La famiglia disgregata. Alternative alla famiglia e minori immigrati



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Transcript:

La famiglia disgregata. Alternative alla famiglia e minori immigrati a cura di Sandro Gindro Roma, 1998

INDICE / INDEX ALTERNATIVE ALLA FAMIGLIA E MINORI IMMIGRATI: I SOSTEGNI ALLE FAMIGLIE E L'INTERESSE DEL MINORE Livia Turco pag. 1 INTERESSE DEL MINORE E REGOLE DELL'IMMIGRAZIONE Guido Bolaffi. pag. 5 INTRODUZIONE Sandro Gindro.. pag. 9 PRIMA SEZIONE / SECTION ONE Crisi e prospettive della realtà famigliare. Aspetti antropologici, sociali, psicologici e legali / Crises and prospects of family realities. Anthropological, social, psychological and legal aspects "The well-functioning family" Sidney Bloch. pag. 27 "La famille dans la societe musulmane" Dalil Boubakeur pag. 33 "Strategie di intervento con famiglie problematiche" Cesare Castelli.. pag. 39

"La famiglia tra illusione di ieri e fantasia di domani" Sandro Gindro.. pag. 51 "La famille contemporaine: plus relationnelle, mais aussi plus incertaine" Didier Le Gall.. pag. 57 "Alternative alla famiglia: una prospettiva incerta" Giuseppe Magno.. pag. 65 "Qualità della funzione genitoriale nelle famiglie create con le nuove tecnologie riproduttive" Carmine Nappi et Al... pag. 75 "Profili giuridici della famiglia oggi: l interprete di fronte ad una rinnovata tecnica legislativa" Liliana Rossi Carleo.... pag. 87 "Alternatives a la famille: une perspective sociologique" François Steudler. pag. 95 SECONDA SEZIONE / SECTION TWO Le famiglie in transito: l'immigrazione ed i nuovi assetti Families in transit: immigration and new social trends "Does everything improve with time? The expectations and experiences of black immigrant families in the U.K." Peter Braham.. pag. 113 "Cultural and ethical aspects in migration of minors: the Israeli case" Jocelyn Hattab... pag. 127 "Ethical dilemmas in the migration process for refugee children" Gunilla Jarkmn Björn.. pag. 139 "The internal and external experiences of unaccompanied refugee children in Europe" Sheila Melzak.. pag. 147

"Boarding schools and youth villages as an alternative for immigrant families in crisis" Gideon Ratzoni.. pag. 159 "Minori stranieri: dall emergenza al governo dei processi" Luciano Tosco pag. 165 "Realising the rights of separated children in Europe" David Wright. pag. 175 TERZA SEZIONE / SECTION THREE Il difficile rispetto dell'identità del bambino costretto tra educazione e sopraffazione Between bullying and education: the difficulties in respecting child s identity "Infanzia: solitudine e quotidiana violenza" Gianni Biondi. pag. 185 "I minori stranieri non accompagnati nell esperienza del servizio sociale internazionale: necessità di un coordinamento nazionale ed internazionale" Alessandro Ciuffa.. pag. 199 "Boiter sur deux pieds" Abraham Coen pag. 209 "I fondamenti antropologici dei diritti umani in tema di superiore interesse del minori" Gualtiero Harrison. pag. 219 "La solitudine del bambino in ospedale: il diritto del bambino alla comunicazione" Sergio Nordio.. pag. 229 "Aspects related to children s victimisation" Rosa Ordoñez.. pag. 239

ALTERNATIVE ALLA FAMIGLIA E MINORI IMMIGRATI: I SOSTEGNI ALLE FAMIGLIE E L'INTERESSE DEL MINORE Livia Turco Ministro della Solidarietà Sociale Il ruolo dei bambini è radicalmente cambiato, negli ultimi decenni, sia nella famiglia, sia nella società. In questi anni è stato fatto un grande sforzo per promuovere e migliorare la condizione ed il benessere del minore nella famiglia. Egli non è più considerato una proprietà dei genitori, e si auspica che egli possa esprimere liberamente i suoi pensieri e le sue opinioni soprattutto in tutte quelle decisioni che interessano direttamente la sua vita. Certamente molte sono le ragioni che hanno prodotto questi cambiamenti, ma il fatto che la famiglia non rappresenti più una istituzione solida e stabile ha giocato un ruolo fondamentale. I cambiamenti profondi della struttura della famiglia, che hanno fatto seguito ad un suo completo ripensamento in termini sociali e giuridici, nonché lo sviluppo di una sempre maggiore consapevolezza nelle scelte riproduttive, hanno probabilmente contribuito ad indebolire i legami familiari, e ci hanno spinto, di conseguenza, a considerare il bambino in modo molto più autonomo. Ecco, quindi, che accanto ai genitori è necessario iniziare a considerare il ruolo di altre agenzie che possano contribuire a garantire il pieno rispetto del minore. Molte sono le strade che si stanno percorrendo: da quelle che vedono un rafforzamento delle funzioni di advocacy, all azione delle associazioni non governative, al rafforzamento dei servizi sociali e dei tribunali dei minori. E molti sono gli aspetti clinici e etici che vengono sollevati da questi cambiamenti. Il tema di questo convegno è certamente tra i più difficili e controversi: la famiglia disgregata e le sue possibili alternative è di per sé motivo di

partecipata sofferenza, poiché è testimonianza di un fallimento che coinvolge bambini spesso indifesi. La famiglia è oggi al centro di una trasformazione così profonda che il senso stesso di cosa la famiglia sia pare perdersi: il nucleo di affetto costruito intorno al desiderio di generare, e quindi intorno alla genitorialità biologica è oggi rintracciabile in un numero sempre più esiguo di famiglie, poiché la famiglia ha perduto quella stabilità che faceva prevedere che i figli sarebbero cresciuti con un padre ed una madre biologici (in Italia nel 1991 ben 912.000 minori vivevano con un solo genitore, o almeno con un solo genitore biologico. È indubbio che questo superamento dei limiti biologici della famiglia sia anche espressione di una positiva attitudine della società: uomini e donne sanno farsi padri e madri anche senza avere generato biologicamente il proprio figlio. Ma questo è testimonianza di un sincero rispetto del bambino? Perduto il carattere biologico legato alla generazione, cosa rimane della famiglia? Ed una struttura sociale così frantumata e trasfigurata, quale appare la famiglia ai nostri occhi, può ancora svolgere un ruolo positivo? Essa è ancora, veramente, la struttura più idonea ad accogliere dei bambini? Certo i dubbi si fanno ancora più pressanti se poi lo sguardo affonda nell'intimità di queste famiglie e si scopre come la condizione dei bambini sia tutt'altro che serena: violenze, abusi, maltrattamenti di ogni tipo riempiano le statistiche e le pagine dei giornali. Non sta a me, quindi, diagnosticare la condizione di crisi diffusa nella quale la famiglia si trova. So, per altro, quanto complesso sia legiferare in supporto alla famiglia, poiché legiferare in tal senso vuol dire, tutto sommato, proporre un modello in qualche modo chiaro se non proprio univoco di famiglia. Ed ecco allora che ci si imbatte nelle reazioni di tanta parte di società che vede in una azione normativa chiara e determinata il rischio di conculcare le libertà individuali o di favorire alcuni valori e culture in una società per altro sempre più pluraliste e multiculturale: le intrusioni del legislatore nell'ambito della sfera affettiva sono sempre guardate con molto sospetto, e si cerca pertanto di trovare strumenti legislativi "deboli". È del resto un dato del nostro secolo quello che rende cauti e diffidenti verso i sistemi sociali forti ed impositivi: lo scoramento dovuto alla caduta di tante ideologie ed utopie: la risibile fragilità di sistemi filosofici apparentemente perfetti; gli incerti risultati di approcci scientifici alla psicologia ed all'educazione; la spinta ad una salutare realizzazione del proprio culturocentrismo sono le radivi di questa sana cautela. Il rischio, però, è quello di ritrovarsi teorici di una società postmoderna, disincantata e clinica, in cui la separazione del mondo in ricchi e colti, da una parte, e poveri e diseredati dall'altra, si configura come l'accettabile risultato di una

condizione di libertà, e non come il drammatico ed intollerabile esito di processi economici e sociali da ripensare e modificare. Vogliamo però evitare di trovarci a giocare il ruolo di neghittosi spettatori in un mondo un cui il più forte imponga la sua legge, e dove la forza è quella del denaro, in assenza di ogni altro saldo ed inviolabile valore: è per questo che riteniamo sia doveroso fare propri e promuovere alcuni valori e diritti che vengano riconosciuti essere espressione di civiltà e rispetto: tra questi si pone il supremo interesse del minore che in tante Assisi internazionali ci siamo impegnati a difendere. In questo senso mi pare alcuni elementi assumano particolare rilievo in questo convegno. Il primo è che la famiglia deve essere considerata un mezzo e non un fine, e i nostri interventi a sostegno della famiglia poggiano sull'assunto, per altro già presente nella costituzione, che il valore da promuovere è il benessere dei membri della famiglia e non la famiglia in quanto tale. Essa, infatti, è il mezzo che ci consente di assicurare la minore la struttura più idonea ad un suo sano e felice sviluppo. Il secondo è che agire nel supremo interesse del minore vuol dire che il bambino deve sempre essere ascoltato in tutte le decisioni che possono direttamene influenzare la sua vita (art. 12 della Convenzione di New York del 1989). E qui va detto che se l'ascolto assume il significato di pura procedura burocratica noi abbiamo doppiamente fallito: abbiamo fallito perché avremo di fatto ignorato lo spirito dilla legge: ma abbiamo fallito anche perché avremo procurato una ulteriore esperienza di frustrazione e dolore al bambino. Infine il bambino ha diritto ad una felicità immediata i non soltanto una felicità rimandata a quando sarà adulto. Egli ha diritto da subito ad una vita relazionale piena e soddisfacente.. E su questo punto vale la pena di spendere alcune parole: quando parliamo di pienezza di vita intendiamo una vita in cui al bambino sia possibile stabilire e sviluppare sane ed adeguate relazioni affettive. Ma oggi il bambino è spesso costretto in una condizione di povertà relazionale poiché egli è solo nella famiglia ed i rapporto con il gruppo dei pari sono forzatamente ridotti: insomma egli vive in un mondo un cui scarseggiano i bambini e abbondano gli adulti. Gli adulti si trovano così al centro di richieste affettivo-relazionali che un altri periodi i bambini rivolgevano ad altri bambini: ma gli adulti più che compagni di giochi, finiscono per trovarsi ad assumere il ruolo di sadici controllori, anche per il disagio che il rapporto - carico anche di sessualità- con il minore produce. Molto disagio delle famiglie forse trova spunto da questo impoverimento relazionale: ci auguriamo che le politiche di sostegno alle famiglie

consentano, almeno in parte, di superare questa condizione di solitudine un cui il bambino si trova gettato. Per finire vorrei dire che proprio l'altro tema affrontato da questo convegno, quello dei minori immigrati, consentirà di verificare come le iniziative poste in essere da questo Dicastero abbiano sempre presente il supremo interesse del minore: i minori immigrati, e quelli non accompagnati in particolare, pongono importanti e gravi problemi, soprattutto quando essi si trovano coinvolti in fatti di piccola e grande criminalità. Lo sforzo che il nostro governo sta facendo per assicurare un rientro protetto, sicuro e rispettoso ai minori albanesi, in collaborazione con il governo albanese, rappresenta, crediamo, una testimonianza viva ed efficace del lavoro che stiamo profondendo per dare concretezza agli impegni presi anche ratificando trattati e carte internazionali.

INTERESSE DEL MINORE E REGOLE DELL'IMMIGRAZIONE Guido Bolaffi Capo Dipartimento Affari Sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri Il tema del convegno pone alcune sfide particolarmente significative per tutti i paesi cosiddetti a sviluppo avanzato e che, pertanto, sono paesi di immigrazione. La ricchezza di questi paesi, tra cui si colloca l'italia, spinge chi è più povero ad uno spesso pericoloso e sofferto viaggio: quello dell'emigrazione. Non si fa facile retorica nel dire che queste persone sono le forze buone e produttive della società: sia di quella del paese di partenza sia di quella del paese d'approdo. I dati, quelli che riguardano la capacità imprenditoriale, la voglia di costruire, la capacità di lavoro e di risparmio, il volume delle rimesse degli immigrati verso il paese di origine sono "numeri" che tolgono "retorica" alle parole e le riconducono ad oggettiva resoconto. Sono state spese montagne di parole sulla figura dello straniero, sul coraggio del viaggiatore, sul mito di Odisseo: tutte tese a dimostrare che la capacità innovativa e la voglia e la capacità di cambiare sono state molle indispensabili per realizzare grandi trasformazioni economiche e sociali. L'epopea del grande Ovest non a caso è la storia simbolo del Paese di immigrazione per antonomasia della storia contemporanea: gli Stati Uniti d'america. Sappiamo così che chi emigra è mosso da un desiderio di lottare per ottenere anche per se un poco di quella ricchezza sin troppo ostentata dai paesi più sviluppati. E non possiamo non ammirare quella capacità di cambiare, anche con sofferenza ed a costo di grandi rischi, che muove queste persone: il desiderio di migliorare e produrre è un valore che vogliamo e dobbiamo promuovere e di cui queste persone sono emblemi. È evidente, così, che l'immigrato dovrebbe costituire ai nostri occhi una figura emblematica e positiva, a cui riconoscere un alto valore sociale. Al di là, quindi, del positivo valore economico dell'immigrazione, queste considerazioni dovrebbero spingerci verso atteggiamenti di grande disponibilità e apertura verso l'immigrazione. A questo dobbiamo

aggiungere il valore della solidarietà verso i più sfortunati, cui crediamo nessuno di noi voglia rinunciare, e che quindi ci dovrebbe rendere particolarmente disponibili ad accogliere chi chiede di entrare nel nostro paese. Ebbene, nonostante tutte queste considerazioni che ci portano a sentire quanti emigrano e vengono nel nostro paese come fratelli, ed in un certo senso come fratelli più coraggiosi, ciononostante l'immigrazione non può essere libera. Essa deve essere regolata e deve rientrare tra i processi sociali di cui bisogna tenere bene le redini in mano. Questo può apparire come un assurdo. ed un gesto di imperiosa brutalità, poiché regolare l'immigrazione vuol dire fare entrare alcuni e non altri. Operare una scelta che è necessariamente dolorosa, poiché porta a chiudere la porta in faccia a molti che certamente meritano di entrare. In realtà questo assurdo si stempera se si guarda a cosa voglia dire perdere il controllo di fenomeni sociali come, ad esempio l'immigrazione. Nel caso, infatti, in cui uno stato debole faccia fatica a scegliere, le scelte verranno operate da chi ha meno coscienza o più forti interessi. È, purtroppo, anche questo un fatto dell'immigrazione: in mancanza di regole i più deboli, cioè gli immigrati, pagano il prezzo più salato e la carità pelosa mostra immediatamente la sua faccia. Non credo che, purtroppo, si viva nel migliore dei mondi possibili. Credo che sia necessario un lavoro quotidiano, faticoso e corale per realizzare una società appena vivibile: questo lavoro comporta anche l'onere della responsabilità e di operare delle scelte, e ciò non può spaventare chi ha coscienza e consapevolezza al punto da impedirgli di scegliere. Queste considerazioni generali sull'immigrazione credo siano molto pertinenti al tema del convegno per alcune ragioni che proverò a spiegare. La condizione di immigrazione è di per se una condizione caratterizzata da una grande instabilità ed una grande incertezza verso il futuro. Questa incertezza, purtroppo, coinvolge direttamente la famiglia e il minore: la famiglia di chi emigra è spesso lacerata, è spesso disgregata, senza colpa e senza che sia possibile prevedere, con facilità quando si potrà ricostruire una convivenza stabile. È un dovere degli stati ospiti cercare di dare norme chiare e precise regole perché la condizione di incertezza e di separazione sia ridotta al minimo: perché all'immigrato sia possibile costruire una sana vita affettiva e perché le famiglie immigrate possano programmare modi e tempi per il ricongiungimento familiare. L'incertezza, inoltre, mina alla base ciò che la famiglia dovrebbe garantire al minore: quel senso di stabilità affettiva che è condizione indispensabile al sano sviluppo del minore. Creare condizioni di stabilità vuol dire, tra l'altro, garantire il rispetto dell'identità linguistica e culturale: non credo che il riconoscimento di questo diritto voglia dire proporre con timidezza e paura

un percorso di acculturazione che ponga questi minori su di un piano di parità con i giovani italiani, sia in termini di strumenti culturali sia di modelli di socializzazione: il rispetto dell'identità linguistico e culturale vuol dire garantire la possibilità che quella cultura trovi forme di presenza e di rappresentazione nella produzione libraria, musicale, teatrale ecc. Vuol dire quindi per il nostro paese fare uno sforzo verso una vera apertura internazionale e multiculturale e, quindi, il superamento di un provincialismo che non può più essere tollerato. Ma questo vuol dire, ancora, un faticoso e dispendioso processo di rinnovamento culturale, che non può realizzarsi senza che l'immigrazione divenga una precisa opzione politica. Infine, la patologia della famiglia e la sofferenza che essa comporta nel minore ci richiama ad una responsabilità che abbiamo assunto come società: questa responsabilità ci dice che non possiamo lasciare i minori, di cui le famiglie rappresentano i tutori, in condizioni inaccettabili. In questi casi i minori debbono essere sottratti alla famiglia d'origine ed affidati ad altri tutori che sappiamo meglio difendere i loro interessi: fare questo vuol dire riconoscere e rispettare leggi e valori. Vuol dire riconoscere che, nel nostro Paese, alcune condizioni di vita non sono accettabili né tollerabili. Questo è il segnale di un patto di responsabilità forte che lega i cittadini italiani tra loro: proprio il senso di responsabilità che è alla base delle politiche di protezione dei minori ci dice che anche le politiche di accoglienza degli immigrati nascono su questo patto di responsabilità, che per primi vincola noi italiani a garantire sempre il rispetto della dignità di quanti vivono nel nostro Paese, siano essi cittadini italiani o stranieri. Quando, così, qualcuno chiedesse conto su coloro che non riescono ad entrare in Italia pur volendolo, mi auguro si possa rispondere dando le cifre su quanti sono entrati nel nostro paese divenendo cittadini pienamente rispettati; su quanti minori sono stati accolti nelle nostre scuole ed a quanti di questi è stata resa possibile una brillane carriera scolastica; ed infine sia possibile dire loro che l'italia, nel giro di pochi anni, è stata capace di far si che i minori immigrati oggi presenti in Italia al diciottesimo anno d'età acquisiranno realmente il diritto di voto che rende i cittadini soggetti pienamente responsabili e maturi.

INTRODUZIONE Sandro Gindro Presidente dell'istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali Le possibilità di classificare in modi diversi gli elementi che compongono la realtà che ci circonda sono quasi infinite. Una prima classificazione potrebbe consistere nel separare quelli che consideriamo esseri animati da quelli che potremmo definire esseri inanimati (classificazione questa, però, non condivisa dagli ilozoisti, antichi e moderni, che hanno il concetto di una realtà vivente universale dotata di anima). Potremmo poi proseguire la nostra classificazione distinguendo gli esseri animati o viventi tra animali e vegetali. Tra gli animali potremmo poi distinguere quelli che sono autonomi fin dalla nascita e quelli che invece hanno bisogno di un tempo più o meno lungo di dipendenza da altri esseri che se ne prendano cura, permettendo loro solo così di sopravvivere. Molti pesci, uccelli e anfibi appartengono al primo gruppo, i mammiferi e l uomo in particolare appartengono invece al secondo. Questa appare una discriminante assoluta, quando si vuole considerare per esempio il ruolo della madre o del padre, o di qualcuno che per scelta o per obbligo assicuri la sopravvivenza del nuovo nato. Questa ineliminabile necessità del bambino pone dunque, almeno per il momento, il problema di cosa possa o debba costituire le basi di quel rapporto interpersonale che potrebbe però andare da una diade ad un gruppo anche molto complesso al quale finora si è voluto dare il nome di famiglia. Di fatto, è quasi sempre avvenuto che due persone, di sesso diverso, si siano unite per allevare la prole che hanno generato, dividendosi in vario modo gli oneri della cura: dal nutrimento all educazione, alla difesa, in un meccanismo che complessivamente risulta funzionale alla conservazione della specie. La parola famiglia (famille, family, familie, ) deriva dal latino famulus = servitore, a sua volta originato da una radice pre-indoeuropea. Nella cultura romana, la familia era costituita dall insieme dei servi e dei figli, su cui regnava il pater familias. Ogni società ha elaborato una sua tipologia famigliare: nella Costituzione italiana del 1948 si legge che la famiglia è: «una società naturale fondata sul matrimonio» (art.29), ma è questa una

definizione limitata e imprecisa, che anche all epoca non corrispondeva alla realtà sociale espressa dalla famiglia italiana, sebbene sia sufficientemente chiara da costituire un utile strumento operativo per legislatori ed operatori sociali. Oggi anche la legislazione italiana sulla famiglia tiene conto di una realtà più variegata e complessa. Ogni termine linguistico è un significante ed esprime un significato che può derivargli dalla consuetudine o dalla norma giuridica. Si parla di crisi della famiglia nella società occidentale e questo è vero se, per famiglia, si intende un nucleo composto da un maschio e da una femmina, uniti da un atto giuridico dello stato, del quale possono fare eventualmente, ma non necessariamente, parte anche uno o più figli. Di fatto, questo è il modello che l inconscio sociale della nostra cultura ha introiettato e che agisce sull immaginario collettivo contemporaneo. Dietro a questo modello c è però un immagine più antica, arcaica, che ha lasciato le sue tracce sotto forma di due assiomi principali: il primo è che il maschio e la femmina debbano avere tra loro un rapporto sessuale al fine di procreare e perpetuare la specie; il secondo è che l uomo sia un animale sociale bisognoso di relazione con l altro: il che comporta che sia anche identificabile come l animale socievole di Aristotele: «è evidente che lo stato è un prodotto naturale e che l uomo per natura è un essere socievole» (Politica, I, 2, 1253, a), o l animale desiderante della psicoanalisi. Benché non esistano bisogni non indotti, tuttavia l esigenza di vita sociale, di amore e di odio per l altro può dirsi universale. 2. Per quanto sia velleitario andare alla ricerca del rapporto originario necessario alla sopravvivenza della specie umana, se proprio si vuole risalire ad una forma relazionale con qualche presunzione di originarietà, si deve allora prendere in considerazione quella composta dalla madre e dal bambino nella fase della gestazione. L essere umano completo, ed unico, costituito a tutti gli effetti dall embrione vivente nel ventre materno fin dal concepimento (come affermano principi religiosi e provano le conoscenze scientifiche) entra infatti subito in un rapporto necessario, diretto e per ora ineliminabile con la persona della madre. Resta il fatto che la gestante stessa probabilmente non conduce una vita di isolamento totale dal gruppo da cui proviene o da un altro con cui ha stabilito relazioni che possono essere di vario tipo: sessuali o sociali e che quindi influenzano la diade originaria, magari solo perché ne garantiscono la sussistenza. Non esistono società in cui non siano reperibili forme che si possano definire in qualche modo famigliari, continuamente confermate e continuamente messe in crisi; ma la cosiddetta famiglia naturale è un astrazione di legislatori e moralisti. Il modello più presente che

rappresenta peraltro un dato storico e culturale frutto di un particolare processo evolutivo risultato dominante. In ogni caso le interpretazioni che se ne sono date sono molteplici: i teorici dell evoluzionismo hanno ipotizzato una famiglia originaria con uno spiccato carattere di collettività, i cui componenti erano indifferentemente poligami e poliandrici, nella quale, nei confronti della prole, tutti i maschi adulti svolgevano una funzione paterna e tutte le femmine quella materna (Morgan, 1871). L ipotesi di McLennan (1865) ed Engels (1884) è che la struttura famigliare moderna sarebbe una derivazione e trasformazione di una originaria consuetudine di promiscuità sessuale indifferenziata all interno di un gruppo allargato; ipotesi oggi criticata sulla base dell osservazione che in quasi tutte le società è presente in forma più o meno accentuata il tabù dell incesto. In realtà questa critica sembra non tenere conto che per tabù dell incesto si deve intendere una struttura psichica espressa da una società organizzata; mentre è invece vero che, pur senza voler riprendere gli argomenti del parallelismo tra ontogenesi e filogenesi, tuttavia non si può non far notare che nella prima infanzia il tabù dell incesto non c è, anzi, è vero il contrario: le prime pulsioni sessuali si dirigono verso i membri della famiglia, madre, padre, fratelli e sorelle in primo luogo. Freud, prendendo spunto da tali teorie antropologiche di tipo evoluzionistico, elaborò la sua ipotesi del complesso di Edipo, che ha le sue origini remote nella supposta ribellione al padre fallico, da parte dei figli dell orda primitiva, e del conseguente senso di colpa: «Nella concezione darwiniana dell orda primordiale non troviamo altro che un padre prepotente, geloso, che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i figli via via che crescono Un certo giorno i fratelli scacciati si riunirono, abbatterono il padre e lo divorarono, ponendo così fine all orda paterna Morto, il padre divenne più forte di quanto fosse stato da vivo Ciò che prima egli aveva impedito con la sua esistenza, i figli se lo proibirono ora spontaneamente Revocarono il loro atto dichiarando proibita l uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. In questo modo, prendendo le mosse dal loro filiale senso di colpa, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico» (Freud, 1912-13, pagg.145-147), ovvero l omicidio e l incesto. È questa una linea di pensiero che è stata giudicata fallocentrica, alla quale si sono opposte altre tesi di tipo matriarcale (Bachofen, 1861) e comunista che ipotizzano il passaggio dalla donna prostituta, per l uomo, alla famiglia fondata sul libero amore (Engels, 1884). Probabilmente Freud ha in realtà interpretato in chiave antropo-mitologica le dinamiche affettive e sessuali della famiglia borghese del diciannovesimo

secolo, enucleando un complesso che si potrebbe definire di Hans, dal nome del bambino che lo psicoanalista viennese analizzò, per l interposta persona del padre: «Emblematico non è tanto Edipo quanto il piccolo Hans. Sarebbe forse più giusto sostituire la definizione complesso di Edipo, con quella complesso di Hans. Hans è un bambino dell epoca di Freud, che vive a Vienna, in una famiglia piccolo borghese: madre e padre tipici, domestici, villeggiatura e carrozze... Il "complesso di Hans estende una sua validità, ovviamente, anche oltre gli stretti confini della Vienna a cavallo tra i due secoli; è riferibile, allora come oggi, ad una classe sociale presente in tutta l Europa occidentale.» (Gindro, 1983, pag. 69). Si sono anche ipotizzate famiglie asimmetriche, poliandriche e poligamiche o poliginiche come quella islamica culminante, in passato, nella forma dell harem. Malinowski critica il concetto freudiano di complesso di Edipo, contrapponendogli il complesso avuncolare, legato a una struttura famigliare diversa come quella trobriandese, da lui studiata in cui il ruolo paterno è svolto dal fratello della madre: «Nelle Trobriand non c è frizione tra padre e figlio, e tutto l ardente desiderio infantile per la madre viene lasciato consumarsi in modo spontaneo e graduale. L atteggiamento ambivalente di venerazione e antipatia può essere sentito da un uomo per il fratello della madre, mentre l atteggiamento sessuale represso di tentazione incestuosa si può formare solo verso le sorelle. Applicando a entrambe le società una chiara ma alquanto grossolana formulazione, possiamo dire che nel complesso di Edipo c è il desiderio represso di sopprimere il padre e sposare la madre, mentre nella società matrilineare delle Trobriand il desiderio è di sposare la sorella e uccidere lo zio materno» (Malinowski, 1927, pag. 116). In realtà il meccanismo ipotizzato come diverso da Malinowski è sostanzialmente quello edipico. Il fatto che avvenga che il maschio della triade sia il fratello della madre è dovuto probabilmente alla difficoltà di stabilire con certezza chi sia il vero padre del bambino; come insegnavano i latini: mater semper certa, pater incertus. Il rapporto di sangue tra la donna che certamente ha generato il figlio e il fratello di lei è senz altro più certo che non quello tra il presunto padre e il bambino. 3. Murdock, nel 1949, coniò l espressione famiglia nucleare che ebbe successo e si affermò nel mondo; tanto che si credette che la cellula a cui fa riferimento fosse universale, mentre forse più correttamente egli si limitò a dire che, insieme a quella poligama e a quella estesa la famigli nucleare assolve le quattro funzioni fondamentali per la società umana: sessuale, economica, riproduttiva ed educativa.

Antropologi e sociologi concordano comunque nel definire famiglia nucleare quella composta da un uomo, una donna e dai loro eventuali figli. Nel 1970 però Goodenough precisa che per famiglia nucleare in senso stretto si deve intendere quella composta dalla madre e dai figli, mentre va definita coniugale quella a cui eventualmente si aggiunga il marito della madre, che può essere, ma anche non essere, il padre dei figli di lei. Non è inoltre necessario che sia la madre naturale a prendersi cura dei figli: vi sono infatti società in cui tale compito è affidato ad un gruppo più ampio, per non parlare dell abitudine della società aristocratica e borghese occidentale di affidare i figli a balie e nutrici. In ogni caso, nel termine stesso di nucleare si trova l intenzione di riferirsi alla famiglia col minor numero di componenti possibile e sarebbe giustificato quindi ridurlo alla diade madrebambino. Non per questo altre forme più allargate sono da considerarsi meno originarie. Yanagisako, nel 1979, riconosce l essenza della famiglia nei rapporti di parentela e non nel suo essere un aggregato domestico; ma anche questa definizione non tiene conto di realtà molto antiche, diventate patrimonio dell inconscio sociale universale, che tuttora hanno il loro peso e che si oppongono comunque ad una definizione dogmatica del concetto di famiglia. La parentela indica un gruppo di persone legate fra loro da un rapporto di generazione (da parere = generare). Il nato dal ventre di una donna è generato dalla donna stessa e dal maschio che con lei si è accoppiato, procreando una nuova vita, che dal momento del concepimento è autonoma, ma non autosufficiente: se, da una parte, l embrione è altro dal corpo materno, dall altra, tuttavia, il bambino per un lungo periodo dopo il parto che lo ha fatto nascere non ha capacità proprie di sopravvivenza, ma dipende dalle cure degli altri. Che questi altri siano sempre stati il padre e la madre biologici è alquanto dubbio, soprattutto considerando che, per molto tempo, si ignorò il rapporto diretto tra copula e fecondazione e la capacità generativa fu attribuita esclusivamente alla femmina. Benché si debba riconoscere che la relazione tra accoppiamento e procreazione sia stata presente ed abbia agito sempre almeno nell inconscio istintuale della specie umana. La lotta tra i sessi, che ha sempre accompagnato il bisogno originario d amore, ha contribuito comunque a complicare e a confondere i rapporti tra l uomo, la donna e i loro figli. La procreazione, come soddisfazione dell istinto di conservazione della specie, è in ogni caso secondaria al bisogno di amore e di piacere che stanno alla base dell atto sessuale e questo si rivela tanto più vero oggi che le moderne tecniche di procreazione medicalmente assistita separano sempre di più la procreazione dalla sessualità. L inconscio sociale di fine millennio non riesce comunque a prescindere da un concetto di famiglia intesa come struttura che svolga una funzione

precisa di assistenza dei figli piccoli da parte di uno o più adulti. Il bisogno d amore, il desiderio sessuale, la necessità del mutuo soccorso, strutturano le relazioni sociali in diversi modi, alcuni dei quali riconducono a concetti di famiglia molto diversi tra loro. Per Levi Strauss (1956) la famiglia è risultato di una unione, che diventa alleanza, stabilita attraverso il matrimonio, tra diverse famiglie: il membro di una famiglia si unisce con quello di un altra e quest unione, spezza l unità della famiglia originaria, ma istituisce una alleanza con una nuova famiglia, creando una nuova unità a sua volta originaria. I meccanismi procreativi, l allevamento e l educazione della prole, i rapporti sessuali all interno delle differenti società variano grandemente nel tempo e nello spazio, tanto da diventare incomprensibili, ma sono espressioni di una natura umana sostanzialmente omogenea che rende tutti gli uomini uguali nella loro diversità e specificità, al di là di ogni etnocentrismo presuntuoso e di ogni frivolo relativismo culturale. Le pulsioni fondamentali sono uguali per tutti gli uomini ed è solo l avventura storica, sociale e culturale che le differenzia e le conduce per sentieri molto diversi, legittimi e spesso anche non legittimi a trovare espressioni spesso irriconoscibili rispetto al dato di partenza. Scienza, morale e politica hanno ogni volta la funzione di indicare e scegliere i valori, ma non hanno il diritto di imporli indiscriminatamente, come ha fatto finora il colonialismo etnocentrico occidentale; ma neppure quello di non giudicare positivamente o negativamente quelli altrui, come propone il moderno relativismo culturale di chi non esprime il giudizio per non dover far fronte all impegno morale che esso comporterebbe. La dialettica è la possibilità di dialogo e di comunicazione tra i popoli in un atteggiamento di continua transazione. 4. Nel diritto romano arcaico, il maschio più anziano, o pater familias, esercitava la patria potestas sulla moglie, sui figli e sulle nuore, sui servi e sugli schiavi, fino alla sua morte. Questo gli garantiva il pieno controllo all interno della famiglia, in cui interveniva poco il diritto pubblico dello stato, che permetteva così una forma di tirannide privata (alla quale per altro i vari componenti della famiglia, liberi e schiavi, riuscivano di fatto a sottrarsi fino a capovolgerla: ma questo sarebbe un altro discorso interessante da fare sulle evoluzioni delle singole forme famigliari). Dal codice di Giustiniano in poi, lo stato, attraverso le sue leggi, ha assunto sempre più il controllo della famiglia, fino alle odierne forme di legislazione che distribuiscono, con pretesa di equità, la patria potestà tra il padre e la madre. Va detto, a questo punto, che l attuale istituto famigliare, apparentemente così rispettoso dei diritti dei due componenti della coppia, nasconde però

un insidia alla democrazia della vita della famiglia. Se è vero che democrazia significa rispetto della volontà della maggioranza, non si vede come questo principio possa essere applicato ad una coppia, senza che si permetta il prevalere della volontà di uno dei due elementi che la compongono; volontà che risulterà determinante anche per gli eventuali figli. Sarà però solo un criterio di sopraffazione a determinarlo, stabilendo una tirannide, se non di diritto, almeno di fatto. Il principio quindi, apparentemente democratico, del nuovo diritto di famiglia che pretende di basarsi sulla pari dignità dei coniugi è invece la formalizzazione là ove manchi l accordo tra i due di una tirannide privata. In questi ultimi tempi, nel mondo occidentale, si è operato un ulteriore spostamento, per cui si è passati dalla tirannide istituzionalizzata dallo stato di uno dei membri della famiglia: il padre, a quella della madre, la quale può esercitare il diritto di vita e di morte sui propri figli per il periodo fortunatamente limitato della gestazione, che può decidere di interrompere in base a criteri assolutamente propri e privati, di malessere fisico, psichico o sociale. Non più il padre, nella società abortista occidentale, esercita lo jus vitae et necis, ma la madre. Per di più, mentre la tirannide sul coniuge oggi viene esercitata di fatto, senza il supporto di alcun diritto, quella della madre sui figli è paradossalmente codificata e consentita dalla legge dello stato, con uno spostamento che passa alla donna quel potere tirannico che, giustamente, ha voluto negare all uomo. In questa situazione di caos giuridico ed etico, quali sono gli esiti possibili per la sopravvivenza della famiglia nucleare? Si impone, come primo passo, almeno il ripristino del rispetto della vita e della dignità di tutti i membri della famiglia, a partire dalla tutela dei diritti dell embrione che va riconosciuto come persona a pieno titolo, pari a tutte le altre persone della famiglia. Vi sono famiglie ristrette che hanno la loro figura centrale non nel padre, ma nella madre, come si riscontrano ancora tra i Najar dell India meridionale, dove il matrimonio è un rituale poco significativo ed il rapporto privilegiato è quello tra la madre e i figli, mentre al marito viene riservato un ruolo secondario. Così è in anche in altri paesi dove questa caratteristica ha una forte influenza sul costume, ma in molti casi anche sul sistema legislativo e patrimoniale. Questa centralità femminile può essere dovuta all assenza fisica del padre o da altri fattori. Lo stesso è avvenuto e ancora avviene spesso nella realtà della famiglia borghese occidentale, dove il padre ha un ruolo ufficiale affettivo ed economico, ma il potere gestionale sulla vita famigliare e anche sul patrimonio è della madre. La matrifocalità può essere anche assoluta ed estendersi all esterno del gruppo ristretto della famiglia, quando è la donna la fonte del principale od unico cespite di reddito, come è spesso il caso della figura dominante, in casa e fuori, della moderna donna

in carriera single o divorziata, con figli. Un segnale rivelatore, non così frivolo come sembra, di quanto sia poco accettata dall inconscio sociale questa nuova realtà che capovolge in occidente il tradizionale rapporto uomo-donna, è il persistere, ormai solo più rituale, della pratica della cavalleria, ovvero di quelle norme di buon vivere che privilegiavano la donna, sottolineandone la presunta debolezza: per rifarsi a un esempio diffuso, ancora oggi il maschio della coppia si sente in dovere di pagare il conto al ristorante, anche se è un disoccupato alle prese con una imprenditrice. Sono rituali che il maschio moderno, pigro e narcisista, non vuole abbandonare e a cui resta attaccato come ai segni di una supremazia che non accetta di aver perduto. 5. L inconscio sociale dell occidente ha introiettato il concetto che l omosessualità maschile sia indice di una effeminatezza in uomini che rinunciano al loro naturale ruolo sessuale e quindi anche alla funzione paterna, e reciprocamente si crede che le lesbiche rinuncino alla loro identità di genere e alla funzione materna; è vero infatti che si tende sempre a riportare i comportamenti sessuali all interno di uno schema bipolare maschile-femminile. Oggi sono molte le coppie omosessuali di entrambi i sessi che, in occidente, chiedono di venire riconosciute come famiglia e che reclamano il diritto a procreare, naturalmente o artificialmente, oppure adottare, figli che possano essere pienamente legittimati, con tutte le implicazioni, anche patrimoniali, che gli stati finora hanno concesso alle famiglie originate dal matrimonio, giuridicamente sanzionato, di coppie eterosessuali. Le coppie omosessuali non sono comunque le sole che debbono adattarsi a costruire, se mai, famiglie di fatto giuridicamente non tutelate: molte coppie eterosessuali vivono nelle stesse condizioni, senza alcuna tutela giuridica e patrimoniale dei patti che sono alla base della loro unione e dei diritti dei figli eventuali. Nessuna società finora ha potuto imporre l omosessualità assoluta per non rinunciare alla funzione riproduttiva garantita dall accoppiamento eterosessuale; ma anche oggi che la procreazione appare sempre meno necessariamente vincolata all atto sessuale, l inconscio sociale non riesce a non concepire la sessualità in altro modo che come l incontro e la reciproca soddisfazione di un desiderio maschile ed uno femminile. Ciò nonostante, la reale pratica sessuale sconvolge di molto gli schemi imposti dalla cosiddetta identità di genere, fino ad arrivare all autoerotismo e al sesso virtuale, per non parlare del sadomasochismo o della pedofilia che sono interdette dalle legislazioni, ma non possono essere inibite almeno a livello fantastico.