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Transcript:

Introduzione Il presente lavoro si inserisce in un filone di ricerche teso a valorizzare il patrimonio storico-artistico del territorio di Capitanata. In particolare, l indagine condotta mira a dare un contributo agli studi sulla scultura lignea in età moderna, completando il panorama già tracciato dagli studi effettuati su questa materia. Fin dal Medioevo, e poi durante tutto il Cinquecento, la posizione strategica della Capitanata, favorì l afflusso di opere e di artisti provenienti da tutta l area adriatica e soprattutto da Venezia. Dopo il 1529, in seguito alla definitiva vittoria degli Spagnoli sui Francesi, il consolidarsi del Viceregno comportò la progressiva diffusione, in tutta la regione, della cultura artistica napoletana. Nel Seicento furono fiorenti a Napoli botteghe di scultori in legno, specializzate nella 3

realizzazione di reliquiari, in linea con la contemporanea scultura spagnola, ma anche di sculture reliquiario, opere destinate soprattutto alla committenza religiosa di ordini, quali gesuiti, teatini, francescani, e domenicani. Il fenomeno si rivelò diffusissimo, a tal punto che, le nostre chiese abbondano di esemplari dell epoca (principalmente in legno) ancora da studiare e da attribuire. A tal proposito è giusto ricordare che la scultura lignea, purtroppo, è da sempre stata considerata minore rispetto a quella in marmo e, per questo motivo, meno frequenti sono gli studi a riguardo. Bisogna tuttavia tener presente che essa, per i costi meno elevati e per la sua funzione principalmente devozionale, costituì un importante fonte di scambio tra Napoli e la Puglia. I primi arrivi di sculture di legno (spesso dipinto) sono attestati, infatti, fin dagli ultimi decenni del Cinquecento e continuarono fino agli ultimi decenni del Settecento. 4

Un sopralluogo nelle chiese foggiane ha rivelato un patrimonio di sculture lignee, di considerevole valore, ancora non studiato, ma citato solo da fonti locali o in relazioni di restauro. Dopo una campagna fotografica, si è scelto il repertorio più indicativo. Di questi esemplari si sono redatte le schede, elaborate dopo un attenta ricerca bibliografica e documentaria e dopo un esame critico dei tratti stilistici. Un lavoro, questo, che non si ritiene definitivo, ma che si pone l obiettivo di favorire gli studi che possano approfondire il panorama della scultura lignea a Foggia. 5

CAPITOLO PRIMO La scultura in Puglia fra Sei e Settecento 1 La sua posizione strategica, a cavallo tra Oriente e Occidente, e la sua vocazione mercantile hanno reso la Puglia crocevia di culture nel cuore del Mediterraneo. Fin dal Medioevo, e poi durante tutto il Cinquecento e per buona parte del Seicento, le culture che più di tutte hanno influenzato i processi culturali e artistici pugliesi provenivano essenzialmente da oriente: dalla Dalmazia, dalla Grecia bizantina e soprattutto da Venezia. I mercanti veneziani erano intermediari e protagonisti di intensi flussi commerciali che coinvolgevano l Adriatico intero, in Puglia avevano ricevuto concessioni e 1 Testi di riferimento sono: M. PASCULLI FERRARA, Contributo per la scultura lignea in Capitanata e in area meridionale nei secoli XVII-XVIII. Fumo, Colombo, Marvocco, Di Zinno, Brudaglio, Buonfiglio, Trillocco, Sanmartino, in G. BERTELLI, M. PASCULLI FERRARA, Contributi per la storia dell arte in Capitanata tra Medioevo ed Età Moderna, 1, La scultura, a cura di M.S. Calò Mariani, Galatina 1989, pp. 54-80; C. GELAO, La scultura in Puglia dal 1734 al 1799, in C. GELAO (a cura di), La Puglia al tempo dei Borbone, Bari 2000, pp. 133-148. 6

privilegi. Inoltre, salito al trono del Regno di Napoli nel 1442, Alfonso di Aragona considerò il versante orientale del suo impero una frontiera da lasciare alla mercè navale della Serenissima. Da una parte, questo processo favorì l emergere di Napoli come capitale, ma legittimò, anche, il radicarsi dell influenza veneziana sulle coste adriatiche. Numerose testimonianze di arte veneta nella nostra regione (soprattutto in Terra di Bari) attestano l intensità di questi rapporti. Oltre alle merci venivano infatti importati dalla Serenissima sculture, pale d altare e dipinti, ma anche artisti. Sono presenti, tra gli altri, dipinti di Tintoretto, di Paolo Veronese e soprattutto di Palma il Giovane. La presenza napoletana in Puglia si fece preponderante dopo il 1529, in seguito alla definitiva vittoria degli Spagnoli sui Francesi, quando il Regno di Napoli divenne Viceregno della corona iberica. Il consolidarsi del dominio spagnolo comportò la 7

progressiva diffusione in tutta la regione della cultura artistica napoletana. Dopo la vivace stagione rinascimentale, la scultura monumentale in marmo languiva, se De Dominici potè affermare che pensò Cosimo [Fanzago] di venirsene a Napoli, dove erano più rari i Scultori di marmo, dapoichè dopo il secolo quinto decimo, a poco a poco erano mancati gli Artefici col mancar l uso di lavorare i marmi 2. De Dominici, attribuiva al disinteresse della committenza, ora per lo più di origine spagnola, lo scarso successo della scultura in marmo, che nella cultura iberica era soppiantata da altre forme d arte. La nuova classe dirigente aveva inoltre importato a Napoli un gusto artistico con una marcata componente espressionistica, che orientò la produzione figurativa del Seicento su caratteri di forte patetismo. 2 B. DE DOMINICI, Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli, 1742-1745, III, p. 177. 8

Tuttavia vanno menzionati gli esempi del già citato Cosimo Fanzago e di Giuliano Finelli, esponenti della scultura in marmo monumentale sulla scia della lezione di Pietro Bernini. Il primo fu l artefice delle statue di quattro profeti: Isaia e Geremia per la Chiesa del Gesù Vecchio e Davide e Geremia per la Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, definiti i capolavori del periodo centrale più significativo della sua carriera 3 e di una Immacolata 4, oggi nel Seminario di Capodimonte 5, che rappresenta una fase più matura dello scultore, influenzato dall incontro con Luca Giordano 6. Il secondo, formatosi nella bottega di Bernini a Roma, ben presto si trasferì a Napoli, dove gli fu assegnato l incarico di eseguire per la cappella del Tesoro di San Gennaro un San Pietro e un San Paolo, dai quali si 3 A. NAVA CELLINI, La scultura dal 1610 al 1656, in Storia di Napoli, Cava dei Tirreni, 1972, V, pp. 783-825. 4 R. MORMONE, Le sculture di Cosimo Fanzago, in «Napoli Nobilissima», IX, 1970, pp.174-185. 5 L opera, probabilmente destinata alla facciata della Certosa di San Martino, fu dapprima collocata nella cappella del Palazzo Reale per poi essere trasferita in periodo napoleonico a Pietrarsa, quindi al Seminario di Capodimonte, (R. CAUSA, L arte nella Certosa di San Martino a Napoli, Napoli 1973. 6 A. NAVA CELLINI, La scultura del Seicento, Torino 1982. 9

evince un certo aggiornamento sulla pittura coeva, in particolare quella del Ribera. 7 Il lavoro più prestigioso di Finelli fu una serie di statue bronzee, raffiguranti i Santi Patroni, collocate nella cappella del Tesoro di San Gennaro. Esse rappresentano il risultato più grandioso della scultura neoveneta del Finelli 8. Nel corso del Seicento furono fiorenti a Napoli botteghe di scultori del legno, specializzate nella realizzazione di retabli in linea con la contemporanea cultura spagnola, ma anche di sculture reliquiario, destinate soprattutto alla committenza religiosa di ordini quali gesuiti, teatini, francescani e domenicani 9. Il già noto Domenico Di Nardo lavorò per il retablo situato nella cappella di San Francesco de Geronimo, nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. 7 A. NAVA CELLINI, Un tracciato per l attività artistica di Giuliano Finelli, in «Paragone», XI, 1960, f. 131, pp. 9-30. La studiosa propone un confronto con alcune tele del Ribera: il San Pietro e il San Paolo, custodite nel museo di Vittoria e il Mosè ed Elia della chiesa della Certosa di San Martino. 8 R. MORMONE, Le sculture di Giuliano Finelli nel Tesoro di San Gennaro a Napoli, Napoli 1956. 9 P. STAFFIERO, Da reliquie a busti reliquiario «intagliati, coloriti, indorati e sgraffiati» in Ottant anni di un maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, a cura di Francesco Abbate, I, Napoli 2006, pp. 345-363. 10