RICORDI, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE



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CAPITOLO VI RICORDI, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE I ragazzi della scuola hanno potuto ascoltare la voce di chi c era e le parole dei familiari, arricchendosi così di informazioni, ricordi, emozioni vissute in prima persona dai protagonisti della Resistenza. Infatti, in diverse occasioni si sono organizzati incontri sia nella nostra scuola che presso l I.T. C. Blaise Pascal di Giaveno. Sono intervenuti gli ex-partigiani Michele Ficco, Filippo Gagliardi, Romano Bartolomeo (mancato alla fine del 2007) e le nipoti di Sergio De Vitis, Sig.ra Marina, Sig.ra Silvana (Pamina) e Sig.ra Gabriella. A tal proposito riportiamo qui di seguito l intervista realizzata dagli stessi alunni, che hanno dimostrato interesse e coinvolgimento nell ascoltare le parole commosse del partigiano Michele Ficco, autore del libro La gioventù che resta. Il partigiano Michele Ficco e le nipoti di De Vitis 6.1 SANGANO, SALA AGORÀ, VENERDÌ 23 FEBBRAIO 2007 Ragazzi: Ci potrebbe raccontare l episodio della Polveriera e del suo attacco? Partigiano: Innanzi tutto in Val Sangone c erano due polveriere: una a Sangano e una ad Avigliana. In quella di Sangano c era un presidio tedesco di 6-7, a volte anche di 10 soldati tedeschi, che sorvegliavano un deposito di munizioni. Quasi tutti i giorni arrivava un camion di Tedeschi a caricare le munizioni. Un giorno ne abbiamo sabotato uno; abbiamo sparato poi siamo scappati subito 44

perché sapevamo che arrivavano le autoblindo tedesche. Comunque l attacco alla Polveriera era avvenuto insieme ad altre azioni in Val Sangone, tutte dirette da Fassino, Falzone e Nicoletta. La mia brigata comandata da Cordero di Pamparato, detto Campana, aveva il compito di bloccare la strada sul ponte di Trana per salvaguardare quelli che contemporaneamente attaccavano la polveriera di Avigliana. Abbiamo messo tutti i vagoni del trenino della linea Torino Giaveno di traverso sulla strada. Verso le 17:00 sono arrivati i Tedeschi con le autoblindo. Giunti davanti ai vagone si sono fermati e non scendevano, perché avevano paura che ci fossero i partigiani, così si sono messi a sparare. Io ave - Gli allievi all Agorà vo fatto in modo di mettere un mio compagno di banda, ex sergente, su una collina in direzione del ponte con un fucile e una mitragliatrice. Il partigiano, quando ha sentito i Tedeschi sparare, ha aperto il fuoco, centrando subito qualcuno. Noi nel frattempo ci siamo potuti spostare nella strada di fianco per arrivare a Giaveno. I Tedeschi intanto avevano rimesso i vagoni del treno sulle rotaie, ma a questo punto stava diventando buio e nessuno attaccava di notte, neanche i Tedeschi, così si sono ritirati. Intanto si ritiravano anche i soldati che controllavano la polveriera di Avigliana dove, in quella occasione, è stato ferito Eugenio Fassino. R: Mentre voi bloccavate i trenini sul ponte di Trana, sapevate già che alla Polveriera c erano stati dei morti? P: Sì, lo sapevamo, ma non so chi ce l abbia detto; le informazioni molte volte ci arrivavano, non so come, forse qualche giovane mandato di corsa 45

ad avvertirci. R: Chi vi forniva le armi? P: Le armi si trovavano addosso ai soldati nemici e, ovviamente, quando uccidevamo prendevamo le armi del nemico. I soldati tedeschi erano molto timorosi, sapevano che in certe zone non dovevano avvicinarsi perché potevamo manomettere le loro munizioni. Sul trenino di Giaveno c era sempre qualcuno che saliva armato, con un mitra e qualche proiettile; mi ricordo di un ragazzo che era stato fermato sul trenino e l avevano portato in montagna nella mia brigata. Il ragazzo aveva molta paura perché quando ci portavano qualcuno noi dovevamo ucciderlo. Al pomeriggio era arrivato suo padre per cercarlo, supplicandoci di non ammazzarlo. Questo ragazzo mi era risultato simpatico, non so il perché, ma certe volte fra due persone si innesca qualcosa di positivo; così promisi al padre che non avrei ucciso suo figlio, ma l avrei messo a lavorare in cucina. Dopo aver fatto per un po di tempo l aiutante del nostro cuoco, si integrò nel gruppo, aiutandoci spesso negli attacchi. Era diventato un bravo partigiano. Dieci anni fa sono andato a trovare dei miei amici in un paesino e con loro sono andato al cimitero dove ho ritrovato la lapide di quel ragazzo. Mi sono veramente commosso! R: Conosceva personalmente De Vitis? P: Sì, l ho conosciuto, ma non benissimo; lui e la sua banda avevano la base verso la Maddalena, io invece sopra Cumiana, ai Morelli. Le uniche occasioni in cui ci potevamo incontrare erano le riunioni segrete dei vari gruppi. R: Perchè ha scelto di diventare Partigiano? P: Ho scelto di diventare partigiano per evadere alla chiamata della Repubblica 46

di Salò. Avevo già fatto un anno di servizio militare e per non ritornare ad arruolarmi non avevo altra scelta che entrare nelle bande partigiane. Come ho fatto?... Sono fuggito dalla caserma di Torino con la scusa di andare da mia madre per farmi accorciare i pantaloni della divisa, ma non sono più tornato. Ho preso il treno Torino-Giaveno, sono sceso vicino a Sangano e sono salito in montagna a far parte di una banda partigiana. R: A quale brigata apparteneva? P: All' inizio del movimento partigiano non esistevano brigate, ma solo gruppi armati di persone. Con il passare del tempo questi gruppi si ingrandirono sempre di più. I termini banda, brigata, divisione vennero usati solo successivamente per dare un' organizzazione chiara al movimento partigiano. Io appartenevo alla brigata Campana. R: Quali erano le condizioni di vita della sua brigata? P: Noi vivevamo in montagna: non era molto comodo dormire tra gli arbusti e i ricci, chi non era abituato e non sopportava l idea di dormire all aperto se ne andava. Io non potevo farlo perché come ho già detto ero scappato dalla caserma di Torino. R: Come si sentiva quando i suoi compagni morivano? P: Non potevi sentirti bene, quando un compagno o un caro amico moriva vicino a te! Ma tutti noi sapevamo perfettamente a cosa andavamo incontro e, come si dice, conoscevamo 47

i rischi del mestiere! Le azioni militari dei partigiani erano sempre rapide e ben studiate: bisognava colpire e scappare velocemente e se non si trovava una via di fuga, non si attaccava neppure. Questa era la prima regola delle bande! 6.2 R: Incontro alla scuola Media con i Partigiani Bartolomeo Romano e Filippo Gagliardi Voi conoscevate Sergio De Vitis? P: Sì lo conoscevamo. Io (Filippo Gagliardi) lo avevo conosciuto ai tempi dell Accademia, quando avevo 19 anni e pochi mesi dopo entrai a far parte della sua squadra. R: Ci potete raccontare cosa voleva dire essere all epoca un partigiano? P: Il periodo di guerra era duro per tutti, noi eravamo giovani e non tutti eravamo eroi. R: Cosa vuol dire esattamente con. non tutti eravamo eroi? P: Dovete sapere ragazzi che durante il fascismo, eravamo stati privati tutti delle nostre libertà, ma a volte questo non bastava a farci ribellare un po per paura, un po per comodità ma poi, dopo l armistizio dell 8 Settembre ci siamo ritrovati in una situazione strana, assurda, Italiani contro Tedeschi, ma, cosa ancora più grave, Italiani contro Italiani. Io quel giorno mi trovavo a Venaria R: pre Quindi vuol dirci che non semcombattevate per liberare l Italia dal nazi-fascismo? P: Non esattamente. All inizio, forse, molti di noi furono costretti ad ar48

ruolarsi nelle bande partigiane e diventare disertori, in quanto l alternativa era entrare a far parte dell esercito della Repubblica di Salò. Già questo era un atto eroico, poiché se si veniva presi ed arrestati si poteva essere condannati a morte. Ben presto però, anche per coloro che in principio si erano sentiti quasi obbligati a diventare partigiani, divenne una missione: la missione di sconfiggere il nemico e liberare gli Italiani dalla dittatura. R: Voi rischiavate sempre la vostra vita, non avevate paura? P: Sì, spesso. E a volte la paura ti salva la vita perché ti fa essere prudente. Sapeste quante volte fummo costretti a stare nascosti con il cuore in gola, nei fienili, tra le erbacce sulle montagne, trattenendo il respiro per timore che il nemico ci potesse sentire. R: Lei, Sig. Romano che ruolo aveva? P: Io ero autista. A quell epoca di autisti ne servivano, specie per il trasporto di partigiani e di armi da un luogo all altro. I trasferimenti erano molto rischiosi ma la popolazione ci aiutava. R: Potete raccontarci qualche episodio? P: Ad esempio una ditta di Cumiana ci ha prestato i camion e ci dava anche il grano per i partigiani. Con un camion della ditta Giustino hanno preso 32 prigionieri e li hanno portati a Forno. A Pontepietra c era Sergio che non voleva cedere allo scambio proposto dai Tedeschi. R: Quale messaggio vi sentite di darci? P: Il messaggio è quello forse più banale ma anche più importante: la guerra è una cosa brutta, tragica per chiunque. Purtroppo non ci sono vincitori, tutti soffrono in qualche maniera. Non bisogna mai dimenticare che il rispetto tra le persone e tra i popoli è il valore più grande di tutti. R: Grazie per tutto quello che ci avete raccontato. P: Grazie a voi per la voglia di conoscere e di sapere che dimostrate. In classe con il partigiano Bartolomeo Romano 49

Intervista a Maria De Vitis (sorella di Sergio De Vitis e staffetta partigiana) Pur non essendo inedita, in quanto la stessa testimonianza è reperibile presso l Ecomuseo di Coazze, visitato dai ragazzi il 27 Settembre 2007, ci è sembrato interessante riportare alcuni stralci dell intervista, soprattutto quello dove viene evidenziato l importante ruolo delle donne durante la Resistenza, e quelli dove vengono sottolineti i valori della libertà e della fratellanza e gli insegnamenti che i giovani possono trarre dalla conoscenza di quegli avvenimenti storici. I: A quale brigata apparteneva? M: Appartenevo alla 43 Divisione Autonoma Sergio De Vitis Brigata Sandro Magnone. I: Perché Lei ha deciso di diventare partigiana? M: La mia famiglia è stata subito perseguitata dai fascisti perché i miei genitori non condividevano le loro idee, né potevano accettare la peggiore delle forme di governo: la dittatura. Man mano che crescevo, nel mio animo aumentava il desiderio di libertà alimentato dallo studio dei classici commentati da mia madre, che aveva tutte le doti delle donne del Risorgimento. La Patria era seconda solo a Dio. Per riscattare tutta la vergogna di 20 anni di oppressione, di profonda ignoranza (libri distrutti, filosofi e scrittori banditi) l 8 Settembre, senza ombra di dubbio o di tentennamento, scegliemmo la via giusta: la ribellione; diventammo dei ribelli, ma per amor di Patria libera. La via giusta fu lastricata da sofferenze, rinunce, martìri, morte. Il 26 giugno 1944 morì anche mio fratello, Sergio De Vitis, dopo aver attaccato la Polveriera di Sangano. Lo stesso Sergio aveva rischiato di essere impiccato all età di due anni dai fascisti sul fascio di un ponte (emblema fascista). I: Perché? M: Figlio di antifascisti, era bello e sano, mentre il figlio del loro comandante, della stessa età, era molto meno dotato e con un difetto di pronuncia piuttosto grave. Cose da fantascienza, ma è proprio successo. I: Come nacque il movimento partigiano in Val Sangone? 50

M: L 8 Settembre trovò a Sarzana il Maggiore Luigi Milano, mio fratello Sergio, Nino Criscuolo, Carlo Asteggiano, tutti appartenenti al battaglione Valle. Battaglione Finestrelle - Battaglione Val Chisone (durante la guerra ogni battaglione alpino veniva raddoppiato con un Battaglione Valle. Finestrelle-Val Chisone, Pinerolo-Val Pellice). Dopo aver mandato liberi i soldati, distrussero le armi per non consegnarle ai Tedeschi. Nella scuola della Verna di Cumiana, che divenne il Distretto, si arruolavano i soldati sbandati che volevano fare qualcosa contro il dominio dei Tedeschi di Hitler. Proprio in questa zona, il 1 aprile 1944 avvenne un episodio raccapricciante: l eccidio di Cumiana; episodio inconcepibile per gli Italiani, ma che ci fece capire come i Tedeschi fossero privi di ogni senso morale, persino non mantenere la parola data quale ufficiale del grande III Reich. Fucilarono 51 ostaggi presi tra la popolazione: essi dovevano essere rilasciati due ore dopo, come convenuto, per lo scambio con 34 prigionieri fatti dai Partigiani durante il conflitto del 1 aprile. L eccidio avvenne il 3 aprile alle ore 14; lo scambio era stato fissato alle ore 18 [ ] I: Che cos è la guerra partigiana? M: E la guerra che si combatte tra gruppi di ribelli e una forma di dominio e di governo imposto con la forza delle armi e di leggi inique. In genere si combattono le dittature che sono tutte inique perché tolgono la dignità all uomo. Infatti tolgono la libertà di parola, di stampa, di credo religioso e politico, di movimento (non si poteva andare all estero se non con permessi speciali e visti), la libertà epistolare (vi era il controllo delle lettere, con il quale le notizie che non piacevano al regime venivano cancellate), di pietà verso il nemico (un compagno di Accademia di mio fratello fu espulso dalla stessa Accademia perché aveva scritto ad un suo carissimo amico belga, esprimendogli la sua comprensione per il dolore arrecatogli dall occupazione tedesca del Belgio. Nelle scuole si imparava l insegnamento della dottrina fascista; la gioventù veniva tenuta lontana il più possibile dalle famiglie con esercitazioni paramilitari e ginniche; si cercava di fare il lavaggio del cervello con discorsi, trasmissioni radio, gare di ogni tipo (battaglia del grano, etc); si cercava di ottenere informa- 51

zioni anche dai bambini più piccoli e più di una volta a causa delle loro innocenti affermazioni i padri finivano in galera. [ ] In Italia, inoltre, era dolorosissima perché il nemico erano anche i fratelli fascisti e noi non riuscivamo a dimenticarlo. Ricordo che Sergio diceva: I Tedeschi attaccateli sempre, ma ai fascisti rispondete solo se siete attaccati perché essi sono Italiani anche se sono dalla parte sbagliata. Non riusciva e non riuscivamo ad odiarli; ci facevano solo tanta rabbia e ci causavano tanto dolore: meglio dieci guerre normali che una guerra civile. I: Quale era la funzione delle donne partigiane? M: Nella nostra Divisione il concetto di donna partigiana combattente era diverso da quello di molte altre Divisioni. La donna poteva essere utilizzata molto più proficuamente che non armarla e tenerla in banda. Infatti restandone fuori nessuno pensava che fosse una combattente e poteva andare ad agire ove era necessario arrivare. Teneva i collegamenti tra la montagna, la pianura e la città; col CLN (Corpo di Libertà Nazionale), che non poteva essere raggiunto dagli uomini; cercava e si appoggiava agli specialisti di documenti falsi; impazziva per il timbro a fuoco tedesco, da noi battezzato l aquilotto, necessario perché i ragazzi potessero raggiungere i nascondigli quando, nel terribile inverno 44-45, non fu più possibile tenerli tutti in montagna a causa dei blocchi tedeschi in Coazze e dell ordine inglese di mandarli a casa fino alla primavera del 45. Dove erano le loro case? Avevamo partigiani di tutta Italia!! La donna partigiana trasportava le armi da un covo all altro, dalla città alla montagna e viceversa, secondo gli spostamenti dei ragazzi partigiani; passava davanti ai tantissimi blocchi tedeschi senza essere troppo notata (si passava nelle ore in cui gli operai arrivavano con l ultimo treno della sera); un uomo giovane non sarebbe mai passato. Addosso e nelle borse, che con tanta apparente disinvoltura e naturalezza portava al braccio, trasportava i documenti che, a pensarla con tanto ottimismo, le sarebbero costata la fucilazione in caso di fermo. Curava gli ammalati e trasportava i feriti nell ospedale di Giaveno, con l aiuto di altre donne della popolazione; cercava di procurare cibo quando le squadre volanti non potevano più agire e a spalle portava in montagna tutto ciò che la soli- 52

darietà della popolazione locale e degli sfollati offriva muovendosi e agendo tra un passaggio della pattuglia tedesca e l altro. Per fortuna i Tedeschi non cambiavano mai ore e tragitti; fossero stati fascisti le cose sarebbero state molto più difficili perché l italiano non è così ligio agli orari e alle tabelle di marcia, inoltre avrebbe pensato come noi e agito di conseguenza. La Partigiana teneva sempre occhio e orecchi aperti, non doveva sfuggirle nulla: osservare uomini, cose, movimenti, silenzi troppo profondi, immobilità eccessive, ascoltando discorsi, captando sguardi o gesti furtivi, tutto poteva significare la salvezza dei compagni di lotta o delle località prese di mira. Era la sorella, la confidente, la consolatrice degli animi maschili che tanto soffrivano nel vedere i loro amici martirizzati in modo orrendo, sepolti ancora vivi e ricoperti di pietre e nel non avere notizie delle famiglie, molte delle quali perseguitate e anche incarcerate. Andava a ritirare il denaro che alcuni industriali (come la Fiat) offrivano per poter dare uno stipendio a tutti i nostri uomini (900 Lire sia ai soldati che agli ufficiali) e quindi essere in grado di pagare il cibo consumato quando la squadra volante non poteva procurarlo. La fame vera è bruttissima, i combattenti devono mangiare almeno un po per tenersi in forze; c era il pericolo di diventare ladri per non morire di fame. Così con lo stipendio si risolse tutto. Non bisogna però dimenticare che la gente di Forno regalava sovente ai ragazzi polenta e latte o patate cotte sotto la cenere: che gente generosa, leale, fedele, povera di mezzi, ricca, però, di virtù! La partigiana era sempre in movimento, sempre a piedi, camminava da un coprifuoco all altro e non sentiva la stanchezza, né la fame nera che le contorceva lo stomaco se il suo andare era utile, necessario. Quanta neve e quanto ghiaccio furono calpestati dai suoi scarponi, che diventavano ogni giorno più logori e meno protettivi! Quanti tuffi nei mucchi di neve per sfuggire alle pallottole che le fischiavano intorno! Come si bloccava il cuore all apparire improvviso di una pattuglia tedesca, che con armi spianate, perlustrava la zona! Si ricomponeva il viso e assumeva un espressione di grande tranquillità, ma 53

dentro moriva perché se la frugavano [ ] I: Quale era il rapporto tra il clero e i partigiani? M: La maggior parte dei sacerdoti si misero spontaneamente dalla parte della Resistenza, anzi proprio il loro atteggiamento fu di esempio e sprone per la popolazione che da esso trasse forza e certezze. La loro opera la iniziarono immediatamente l 8 settembre 43 quando fu proclamato l armistizio incondizionato (il più terribile perché era senza condizioni da parte degli Italiani che si erano arresi) ed i soldati sbandati cercavano di raggiungere la proprie case o un rifugio sicuro per non essere catturati dai Tedeschi. I sacerdoti ospitavano già da tempo gli Ebrei perseguitati; con la Resistenza o- spitarono o misero in salvo i familiari dei Partigiani; assistevano e intervenivano nelle trattative per gli scambi di prigionieri; davano l assistenza spirituale ed accorrevano accanto ai moribondi, rischiando molte vote la vita; erano sempre in contatto con le bande e fornivano notizie importanti sul nemico. In tutta la Val Sangone vi furono sacerdoti molto coraggiosi e degni di gratitudine e di ricordo [ ] Più volte i tre sacerdoti furono presi in ostaggio e malmenati dai Tedeschi. [ ] Oltre i sacerdoti non è possibile dimenticare l opera altruistica e coraggiosa delle suore dell Ospedale di Giaveno. I partigiani feriti trovarono nel piccolo ospedale, dove i Repubblichini e i Tedeschi feriti venivano ricoverati, un nascondiglio sicuro e cure adeguate grazie all astuzia delle suore; infatti i fascisti venivano trattenuti nella corsia, mentre i Partigiani dovevano essere nascosti: venivano ospitati in rifugi sicuri, i cui usci venivano camuffati da mucchi di legna, da armadi dal doppio fondo. Un rifugio si trovava nella camera mortuaria, un altro nel pollaio, un altro nella cucina: tutti però erano puliti, dotati di luce, lettini, biancheria, cuscini, acqua, medicinali più utili e cibarie. Il controllo nazi-fascista era più terribile e minuzioso durante i rastrellamenti, perché i Tedeschi erano certi che i Partigiani feriti dovevano essere lì ricoverati, nascosti, curati da quelle sorridenti e dolcissime suorine. [.] Certo non si può contare quanti ragazzi devono la loro salvezza a queste suorine, che per il loro bene avevano imparato persino a dire grosse bugie e di ciò si dolevano con noi ragazze, che ci divertivamo un mondo nell ascoltarle. 54

Ricordo che, quando i ragazzi parlavano di quelle suore, lo facevano con tanta tenerezza, ammirazione e affetto. [ ] I: Mi chiedo quali insegnamenti possiamo trarre noi giovani da quei ragazzi? M: Moltissimi. Nessuno li aveva obbligati ad entrare nelle formazioni partigiane, avevano scelto tutti liberamente e con la stessa libertà si erano fermati fino alla fine o fino alla morte, perché tutti avevano capito che si doveva conquistare la libertà per la nostra Terra, per la nostra Gente. Questo ideale, questa consapevolezza fece affiorare in loro tante virtù dei padri. Pensa a tutti quelli che lavorarono e combatterono durante tutto il Risorgimento per liberare e unire l Italia I: Mi racconta alcuni episodi accaduti a lei e alla sua famiglia durante il periodo di guerra? M: Un primo racconto è Un austriaco per amico : Mia mamma Valeria, la mia bimba di un anno ed io siamo vive grazie ad un austriaco: l interprete dei Tedeschi che avevano messo il blocco a Coazze nella villa (la loro sede) all inizio del paese. Era giunta ai Tedeschi una lettera che denunciava la presenza della mamma, della sorella e della nipotina di Sergio in Coazze. L interprete austriaco traduceva la denuncia in modo diverso e tale da salvare la nostra vita. Disse ad una maestrina, che frequentava la villa, di avvertirci del pericolo che noi tre correvamo e di rassicurarci che lui ci avrebbe protette fino a quando era lì. Purtroppo all inizio di febbraio fu mandato in Val Susa. Ci fece avvisare la sera precedente: alle 4 del mattino noi tre scendemmo a Giaveno e prendemmo il trenino. A causa del ghiaccio partimmo solo alle 8, ma in tempo: alle 10 sei ufficiali tedeschi ci cercavano. Intanto il povero interprete veniva fucilato in Val Susa, perché il collega, che l aveva sostituito in Coazze, aveva tradotto la denuncia in modo esatto. Un altro episodio è quello di REGINALDA SANTACROCE: MAESTRINA GIOVANE, BELLA, SANA, RICCA DI IDEALI. I Tedeschi vennero a sapere che Reginalda era la fidanzata di Sergio e quindi 55

certamente sapeva dove egli fosse e quindi poteva dare loro informazioni. Fu prelevata al sabato e interrogata a lungo. Al suo silenzio e ai suoi dinieghi seguirono bastonate con nervo di bue. Più cresceva l ira dei Tedeschi di fronte a tanto coraggioso silenzio più aumentava la violenza delle bastonate, fin quando Reginalda svenne e non riuscirono a farla rinvenire: l abbandonarono nell aula. Si riprese il lunedì mattina sentendo un panno freddo sulla fronte. Chiamò mamma, mamma, ma le rispose una voce maschile: No mutter, no mutter, io amico, tedesco buono, amico. Tu signorina coraggiosa. Io ammirare molto. Io medico, volere guarire te, mia sorella. Brava tu non parlare, brava. Era un austriaco. Ancora un altro episodio: UN ALTRO INTERPRETE AUSTRIACO SALVA LA MAMMA DI SERGIO La mamma di Sergio insegnava a Frossasco e, tornando a casa dopo le lezioni, venne avvicinata da un interprete austriaco che l avvisò di scappare perché stavano arrivando i Tedeschi e i repubblichini per farla prigioniera. Ebbe appena il tempo di entrare in casa, prendere due piccole borse, già pronte per un eventuale fuga, uscire dal cancelletto del giardino, attiguo alla casa, mentre davanti al portone di ingresso i Tedeschi stavano già piazzando la mitragliatrice. Attraversò la strada e si rifugiò dalla sua amica che abitava nella casa di fronte. Fortunatamente i Tedeschi, non conoscendola personalmente, non poterono collegare quella donna con la mamma di Sergio. Nascosta dietro le persiane assistette allo scempio che fecero nella sua abitazione. 56