uno dei componenti della coppia era risultato affetto in occasione di precedente gravidanza spontanea, interrotta con aborto terapeutico l adito Tribunale ordinario di Roma, con due ordinanze di identico contenuto motivazionale, premesso che la richiesta dei ricorrenti trovava insuperabile ostacolo nel disposto degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), che consente alle sole coppie sterili o infertili l accesso alle tecniche di procreazione assistita, ed escluso che detta normativa sia suscettibile di interpretazione adeguatrice (in senso ampliativo della platea dei suoi destinatari) o di diretta non applicazione, per contrasto con gli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ha ritenuto, di conseguenza, rilevante e non manifestamente infondata, ed ha, quindi, sollevato (come, a suo avviso, consentito anche nei procedimenti cautelari ante causam ) questione di legittimità costituzionale dei predetti artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, oltre che con l art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU.

Secondo il rimettente, la normativa censurata non consentendo l accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche alle coppie (come quelle innanzi a sé ricorrenti) che, pur non sterili od infertili, rischierebbero, comunque, di procreare figli affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili, di cui uno od entrambi i componenti della stessa risultano portatori contrasterebbe, infatti, con il diritto inviolabile della coppia ad avere un figlio sano e con il diritto ad autodeterminarsi nella scelta procreativa; violerebbe, inoltre, il diritto alla salute (fisica e psichica) della donna (costretta a subire l interruzione volontaria della gravidanza nel caso di accertata trasmissione al feto di patologie genetiche); contrasterebbe, ancora, con il principio di ragionevolezza, con riferimento al quadro normativo risultante dalla combinazione di detta legge n. 40 del 2004 con la legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza); comporterebbe, infine, una indebita e non proporzionata ingerenza nella vita privata e familiare delle coppie suddette, in violazione anche dei citati artt. 8 e 14 della CEDU e, quindi, per interposizione, dell art. 117, primo comma, Cost. 2. In entrambi i giudizi innanzi a questa Corte si sono costituiti i coniugi ricorrenti e le associazioni Luca Coscioni, per la libertà della ricerca scientifica, Amica Cicogna Onlus, Cerco un Bimbo e L altra Cicogna, intervenienti nei procedimenti a quibus, per sostenere la fondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale rimettente, con argomentazioni illustrate anche con rispettive successive memorie. Non si sono costituiti, invece, l Azienda USL Roma A ed il Centro per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino S. Anna, resistenti, e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. 3. Stante l identità della questione sollevata nei due riferiti giudizi, gli stessi vanno riuniti per essere congiuntamente decisi. Considerato in diritto 1. Gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), rispettivamente, dispongono che «Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito»; «Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito, qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità»; «Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico». 2. Il Tribunale ordinario di Roma dubita che le riferite disposizioni nella parte in cui non consentono che anche le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili possano fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (da ora in avanti, PMA) violino gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nonché l art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU). 3. La questione è sollevata con due ordinanze, di identico contenuto, relative ad altrettanti procedimenti cautelari promossi da due coppie (fertili) di coniugi, che avevano interrotto, con aborti terapeutici, precedenti spontanee gravidanze, per il rischio di trasmettere al figlio una patologia genetica ereditaria (rispettivamente, la distrofia muscolare di Becker, nel primo caso, ed una

alterazione cromosomica, nel secondo caso), e che chiedevano, pertanto, di essere in via d urgenza ammesse a procedura di PMA, con diagnosi preimpianto, finalizzata esclusivamente alla scelta dell embrione non affetto da quella specifica patologia. 4. Esclusa, in premessa, la possibilità della disapplicazione delle norme sospettate di incostituzionalità per contrasto con la CEDU (anche malgrado la sopravvenuta decisione della Corte di Strasburgo del 28 agosto 2012 che, nell omologo caso Costa e Pavan contro Italia «ha denunciato l incoerenza del sistema legislativo italiano che [ ] non consente alle coppie portatrici di patologie geneticamente trasmissibili di accedere alla P.M.A.») e considerata la non praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme stesse, nel senso auspicato dai ricorrenti, il Tribunale a quo ha ritenuto, appunto, per ciò, rilevante al fine del decidere la verifica di compatibilità con i parametri evocati, del limite, all accesso alle tecniche di PMA, imposto dal legislatore del 2004 in ragione della prescritta condizione di sterilità od infertilità della coppia. 5. Secondo il rimettente, la normativa denunciata contrasterebbe, infatti: con l art. 2 Cost., per il vulnus ai diritti inviolabili della persona, quali «il diritto della coppia a un figlio sano e il diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative», che irrimediabilmente deriverebbe, dal censurato divieto di accesso alle procedure di PMA, alle coppie non sterili o infertili, ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili; con l art. 3 Cost., «inteso come principio di ragionevolezza, quale corollario del principio di uguaglianza, in quanto comporta la conseguenza paradossale, irragionevole e incoerente di costringere queste coppie, desiderose di avere un figlio non affetto dalla patologia, di cui ben conoscono gli effetti, di avere una gravidanza naturale e ricorrere alla scelta tragica dell aborto terapeutico del feto, consentita dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»; con lo stesso art. 3 Cost., sul presupposto che il suddetto divieto determinerebbe una discriminazione tra la condizione delle coppie fertili, portatrici di malattie genetiche trasmissibili, e quella delle coppie in cui l uomo risulti affetto da malattie virali contagiose per via sessuale, alle quali è, invece, riconosciuto, dal decreto del Ministero della salute 11 aprile 2008 (Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita), il diritto di ricorrere alle tecniche di PMA; con l art. 32 Cost., risultando leso il diritto alla salute della donna, sotto il profilo che la stessa, nell esercitare la scelta di procreare un figlio non affetto da una patologia trasmissibile ereditariamente, sarebbe costretta a dover affrontare una gravidanza naturale per poi dover, eventualmente, ricorrere ad un aborto terapeutico (nel caso di accertata trasmissione della malattia genetica), con la configurazione di un concreto aumento dei rischi per la sua salute fisica e per la sua integrità psichica, «in assenza di un adeguato bilanciamento della tutela della salute della donna con quella dell embrione»; con l art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 8 (sul diritto al rispetto della vita familiare) e 14 (sul divieto di discriminazione) della CEDU: quanto alla prima, perché la irragionevolezza del divieto di accesso alla PMA imposto alle coppie sterili portatrici di malattie ereditarie, «che di fatto si risolve nell incoraggiamento del ricorso all aborto del feto», comporterebbe, appunto, una indebita ingerenza nella vita familiare di dette coppie; e, quanto alla seconda, in ragione della discriminazione già evidenziata per il profilo di violazione dell art. 3 Cost. 6. La questione così prospettata è ammissibile, ancorché sollevata nel contesto di procedimenti d urgenza ante causam, non avendo il Tribunale a quo provveduto in via definitiva sulla istanza

cautelare dei ricorrenti, e non avendo, per ciò, consumato la sua potestas iudicandi (ex plurimis, sentenze n. 200 e n. 162 del 2014, n. 172 del 2012, n. 151 del 2009). 7. In ragione del sospettato contrasto dei su citati artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004 con gli artt. 8 e 14 della CEDU, correttamente ha poi il rimettente adito questa Corte, non essendogli consentito un applicazione in via diretta delle norme convenzionali in luogo di quelle nazionali, in tesi con esse non compatibili, atteso che, diversamente dal diritto comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell uomo non crea un ordinamento giuridico sovranazionale ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio, idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo di effetti diretti nell ordinamento interno (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007, e successive conformi). Collocazione, questa, delle disposizioni della CEDU che, nel sistema delle fonti, resta immutata anche dopo il richiamo operatone dall art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Questa Corte ha già avuto, infatti, occasione di chiarire che «dalla qualificazione dei diritti fondamentali oggetto di disposizioni della CEDU come princìpi generali del diritto comunitario non può farsi discendere la riferibilità alla CEDU del parametro di cui all art. 11 Cost., né, correlativamente, la spettanza al giudice comune del potere-dovere di non applicare le norme interne contrastanti con la predetta Convenzione» (sentenze n. 303 del 2011 e n. 349 del 2007). Ragione per cui «i princìpi in questione rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie cui il diritto comunitario (oggi, il diritto dell Unione) è applicabile» (sentenze n. 210 del 2013, n. 303 e n. 80 del 2011) e, poiché le fattispecie, oggetto dei giudizi a quibus, non sono riconducibili al diritto comunitario, non vi era, dunque, effettivamente, spazio per un eventuale disapplicazione della normativa nazionale da parte del Tribunale rimettente, da ritenersi oltretutto limitata ai casi in cui il diritto comunitario rilevante sia dotato di effetti diretti. 8. Altrettanto correttamente lo stesso Tribunale ha anche escluso la praticabilità di una esegesi correttiva delle disposizioni censurate, in senso estensivo dell accesso alle tecniche di PMA, anche in favore delle coppie ricorrenti, atteso l univoco e non superabile tenore letterale della prescrizione per cui il ricorso a dette tecniche «è comunque circoscritto ai casi di sterilità o infertilità». Dal che la rilevanza della questione sollevata, la cui soluzione condiziona, quindi, l accoglimento o meno della domanda dei ricorrenti nei procedimenti cautelari a quibus. 9. Nel merito, la questione è fondata, in relazione al profilo assorbente di ogni altra censura che attiene al vulnus effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e 32 Cost. Sussiste, in primo luogo, un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E ciò in quanto, con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali quale consentita dall art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza) quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi patologici [ ] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».

Vale a dire che il sistema normativo, cui danno luogo le disposizioni censurate, non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire prima alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere dopo una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute. Dal che, quindi, la violazione anche dell art. 32 Cost., in cui incorre la normativa in esame, per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna. Senza peraltro che il vulnus, così arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all aborto. La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell ordinamento ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata. Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo criterio normativo di gravità già stabilito dall art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978. 10. Una volta accertato che, in ragione dell assolutezza della riferita esclusione, le disposizioni in questione si pongono in contrasto con parametri costituzionali «questa Corte non può, dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi rimedio e deve dichiararne l illegittimità» (sentenza n. 162 del 2014), essendo poi compito del legislatore introdurre apposite disposizioni al fine della auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base della evoluzione tecnico-scientifica) delle patologie che possano giustificare l accesso alla PMA di coppie fertili e delle correlative procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di una opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate ad effettuarle (anche valorizzando, eventualmente, le discipline già appositamente individuate dalla maggioranza degli ordinamenti giuridici europei in cui tale forma di pratica medica è ammessa). Ciò non essendo, evidentemente, in potere di questa Corte, per essere riservato alla discrezionalità delle scelte, appunto, del legislatore. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara l illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 maggio 2015. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015. ( da www.altalex.com )