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N. 12/2016 R.G. TRIBUNALE ORDINARIO DI PERUGIA SECONDA SEZIONE CIVILE Nel procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c. iscritto al n. 12/2016 R.G. promosso da: Sallah Kemo (C.F. SLLKME88B02Z317L) nato a Banjul in Gambia il 2.2.1988 rappresentato e difeso per mandato a margine ricorso dall Avv. Francesco Di Pietro presso il cui studio in Perugia, Via G. B. Pontani 3 è elettivamente domiciliato Ricorrente contro Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze Sezione di Perugia presso la Prefettura U.T.G. di Perugia, domiciliata in Perugia Via Colomba n. 2 Resistente avente ad oggetto: Altri istituti relativi allo stato della persona ed ai diritti di personalità il Giudice Dott. Federico Fiore, a scioglimento della riserva assunta all udienza del 20/05/2016, ha pronunciato la seguente ORDINANZA Con ricorso depositato in cancelleria in data 4.1.2016 Sallah Kemo ha impugnato la decisione della Commissione Territoriale di Firenze, Sezione di Perugia, che, con provvedimento del 20.10.2015, notificato 2.12.2015, rigettava la richiesta di concessione di protezione internazionale anche nella gradata forma di protezione sussidiaria non ravvisando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Il ricorrente ha esposto di essere cresciuto nel proprio paese presso il proprio zio essendo stato

N 12/2016. R.G. 2 abbandonato dai propri genitori. Nel 2011 lavorando a Casamance nel taglio del legname aveva richiesto il camion di proprietà dello zio per effettuate un trasporto. Durante il viaggio il camion era stato sequestrato dai ribelli dopo aver ferito lo stesso ricorrente e lo zio, ritenendolo responsabile della perdita del camion, lo aveva minacciato di morte e denunciato alle forze di polizia. Il ricorrente, pertanto, decideva di abbandonare il proprio paese dirigendosi prima in Senegal, e successivamente in Mali ed in Niger, ed in ultimo in Libia dalla quale poi era giunto in Italia il 5.8.2014. La Commissione Territoriale si costituiva in giudizio in data 17.5.2016 depositando propria memoria e fascicolo documentale contenente modello c/3 del 30.10.2014, verbale della Commissione del 20.10.2015, copia del provvedimento impugnato. La Commissione confermava il proprio provvedimento di rigetto non ravvisando la sussistenza dei presupposti di nessuna delle forme di protezione internazionale normativamente previste. All udienza del 20.5.2016, sentito il ricorrente con l ausilio di interprete di propria, il Giudice riservava la decisione. *** In via preliminare, deve dichiararsi l ammissibilità della domanda, proposta entro il termine di trenta giorni previsto dall art. 35 del d.lgs. 25/2008 come modificato dall art.19, 3 comma del D.lgs. 150/2011. Giova premettere in punto di diritto che la materia relativa al riconoscimento della protezione internazionale, è disciplinata dall art. 2 comma 1, lette. E) e F) del D.lgs 251/07 che prevede diverse forme di protezione internazionale. Tale decreto definisce "rifugiato" il cittadino straniero il quale, per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure - se apolide- che si trovi fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni suindicate e non può, o a causa di siffatto timore, non vuole farvi

N 12/2016. R.G. 3 ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all art. 10 e per "status di rifugiato" il riconoscimento da parte dello stato di un cittadino straniero quale rifugiato. Le medesime disposizioni sono poi riportate in maniera identica nell art. 2 comma 1 lette. d) ed e) D.Lgs. n. 25 del 28 gennaio 2008 che ha attuato la Direttiva CE 2005/85, con l unica specificazione relativa alla necessaria non appartenenza dello straniero ad un Paese dell Unione Europea. Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, inoltre, gli artt. 7 e 8 del suindicato Decreto, contengono la definizione di atti e dei motivi di persecuzione. In particolare, gli atti di persecuzione devono - alternativamente-; a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa, ai sensi dell articolo 15, paragrafo 2, della Convenzione sui diritti dell'uomo; b) costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a). Gli atti di persecuzione di cui al comma 1 possono, tra l'altro, assumere la forma di: a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; d) rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria; e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo potrebbe comportare la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all'articolo 10, comma 2; f) atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia. I motivi di persecuzione, sono invece indicati nel successivo art. 8 e devono essere riconducibili ai motivi, di seguito definiti:

N 12/2016. R.G. 4 a) "razza": riferita, in particolare, a considerazioni inerenti al colore della pelle, alla discendenza o all appartenenza ad un determinato gruppo etnico;; b) "religione": che include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l'astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte; c) "nazionalità": che non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all'assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l appartenenza ad un gruppo caratterizzato da un'identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato; d) "particolare gruppo sociale": è quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede un'identità distinta nel Paese di origine, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante. In funzione della situazione nel Paese d'origine, un particolare gruppo sociale può essere individuato in base alla caratteristica comune dell orientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai sensi della legislazione italiana; e) "opinione politica": si riferisce, in particolare, alla professione di un opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all articolo 5 e alle loro politiche o ai loro metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti. Per ciò che invece concerne la protezione sussidiaria, l art. 2 comma 1 lett. g) e h ) del Dlgs 251/07, conformemente a quanto previsto anche dall art. 2 comma 1 lett. f) e g) del Dlgs. 25/08, definisce "persona ammissibile alla protezione sussidiaria" il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se

N 12/2016. R.G. 5 ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. Lo"status di protezione sussidiaria" è invece il riconoscimento da parte dello Stato di uno straniero quale persona ammissibile alla protezione sussidiaria. La definizione di "danno grave" è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica : a) nella condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Il nuovo sistema di protezione internazionale, ha quindi introdotto una nuova misura, la protezione sussidiaria che deve essere riconosciuta quando esiste il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti. Il riscontro positivo di questa condizione non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio di un permesso di natura umanitaria di natura temporanea garantito dall'obbligo di osservare il divieto stabilito nell'art. 3 CEDU, nella lettura fornitane dalla Corte di Strasburgo, rilasciato dal Questore ex art. 5, comma 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998, ma da diritto ad una misura di protezione internazionale, stabile, accompagnata da permesso di soggiorno triennale e dalla fruizione di un complesso quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio alle prestazioni sanitarie), direttamente scrutinato dalle Commissioni territoriali. L art. 5 del d.lgs. n. 251/07, altresì, identifica come responsabili della persecuzione o del danno grave lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato e una parte consistente del suo territorio o ancora i soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell art. 6 comma 2, contro persecuzioni o danni gravi.

N 12/2016. R.G. 6 Strettamente connesso a tale tema è quello del diritto alla protezione umanitaria, concretizzantesi nel permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all art. 5 comma 6 del d.lgs. 286/1998. Anche tale controversia rientra infatti nella giurisdizione del Giudice ordinario, sia nel caso in cui si tratti di impugnazione del diniego di permesso di soggiorno del Questore (Cass. SS.UU. 19.5.2009, n. 11535), sia nel caso in cui si tratti di controversia sulla domanda di accertamento della protezione internazionale e in subordine del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass. SS.UU. 9.9.2009, n. 19393), come nel caso di specie. Trattasi in ogni caso di controversia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall art. 2 della Costituzione e dall art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo, e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore. L art. 5, c. 6, del D.Lgs. n. 286/98, che appunto disciplina l ipotesi della sussistenza di esigenze di protezione umanitaria, prevede che "il rifiuto o la revoca del permesso ai soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano " (art. 5 comma 6 D.Lgs. 286/98). L uso della disgiuntiva evidenzia come i motivi di carattere umanitario non debbano trovare fondamento in obblighi specifici previsti dalla Costituzione o da fonti internazionali, potendo trovarlo invece anche nella clausola generale dell art. 2 della Costituzione;; si tratta insomma di una clausola di salvaguardia del sistema volta a consentire che sia data tutela anche a situazioni non rientranti in alcuna delle disposizioni citate.

N 12/2016. R.G. 7 La disposizione normativa non enuncia in via esemplificativa quali debbano essere considerali i seri motivi, pertanto, è suscettibile di ampia interpretazione, e possono esservi ricondotti situazioni soggettive come i bisogni di protezione a causa di particolari condizioni di vulnerabilità dei soggetti, quali per esempio motivi di salute o di età, ma anche oggettive (cioè relative al paese di provenienza) e quindi una grave instabilità politica, episodi di violenza o insufficiente rispetto dei diritti umani, carestie, disastri naturali o ambientali o altre situazioni similari. Le disposizioni in materia di protezione umanitaria previste dall'ordinamento interno possono peraltro trovare applicazione anche laddove nei confronti della persona interessata sussista comunque un concreto pericolo di essere sottoposto a torture e/o a pene o trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rientro nel Paese d origine (art. 3 Convenzione europea dei diritti dell uomo). Dal punto di vista processuale occorre osservare che con la domanda di protezione internazionale, ancorché indistinta, il richiedente ha diritto all esame delle condizioni di riconoscimento delle due misure di protezione internazionale, previste nelle Direttive, ma senza escludere la possibilità del rilascio di un permesso sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali o costituzionali diversi da quelli derivanti dal citato art. 3 CEDU (ormai ricompreso espressamente nella sussidiaria) o da quelli indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art 14, lett. c), (la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona dì un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale; Cass. 24.3.2011, n. 6880). Per ciò che concerne l onere probatorio, l art. 3 del medesimo Decreto stabilisce che il richiedente è tenuto a presentare, unitamente alla domanda di protezione internazionale o comunque appena disponibili, tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda. Tuttavia, qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l'autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda;

N 12/2016. R.G. 8 b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile. La giurisprudenza ha poi precisato che in detta materia vi sono profonde divergenze rispetto alle regole generali del processo civile; ed infatti il giudice, attraverso i propri poteri ufficiosi, potrà e dovrà cooperare nell accertamento delle condizioni che legittimano l accoglimento del ricorso, acquisendo anche d ufficio le informazioni necessarie a conoscere l ordinamento giuridico e la situazione del paese di origine (cfr. Cass. SS.UU. 17.11.2008 n. 27310). Del resto tale intervento è stato pienamente recepito dal legislatore delegato che all art. 19 comma 8 del d.lgs. 150/2001 espressamente prevede che "il giudice può procedere anche d'ufficio agli atti di istruzione necessari per la definizione della controversia". Complementare a tale affermazione è quella secondo cui in tema di accertamento del diritto ad ottenere una misura di protezione internazionale, il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull'adempimento dell'onere di provare la sussistenza del "fumus persecutionis" a suo danno nel paese d'origine, essendo, invece, tenuto a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza, mentre solo la riferibilità specifica al richiedente del "fumus persecutionis" può essere fondata anche su elementi di valutazione personale tra i quali, la credibilità delle dichiarazioni dell'interessato (Cass. 23.12.2010, n. 26056; Cass. 27.7.2010,n. 17576). Sul giudice incombe quindi il dovere di ampia indagine, di completa acquisizione documentale anche officiosa e di complessiva valutazione anche della situazione reale del Paese di provenienza, dovere imposti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,

N 12/2016. R.G. 9 comma 3 (emanato in attuazione della direttiva 2005/85/CE), norma alla stregua della quale ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni aggiornate sulla situazione del Paese di origine del richiedente asilo, informazioni che la Commissione Nazionale fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative. Premesso il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, occorre esaminare le doglianze avanzate con riferimento al provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale di Firenze, Sezione di Perugia, con la specificazione che tutte le doglianze di natura formale vanno esaminate congiuntamente al merito. Occorre infatti evidenziare il recente arresto della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il giudizio introdotto dal ricorso dell'interessato avverso il rigetto dell'istanza di protezione internazionale da parte dell'apposita Commissione, non ha ad oggetto il provvedimento amministrativo, bensì il diritto soggettivo dell'istante alla protezione invocata. E infatti la legge (d.lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 10 cit.) stabilisce che la sentenza del tribunale può contenere, alternativamente, il rigetto del ricorso ovvero il riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, e non anche il puro e semplice annullamento del provvedimento della Commissione" (cfr. Cass., ord. 9.12.2011 n. 26480). Conseguentemente esso non può concludersi con il mero annullamento del diniego in sede amministrativa della protezione stessa, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto. Ne deriva che l eventuale nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per esempio, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall'interessato o in una delle lingue veicolari o comunque per altri vizi formali, non esonera il giudice adito dall'obbligo di esaminare il merito della domanda. Sotto tale aspetto deve essere evidenziato come gli eventuali vizi formali attinenti al procedimento svoltosi davanti alla Commissione Territoriale e al provvedimento di quest'ultima sono in questa sede del tutto ininfluenti. Il Tribunale, chiamato ad esaminare la domanda di ammissione alla protezione internazionale in seguito al diniego dell'autorità amministrativa, non è, infatti,

N 12/2016. R.G. 10 vincolato ai motivi dell'opposizione e procede a un completo riesame della richiesta verificando ex novo la sussistenza dei presupposti alla base del diritto soggettivo vantato. Passando all esame del merito il ricorso non può trovare accoglimento per ciò che concerne l accoglimento della domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato né per ciò che concerne il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all art. 14 lett a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007. Ed infatti, dal momento che nessun elemento di prova è stato fornito a sostegno della domanda, l unico dato sul quale fondare la presente decisione è costituito dalla credibilità e verosimiglianza del resoconto della propria vicenda personale effettuato dallo stesso ricorrente in sede di audizione innanzi alla Commissione e confermato all udienza del 20.5.2016. Si ritiene, infatti, che pur dovendosi valutare, nel complesso, come attendibili e verosimili i fatti esposti dal ricorrente sulla base dei parametri legislativamente definiti, gli stessi non possano, tuttavia, essere qualificati quali atti persecutori nei confronti del ricorrente, trattandosi sostanzialmente di una controversia di natura prettamente economica tra il ricorrente e lo zio in ordine alla perdita del camion concesso in uso al ricorrente. Né è emerso con sufficiente certezza alcun specifico elemento da cui poter desumere che, qualora il ricorrente ritornasse nel Paese d origine, sarebbe esposto al pericolo di un grave danno nei limiti così come specificati nell art. 14 del D.lgs 251/07 anche in considerazione del lungo periodo di tempo trascorso dall accadimento dei fatti, risalendo gli stessi al 2011. Né pare che il ricorrente abbia posto in essere tutto quanto era nelle sue possibilità denunciando alla polizia la rapina subita del camion di proprietà dello zio dimostrando così la assenza di responsabilità in ordine a detta vicenda. Per quanto concerne poi la protezione sussidiaria prevista nell ipotesi di cui alla lett. c) del citato art. 14 sono necessarie due condizioni: una oggettiva concernente l area di appartenenza o l intero paese, l altra soggettiva riguardante la condizione personale ( Cass. ordinanza 7.7.2014 n. 15466). Il ricorrente in particolare non ha fatto riferimento ad alcun specifico episodio relativo alla situazione di instabilità del proprio paese, inoltre, nel sito internet Viaggiare Sicuri del Ministero degli

N 12/2016. R.G. 11 Affari Esteri (http://www.viaggiaresicuri.it/paesi/dettaglio/gambia.html), per il periodo 28.1.2016/30.5.2016, è riportato: Il Paese condivide con la più parte del resto del mondo il rischio di poter essere esposto ad azioni legate a fenomeni di terrorismo internazionale. In particolare, tenuto conto del progressivo deterioramento della situazione nell area del Sahel ed in considerazione dell attivismo dei gruppi di matrice terroristica in tutta la regione e dell accresciuto rischio di azioni ostili a danno di cittadini ed interessi occidentali, si raccomanda di mantenere elevata la soglia di attenzione in tutto il Paese. In linea generale, le condizioni di sicurezza del Paese presentano minori criticità rispetto ad altri Paesi del continente, soprattutto nelle vicinanze delle strutture turistiche nei pressi della capitale, situate lungo la costa atlantica. Si consiglia comunque particolare attenzione nei luoghi maggiormente frequentati, a causa del crescente pericolo di furti e aggressioni, soprattutto nelle ore notturne. Pertanto non emerge, alla luce di quanto sopra riportato, che il Gambia sia teatro di violenza indiscriminata entro i propri confini nazionali e in ragione di ciò non sussistono, nel caso di specie, i motivi e le ragioni giustificanti la concessione della misura della protezione sussidiaria in nessuna delle ipotesi normativamente previste. Ne consegue conseguentemente il rigetto delle domande principali. La situazione del ricorrente merita, invece, di essere specificamente considerata per quanto concerne il riconoscimento della protezione umanitaria, risultando nel caso di specie seri motivi di carattere umanitario afferenti alla vulnerabilità personale e sociale del ricorrente nella ipotesi di ritorno nel proprio paese ( Cass. 3347/2015). Il ricorrente ha, infatti, abbandonato il proprio paese, dove già si trovava in una situazione di precarietà economica e sociale avendo perso l unico riferimento familiare ed economico costituito dallo zio dopo che lo aveva ritenuto responsabile della perdita del camion. Il ricorrente è altresì fuggito dal proprio paese temendo di essere sottoposto a carcerazione, dovendosi a tale proposito considerare le numerose denunce a livello internazionale circa le torture ed i maltrattamenti posti in essere dalle forze governative e delle condizioni inumane delle carceri in Gambia.

N 12/2016. R.G. 12 Il rimpatrio porrebbe, pertanto, il ricorrente in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale e per tali ragioni essendovi una probabile compromissione anche alle sole scelte di vita quotidiana, considerato la situazione dei diritti civili attualmente esistente in Gambia, possono ritenersi sussistenti le ragioni di carattere umanitario di cui all art. 5, 6 comma del D.Lgs 286/1998 per la concessione della protezione umanitaria. Il ricorrente inoltre ha dimostrato di impegnarsi fattivamente e positivamente nelle attività di integrazione per l apprendimento della lingua e di alcune competenze lavorative ( doc.ti 11-12-13-14) consentendo di esprimere un giudizio prognostico positivo sulla integrazione ed inserimento sociale in itinere del ricorrente. Per ciò che concerne le spese di lite, stante la particolare natura del presente giudizio si ritengono sussistenti motivi di opportunità per la dichiarazione di irripetibilità delle stesse. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da Sallah Kemo contro il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze, Sezione di Perugia del 20.10.2015, notificato il 2.12.2015 ogni altra domanda, eccezione o difesa allo stato disattesa, così provvede: - in accoglimento del ricorso riconosce a Sallah Kemo la protezione umanitaria di cui all art. 5 comma 6 del D.Lgs 286/1998;; - dichiara irripetibili le spese del giudizio. Perugia, 3 giugno 2016 Il Giudice Dott. Federico Fiore