DOMENICA DI PASQUA «RISURREZIONE DEL SIGNORE» Veglia pasquale Nella Notte Santa

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Transcript:

DOMENICA DI PASQUA «RISURREZIONE DEL SIGNORE» Veglia pasquale Nella Notte Santa Nella Veglia pasquale vengono proposte nove letture, sette dall Antico Testamento e due dal Nuovo. Quando le circostanze lo richiedono, per motivi pastorali, il numero delle letture può essere ridotto: tre letture dall Antico Testamento, e in casi più urgenti soltanto due prima dell epistola e del Vangelo; non dovrà mai essere tralasciata la lettura dell Esodo sul passaggio del Mar Rosso (terza lettura). Con la morte di Gesù la Parola di Dio è giunta a compimento, i fedeli hanno vegliato muti presso la sua tomba riponendo ogni speranza nella misericordia divina. Nessuno nella lunga storia dell umanità ha lasciato un vuoto così grande come Gesù di Nazareth perché, come afferma il teologo Hans Urs Von Balthasar,...egli, che con forza è entrato nella storia, non è più afferrabile all interno di essa dove ha creato un apertura che non si chiuderà più; ciò che viene donato alle donne, al posto di questo vuoto, è la gioia del messaggio ai discepoli, una gioia che è resa più profonda dal fatto che il Signore stesso appare loro e rinnova la missione. Esse devono andare in Galilea, dove tutto è cominciato e dove deve iniziare la nuova vita.... Quindi, per ogni vero credente, la Veglia pasquale significa rinnovare la propria missione cristiana proclamata nella preparazione alla celebrazione battesimale ed eucaristica; essa è accompagnata da nove letture bibliche che illustrano la via della salvezza, sette tratte dall Antico Testamento e le ultime due (epistola e pagina evangelica), dal Nuovo Testamento. Le prime evocano i grandi fatti della storia sacra (la creazione, il sacrificio di Abramo, il passaggio del Mar Rosso), e le pagine più significative dell insegnamento profetico; le seconde annunciano il grande mistero della Risurrezione di Cristo. In questa notte illuminata dal cero pasquale, segno della presenza luminosa del Cristo risorto, la Liturgia della Parola, che un tempo costituiva l ultimo insegnamento ai catecumeni prima del Battesimo, ricorda a tutta la comunità cristiana, che si prepara a rinnovare le promesse battesimali, i fatti salienti della salvezza e i valori essenziali della nuova vita di figli di Dio.

PRIMA LETTURA [] Dal libro della Gènesi (1,1-2,2) In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo. Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Dio disse: «Le acque brùlichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brùlicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così avvenne. Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, 2

secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «Facciamo l uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Parola di Dio. 3

Primo racconto della creazione Gen 1,1-2,2 Il libro della Genesi si divide in due parti: storia primordiale (Gn 1-11); vicende patriarcali (Gn 12-50). La prima di queste due parti si apre con il racconto della creazione (Gn 1-2), che viene descritta in due modi diversi, anche se sostanzialmente concordi. Nel primo racconto (1,1-2,4a), che si distingue dal secondo in quanto fa ricorso allo schema della settimana, si sovrappongono due schemi, quello delle opere compiute da Dio nella creazione e quello dei giorni in cui si è attuata la creazione. Lo schema delle opere Nel racconto sono descritte otto opere compiute da Dio per dare forma al caos. Il narratore si ispira chiaramente alle concezioni cosmologiche dell antichità: la terra è immaginata come un disco posto sulle acque degli oceani inferiori, divise da quelle degli oceani superiori mediante una cappa (firmamento) su cui poggiano gli astri e da cui, mediante finestrelle, fuoriesce la pioggia. La narrazione si apre con una breve introduzione in cui l autore riassume tutta l opera di Dio, mettendo subito dopo in luce la situazione su cui è intervenuto: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (1,1-2). L intervento creatore di Dio, da cui ha origine il cielo e la terra, cioè tutto l universo, non si colloca al di fuori del tempo e dello spazio, ma «all inizio», in quanto rappresenta il primo momento del tempo e della storia. Prima che Dio iniziasse le sue opere, quella che sarà poi la terra era un entità «informe e deserta», che consiste in un oceano acquoso immerso nell oscurità. Su di esso aleggia lo «spirito di Dio» (rûah elohîm): questa espressione può indicare la potenza di Dio che si manifesterà nella creazione, oppure un vento impetuoso che soffia sulla superficie delle acque. Affiora qui l idea mitologica di un caos acquoso originario, che però non è una potenza divina, ma una realtà totalmente subordinata a Dio: il caos primitivo è così ridotto a una pura rappresentazione visiva del «nulla», che in realtà la mente umana non può immaginare. L idea esplicita di «creazione dal nulla» appare nella Bibbia solo molto più tardi (cfr. 2Mac 7,28). Dopo questa introduzione, il narratore passa a descrivere le otto opere divine, per ciascuna delle quali utilizza un formulario fisso che comprende, con qualche variante, i seguenti punti: ordine divino, attuazione, descrizione dell opera, imposizione del nome (solo per le prime tre opere), benedizione (riservata agli esseri viventi), apprezzamento divino e indicazione del giorno. La logica dell intervento divino è quella tipica dell artigiano, che prima prepara l ambiente e poi lo adorna. Le prime tre opere hanno lo scopo di estrarre dal caos primitivo gli elementi essenziali di un cosmo ben ordinato: la luce, le acque su cui sovrasta il firmamento e la terra ferma. La quinta, la sesta e la settima implicano invece una certa ornamentazione degli elementi prodotti nelle prime tre: gli astri sono destinati a riflettere la luce e a indicare le stagioni e le feste, i pesci popolano il mare e gli uccelli volano nel cielo, gli animali vivono sulla terra. Per quanto riguarda le opere quarta e ottava, separando la creazione degli astri da quella della luce e facendone semplici riflettori, il narratore vuole evitare il rischio che essi siano considerati come divinità. Le opere inoltre si susseguono in ordine di importanza, andando da ciò che è più essenziale e meno differenziato (la luce) fino a ciò che è più perfetto, l uomo, il quale appare così come culmine e coronamento di tutto il creato (1,26-28). Il termine adam 4

(uomo) ha qui un significato collettivo: sarebbe quindi meglio tradurlo con un plurale («gli uomini») o con un termine astratto («umanità»). L autore aggiunge poi che l uomo è creato «a immagine e somiglianza di Dio». Questa espressione significa che l uomo è una rappresentazione molto simile a Dio, anche se non identica all originale. Questa somiglianza non consiste per l uomo in una prerogativa fisica e neppure nel fatto di possedere l intelligenza e la volontà. L uomo è simile a Dio perché è chiamato a vivere in un costante rapporto di amicizia con lui, analogo a quello sperimentato da Israele nel contesto dell alleanza; questo rapporto sussiste anche dopo il peccato. In questa prerogativa l essere umano trova il fondamento stesso della propria esistenza. L autore commenta la decisione divina soggiungendo: «Dio creò l uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò» (v.27). Secondo questo racconto i due sessi sono creati contemporaneamente, in assoluta parità, e sono dotati ambedue, in modo eguale, della stessa dignità di immagine di Dio. Si può pensare che l autore ispirato abbia voluto affermare che è proprio nel loro amore reciproco che l uomo e la donna si manifestano come «immagine di Dio», allo stesso modo in cui nell alleanza il rapporto con Dio si esprime nell amore del prossimo. Infine l uomo è dotato di una speciale benedizione divina, da cui deriva la fecondità e il dominio su tutto il creato (vv. 26.28-31). Da questa benedizione, che indirettamente riguarda anche gli animali creati nello stesso giorno, risulta che la facoltà riproduttiva è buona e santa, in quanto permette all essere umano di prolungare nella storia l opera creatrice di Dio: essa non rappresenta dunque un obbligo oneroso, ma una potenzialità insita nella sua natura, che deve essere usata secondo i criteri suggeriti dalla retta ragione. In quanto immagine di Dio l uomo riceve il compito di «soggiogare e dominare» tutti gli animali. Questa espressione significa che egli dovrà esercitare un potere sovrano su di essi, e indirettamente su tutte le cose. Ogni essere umano diventa così responsabile di fronte a Dio del creato, di cui deve preservare l ordine e l armonia, non sfruttandolo egoisticamente, ma usandone per il bene proprio e di tutti i suoi simili. Come cibo l uomo riceve da Dio solo i vegetali (1,29), segno questo che la violenza è totalmente bandita dall universo così come è uscito dalle mani di Dio. Solo dopo il diluvio gli sarà concesso di consumare la carne degli animali. Dopo aver portato a termine la creazione dell uomo, Dio si rende conto che quello che ha fatto è «molto buono, indicando ancora una volta la superiorità dell uomo su tutte le altre creature. Lo schema dei giorni Allo schema delle opere si sovrappone lo schema dei giorni, che è quello tipico della settimana ebraica. Come un normale artigiano, anche Dio nel settimo giorno si astiene da qualsiasi opera (2,1-3). Con il verbo «cessare», che deriva dal sostantivo shabbat, «sabato» e significa quindi letteralmente «fare sabato», è fatta allusione all ultimo giorno della settimana. L autore mostra così che la creazione non ha avuto luogo al di fuori del tempo e dello spazio, ma è l evento che ha dato inizio al tempo del mondo, che per l israelita è scandito appunto dal succedersi delle settimane. Infine Dio benedice e consacra il settimo giorno, cioè lo riserva a sé, facendo di esso il simbolo del suo eterno riposo e della sua felicità. Sono messe così le basi della teologia sacerdotale del sabato: riposando in questo giorno santo il popolo di Israele entra coscientemente nel riposo di Dio, diventando esso stesso una nazione santa; in tal modo esso rende viva e operante l alleanza. 5

Dalla sovrapposizione dello schema della settimana su quello delle opere risulta che l uomo è sì il culmine della creazione, ma egli stesso è creato in vista del sabato, celebrando il quale recupera il proprio rapporto con Dio e coinvolge in esso tutte le cose sulle quali, nei sei giorni precedenti, ha impresso il marchio del proprio lavoro. Il racconto sacerdotale della creazione non ha dunque uno scopo scientifico, ma religioso: esso si presenta sostanzialmente come una catechesi sul sabato, di cui si mette in risalto il significato non solo per Israele ma anche per tutto l universo. Ispirandosi alla teologia dell alleanza, l autore intende spiegare non come hanno avuto origine le cose, ma qual è il loro rapporto con Dio e con l uomo. Nel primo racconto della creazione l autore adotta il genere letterario del mito, in quanto risale a un momento fondante, al di fuori del tempo e dello spazio, per spiegare l origine e il significato di questo mondo. Fondandosi sulle sue cognizioni della natura, egli afferma che tutto quello che esiste proviene da Dio e da lui dipende. Nel suo modo di pensare manca una concezione evoluzionista del mondo, ma essa non è esclusa in via di principio, in quanto il succedersi delle opere può essere visto come un divenire degli esseri dal meno al più differenziato. Per lui non importa il come, ma il fatto che questo mondo non esisterebbe se non provenisse da un Entità superiore che per lui è il Dio di Israele. Da questa intuizione scaturisce la convinzione secondo cui questo mondo è sostanzialmente buono, cioè corrisponde al progetto di colui che l ha creato, ed è adeguatamente equipaggiato per raggiungere il suo fine. In questo mondo sostanzialmente buono, l uomo occupa un posto centrale, in quanto è il coronamento della creazione. L uomo quindi fa parte di questo mondo e al tempo stesso se ne distingue in quanto è dotato di intelligenza e di volontà e, di conseguenza, esercita il suo dominio su tutte le altre creature. Questo però non vuol dire che egli possa disporne arbitrariamente, ma piuttosto che egli ne è responsabile davanti a Dio. In questo rapporto con Dio e con il mondo consiste la sua dignità di «immagine di Dio». E proprio in quanto tale l uomo è «maschio e femmina», nel senso non solo che i due sessi hanno pari dignità, ma anche che essi esercitano questa dignità in un rapporto reciproco, che si estende alla famiglia e a tutta la società. Un idea fondamentale di questo racconto è quella della santificazione del tempo. È durante l esilio che Israele ha approfondito il significato religioso della settimana in quanto ha preso coscienza che il dedicare un giorno al riposo non aveva soltanto uno scopo umanitario in favore delle categorie più povere e sfruttate, ma significava anche dare uno spazio a Dio e rendere possibile il rapporto comunitario. Solo radunandosi come comunità gli israeliti facevano l esperienza della loro dignità di «popolo santo», cioè particolarmente unito al Dio «santo», dal quale tutte le cose dipendono. Ma essi pensavano che, in forza della creazione, la santità di Dio fosse disponibile, mediante il giorno da lui designato, a tutta l umanità. Il carattere comunitario del sabato si apre così a una solidarietà che, partendo dalla comunità, si allarga a tutta l umanità. 6

SECONDA LETTURA [] Dal libro della Gènesi (22,1-18) In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov è l agnello per l olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l agnello per l olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere». L angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». Parola di Dio. 7

Il sacrificio di Isacco Gen 22,1-18 Questo racconto costituisce il punto culminante della vicenda di Abramo. Dopo alterne vicende Abramo ha ottenuto finalmente Isacco, il figlio della promessa. Ma Dio gli domanda di offrirglielo in sacrificio. Il fatto che Dio chieda ad Abramo un gesto umanamente e moralmente inconcepibile deve essere visto nel contesto dei costumi dell epoca. Il sacrificio dei primogeniti alla divinità era praticato dai cananei. Anche gli israeliti erano convinti che i primogeniti appartenessero a JHWH e quindi dovessero essere offerti a lui. La legge mosaica però escludeva che essi fossero sacrificati, ma esigeva che, appartenendo a Dio, fossero riscattati mediante l offerta di un animale. Il racconto si divide in quattro parti: La prova (vv. 1-5); Preparazione del sacrificio (vv. 6-10); Intervento dell angelo di JHWH e sostituzione di Isacco (vv. 11-14); Secondo intervento dell angelo di JHWH e conferma delle promesse (vv. 15-18). La prova (vv. 1-5) Il narratore mette in campo Dio stesso, che prende ancora una volta l iniziativa nei confronti di Abramo. Ma prima di dire qual è l oggetto dell intervento divino, egli osserva che «Dio mise alla prova» Abramo. Ciò che sta per chiedergli è talmente scioccante che il lettore deve essere avvertito subito che Dio non lo vuole veramente, ma intende semplicemente saggiare fino in fondo e in modo definitivo il cuore di Abramo. In tal modo il narratore richiama subito l attenzione sul vero tema del brano, la fede del patriarca. Il lettore è invitato a capire che in fondo il patriarca rappresenta un modello con cui lui stesso deve confrontarsi. Dio chiama il patriarca: si tratta di un momento decisivo, dal quale dipende il futuro di Abramo e del popolo che nascerà da lui. La risposta di Abramo è pronta: «Eccomi!». A questo punto il lettore viene a sapere che cosa vuole Dio da lui: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò» (v. 2). È importante la designazione del luogo in cui dovrà attuarsi il sacrificio. Si tratta infatti del monte Moria, che in un altro testo (cfr.2cr 3,1) è indicato come il luogo in cui sorge il tempio di Gerusalemme. Ovviamente il patriarca non sa che si tratta di una prova. Improvvisamente egli si trova al centro di un autentica tragedia, perché proprio quel Dio che gli aveva dato l unico figlio tanto desiderato, ora glielo toglie, e per di più per sua mano. Il lettore può immaginare i sentimenti contrastanti di Abramo, ma il narratore si limita a dire che «Abramo si alzò di buon mattino, sellò l asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato» (v. 3). Ciò che conta è la sua obbedienza silenziosa, che non pone domande, come farà invece Giobbe. Abramo giunge in vista del luogo prestabilito solo il terzo giorno (v. 4): non gli è mancato quindi il tempo per riflettere sulla sua decisione. A questo punto si discosta dai suoi servi dicendo loro: «Fermatevi qui con l asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi» (v. 5). I preparativi del sacrificio (vv. 6-10) Abramo carica la legna per l olocausto sulle spalle di Isacco «suo figlio» e lui stesso prende in mano il fuoco e il coltello; poi tutt e due proseguono insieme (v. 6). Il loro muto riflettere è rotto solo dalla domanda del fanciullo che chiede: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov è l agnello per l olocausto?». Abramo non ha il coraggio di spiegare che cosa sta per capitare, ma si limita a rispondere: «Dio stesso si provvederà l agnello per l olocausto, figlio mio!» (vv. 7-8). Anche qui si tratta di una pietosa menzogna, dalla quale però traspare un immensa fiducia nel Dio al quale Abramo sta per offrire in sacrifico il proprio figlio. I due proseguono fino al luogo prestabilito e lì Abramo 8

costruisce l altare, sistema la legna, lega il figlio Isacco e lo depone sull altare, sopra la legna. Poi stende la mano e prende il coltello per immolare suo figlio (vv. 9-10). L intervento di JHWH (vv. 11-18) Abramo ha appena finito i preparativi per il sacrificio e sta per immolare il figlio, quando l angelo di JHWH, cioè Dio stesso, lo chiama dal cielo e gli dice: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (vv. 11-12). Alle parole di JHWH Abramo alza gli occhi e vede un ariete impigliato con le corna in un cespuglio, lo prende e lo offre in olocausto al posto del figlio (v. 13). La comparsa dell ariete è chiaramente opera di Dio, ma il narratore la presenta come un fatto casuale, di cui Abramo approfitta senza esitare. Poi annota che Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore vede», e aggiunge che ancora oggi si dice: «Sul monte il Signore si lascia vedere» (v. 14). Il fatto che Abramo dia un nome a quella località è importante perché serve a identificare il luogo in cui si ritiene che Dio, essendosi manifestato una volta, sarà ancora disponibile a rendersi presente e ad accettare le preghiere e i doni dei fedeli. In realtà questo nome non viene ricordato, ma rimane un gioco di parole che avrebbe dovuto spiegarlo. È possibile che il nome originario sia caduto per permettere l identificazione della località con il territorio Moria (cfr. v. 2) e quindi con il tempio di Gerusalemme. Al termine del racconto Dio rinnova ad Abramo con un solenne giuramento le promesse che gli aveva fatto precedentemente, motivandole nuovamente col fatto che egli «non ha risparmiato» il suo unico figlio (cfr. v. 13): lo benedirà e gli darà una discendenza numerosa come la sabbia del mare; la sua discendenza si impadronirà delle città dei nemici; per essa saranno benedette tutte le nazioni della terra. Il racconto della richiesta di sacrificare il proprio figlio, sostituito all ultimo momento con un ariete, aveva forse originariamente lo scopo di spiegare che Dio non vuole sacrifici umani, ma accetta al loro posto sacrifici animali. Questa finalità didattica nella versione attuale del racconto è quasi totalmente scomparsa. Applicato ad Abramo, esso crea una situazione drammatica. Dal punto di vista morale per il lettore antico non c era dubbio che Dio potesse chiedere al patriarca tale gesto, anche se comportava per lui la perdita di un figlio unico, tanto amato e desiderato. Ma per Abramo ciò significava qualcosa di più: la rinuncia a colui per mezzo del quale si sarebbero realizzate le promesse di Dio, e quindi in definitiva, data la sua tarda età, l annullamento delle promesse stesse. In altre parole ad Abramo è chiesto di credere che Dio, anche senza Isacco, può ancora realizzare le sue promesse. La sua adesione incondizionata è il segno di una fede che ha raggiunto la sua pienezza, e quindi viene proposta come modello a tutto Israele. Alla luce di questo brano Isacco appare come un dono doppiamente gratuito di Dio: infatti, dopo essere nato da una madre sterile, è stato ridato miracolosamente ad Abramo da Dio, al quale apparteneva per diritto. Lo stesso si può dire di Israele, che è nato la prima volta all uscita dall Egitto e poi una seconda volta alla fine dell esilio. Infine è importante la localizzazione del sacrificio nel luogo in cui un giorno sorgerà il tempio di Gerusalemme: con essa si vuole dare un significato teologico preciso ai sacrifici di animali che in esso erano effettuati. Con essi gli israeliti non devono pensare di propiziarsi il favore della divinità, come avveniva nelle religioni circostanti, ma piuttosto di esprimere una fede totale, analoga a quella di Abramo. Nella religione israelitica il sacrificio non è una prestazione fatta alla divinità irata, ma un gesto di fedeltà al Dio dell alleanza e ai valori espressi nella legge (decalogo), spinto fino al dono supremo della vita. In questo senso il concetto di sacrificio è stato applicato al gesto supremo di amore consumato da Gesù sulla croce. 9

TERZA LETTURA Dal libro dell Esodo (14,15-15,1) In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri». L angelo di Dio, che precedeva l accampamento d Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l accampamento degli Egiziani e quello d Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare. Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo. Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: 10

Gli Israeliti camminarono sull asciutto in mezzo al mare Es 14,15-15,1 La terza lettura di questa Veglia pasquale, tratta dal libro dell Esodo, è la sintesi della fede di Israele; essa narra l uscita dall Egitto del popolo eletto che, consapevole di essere debitore della propria libertà all intervento divino, si incammina guidato da Mosè verso i pericoli del deserto per raggiungere la terra promessa. La rilettura neotestamentaria vede in Israele tutto il popolo di Dio, che con il battesimo sarà accompagnato da Cristo verso la salvezza eterna. Quello che colpisce in questo bellissimo racconto è la costante presenza di JHWH che parla, guarda e agisce assicurando di mantenere la sua promessa a un popolo fiducioso che crede in lui incondizionatamente; affascinante è la sua presenza in una colonna misteriosa, oscura o luminosa, che indica la strada verso la salvezza e protegge il popolo dai nemici. Contrariamente all usanza tipica della cultura orientale del tempo di attribuire ogni prodigio direttamente alla mano Dio, in questo brano l Autore Sacro parla anche delle forze naturali e di un uomo di cui JHWH si serve (il vento dell est che fa ritirare il mare, Mosè lo divide alzando la sua verga e stendendo la mano); nel testo si alternano continuamente l azione diretta di Dio e l intervento di Mosè, che agisce sugli elementi in virtù di un potere provvidenziale che gli permette di aprire le acque del mare. Gli studiosi affermano che il mare attraversato dal popolo in fuga, comunemente definito Mar Rosso, in realtà era una laguna o un terreno paludoso, abitualmente ricoperto dalle acque, a volte guadabile a causa della marea e del vento; mentre Israele riesce ad affrontarlo senza problemi, i cavalli e i carri egiziani (più pesanti) s impantanano nell acquitrino, e nel tentativo di retrocedere si rovesciano mentre le acque, a causa della marea, rifluiscono su di essi. Il tutto naturalmente per l intervento divino. Quindi l acqua che s innalza come una muraglia a destra e a sinistra degli Ebrei, è semplicemente una visione poetica di quanto accaduto che evidentemente non deve essere presa alla lettera. L avvenimento rimane comunque fondamentale per la storia del popolo eletto, si tratta infatti di una specie di battesimo che segna la fine di una lunga schiavitù e l inizio del cammino verso la terra promessa, verso l incontro solenne con Dio ai piedi del Sinai. Al termine di questa lunga preparazione quaresimale Dio, che ha atteso l antico popolo di Israele nel deserto, attende ora l umanità intera nella Chiesa di Cristo per amarla e accompagnarla verso il cielo nella vera terra promessa. La nube e il mare che univano gli Ebrei a Mosè, loro capo provvidenziale, sono visti da san Paolo (nella sua prima lettera ai Corinzi) come una prefigurazione del battesimo cristiano, che unisce al Cristo salvatore chi riceve tale Sacramento nell acqua e nello Spirito. La Chiesa in questa Veglia pasquale, tradizionalmente ultima preparazione dei catecumeni al battesimo, invita ogni credente a rinnovare con fede ogni promessa battesimale, e sentirsi così vero popolo di Dio. 11

QUARTA LETTURA Dal libro del profeta Isaìa (54,5-14) Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? - dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia. Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri pongo le tue fondamenta. Farò di rubini la tua merlatura, le tue porte saranno di berilli, tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli; sarai fondata sulla giustizia. Tieniti lontana dall oppressione, perché non dovrai temere, dallo spavento, perché non ti si accosterà. Parola di Dio. 12

Con affetto perenne il Signore, tuo redentore, ha avuto pietà di te Is 54,5-14 La quarta lettura, che appartiene al libro del Profeta Isaia o, meglio, del Secondo Isaia, racchiude la sintesi della storia del popolo eletto e del suo rapporto con il Signore. Con l immagine tipica della sposa ripudiata dal compagno, l autore presenta il popolo eletto in esilio lontano dalla propria patria a causa della collera divina che, nel senso biblico, rappresenta la reazione di Dio al peccato dell uomo; egli però è amore e misericordia e promette alla sposa di realizzare con lei una nuova alleanza e di riportarla al suo antico splendore; un dono (la nuova alleanza) che unito al perdono rappresenta il frutto della sua misericordia redentrice. Quindi, Dio si manifesta a Gerusalemme (sotto diversi titoli o nomi) per infondere fiducia e ricordare il carattere temporaneo del castigo, sottolineando così il suo desiderio di riconciliazione. Secondo Isaia, Dio è lo Sposo di Gerusalemme, il suo creatore, il Signore dell universo, il Santo d Israele, il suo liberatore e l unico vero Dio di tutta la terra. In queste affermazioni gli studiosi vedono delle importanti indicazioni dottrinali dalle quali emerge sia il più puro monoteismo semitico, sia il grande amore di Dio per il popolo che egli ha scelto per farsi conoscere da tutta l umanità. Per sottolineare la sua libera scelta per Israele Dio, tramite i suoi profeti, ha esaltato l alleanza conclusa al Sinai paragonandola a un contratto di matrimonio. Purtroppo Israele, sposa volubile e infedele, si è spesso invaghita di amanti indegni (i falsi dei), per poi ritornare, più o meno pentita, al suo Sposo divino che non cesserà mai di essere paziente, misericordioso e fedele all amore nuziale votato a Israele nella più alta purezza. Sempre secondo Isaia, Dio è anche il Santo d Israele, e questo soprattutto per i grandi prodigi compiuti per liberare il suo popolo dall oppressione degli empi, in particolare dalla schiavitù babilonese. È bello costatare come il Profeta, in questa stupenda pagina biblica, sottolinei che Dio è il creatore e il redentore del suo popolo; egli ha creato tutta l umanità, ma ha modellato Israele con paterno amore sin dalle origini (Adamo), e nel corso dei secoli successivi (Abramo e Mosè) fino a Gerusalemme. E anche ora, che Israele è divenuta infedele e si è allontanata dalla via della salvezza, egli non divorzierà da lei (Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?), perché il suo amore è più grande di ogni peccato ed è pronto, in ogni momento, a trasformarsi in misericordia. In questa Veglia pasquale che segue il periodo austero della Quaresima, già illuminata dalla gioia della Risurrezione, le parole del Profeta Isaia ricordano a ogni cristiano che la nuova Gerusalemme è la Chiesa di Cristo; essa, anche se ha affrontato delle dure prove non è mai stata distrutta, anche se ha conosciuto momenti di appannamento e di peccato è sempre presente nella storia dell uomo, con i suoi pregi e con le sue colpe che solo Dio può conoscere e valutare. E in questa Chiesa, a volte così contestata, lo Sposo è Cristo, il Santo di Dio, il Redentore del genere umano; egli è anche lo sposo di ogni cristiano nel quale si ripete ogni giorno la stessa storia del popolo eletto (unione fervente, peccato, castigo, ritorno a Dio, accoglienza misericordiosa, restaurazione dell intimità soprannaturale). Come dice Giovanni nell Apocalisse, la Chiesa trionfante in cammino verso il cielo è sempre pronta ad accogliere ogni discepolo di Cristo, che illuminato dallo Spirito Santo, continui a vivere nella Nuova Alleanza in pace e con la certezza di essere amato da Dio di un amore eterno. 13

QUINTA LETTURA Dal Libro del profeta Isaìa (55,1-11) Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d Israele, che ti onora. Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L empio abbandoni la sua via e l uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, 14

senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l ho mandata». Parola di Dio. 15

L alleanza eterna Is 55,1-11 Nella seconda parte del libro di Isaia (Deuteroisaia) (Is 40-55) si preannuncia e si prepara il ritorno dei giudei esiliati in Babilonia nella loro terra (538 a.c.). La sezione inizia con l evocazione di una grande strada che si apre nel deserto, lungo la quale gli esuli si incamminano sotto la guida di Dio (Is 40), e termina con un poema nel quale si riafferma la fedeltà di Dio che porterà a compimento tutte le sue promesse (Is 55). Quest ultimo capitolo si divide in tre parti: il rinnovamento dell alleanza davidica (vv. 1-5); L efficacia della parola di JHWH (vv. 6-11); Rinnovamento di tutte le cose (vv. 12-13). Il brano liturgico riprende le prime due parti di questo capitolo, nella quale appaiono immagini strettamente connesse al tema dell esodo e dell alleanza. Il rinnovamento dell alleanza davidica (vv. 1-5) Il brano si apre con un invito rivolto a tutti gli assetati perché vengano all acqua: anche coloro che non hanno denaro, potranno ugualmente mangiare e bere senza spesa vino e latte (v. 1). Acqua, vino e latte indicano metaforicamente il dono della salvezza quale si è concretizzato specialmente nel cammino dell esodo. Sullo sfondo si possono percepire i racconti dell acqua scaturita dalla roccia (Es 17,1-7; Nm 20,1-13) e quello della terra promessa che scorre latte e miele (Es 3,8). Il vino, che richiama la metafora di Israele come vigna del Signore, è un noto simbolo dei tempi messianici. L'invito a mangiare rievoca i temi biblici della Pasqua, della manna, del banchetto ai piedi del Sinai, mediante il quale è stata conclusa l alleanza e infine il banchetto escatologico. Il fatto che il cibo sia distribuito senza spesa mette in luce il carattere gratuito della salvezza donata da Dio. Nel versetto successivo il profeta chiede ai suoi interlocutori perché spendono denaro per ciò che non è pane e impiegano il loro patrimonio per ciò che non sazia (v. 2a). Con questa domanda egli allude forse alle eccessive preoccupazioni di alcuni circoli di esuli, i quali subordinano la ricerca del pane, dono di Dio e simbolo dell alleanza, al possesso di beni materiali con cui garantire la propria sicurezza sia nella terra d esilio che in quella in cui stanno per ritornare. Perciò il profeta ripete la sua esortazione, facendola precedere dall invito ad «ascoltare»: se essi ascolteranno, mangeranno cose buone e gusteranno cibi succulenti (v. 2b). Il superamento delle preoccupazioni materiali presuppone l ascolto della parola di Dio trasmessa dal profeta, che annuncia una svolta decisiva nella storia della salvezza. Una terza volta l invito viene ripetuto con un riferimento più esplicito ai doni significati nel mangiare e nel bere. In nome di Dio il profeta invita da una parte a porgere l orecchio e ad andare a lui, dall altra ad ascoltare affinché possano vivere (v. 3a). L ascolto della parola di Dio pronunciata dal profeta ha lo scopo di aggregare gli esuli per farne un popolo e di garantire loro la vera vita che si attua pienamente nel rapporto con Dio. Infine il profeta assicura ai suoi interlocutori che Dio stabilirà con loro un alleanza eterna, nel cui contesto verranno conferiti loro i favori assicurati a Davide (v. 3b). L alleanza escatologica era stata preannunciata dai profeti nell imminenza dell esilio. Geremia aveva parlato di una «nuova alleanza», che avrebbe comportato, come caratteristica specifica, l incisione della legge sul cuore del popolo. Qui si usa l espressione «alleanza eterna», che viene interpretata come «i favori assicurati a Davide». Questa espressione richiama la promessa fatta a Davide mediante il profeta Natan, con la quale Dio si impegnava a mantenere la dinastia davidica sul trono di Gerusalemme: anche questa promessa era presentata come un «alleanza eterna». Secondo il Deuteroisaia questa promessa si sarebbe verificata nei tempi escatologici, che per lui coincidevano con il ritorno dall esilio. L attuazione non ha come destinatario il re messia, ma tutto il popolo: in questo modo tutto Israele diventa 16

beneficiario dei doni promessi nel patto davidico. Il profeta non prevede dunque la restaurazione della dinastia davidica, ma l attuazione dell'alleanza conclusa con David in favore di tutto il popolo rinnovato. E di fatti è tutto il popolo che viene posto come «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni». Esso chiamerà gente che non conosceva, ad esso accorreranno popoli che non lo conoscevano: tutto ciò è opera di JHWH, il Santo di Israele, che ha onorato il suo popolo (vv. 4-5). Proprio perché JHWH ha onorato il suo popolo, questo diventerà il punto di convergenza di nazioni numerose. Israele svolgerà quindi un ruolo di aggregazione internazionale, diventando così lo strumento di una pace duratura. Efficacia della parola di Dio (vv. 6-11) La seconda parte del capitolo inizia con queste parole: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (v. 6). Il tema del «ricercare» Dio nasce dalla consuetudine diffusa in tutte le religioni di visitare il santuario di una divinità per poterla incontrare nella statua che la rappresenta e ottenere da essa doni e grazie. Anche in Israele il termine indicava originariamente la visita al santuario di JHWH per richiedere una responso per mezzo di un oracolo. Il termine assume però altre connotazioni, quali l essere fedeli a Dio, pregarlo, compiere la sua volontà. In questo contesto l invito a ricercare Dio è parallelo a quello di invocarlo e ha come motivazione il fatto che egli si fa trovare, è vicino. Rivolto agli esuli, questo invito ha lo scopo di renderli attenti alla presenza di Dio nella storia e disponibili lasciarsi coinvolgere nella sua azione, che sta per configurarsi in un intervento risolutivo a loro favore, la liberazione e il ritorno nella loro terra. L esigenza di cercare Dio comporta quindi un impegno preciso: «L empio abbandoni la sua via e l uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (v. 7). Il termine «empio», in parallelismo con «uomo iniquo» indica colui che non si preoccupa di compiere il volere di Dio nella sua vita quotidiana. In questo contesto indica quei giudei che si erano stabiliti nella terra d esilio integrandosi nella società in cui si trovavano senza più pensare alla possibilità di un ritorno nella loro terra. L empio e l iniquo sono invitati ad abbandonare rispettivamente la loro via e i loro pensieri. Per la legge del parallelismo i due termini sono equivalenti; ma le «vie» sono piuttosto i comportamenti pratici, mentre «pensieri» indicano più direttamente i propositi e i progetti che ne sono la causa. Secondo la mentalità biblica pensieri e azione sono intimamente collegati: per trasformare la prassi è indispensabile mutare la mentalità, il cuore delle persone. Positivamente l empio è invitato a «ritornare» a Dio. Questo verbo indica la «conversione», che consiste in un cambiamento di rotta per ritornare sul proprio cammino e incontrare nuovamente JHWH. Per colui che è andato fuori strada non è facile convertirsi, soprattutto se sussiste l immagine di un Dio vendicativo e crudele. Perciò il profeta sottolinea che JHWH è un Dio misericordioso e disponibile al perdono. Per cogliere fino in fondo la misericordia infinita di Dio bisogna superare la tendenza spontanea a immaginare Dio con categorie umane. È questo il problema di ogni pratica religiosa. Il profeta lo affronta in questi termini: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (vv. 8-9). Anche Dio ha i suoi pensieri e le sue vie, ma sia gli uni che le altre sono totalmente diversi da quelli dell uomo. I pensieri di Dio sono i suoi progetti in favore del cosmo e dell uomo. Le sue vie sono i suoi interventi nella storia. Ciò che Dio pensa e per cui agisce è solo la salvezza del suo popolo e in prospettiva di tutta l umanità. I pensieri e le vie di Dio non solo sono diversi, ma «sovrastano» quelli dell uomo, sono più alti di essi come è più alto il cielo rispetto alla terra. I piani di Dio 17

sono quindi sconosciuti all uomo, soprattutto perché l uomo è rivolto alle cose che gli interessano, mentre Dio cerca il vero bene di tutti. Infine il profeta mette in luce l efficacia della parola di Dio, cioè del suo operare nella storia. Il testo consiste in un unica frase che contiene un paragone tra ciò che avviene nella natura e l attuazione della parola divina. Nel primo termine del confronto (v. 10), una descrizione ricavata dall esperienza agricola, quello su cui si fa leva è l efficacia dell acqua che, sotto forma di pioggia o di neve, non scende mai sulla terra senza fecondarla, facendole produrre il frumento che l agricoltore utilizzerà sia come seme sia per la semina dell anno successivo, sia per fare il pane che serve al nutrimento della sua famiglia. Nel secondo termine di paragone (v. 11) viene detto che la parola divina avrà la stessa efficacia dell acqua che scende sui campi: una volta pronunciata essa non può rimanere senza effetto, cioè senza attuare la volontà divina in essa formulata. Il contenuto di questa parola consiste negli oracoli raccolti nel libro, e cioè fondamentalmente nel ritorno del popolo dall esilio e nella sua restaurazione. Questo grande evento viene dunque presentato ancora una volta come il risultato non di sforzi umani, ma di un intervento divino con il quale si attua un progetto elaborato fin dall eternità. Il Deuterosisaia presenta Dio da una parte come Colui che è immensamente superiore all uomo, che ha pensieri e comportamenti diametralmente opposti ai suoi. D altra parte però lo presenta anche come Colui che è vicino e si lascia trovare dall uomo. In forza della sua trascendenza, Dio non può essere definito, perché inevitabilmente sarebbe ridotto a categorie umane. Tuttavia questo Dio inaccessibile si fa vicino all uomo e gli parla attraverso gli eventi della storia, interpretati dai suoi profeti. Essi sanno leggere i segni dei tempi e indicare la strada da percorrere. La loro parola è luce e guida per tutto il popolo, specialmente nei momenti più cruciali, come è quello del ritorno dall esilio. Coloro a cui si rivolgono devono ascoltarli: ciò non li esime però da una ricerca personale, senza della quale non potranno discernere i veri dai falsi profeti. Il profeta aveva concentrato nel momento del ritorno dall esilio la realizzazione delle speranze di Israele. Perciò nella conclusione dei suoi oracoli presenta ancora una volta questo evento straordinario come il pieno compimento delle promesse fatte da Dio al suo popolo. In esso si realizzano i grandi simboli della salvezza, che ruotano intorno al tema dell alleanza. Gli eventi del Sinai appaiono ormai come realtà passate, semplici prefigurazioni dell alleanza escatologica la cui caratteristica è quella di essere eterna. Dio si impegna ormai in modo pieno e definitivo per il suo popolo, basando la sua azione salvifica soltanto sulla sua volontà e potenza. Il contributo del popolo sarà pur sempre necessario, ma esso si attuerà ormai spontaneamente, in forza dell azione potente e gratuita di Dio. Solo perché si fonda esclusivamente sulla potenza di Dio, l alleanza escatologica sarà piena e definitiva. Nel contesto di questa alleanza, il Deuteroisaia intravede anche il compimento delle promesse fatte a Davide. Si concretizza così l attesa messianica che si era sviluppata alla vigilia dell esilio, nella prospettiva ormai imminente della caduta della dinastia davidica sotto i colpi dei babilonesi. L accento non è posto sulla figura del futuro re discendente di Davide, ma su tutto il popolo dei rimpatriati, che saranno i destinatari delle promesse fatte al lontano progenitore della dinastia regnante. La comunità del popolo di Dio non ha più bisogno di essere rappresentata da un sovrano potente, ma va essa stessa incontro al suo Dio. 18