UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA



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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN. Dipartimento di Geoscienze Direttore Prof.ssa Cristina Stefani TESI DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE GEOLOGICHE ANALISI MICROSTRUTTURALE, GEOCHIMICA E MINERALOGICA DI ROCCE DI FAGLIA SPERIMENTALI IN DOLOMIA Relatore: Prof. Giulio Di Toro Correlatore: Prof. Fabrizio Nestola Laureando: Matteo Miolo ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012

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Indice Abstract pg. 5 Introduzione pg. 7 1. Metodi 1.1 SHIVA pg. 9 1.2 Preparazione campioni pg. 10 1.3 SEM e EMPA pg. 10 2. Risultati pg. 13 1.1 Campione s425 pg. 14 1.2 Campione s034 pg. 17 3. Discussioni e conclusioni pg. 29 Bibliografia pg. 31 Ringraziamenti pg. 33 3

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Abstract The study of earthquakes in carbonate rock is important not only in the Italian country (e.g. the earthquake of Friuli, Marche-Umbria, L Aquila and the last in Emilia) but also in other countries. In particular, dolomite, if it is deformed with seismic velocities (approx. 1 m / s), shows a remarkable weakening (the coefficient of friction decreases from approx. 0.7 to 0.1) in the first centimeters of displacement: this mechanical behavior allows the emission of high seismic radiation by the fault. This work aims to understand the physical and chemical processes responsible for the weakening of faults in dolomite, during seismic ruptures, through the study of geochemical, mineralogical and microstructural fault rocks from experiments that reproduce the conditions of deformation typical of an earthquake (speed slipping of 1-3 m / s, normal efforts of tens of MPa and displacement several meters). The experiments were carried out with SHIVA (Slow to High Velocity Apparatus, National Institute of Geophysics and Volcanology, INGV, Rome). In order to identify the process of weakening, we selected two samples from experiments arrested after 0.04 meters (start of weakening) and 20 meters of displacement (weakening completed). The samples were analyzed EMPA (INGV, Rome), scanning electron microscope field emission SEM-FEG (INGV, Rome), powder X-Ray Diffraction (XRD, Department of Geosciences, Padua) and micro-raman spectroscopy (Department of Chemical Sciences, Padua). 5

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Introduzione La maggior parte dei terremoti distruttivi che avvengono in Italia enucleano e si propagano in rocce carbonatiche. Gli esempi recenti più significativi anche dal punto di vista delle perdite umane, sono il terremoto del Friuli del 1976, quello umbromarchigiano del 1997-1998, quello de L Aquila 2009 e l ultimo che ha interessato l Emilia nel maggio 2012. Da questi esempi si può capire come lo studio dei processi su piani di faglia in rocce carbonatiche sia importante al fine di conoscere sempre meglio la meccanica dei terremoti nel nostro Paese. In particolare, un aspetto fondamentale, è lo studio dell evoluzione del coefficiente d attrito durante lo scivolamento cosismico, che è il parametro fondamentale che controlla lo scorrimento della faglia, la caduta di sforzo e l energia irradiata. Infatti, in termini estremamente semplici, i terremoti avvengono perché il coefficiente di attrito di una roccia decresce all aumentare della velocità di scivolamento e del rigetto. Durante un rapido (circa 1 m/s durante un terremoto) scorrimento, il calore generato dall attrito può provocare cambi di fase (e.g., vaporizzazione dei fluidi di poro, fusione) e indurre reazioni chimiche (e.g., decarbonatazione, deidratazione) (Di Toro et al., 2011). Questi materiali di neoformazione (fusi e prodotti di reazione indotti dall aumento di temperatura durante lo scorrimento per attrito) potrebbero lubrificare la faglia. Nel caso di una roccia composta da dolomite ( CaMgCO 3 2 ), oggetto di studio di questa tesi, vi sono due reazioni di decarbonatazione a temperature crescenti; alla temperatura di ca. 550 C: MgCa(CO 3 ) 2 MgO+(Ca,Mg)CO 3 +CO 2 e, a ca 850 C (Ca,Mg)CO 3 CaO+MgO+CO 2 Studi sperimentali, brevemente descritti in questo lavoro, mostrano che a velocità sismiche di scivolamento (1 m/s) e a pressioni tipiche di sorgenti sismiche (> 10 MPa), il coefficiente di attrito della dolomite evolve da un valore di ca. 0.7 (coefficiente di attrito statico all inizio della prova) a circa 0.1 (coefficiente di attrito dinamico) raggiunto dopo poche decine di cm. Lo scopo di questa tesi è l individuazione dei processi chimici e fisici responsabili della caduta del coefficiente di attrito in rocce dolomitiche mediante analisi microstrutturali, mineralogiche e geochimiche. 7

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1. Strumenti e metodi I campioni utilizzati negli esperimenti i cui prodotti sono descritti in questa tesi, sono stati raccolti nelle Alpi Apuane e sono marmi dolomitici puri al 99% aventi granulometria di ca. 30-300 micrometri. Il lavoro di preparazione dei campioni e di analisi è stato svolto tra Roma (presso l Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e Padova (presso il Dipartimento di Geoscienze e Dipartimento di Chimica). Gli strumenti più importanti sono illustrati qui di seguito. 1.1. Shiva (Slow to High Velocity Apparatus) I campioni studiati sono stati prodotti presso i laboratori HP-HT dell INGV di Roma mediante esperimenti condotti con SHIVA (Fig. 1), Slow to High Velocity Apparatus, il macchinario più potente al mondo in grado di riprodurre in piccola scala, su campioni di roccia, le condizioni di deformazione tipiche di un terremoto. Tale strumento, simile a un tornio, consente di far scivolare uno sull altro due provini di roccia di forma cilindrica. Le prestazioni che tale macchina può imporre su provini dal diametro di 50 mm sono considerevoli: rigetti nominalmente infiniti, velocità di scorrimento fino a 6.5 m/s, accelerazioni di 70 m/s 2 e sforzi normali fino a 50 MPa. Figura 1: SHIVA, INGV Roma 9

1.2. Preparazione campioni Al fine di poter effettuare le analisi, sono state prodotte sezioni sottili di 30 micrometri spessore tagliate perpendicolarmente alla superficie di scivolamento dei provini. Le sezioni sono state successivamente rivestite di grafite per il loro impiego al SEM e EPMA. 1.3. SEM e EMPA Dopo questa prima fase di preparazione dei campioni sono state svolte le analisi: presso il Dipartimento di Chimica abbiamo eseguito una spettroscopia raman al campione s034 (integrando dati già raccolti da Di Toro et al.) mentre al campione s425 il SEM e la microsonda presso l INGV di Roma. Le analisi sono state effettuate presso i laboratori HP-HT dell INGV di Roma perché equipaggiati con strumenti aventi maggior risoluzione (3 nm in BSE-SEM e 3 micrometri in EPMA). Il laboratorio HP-HT è dotato di un JEOL JSM-6500F (Fig. 2) FEG scanning electron microscope ossia un microscopio a scansione a emissione di campo termico. Esso ha un alto rendimento analitico e ha integrato un rivelatore per raggi X a dispersione di energia che consente di effettuare una semplice e rapida osservazione morfologica e un analisi degli elementi. Permette quindi di identificare in un campione la composizione di una fase (anche quantitativa grazie a standard interni) in meno di un minuto. Inoltre ha un software che permette di fare molte operazioni come navigare nelle immagini, mappare elementi, acquisire analisi sulle particelle e spettri EDX in successione. La risoluzione nelle immagini è di 3 nm ( ad accelerazione di voltaggio di 15 kw ) mentre la risoluzione degli elettroni secondari permette 1.5 nm garantiti (15 kv) e 3 nm garantiti (1 kv). La differenza di potenziale va da 500 V a 30 kv, la corrente della sonda è dell ordine di 10-12 a 2 *10-7 A e l ingrandimento va da 10 fino a 500.000 x. 10

Figura 2: JEOL JSM-6500F FEG scanning electron microscope, Ingv Roma Il Laboratorio di microsonda elettronica, invece, è dotato di un Jeol JXA 8200 SuperProbe (Fig. 3) con cinque spettrometri a dispersione di lunghezza d onda per le analisi quantitative e uno spettrometro a dispersione di energia dedicato per le analisi qualitative. Lo strumento è progettato per misurare qualitativamente composizione di un materiale solido lucidato su microscala con elevata precisione (meno 1% relativo per maggiori costituenti) e limiti di rilevabilità bassi (comunemente da poche decine a poche centinaia di ppm). I campioni possono essere estremamente piccoli con pochi micron di diametro. È stato costruito sulla base del microscopio elettronico a scansione ed ha tutte le funzionalità di un SEM. In particolare permette di realizzare analisi chimiche quantitative e analisi qualitative e semi-quantitative EDX precise che consentono di identificare e di stimare la fase composizionale del campione in meno di un minuto. 11

Figura 2: microsonda Jeol JXA 8200 SuperProbe, INGV Roma 12

2. Risultati Negli esperimenti condotti su dolomite si osserva una brusca caduta, circa istantanea del coefficiente di attrito, seguita da una più graduale (Fig. 4). I due esperimenti svolti per la determinazione dei processi chimico-fisici attivati durante la fase d indebolimento sono stati effettuati ad uno sforzo normale di 10 MPa, una velocità target di scivolamento di 6.5 m/s, ma interrotti nel caso dell esperimento s425 dopo 0.04 cm di rigetto (alla fine della brusca caduta del coefficiente di attrito) e nell esperimento s034 dopo 20 metri (alla fine della fase di più graduale riduzione del coefficiente di attrito). Per questa ragione, i prodotti di scivolamento dell esperimento s425 sono associabili all inizio della caduta del coefficiente di attrito, mentre quelli dell esperimento s034 sono caratteristici del raggiunto indebolimento (Figura 3). Per lo studio microstrutturale, mineralogico e geochimico abbiamo impiegato immagini raccolte con microscopio a scansione elettronica (SEM), analisi alla microsonda (EMPA), analisi alla spettroscopia raman e analisi delle polveri (XRD). Slip, m Figura 4: grafico slip vs coefficiente d attrito 13

2.1 Campione s425 Il campione s425 (Fig. 5) rappresenta una roccia di faglia sperimentale prodotta dopo un rigetto di 4 centimetri (l altro blocco di faglia non è mostrato). Al di sotto della superficie di scivolamento si riconoscono tre domini: 1- Layer 1 = zona di scivolamento con gouge appena sotto la superficie di scivolamento. 2- Layer 2 = zona di danneggiamento con microfratture che corrisponde alla transizione dal gouge alla roccia indeformata. 3- Layer 3 = roccia indeformata (marmo dolomitico). Nonostante lo scivolamento sia stato di soli 4 cm, si forma sotto la superficie di slip uno strato di gouge dallo spessore di circa 10 micron. Il gouge è composto da granuli di con diametro inferiore ai 3-4 micrometri (contro una granulometria di partenza di ca. 30-300 micrometri). Si individuano nanoparticelle (diametri di ca. 100-300 nm).. SLIPPING ZONE 100 Figura 5: sezione perpendicolare alla superficie di slip (230x) 14

SLIPPING ZONE 10 Figura 6 e 7 (sotto): sezione perpendicolare alla superficie di slip (850x 2500x) Il livello di gouge è separato dal marmo dolomitico di partenza da una zona di danneggiamento molto articolata spessa ca. 50-100 micrometri. Le microfratture presenti nella zona di danneggiamento sono spesso localizzate lungo i margini dei granuli e i piani di clivaggio della dolomite. Altre dipartono da punti di contatto tra granuli. Le fratture sub-parallele alla superficie di scivolamento sono probabilmente il risultato della rapida espansione e contrazione termica avvenuta durante lo scivolamento sotto elevato (10 MPa) sforzo normale. La rimozione dello sforzo normale alla fine della prova ha cosentito l apertura di queste fratture. SLIPPING ZONE 10 15

Analisi chimiche SLIPPING ZONE SLIPPING ZONE Contenuto in Ca Contenuto in Mg Analisi all EPMA. Le analisi chimiche del Ca e del Mg non risultano di facile interpretazione dato che le loro concentrazioni variano di poco nei campioni studiati. In Figura 8 si può notare come la concentrazione di Ca diminuisca debolmente procedendo dal gouge verso l incassante. Il contenuto in Mg ha andamento opposto: aumenta debolmente procedendo dalla zona di slip (gouge) verso la rocca di partenza. Da queste analisi si può affermare che già con un rigetto limitato di 4 cm, oltre alla formazione di un gouge per frammentazione meccanica, si sono verificate delle incipienti reazioni chimiche. Quest ultime, potrebbero essere attribuite alla prima reazione di decarbonatazione della dolomite (anche se dovrebbe diventare efficiente a temperature di circa 550 C ). Figura 8: analisi alla microsonda 16

2.2 Campione s034 Il campione s034 è prelevato da una faglia sperimentale avente 20 metri di rigetto, a conclusione della fase d indebolimento. In figura 9, si può notare come la faglia possa essere suddivisa in quattro domini in base al grado di fratturazione, porosità e alla differente tonalità di grigio. Quest ultima è dovuta al fatto che più è pesante l elemento presente, più è brillante l immagine. SLIPPING ZONE 10 Figura 9: sezione perpendicolare alla superficie di slip del campione s034 (ingrandimento 100x) Osservando una sezione perpendicolare a uno solo dei due blocchi di faglia (Fig.10) si può osservare distintamente la presenza dei 4 layer principali: 1- Layer 0 = superficie di scivolamento 2- Layer 1 = livello di gouge a contatto con la superficie di slip; è suddiviso ulteriormente in layer 1a e 1b per la differente porosità 3- Layer 2 = livello di gouge con tonalità grigio chiaro per la diversa composizione chimica e porosità 17

4- Layer 3 = livello fortemente decarbonatato (presenza di piccoli pori) ma senza evidenze di frammentazione per abrasione meccanica. 5- Layer 4 = marmo dolomitico non deformato Layer 4 Layer 0 Layer 2 Layer 1b Layer 3 Layer 1a 100 Figura 10: sezione perpendicolare alla roccia di faglia del campione s034 (ingrandimento 250x) Qui di seguito verranno analizzati uno a uno i vari layer, dalla superficie di slip al livello più esterno. 18

Layer 0: superficie di slip 1 Figura 11 e 12: superficie di slip con ingrandimento a 15000x, segnato da freccia blu portlandite 19

La superficie di slip si presenta come una pavimentazione formata da granuli ca. euedrali di Calcite magnesiaca (determinato con EDX SEM) con dimensioni < 1 micrometro. La pavimentazione di Calcite magnesiaca è coperta in alcune aree da una patina chiara con particelle nanometriche. Dall analisi EDX SEM effettuata subito dopo l esperimento, si è determinato che la patina è composta da ossido di calcio (CaO) e periclasio (MgO). Specie lungo frattura, il CaO (il CaO è una base fortissima che reagisce rapidamente con l H2O dell umidità atmosferica formando portlandite, Ca(OH)2) reagisce con l umidità atmosferica formando portlandite. Sono presenti pori dalla forma circolare o sub-circolare (soprattutto all interno della pavimentazione di calcite) interpretati come le vie di fuoriuscita dell anidride carbonica formatasi durante le reazioni di decarbonatazione. Layer 1 Il layer 1 è stato suddiviso in due sotto-layer per la sola differenza di porosità (1a con pori di maggior diametro del layer 1b). Layer 1a Layer 1b 1 Figura 13: Layer 1a e 1b con ingrandimento a 7500x 20

Nel layer 1 si riconoscono almeno un minerale dalla forma granulare e un secondo minerale dalla forma aciculare. La grana è inferiore al micrometro. Sono inoltre presenti cristalli di portlandite formatesi anche questi, molto probabilmente, come quelli visti nel layer 0, a esperimento concluso. Layer 2 Figura 14: Layer 2 con ingrandimento a 7500x Le dimensioni dei granuli sono inferiori al micrometro. Le fasi mineralogiche presenti sembrano essere essenzialmente tre: due con lo stesso colore bianco ma forme una tabulare e l altra, minutissima, granulare, la terza dal color grigio chiaro, probabilmente ricca in Mg. Sono presenti inoltre pori molto grandi con forme differenti da subcircolari ad allungati. 21

Layer 3 1 Figura 15: transizione tra layer 3 e 2 (1000x) La transizione tra il Layer 3 e 2 è graduale con progressiva diminuzione di matrice avvicinandoci al layer 3, cui corrisponde un aumento dei granuli lobati e cuspidati. 10 22

1 Figura 16 e 17: layer 3 con ingrandimento 1100x e dettaglio su matrice a 7500x Il layer 3 è formato da grani con forme lobate e cuspidate (probabilmente il risultato di decarbonatazione) all interno di una matrice microporosa. Sono presenti inoltre una serie di fratture -parallele alla superficie di slip: come nel campione s425, esse sono il risultato della rapida espansione e contrazione termica durante lo scivolamento sotto sforzo normale. La rimozione dello sforzo normale alla fine della prova consente l apertura delle fratture. L immagine 17 è un ingrandimento della matrice presente nel Layer 3. Si osservano due minerali non identificabili con grana nanometrica e pori con dimensioni simili alla grana dei minerali adiacenti ma dalla forma allungata. All interno del layer, sono stati rinvenuti anche dei granuli come quelli mostrati in figura 18, circondati da un alone microporoso di color grigio chiaro, probabilmente calcitico, forse risultato di decarbonatazione della dolomite 23

10 Figura 18: particolare su due granuli tra il layer 2 e 3 (550x) Layer 4 10 24

1 Figura 19 e 20: immagine del layer 4 con rispettivi ingrandimenti 1000x e 7500x Il layer 4 (Fig. 19 e 20) è formato da granuli di varie dimensioni con presenza di microporosità limitata e di origine diagenetica (la transizione da calcite a dolomite comporta una riduzione di ca. il 10% in volume). Analizzando l immagine a un ingrandimento maggiore (7500x) si può notare come i granuli siano zonati: questo probabilmente è dovuto a variazioni composizionali all interno della dolomite dove nella parte più chiara abbiamo maggiore abbondanza di Ca mentre in quella più scura maggiore abbondanza di Mg. 25

Analisi chimiche Layer 4 Layer 3 Layer 2 Layer 1b Layer 1a Figura 21: area analisi EMPA Contenuto in Mg 26

Contenuto in Ca figura 22 e 23: analisi alla microsonda Dall analisi alla microsonda, il layer 1 mostra un marcato arricchimento in Mg mentre il layer 2 in Ca. Oltre a queste analisi, è stata effettuata una spettroscopia raman che però non ha avuto esiti molto soddisfacenti. Infatti nel campione era presente colla utilizzata per il confinamento della roccia post esperimento che disturbava il segnale. Nonostante ciò, alcuni spettrogrammi sembrano essere congruenti con le analisi effettuate alla microsonda. I dati qui descritti più quelli forniti dall analisi delle polveri (Di Toro e Zorzi in prep. e non descritte in questa tesi) suggeriscono la seguente composizione mineralogica per la zona di scivolamento del campione s034: - Il layer 0 è formato da una pavimentazione di calcite magnesiaca, ossido di calcio (CaO) e periclasio (MgO). - Il layer 1 è composto da 50% da periclasio e 50% di calcite. - Il layer 2 e 3 potrebbero essere composti da calcite, dolomite e periclasio ma non è ben chiara la concentrazione di ognuno di questi minerali. - Infine il layer 4 è composto da dolomite, in parte calcitica (1%). 27

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3. Discussioni e conclusioni Da questo studio molto preliminare è possibile fare alcune considerazioni riguardo i processi responsabili dell indebolimento di una faglia in dolomia durante lo scivolamento sismico. Per rigetti molto piccoli (campione s425, 4 cm di rigetto) dove però il coefficiente di attrito è già diminuito bruscamente, si osserva la formazione di un gouge molto fine per frammentazione meccanica delle asperità presenti sulla superficie di faglia. La frammentazione sembra essere accompagnata da incipienti reazioni di decarbonatazione. Per rigetti maggiori, (campione s034, 20 metri di rigetto), corrispondenti ad una più graduale riduzione del coefficiente di attrito, i processi di frammentazione meccanica sono accompagnati da intense reazioni di decarbonatazione della dolomite. Questo processo è congruente con l aumento di temperatura nella zona di scivolamento con il rigetto. Concludiamo che le reazioni chimiche sembrano svolgere un ruolo marginale nell indebolimento iniziale del coefficiente d attrito. Anzi, il coefficiente di attrito sembra stabilizzarsi una volta che le reazioni chimiche hanno il sopravvento sui processi di tipo meccanico (frammentazione). 29

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Bibliografia Nicola De Paola, Takehiro Hirose, Tom Mitchell, Giulio Di Toro, Cecilia Viti and Toshihiko Shimamoto (2011), Fault lubrification and earthquake propagation in thermally unstable rocks. The Geological Society of America v39, 35-38. Andrea Billi and Giulio Di Toro (2008), Fault-related carbonate rocks and earthquake indicators: recent advances and future trends. Structural Geology, 1-24. Raehee Han, Toshihiko Shinamoto, Takehiro Hirose, Jin-Han Ree and Jun-Ichi Ando (2007), Ultalow friction of carbonate faults cause by thermal decomposition. Scince, vol 316, 878-881. Raehee Han, Takehiro Hirose and Toshihiko Shinamoto (2010), Strong velocity weakening and powder lubrification of simulated carbonate faults at seismic slip rates. Journal of geophysical research, vol 115, 1-23. Raehee Han, Toshihiko Shinamoto, Jun-Ichi Ando and Jun-Han Ree (2007): Seismic slip record in carbonate-bearing fault zones: an insight from high-velocity friction experiments on siderite gouge. The Geological Society of America v 35 pag. 1131-1134. G. Di Toro, R. Han, T. Hirose, N. De Paola, S. Nielsen, K. Mizoguchi, S. Ferri, M. Cocco and T. Shimamoto ( March 2011) : Fault lubrification during the earthquakes. Nature, Vol 471, 494-499 31

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Ringraziamenti Un doveroso ringraziamento va ai Prof. Di Toro e Prof. Nestola per avermi seguito in questi mesi per la stesura della tesi e ai Dott. Smith e Dott. Fondriest per l assistenza durante le analisi eseguite all INGV di Roma. Vorrei ringraziare tutta la mia famiglia per tutti i sacrifici che ha fatto per me e per il supporto morale nei momenti di difficoltà. Ringrazio Beatrice per gli incoraggiamenti che mi ha infuso soprattutto in quest ultimo periodo. Infine vorrei ringraziare tutti gli amici di geologia perché, senza di loro, questi 3 anni non sarebbero stati così stupendi. 33