17 ottobre 1968: il pugno nero di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico

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17 ottobre 1968: il pugno nero di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico by Cerchi Di Gloria Città del Messico, 17 ottobre 1968. Una data rimasta impressa nella storia delle Olimpiadi per quanto accade, durante la premiazione dei 200 metri maschili. La vittoria, nella finale disputata il giorno precedente, è andata allo statunitense Tommie Smith che grazie ad un impressionante rettilineo finale, ha vinto a braccia alzate, stabilendo il nuovo primato del mondo della distanza in 19 83. Questo record resisterà 11 anni e sarà battuto da Pietro Mennea che firmerà il suo celebre 19 72, durante le Universiadi del 1979, proprio sulla stessa pista. Alle spalle di Smith si classificano l australiano Peter Norman ed il connazionale John Carlos. Al momento della premiazione, i due atleti afroamericani si presentano scalzi (con calze nere). Smith indossa una sciarpa nera intorno al collo (per rappresentare l orgoglio dei neri americani), Carlos ha la parte superiore della tuta aperta (per mostrare solidarietà con tutti gli operai Stati Uniti) e una collana. Entrambi anno una mano guantata di nero. Avrebbero dovuto essere due ma Carlos dimentica il suo paio di guanti al villaggio olimpico e così, è Smith a darne uno al suo compagno di squadra che, pare su suggerimento dell australiano Norman (che aderisce alla protesta, mostrando sul petto, come gli altri due medagliati, il distintivo del Progetto Olimpico per i Diritti Umani) lo mette sulla sua mano sinistra (per questo motivo Carlos alza l altro pugno, rispetto al vincitore e al saluto del Black Power). 1

Appena iniziano a risuonare le notte dell inno statunitense, Smith e Carlos, con le medaglie al collo, chinano la testa ed alzano il pugno guantato di nero al cielo. L immagine è fortissima, finisce immediatamente su tutte le prime pagine mondiali rappresenterà il più importante gesto di protesta mai avvenuto durante un edizione delle Olimpiadi. Il messaggio che Smith e Carlos vogliono mandare al mondo è chiaro per dimostrare contro la situazione dei neri in America ed i diritti negati. Terminato l inno buona parte del pubblico presente allo Stadio Olimpico di Città del Messico fischia questo gesto di protesta che sarà criticato da alcuni ed apprezzato da altri nei dibattiti che ne seguiranno. Il presidente del CIO Avery Brundage (uno dei più criticati nella storia del movimento), usa la linea dura contro i due atleti, facendo immediatamente espellere Smith e Carlos dal villaggio olimpico. Al loro rientro a casa, non ricevono una grande accoglienza, subiscono insulti e persino minacce di morte. Avranno destini simili, impiegheranno parecchio tempo prima di riuscire a ripartire. Entrambi giocheranno a football americano, alleneranno nell atletica leggera e riceveranno nel 2008 il premio Artur Ashe agli Espy Awards, per onorare la loro azione nel 1968. John Carlos attualmente lavora come consulente in una scuola mentre Tommie Smith è un pubblico oratore e recentemente è stato tra gli invitati del Mennea Day, lo scorso 12 settembre, allo stadio dei Marmi di Roma. Anche l australiano Peter Norman subirà le conseguenze di quel 16 ottobre 1968. L uomo bianco in quella foto. by Riccardo Gazzaniga ago 20, 2015 Le fotografie, a volte, ingannano. Prendete questa immagine, per esempio. Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte. L ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy. 2

È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino. L ho considerato una presenza casuale, una comparsa, una specie di intruso. Anzi, ho perfino creduto che quel tizio doveva essere un inglese smorfioso rappresentasse, nella sua glaciale immobilità, la volontà di resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocavano con il loro grido silenzioso. Invece sono stato ingannato. Grazie a un vecchio articolo di Gianni Mura, oggi ho scoperto la verità: l uomo bianco nella foto è, forse, l eroe più grande emerso da quella notte del 1968. Si chiamava Peter Norman, era australiano e arrivò alla finale dei 200 metri dopo aver corso un fantastico 20.22 in semifinale. Solo i due americani Tommie The Jet Smith e John Carlos avevano fatto meglio: 20.14 il primo e 20.12 il secondo. La vittoria si sarebbe decisa tra loro due, Norman era uno sconosciuto cui giravano bene le cose. John Carlos, anni dopo, disse di essersi chiesto da dove fosse uscito quel piccoletto bianco. Un uomo di un metro settantotto che correva veloce come lui e Smith, che superavano entrambi il metro e novanta. Arrivò la finale e l outsider Peter Norman fece la gara della vita, migliorandosi ancora. Chiuse in 20.06, sua prestazione migliore di sempre e record australiano ancora oggi imbattuto, a 47 anni di distanza. Ma quel record non bastò, perché Tommie Smith era davvero The jet e rispose con il record del mondo. Abbatté il muro dei venti secondi, primo uomo della storia, chiudendo in 19.82 e prendendosi l oro. John Carlos arrivò terzo di un soffio, dietro la sorpresa Norman, unico bianco in mezzo ai fuoriclasse di colore. Fu una gara bellissima, insomma. Eppure quella gara non sarà mai ricordata quanto la sua premiazione. Non passò molto dalla fine della corsa perché si capisse che sarebbe successo qualcosa di forte, di inaudito, al momento di salire sul podio. Smith e Carlos avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani e la voce girava tra gli atleti. 3

Norman era un bianco e veniva dall Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane. Anche in Australia c erano tensioni e proteste di piazza a seguito delle pesanti restrizioni all immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi. I due americani chiesero a Norman se lui credesse nei diritti umani. Norman rispose di sì. Gli chiesero se credeva in Dio e lui, che aveva un passato nell esercito della salvezza, rispose ancora sì. Sapevamo che andavamo a fare qualcosa ben al di là di qualsiasi competizione sportiva e lui disse sarò con voi ricorda John Carlos Mi aspettavo di vedere paura negli occhi di Norman, invece ci vidi amore. Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza. Avrebbero ritirato le medaglie scalzi, a rappresentare la povertà degli uomini di colore. E avrebbero indossato i famosi guanti di pelle nera, simbolo delle lotte delle Pantere Nere. Ma prima di andare sul podio si resero conto di avere un solo paio di guanti neri. Prendetene uno a testa suggerì il corridore bianco e loro accettarono il consiglio. Ma poi Norman fece qualcos altro. Io credo in quello in cui credete voi. Avete uno di quelli anche per me? chiese indicando lo stemma del Progetto per i Diritti Umani sul petto degli altri due. Così posso mostrare la mia solidarietà alla vostra causa. Smith ammise di essere rimasto stupito e aver pensato: Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d argento, che se la prenda e basta!. Così gli rispose di no, anche perché non si sarebbe privato del suo stemma. Ma con loro c era un canottiere americano bianco, Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Aveva ascoltato tutto e pensò che se un australiano bianco voleva uno di quegli stemmi, per Dio, doveva averlo!. Hoffman non esitò: Gli diedi l unico che avevo: il mio. I tre uscirono sul campo e salirono sul podio: il 4

resto è passato alla storia, con la potenza di quella foto. Non ho visto cosa succedeva dietro di me raccontò Norman Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso. Il capo delegazione americano giurò che i suoi atleti avrebbero pagato per tutta la vita quel gesto che non c entrava nulla con lo sport. Immediatamente Smith e Carlos furono esclusi dal team americano e cacciati dal villaggio olimpico, mentre il canottiere Hoffman veniva accusato pure lui di cospirazione. Tornati a casa i due velocisti ebbero pesantissime ripercussioni e minacce di morte. Ma il tempo, alla fine, ha dato loro ragione e sono diventati paladini della lotta per i diritti umani. Sono stati riabilitati, collaborando con il team americano di atletica e per loro è stata eretta una statua all Università di San José. In questa statua non c è Peter Norman. Quel posto vuoto sembra l epitaffio di un eroe di cui nessuno si è mai accorto. Un atleta dimenticato, anzi, cancellato, prima di tutto dal suo paese, l Australia. Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, Norman non fu convocato nella squadra di velocisti australiani, pur avendo corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100. Per questa delusione, lasciò l atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale. In patria, nell Australia bianca che voleva resistere al cambiamento, fu trattato come un reietto, la famiglia screditata, il lavoro quasi impossibile da trovare. Fece l insegnante di ginnastica, continuò le sua battaglie come sindacalista e lavorò saltuariamente in una macelleria. Un infortunio gli causò una grave cancrena e incorse in problemi di depressione e alcolismo. Come disse John Carlos Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter affrontò un paese intero e soffrì da solo. Per anni Norman ebbe una sola possibilità di salvarsi: fu invitato a condannare il gesto dei suoi colleghi Tommie Smith e John Carlos, in cambio di un perdono da parte del sistema che lo aveva ostracizzato. Un perdono che gli avrebbe 5

permesso di trovare un lavoro fisso tramite il comitato olimpico australiano ed essere parte dell organizzazione delle Olimpiadi di Sidney 2000. Ma lui non mollò e non condannò mai la scelta dei due americani. Era il più grande sprinter australiano mai vissuto e detentore del record sui 200, eppure non ebbe neppure un invito alle Olimpiadi di Sidney. Fu il comitato olimpico americano, una volta scoperta la notizia a chiedergli di aggregarsi al proprio gruppo e a invitarlo alla festa di compleanno del campione Michael Johnson per cui Peter Norman era un modello e un eroe. Norman morì improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006, senza che il suo paese lo avesse mai riabilitato. Al funerale Tommie Smith e John Carlos, amici di Norman da quel lontano 1968, ne portarono la bara sulle spalle, salutandolo come un eroe. Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c è nessuno più di lui che l Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare disse John Carlos. Ha pagato il prezzo della sua scelta spiegò Tommie Smith Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa. Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole: Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano. Riconosce il coraggio di Peter Norman nell indossare il simbolo del Progetto Olimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos, che fecero il saluto del potere nero. Si scusa tardivamente con Peter Norman per l errore commesso non mandandolo alle Olimpiadi del 1972 di Monaco, nonostante si fosse 6

ripetutamente qualificato e riconosce il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l uguaglianza razziale. Ma, forse, le parole che ricordano meglio di tutti Peter Norman sono quelle semplici eppure definitive con cui lui stesso spiegò le ragioni del suo gesto, in occasione del film documentario Salute, girato dal nipote Matt: Non vedevo il perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco. Era un ingiustizia sociale per la quale nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo. È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance. Invece è il contrario. Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte. https://www.youtube.com/watch?v=bwi9raem1-4 https://www.youtube.com/watch?v=yb5wu-epsti 7