«Il danno alla reputazione va provato da chi ne chiede il risarcimento» (Cassazione civile sez. III, 30 settembre 2014, n )

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Civile Sent. Sez. L Num Anno 2017 Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 03/04/2017

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«Il danno alla reputazione va provato da chi ne chiede il risarcimento» (Cassazione civile sez. III, 30 settembre 2014, n. 20558) danni reputazione risarcimento prova - in genere Il danno alla reputazione e all'immagine è un danno-conseguenza che richiede, pertanto, specifica prova da parte di chi ne chiede il risarcimento. *** LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEGRETO Antonio - Presidente - Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere - Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere - Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere - Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 5618/2011 proposto da: C.F. (OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se medesimo con studio in 60121 ANCONA - C.SO GARIBALDI 110; - ricorrente - contro CU.VI. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI, 13, presso lo studio dell'avvocato FERRARI Aldo, che la

rappresenta e difende unitamente all'avvocato VITTORIO MICUCCI giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente - e contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE TRASPORTI (OMISSIS); - intimato - avverso la sentenza n. 67/2010 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 22/01/2010 R.G.N. 1315/2002; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO; udito l'avvocato ALDO FERRARI per delega; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. L'avv. C.F. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Ancona, la Dott.ssa Cu.Vi. e il Ministero dei lavori pubblici per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni da lui patiti nella qualità di Presidente della società cooperativa edilizia "Spes". Espose, a sostegno della domanda, che la Cu., nominata commissario governativo della suddetta cooperativa, aveva deciso di presentare ai competenti uffici tributari, per conto della società, la denuncia di inizio attività ai fini dell'iva, nonchè le dichiarazioni annuali IRPEG e ICI, ritenendo che la cooperativa fosse obbligata a tali adempimenti. Poichè tale decisione era, a suo dire, errata e costituiva illecito doloso o colposo, l'attore chiese il risarcimento dei relativi danni. Costituitisi entrambi i convenuti, il Tribunale rigettò la domanda, condannando l'attore al pagamento delle spese. 2. La sentenza è stata appellata in via principale dall'avv. C. e in via incidentale dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; la Corte d'appello di Ancona, con pronuncia del 22 gennaio 2010, ha respinto entrambi gli appelli, confermando la sentenza di primo grado e condannando l'appellante 2

principale al pagamento delle ulteriori spese del grado in favore dell'appellata Cu.. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che nell'azione di responsabilità extracontrattuale spetta al danneggiato dimostrare l'esistenza di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito. Nel caso di specie, doveva ritenersi che la società cooperativa fosse tenuta alla denuncia ai fini IRPEG e che, comunque, non potesse ravvisarsi un comportamento doloso o colposo nella decisione della Dott.ssa Cu. di disporre l'apertura di una partita IVA in capo alla cooperativa. Quanto al comportamento tenuto dal commissario in ordine alla gestione della contabilità della società, la Corte ha osservato che non era possibile affermare che i rilievi compiuti dal medesimo fossero frutto di un suo comportamento illegittimo. Nè, infine, era stata dimostrata in alcun modo la sussistenza di un discredito a carico dell'avv. C. in conseguenza dell'operato della Cu.. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Ancona propone ricorso l'avv. C.F., con atto affidato a tre motivi. Resiste la Dott.ssa Cu.Vi. con controricorso. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., in relazione alla disciplina delle cooperative edilizie (r.d. 28 aprile 1938, n. 1165), nonchè in relazione alla insussistenza degli obblighi tributari ipotizzati dal commissario governativo. Rileva il ricorrente, dopo aver ricostruito tutta la vicenda storica della cooperativa da lui per lungo tempo presieduta, che la stessa non era tenuta ad alcun obbligo ai fini dell'iva, nè ai fini dell'irpeg, sicchè il comportamento tenuto dalla Dott.ssa Cu. 3

integrerebbe gli estremi dell'illecito, almeno sotto il profilo dei maggiori costi sostenuti dai soci - e, quindi, dal ricorrente - per gli adempimenti fiscali non dovuti. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione al capo della domanda relativo alla pretesa falsità dei bilanci, nonchè insufficiente motivazione sul punto. Secondo il ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe ammesso le prove richieste e non avrebbe motivato in modo adeguato circa la presunta illiceità del comportamento della Dott.ssa Cu. consistente nella denuncia sporta alla Procura della Repubblica di Pesaro circa la falsità dei bilanci tenuti dalla società cooperativa. Il punto sarebbe stato specificamente dedotto, con conseguente omissione di pronuncia da parte della Corte d'appello. 3. I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, non sono fondati. Essi - mentre contengono una lunga e non necessaria ricostruzione della normativa relativa alle società cooperative edilizie, nonchè una storia della cooperativa presieduta dal ricorrente - non superano le convincenti argomentazioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata, la quale resiste alle censure proposte. Ed invero la Corte d'appello, richiamando l'ampia e dettagliata motivazione della sentenza di primo grado, ha spiegato che: 1) non poteva ravvisarsi nel comportamento della Dott.ssa Cu. alcun profilo di dolo o di colpa, in quanto le attività svolte dalla medesima erano comunque dovute; 2) neppure era ravvisabile l'esistenza di un comportamento doloso o colposo per ciò che riguarda le osservazioni compiute dal commissario circa la tenuta della contabilità; 3) comunque, ove anche la Dott.ssa Cu. avesse sottoposto la cooperativa ad adempimenti fiscali indebiti, ciò non si sarebbe mai potuto tradurre in un danno, e tantomeno nei confronti del solo presidente della medesima (ossia l'odierno ricorrente), dovendo semmai la 4

legittimazione attiva sussistere in capo alla società cooperativa e non al suo presidente come persona fisica (punto, quest'ultimo, neppure affrontato nel ricorso). In altre parole, la Dott.ssa Cu. aveva assunto alcune iniziative che mancavano, in concreto, di ogni potenzialità dannosa in quanto, a prescindere dall'esattezza o meno delle scelte compiute da un punto di vista tributario, nessuna lesione poteva derivarne a carico dei soci. Anche in relazione al secondo motivo, concernente la denuncia compiuta alla Procura della Repubblica di Pesaro, il ricorrente prospetta censure vaghe, senza neppure dare conto di come si sia poi conclusa l'indagine penale. I due motivi di ricorso in esame, in sostanza, ripresentando una serie di elementi già valutati dalla Corte d'appello, si risolvono nel vano tentativo di ottenere da questa Corte un nuovo e non consentito esame del merito. 4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., dovendosi ritenere la sicura esistenza di una danno da lesione all'immagine. Tale danno, secondo il ricorrente, non doveva essere inteso come dannoconseguenza, consistendo anche nella "valutazione negativa che gli altri possono dare della persona". 4.1. Il motivo non è fondato. Il danno alla reputazione e all'immagine, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è un danno-conseguenza che richiede, pertanto, specifica prova da parte di chi ne chiede il risarcimento (v., tra le altre, le sentenze 13 maggio 2011, n. 10527, 21 giugno 2011, n. 13614, e 14 maggio 2012, n. 7471); prova che il giudice di merito, con accertamento non sindacabile in questa sede, ha ritenuto non essere stata fornita dall'avv. C.. E, d'altra parte, mancando il carattere dell'antigiuridicità del comportamento della Dott.ssa Cu., non vi sarebbe comunque spazio per un danno risarcibile. 5. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti 5

dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2014. Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2014 6