ALTARE DI PERGAMO ( a.c.) Firomaco Storie di Telefo, figlio di Eracle e mitico fondatore della città.

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ALTARE DI PERGAMO L Altare di Zeus, a Pergamo è uno degli edifici più famosi e uno dei capolavori dell arte ellenistica. Fu fatto edificare da Eumene II in onore di Zeus Sóter e Atena Nikephòros (Zeus salvatore e Atena portatrice di vittoria) per celebrare la vittoria sui Galati. Attualmente la parte anteriore dell altare si trova conservata al Pergamon Museum di Berlino. La realizzazione dell altare fu iniziata sotto il regno di re Eumene II (197-159 a.c.), l altare fu quasi totalmente completato, nonostante il re Prusia II di Bitinia, intorno al 156 a.c., attaccasse la città. Su chi possa essere si possono solo fare ipotesi non riscontrabili da dati oggettivi. È stato fatto il nome di Firomaco, artista attico, che le fonti antiche ricordano come uno dei sette più grandi scultori greci. in pianta l altare ha una forma quadrangolare, con la facciata, rivolta alla vallata, mossa da una scalinata centrale, larga quasi venti metri, e da due avancorpi, creanti una sorta di forma a U. In alzato la struttura era rialzata di cinque gradini, dopo i quali si alzava il basamento, alto circa 4 metri, lungo il quale si sviluppava il grande fregio continuo con la Gigantomachia. Si accedeva al livello superiore tramite la scalinata centrale, appunto, ed esso consisteva in un grande vano, alto circa sei metri, circondato da un colonnato ionico continuo, che proseguiva anche lungo gli avancorpi. All interno del vano correva lungo tutte le pareti un secondo colonnato, fatto a coppie di colonne unite da un anima muraria. L altare vero e proprio si trovava al centro e su di esso si trovava il piccolo fregio, con le Storie di Telefo, figlio di Eracle e mitico fondatore della città.

GIGANTOMACHIA SCONFITTA DEI GALATI Il fregio, lungo ben 120 m e scolpito su pannelli alti 228 cm e larghi circa 70 100 cm ciascuno, rappresenta la mitica battaglia condotta dalle divinità dell Olimpo contro i Giganti, esseri mostruosi figli del Cielo e della Terra che avevano osato sfidare la sovranità di Zeus dando l assalto alla dimora divina.[1] Nelle scene erano trasposti inoltre anche i recenti fatti della guerra appena vinta contro i barbari Galati. Etere ed un gigante 166-156 ca

EPIGòNO Il Galata morente era una scultura bronzea attribuita a Epigono, databile al 230-220 a.c. circa e oggi nota da una copia marmorea dell epoca romana (lunghezza 185 cm) conservata nei Musei Capitolini di Roma. Con il Galata suicida e con altre opere di identificazione più complessa doveva fare parte del Donario di Attalo nella città di Pergamo. L opera fu commissionata da Attalo I di Pergamo per celebrare la sua vittoria contro i Galati. La statua raffigura, con grande realismo (specie nel volto), un guerriero galata morente, semisdraiato e col volto rivolto in basso. Il soggetto presenta i tratti tipici del guerriero celtico, considerando gli zigomi alti, l acconciatura dei capelli, dalle folte e lunghe ciocche, e i baffi. In tale gusto si nota un accento sulla particolare erudizione che circolava alla corte di Pergamo. Eccezion fatta per una torque intorno al collo (la collana tipica di quelle popolazioni), il guerriero è completamente nudo. Sulla base, attorno ad esso alcune armi abbandonate. Col tipico patetismo della scuola di Pergamo, l artista evidenziò il dolore dello sconfitto, accentuandone il coraggio e il valore e quindi, dall altro lato, le qualità militari dei vincitori.

EPIGòNO Il Galata suicida, noto anche come Galata Ludovisi, è una copia romana in marmo (h. 211 cm) del I secolo a.c. di una statua in bronzo di Epìgono realizzata intorno al 230-220 a.c., oggi conservata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps di Roma. L opera originale, assieme al Galata morente, faceva parte del Donario di Attalo, un perduto monumento trionfale sull acropoli di Pergamo commissionato da Attalo I per celebrare la propria vittoria contro i Galati.

Laocoonte e i suoi due figli lottano coi serpenti, scultura greca della scuola di Rodi (I secolo), Museo Pio-Clementino, musei Vaticani Il gruppo scultoreo del Laocoonte e i suoi figli, noto anche semplicemente come Gruppo del Laocoonte, è una scultura in marmo (h 242 cm) degli scultori Agesandro, Atanodoro e Polidoro, databile al I secolo d.c.

NIKE DI SAMOTRACIA La Nike di Samotracia è una scultura in marmo pario (h. 245 cm) di scuola rodia, attribuita a Pitocrito, databile al 200-180 a.c. circa e oggi conservata nel Museo del Louvre di Parigi. La statua rappresenta la giovane dea alata, figlia di Pallante, che porta l annuncio delle vittorie militari, mentre si posa sulla prua di una nave da battaglia (il basamento, pure in pietra). Strettamente legata ad Atena, le venne tributato culto individuale solo a partire dall epoca ellenistica, cui appartiene l opera, forse a seguito delle imprese di Alessandro Magno

VENERE DELL ISOLA DI MILO L Afrodite di Milo, meglio conosciuta come la Venere di Milo, è una delle più celebri statue greche. Si tratta di una scultura di marmo pario (h. 202 cm), priva delle braccia e del basamento originale, conservata nel Museo del Louvre a Parigi. Sulla base di un iscrizione riportata su tale basamento (andato perduto) si ritiene che si tratti di un opera di Alessandro di Antiochia. In passato, alcuni attribuirono erroneamente l opera a Prassitele. Autore_Alessandro di Antiochia Data_130 a.c. Materiale _Marmo pario Altezza_202 cm Afrodite si leva stante col busto nudo fino all addome e le gambe velate da un fitto panneggio. Il corpo compone una misurata tensione che richiama un tipico chiasmo di derivazione policletea. Il modellato è reso con delicate suggestioni chiaroscurali, col contrasto tra il liscio incarnato nudo e il vibrare della luce nei capelli ondulati e nel panneggio increspato della parte inferiore. Non si conosce precisamente quale episodio mitologico della vita di Venere venga rappresentato: si ritiene possa essere una raffigurazione della Venus Victrix che reca il pomo dorato a Paride: tale interpretazione ben si accorderebbe con il nome dell isola dove è stata ritrovata (milos, in lingua greca, significa infatti mela ). Del resto, alcuni frammenti di un avambraccio e di una mano recante una mela sono stati ritrovati vicino alla statua stessa.