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1. - Sarajevo La capitale del dolore ha luogo nel seno di colline di un verde troppo scuro per infondere speranza in chi vi è rimasto ma perfettamente in accordo con il cielo che, plumbeo, le grava sopra anche in piena estate. Il mare, con le sue larghe onde capaci di lavare i lidi da memorie cruente, è lontano. Qui c è solo un fiume. Non bastano le sue acque per diluirvi il sangue di uomini qui inumanamente versato da altri uomini. La guerra, sinistra creatura, ha la sua dimora nelle intrigatissime selve dei colli che la natura ha posto a perenne assedio della città; essa vive come una strega: per lunghi anni rimane rinchiusa nella sua buia spelonca a preparare malefiche misture poi, di tanto in tanto, scende a valle e le sperimenta sulla città. I libri di storia conservano il ricordo di queste fatali discese: il 28 giugno 1914, incarnatasi nel giovane Gavrilo Princip, la ninfa del male assassinò il delfino di Vienna, l arciduca Francesco Ferdinando, e l Europa fu presto solcata dalle trincee della Grande Guerra; all inizio dell aprile del 1992, le bocche di fuoco dell artiglieria serba, rimaste aperte fino a tutto il 1995, ricordarono che la bestia era ancora lì, sulle colline, e voleva la città. Il più grande stregone degli slavi del sud, il maresciallo Tito, era riuscito ad ammansirla costringendola a bere un micidiale infuso -il comunismo- che riassorbiva i mai sopiti orgogli etnici e le irrisolte questioni nazionali nell orgoglio operaio e nella questione di classe; un temibile mostro -il partito unicoera stato posto a guardia della spelonca, laboratorio dell odio. Ma la bestia non era stata uccisa. La bestia dormiva, sognava il male che avrebbe fatto al suo risveglio. Il letargo finì con la morte dello stregone Tito, il 4 maggio del 1980. La bestia era di nuovo libera: le bastarono una dozzina d anni per tornare a seminare distruzione e lutto a valle 3

Sarajevo è il cuore urbano di una regione dalla geografia insicura: a differenza delle sue cugine appenninica ed iberica, che sono separate dal Continente dalle catene montuose delle Alpi e dei Pirenei, la penisola Balcanica non oppone una barriera abbastanza marcata o visibile di fronte all Europa occidentale. Somiglia tanto ad una vasta landa di frontiera: per chi viene da Occidente qui è già Oriente e per chi giunge da Oriente è già Occidente. Sarajevo è emblema di una diversità che è, ad un tempo, il fascino e la tragedia dei Balcani, un territorio che ha prodotto più storia di quanta sia stata in grado di metabolizzarne. La storia balcanica è storia di fratture dell uno e di tentativi di ricomposizione del molteplice. 2. - Storia di fratture Balcani. Da qui è passata la linea di demarcazione tra mondo cattolico e mondo ortodosso prodotta dallo scisma cristiano. Cristo restava sulla croce ma, ai suoi piedi, i cristiani si dividevano. Chiesa e fede, imperi e potere, stili e scritture prendevano vie diverse, spaccando Europa e Mediterraneo proprio nei Balcani. Nel fossato che si è scavato tra cattolicesimo ed ortodossia si è inserito l Islam, portato dall invasione turca. Cristo era deposto dalla croce, il Golgota spianato e al suo posto moschee erano erette per Allah, minareti innalzati per chiamare le genti illiriche a raccolta di fronte al verbo del profeta Maometto. La Bosnia resta oggi la testimonianza vivente di questo diversificarsi della fede: su un totale di quattro 4

milioni e mezzo di persone, il 40% sono di religione musulmana, il 32% ortodossa ed il 18% cattolica. Sarajevo custodisce i segni architettonici di questa diversità: cattedrale cattolica, basilica ortodossa, moschea e finanche sinagoga ebraica si guardano minacciose nei pressi della piazza centrale; e pare al visitatore di trovarsi nella Roma imperiale entro le cui mura si dava accoglienza a gli dèi d ogni provincia e ad essi si dedicavano templi ed altari, riti e feste. Con una fondamentale differenza: quella Roma era politeista, per essa non faceva differenza una divinità in più, fosse l egizia Iside o l orientale Mitra; le religioni che si sono divise (cattolicesimo e ortodossia) o scontrate (cristianesimo e islam) nei Balcani sono tutte monoteiste e, per definizione, esclusive l una dell altra, persino nel principio politico storicamente valido per le confessioni cristiane: cuius regio eius religio. Altre divisioni dovevano prodursi nella storia contemporanea per i popoli balcanici. L Ausgleich del 1867 spartiva il potere tra Vienna e Budapest inserendo, così, il principio dualista nella monarchia dell Impero austriaco, da allora austroungarico. Slovenia e Dalmazia ricadevano sotto la corona austriaca mentre Croazia e Vojvodina venivano ricomprese entro i confini amministrativi dell Ungheria. Non si creava un terzo polo jugoslavo con centro a Lubiana o a Zagabria: gli slavi del sud erano gli esclusi dell accordo austro-ungarico. Né la politica filo-austriaca condotta dalla monarchia serba degli Obrenovic lasciava intravvedere, in prospettiva, la possibilità che uno stato jugoslavo fosse creato attorno all orbita di Belgrado. Fino ai Balcani si estendeva, poi, il morente Impero Turco ottomano, la spartizione delle cui spoglie risvegliava gli appetiti imperialistici delle potenze europee, apparecchiando i tavoli diplomatici (Triplice Intesa e Triplice Alleanza) da cui sarebbero scaturiti gli schieramenti della Grande Guerra. La Russia dei Romanov, appetendo uno sbocco sui mari caldi, guardava al movimento panslavistico come ad uno strumento utile e uno schermo per i propri disegni d espansione. Ma l Austria non avrebbe mai acconsentito ad una proiezione mediterranea degli zar e perciò, entrando in rotta di collisione col Cremlino, progettava la penetrazione dei Balcani verso l Egeo; del resto, la guerra francoprussiana del 1870, distruggendo la possibilità di una restaurata preminenza austriaca nell Europa centrale, aveva avuto l effetto di concentrare l interesse del riorganizzato impero asburgico in modo più esclusivo e considerevole verso i Balcani. A preoccupare Vienna non erano soltanto le spinte russe verso Sud-ovest ma anche l esistenza di un popolo serbo che, affrancatosi dai turchi al termine d una lunga lotta, si era dato forma di stato. Molti serbi non erano ancora stati ricompresi entro i confini di quest ultimo e la fascinazione di entrarvi a far parte era forte anche per gli altri slavi meridionali ancora sotto regime asburgico. Così, la situazione serba 5

costituiva una preoccupazione fondamentale per il ministero degli esteri di Vienna, il quale giustamente non la disgiungeva dalla strumentalizzazione del panslavismo attuata dalla Russia. Maturò in questo clima il progetto di annessione della Bosnia e dell Erzegovina da parte dell Austria. Queste province, all estremità occidentale dell impero ottomano, erano poste immediatamente al di là della sottile striscia costiera della Dalmazia e completavano l accerchiamento di gran parte della piccola, ma geopoliticamente pericolosa, Serbia. Un annessione come quella contemplata dall Austria avrebbe inevitabilmente sollevato il problema serbo nonché quello della reazione russa a qualsiasi mutamento dello status quo balcanico. La situazione balcanica e in misura più limitata quella della Bosnia-Erzegovina, oltre ad essere un problema turco, era essenzialmente un problema austro-russo. Ciò che la fece maturare furono le condizioni interne dell impero ottomano. Luglio 1875: la locale situazione di oppressione e malgoverno, comune a tutto l impero ottomano, portarò allo scoppio di una rivolta in Bosnia, la quale attivò l opportunismo di Vienna. Giugno 1876: Serbia e Montenegro, che avevano guardato con simpatia alla sollevazione bosniaca, mossero guerra alla Turchia. Luglio 1876: con la convenzione segreta di Reichstadt Austria e Russia si accordarono sulla risistemazione geopolitica dei Balcani in caso di vittoria serba; all ampliamento di Serbia e Montenegro, ai compensi a favore della Grecia in Tessaglia e Creta nonché 6

alla creazione di tre nuovi stati (Bulgaria, Romania, Albania) avrebbero dovuto fare da pendant l aquisizione della Bosnia-Erzegovina da parte dell Austria e della Bessarabia (perduta nel 1856) da parte della Russia. Ma le fortune della guerra (i serbi furono nettamente sconfitti) portarono alla conservazione dello status quo balcanico. Gennaio 1877: un nuovo accordo fu raggiunto a Budapest tra Austria e Russia; Mosca voleva strappare ad Istanbul il controllo sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli (il c.d. sbocco sui mari caldi ) ed era disposta a scambiare il placet ad un occupazione austriaca della Bosnia- Erzegovina con una promessa di neutralità e opposizione alla mediazione collettiva. Aprile 1877: la Russia dichiarò guerra alla Turchia. Marzo 1878: la pace di Santo Stefano premiò la vittoria russa con acquisizioni territoriali in Armenia e nella Dobrugia (da barattare con la Bessarabia di una costituenda Romania) e soprattutto con la creazione di un vasto stato bulgaro che si estendeva dal Nero all Egeo e che sarebbe rimasto sotto occupazione russa per due anni. La creazione di questo stato venne considerata equivalente allo stabilirsi di una preminente influenza russa sui Balcani, che Mosca non considerava un fine geopolitico in se stesso ma un mezzo per assicurare il controllo degli stretti. In base a quella pace, inoltre, Serbia e Montenegro sarebbero stati ampliati e la Bosnia-Erzegovina sarebbe diventata autonoma sotto supervisione austro-russa. Era quest utimo punto a contraddire i contenuti delle convergenze diplomatiche di Reichstadt e Budapest, in quanto non mostrava alcuna considerazione per gli interessi austriaci. La crisi fu inevitabile. Un congresso, da tenersi nella neutrale Berlino, fu incaricato di definire la situazione. 7